Pensare Globale e Agire Locale

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giovedì 20 dicembre 2012

ITALIA - Ingroia, furbetto in toga

Diceva di non voler scendere in politica. Ora ha cambiato idea. Forse. Intanto dal Csm è arrivato il sì all’aspettativa.

di Giancarlo Perna

Dunque, pare, si dice, ma non è certo, che il pubblico ministero palermitano Antonio Ingroia si candidi alle prossime elezioni. Dal Guatemala, dov’è da un mese in missione Onu, ha fatto pervenire al Consiglio superiore della magistratura una richiesta di aspettativa (il sì dal Csm è arrivato mercoledì 19 dicembre).
Ma non una domanda normale in cui si dica «intendo per un certo periodo fare questo e quest’altro e chiedo perciò di lasciare temporaneamente il mio lavoro».
Troppo lineare per Ingroia, che ha infatti chiesto “un’aspettativa cautelativa” (inventata da lui di sana pianta) poiché «non ho ancora deciso di candidarmi» (nel quarto Polo, tra gli arancioni, sembra).
STUDIARE SE CI SONO LE CONDIZIONI. Il signorino, infatti, vuole guardarsi attorno, studiare se ci sono davvero le condizioni, se la sua candidatura sarà gradita e, in ultima analisi, andare sul sicuro per scongiurare brutte sorprese, tipo un'ingloriosa trombatura. Se poi l’indagine di mercato sortisse risultati negativi, il pm dirà: «Mi sono sbagliato, come non detto, torno in Guatamela, tanti saluti e grazie».
Questo è prendere per i fondelli il prossimo. Ingroia fa politica (di sinistra giustizialista) da anni, dividendosi indistintamente tra aule giudiziarie, talk show televisivi, congressi di partito e tavole rotonde.
L'ARTE DI NEGARE FINO ALLA FINE. Ma tutte le volte che gli è stato chiesto se intendeva lasciare le aule tribunalizie per seguire le proprie ubbie, ha replicato con aria offesa che mai e poi mai.
«Io rivendico il mio diritto, come cittadino e anche come magistrato, di esprimere opinioni senza reticenze; ciò non significa però preferire la politica alla toga».

Meglio definirsi un «partigiano della Costituzione»


Questa è la solfa che ha ripetuto per anni, ogni volta che gli è stato fatto notare come andare in congressi di partito (nel 2011, alle assise dei Comunisti italiani se ne uscì col celebre motto: «Non sono imparziale. Anzi, mi sento partigiano, sono un partigiano della Costituzione»), schierarsi in tivù o nelle interviste, intorbidisse la sua figura di magistrato tenuto alla terzietà.
POLITICA SÌ, SEGGI PARLAMENTARI NO. Insomma, mentre tutti capivano che friggeva per la politica, Ingroia negava caparbiamente. Tanto che, 48 ore prima della domanda al Csm, a Ballarò (in videoconferenza dal Centro America) aveva detto: «Non voglio candidarmi. Non ho bisogno di seggi parlamentari, ma voglio fare politica anche da magistrato».
Tralasciando l’orrore di questa dichiarazione che straccia l’idea stessa dell’imparzialità nelle aule giudiziarie, era un “no” netto e chiaro. Oggi sappiamo che era una bugia. L’ennesima.
LA LISTA DEGLI IMPEGNI NON MANTENUTI. Adesso che, finalmente, il 53enne pm palermitano ha gettato la maschera, possiamo inquadrarlo meglio. Innanzitutto, rientra nella schiera degli uomini che prendono impegni che poi non mantengono. Da nemmeno un mese, Ingroia aveva assunto in Guatemala la direzione della lotta al narcotraffico per conto delle Nazioni unite.
Per farlo, aveva ottenuto il benestare del Csm, lasciato le inchieste alla procura di Palermo e, soprattutto, ci aveva fatto per mesi una “capa tanta” su questa missione, traendone lustro e inviti in tivù.
Ora molla tutto, come niente fosse. Immagino che i guatemaltechi e l’Onu non credano ai propri occhi e che, appena se ne faranno una ragione, considereranno Ingroia un “quaquaraquà”, estendendo il giudizio d’inaffidabilità a tutti noi, suoi concittadini nostro malgrado.

Una scelta che mette in difficoltà l'Italia davanti al mondo


Farla così grossa, si era raramente visto. Tra i tanti disastri ai quali assistiamo, eravamo abituati a sindaci che lasciano in anticipo l’incarico per diventare leader politici nazionali (Rutelli e Veltroni tra gli altri), eurodeputati che se ne vanno a metà mandato per tornare in tivù (Michele Santoro, Lilli Gruber) o per fare i primi cittadini all’ombra del Vesuvio (De Magistris), ma erano brutte cose che restavano tra noi.
Ingroia, invece, ci mette in braghe di tela di fronte al mondo. Urge viaggio riparatorio in Guatemala del marchese Terzi di Santagata, per presentare le nostre scuse a quella nobile nazione con la solenne promessa che mai più il nostro incosciente connazionale sarà abilitato a rappresentarci oltre confine.
MAGISTRATURA TRAMPOLINO DI LANCIO. L’altra conseguenza della decisione ingroiana di candidarsi (sempre che si siano capite con esattezza le sue intenzioni) è che va ad arricchire la lista dei magistrati che hanno fatto della loro attività giudiziaria il trampolino di lancio per un comodo seggio parlamentare a ventimila euro il mese. Alla Totò Di Pietro, per intenderci.
Tutte le sue inchieste - giuste o sballate che siano, da quelle su Dell’Utri, sul Cav, sulla trattativa Stato-mafia - diventano, col senno di poi, solo pennacchi per catapultarsi in politica.
INCHIESTE PER CATTURARE L'ELETTORATO. Nasce anzi il sospetto che le abbia volute tanto più clamorose e azzardate proprio per diventare popolare e conquistarsi automaticamente un elettorato. Alla Di Pietro, alla De Magistris e, un domani, chissà, alla Woodcock.
Il discorso sull’«aspettativa cautelativa» di Antonio Ingroia può finire qui.
L’essenziale è detto. Resterebbe da passare al vaglio la sua attività di magistrato per catalogarlo tra i seri o i disastri. Ci vorrebbe un altro articolo.
Una cosa si può dire. Ingroia non crede che le proprie istruttorie siano così essenziali da doverle lui stesso portare a termine. Infatti, le ha abbandonate per altro. Tirate le somme, meglio che un opportunista stia in politica che in magistratura.

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