Ivailo
Ditchev 3 dicembre
2012 24 CHASSA Sofia
Per capire i movimenti separatisti
europei di questi ultimi venti anni, potremmo fare una simulazione: lanciare
l'idea di una grande autonomia di Sofia, la capitale della Bulgaria, con
l'obiettivo finale di arrivare al suo distacco dal territorio nazionale. A
questo scopo bisognerebbe mobilitare un gran numero di storici per dimostrare –
per esempio – le radici celtiche di questa città caduta in mano a invasori del
nord, responsabili del massacro di migliaia di cristiani pacifici e innocenti.
La storia è grande e gli argomenti non mancherebbero di certo.
L'indipendenza di Sofia dal resto
del paese, economicamente meno sviluppato, comporterebbe automaticamente un
aumento della ricchezza dei suoi abitanti – il loro reddito passerebbe dal 37
per cento della media europea al 70 per cento, e con un'abile esclusione dei
quartieri rom della città, si arriverebbe anche al 100 per cento. Non
rimarrebbe che proclamare la nostra capitale "il Lussemburgo dei Balcani",
e il gioco è fatto. Un discorso simile potrebbe valere per Londra o per Monaco
se un giorno volesse liberarsi dal "giogo" britannico e tedesco. In
queste caso i redditi per abitante raggiungerebbero cifre astronomiche:
rispettivamente del 600 e del 300 per cento rispetto alla media Ue.
Chi può impedire ai ricchi di
liberarsi del peso dei loro concittadini più poveri? Non dimentichiamo che alla
caduta dell'impero ottomano i Balcani sono sprofondati in una crisi durata
diversi decenni. Per esempio durante tutto il diciannovesimo secolo l'economia
greca è stata tenuta artificialmente in vita dalle grandi banche internazionali
– proprio come oggi. E dalle rovine dell'impero austroungarico è nato un
piccolo paese rurale, provinciale e folcloristico come l'Austria.
Al contrario, ai tempi del loro
splendore queste entità possedevano grandi territori controllati dallo stato
centrale – una fonte di materie prime e di manodopera alla quale l'industria
vendeva in cambio i suoi prodotti. Uno scambio che richiedeva una forte
solidarietà: i ricchi destinavano parte dei loro redditi per istruire i loro
futuri dipendenti, per costruire le strade, per difendere le frontiere del
paese. Tutto questo oggi non sembra più di moda. Se Sofia dovesse dichiarare la
propria indipendenza, non avrebbe questo genere di preoccupazioni. L'economia è
ormai globale e la sicurezza è assicurata dall'Alleanza atlantica. Anziché
comprare i propri pomodori a Plovdiv (nel sud del paese), la città potrà farlo
a Smirne (in Turchia); anziché cercare dei tramvieri a Vidin (nel nord del
paese), potrà assumere degli indiani di Nuova Delhi.
Indubbiamente la costruzione di
un'identità, anche fantasiosa, ha la sua importanza, ma è soprattutto uno
strumento nella lotta per il potere e per le risorse economiche. A differenza
di Sofia, la Catalogna possiede realmente una storia millenaria, una cultura e
anche una sua lingua. Ma l'argomento più serio a disposizione degli
indipendentisti rimane il fatto che questa regione è molto più ricca del resto
della Spagna: i separatisti ottengono i voti degli elettori grazie al loro
rifiuto pagare per gli altri. Rispetto a loro gli indipendentisti baschi, che
non esitano a ricorrere alla forza e al terrore, danno l'impressione di essere
molto più determinati nella lotta contro Madrid. Ma la loro indipendenza sembra
molto più lontana di quella dei catalani per la semplice ragione che sono molto
più poveri.
Il discorso è simile per la Scozia,
che si prepara a organizzare un referendum sull'indipendenza entro due anni.
Anche in questo caso abbiamo una storia antica, differenze culturali e i danni
provocati dall'imperialismo britannico – insomma tutto l'arsenale
nazionalistico necessario per sostenere questo movimento di separazione. Ma
questa voglia di indipendenza sarebbe la stessa se non si fossero trovati nel
Mare del Nord dei giacimenti di petrolio capaci di fare della Scozia una
seconda Norvegia – un paese che del resto rifiuta ostinatamente di aderire
all'Ue? In confronto il nazionalismo irlandese è più antico e anche più cruento.
Ma la maggioranza dei nordirlandesi si è sempre pronunciata contro
l'indipendenza.
Anche i fiamminghi belgi chiedono la
loro indipendenza a causa dell'impoverimento dei loro compatrioti valloni a
partire dagli anni settanta. Forse la sola cosa – a parte il re, la birra e il
calcio – che permette a questo simpatico paese di esistere ancora è la città di
Bruxelles, che le due entità non riescono a spartirsi. Altrimenti il processo
di disintegrazione è ben avanzato e la maggior parte dei belgi che conosco si è
abituata all'idea di assistere prima o poi alla scomparsa del paese. Al
contrario il nazionalismo corso, anche se più rumoroso, ha molte meno
possibilità di realizzare i propri obiettivi perché è poco probabile che la
popolazione dell'"Isola della bellezza" (dove tutte le estati vengono
incendiate le ville degli "intrusi francesi") rinunci alle generose
sovvenzioni e ai vantaggi forniti da Parigi.
Chiusi
dentro
Com'è possibile che l'Europa
occidentale soccomba a quelle stesse forze separatiste e disgregatrici già
all'opera nell'est del continente? Forse bisogna cercare la ragione
nell'irresponsabile politica regionalistica sostenuta dall'Ue. Questa politica
aveva lo scopo di indebolire gli stati nazionali in favore di Bruxelles. Ma
l'idea è fallita perché Bruxelles si è indebolita ancora più degli stati.
Per me la ragione principale della
disintegrazione dei territori nazionali va ricercata nella logica neoliberista,
che ha nel profitto economico immediato la sua sola e unica giustificazione. Un
paese, una regione o addirittura una città finiscono per considerarsi come
un'impresa e agiscono in modo egoistico sul mercato globale.
L'aspetto visibile di questo
processo è l'irrigidimento del discorso di identità, che diventa più aggressivo
o addirittura fascista: gli inglesi sempre più antieuropei, i tedeschi che non
vogliono più pagare per gli eccessi dei greci e così via. Il nuovo nazionalismo
è difensivo e al di là dei simboli esprime il desiderio di un piccolo gruppo di
ricchi di trincerarsi dietro i muri del loro castello, abbandonando gli altri
alla loro sorte. Bentornati nel Medioevo!
Di certo su questi argomenti
scorreranno ancora fiumi di inchiostro, ma non dimentichiamo le lezioni della
storia: mentre l'Europa ritorna al feudalesimo, i grandi imperi vanno a gonfie
vele. In passato è stato il caso della Sublime porta, oggi è il momento della
Cina e degli Stati Uniti. (Traduzione di Andrea De Riti)
Nessun commento:
Posta un commento