Pensare Globale e Agire Locale

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lunedì 3 dicembre 2012

ITALIA – Primarie: sarà comunque un altro Pd

Pier Luigi Bersani sopra il 60 per cento. Ora le vecchie oligarchie verranno messe da parte. E, dopo aver tanto litigato, i due leader decideranno insieme le politiche e i volti del partito che verrà. Pensando al governo (e al Quirinale)

di Marco Damilano (30 novembre 2012)

Qualcuno le ha già chiamate le primarie dei due vincitori, Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi. Senza rendersi conto che l'espressione fu già utilizzata da Aldo Moro per descrivere il risultato delle elezioni politiche più incerte della Prima Repubblica, nel 1976. Quando il Pci guidato da Enrico Berlinguer tentò di superare la Dc come partito di maggioranza relativa. Alla fine il sorpasso non riuscì, la Balena Bianca mantenne il primato con il 38 per cento dei voti, ma i comunisti volarono al 34,4, il massimo storico, risultato mai più raggiunto. Così in caso di vittoria al ballotaggio del 2 dicembre Bersani potrà vantare di avere vinto la scommessa: legittimare la sua candidatura a premier con un voto popolare e non con una manovra di palazzo. Ma il sindaco di Firenze ha già raggiunto il suo obiettivo: cambiare in profondità i punti di riferimento, i linguaggi, i volti, il paesaggio finora conosciuto del centrosinistra. Nulla sarà più come prima. Anzi, già non lo è più.

Basta sfogliare i dati del primo turno. Una geografia sconvolta. Lo sfidante Renzi sfonda nelle regioni rosse, conquista le roccaforti della Ditta ex Pci in Toscana, il 57 per cento in provincia di Pistoia, il 54 per cento a Siena, il 62 per cento ad Arezzo. E meno male che all'ultima direzione del Pd il segretario regionale Andrea Manciulli lo aveva trattato da intruso: «Renzi non è mai venuto a una nostra direzione».

Alla prova dei gazebo ha dimostrato di saper parlare alla base del Pd meglio dei suoi dirigenti. E poi l'Umbria, le Marche, Modena, Imola, Forlì e Cesena dove si ferma a pochi punti dal primo segretario venuto dalla via Emilia. Bersani risponde nelle grandi città dove conta il voto d'opinione, a Milano e a Roma dove sfiora il 50 per cento, e nelle regioni del Sud dove è un trionfo: il 50 per cento in Campania, con il 64 per cento nella Salerno del sindaco Vincenzo De Luca, il 51 in Sicilia (con il 61,2 per cento a Enna dove domina il senatore Mirellino Crisafulli) e il 54 per cento in Calabria, con il plebiscito di Vibo Valentia, il 72 per cento contro il misero 13 di Renzi: merito del capo locale Francesco De Nisi, un ingegnere quarantenne che ha appreso all'antica scuola democristiana l'arte di catturare i consensi.

Gli ex Pci votano Renzi, gli ex dc Bersani. Un capovolgimento degli stereotipi, Renzi, presentato come un corpo estraneo alla tradizione rossa, galoppa nei collegi sicuri della sinistra. Bersani, raffigurato come il campione del dialogo con i ceti produttivi del Nord, spopola nel Sud più periferico.

Il vero terremoto politico deve ancora arrivare, è previsto per la notte del 2 dicembre alla chiusura dei seggi. Poi sarà il big bang del nuovo centrosinistra, comunque vada. Il nuovo inizio atteso, auspicato, temuto. «Abbiamo già dimostrato con il risultato del primo turno che c'è un elettorato mobile che vota un leader dinamico», spiega Francesco Clementi, giovane costituzionalista romano, l'uomo delle politiche istituzionali di Renzi: «Il popolo del centrosinistra è meno conservatore del suo establishment, capi logori che in gran parte non rappresentano più i loro territori. Serve una nuova classe dirigente». «Se vince la sfida del ballottaggio Bersani sarà un trasformatore di energie. Ricorda le ore di applicazioni tecniche alla scuola media? Ci spiegavano che bisognava eliminare i residui alcalini. Ecco: Bersani può aiutare Renzi a togliere le scorie della sua proposta e a trasformarla in energia positiva», prevede Miguel Gotor, storico esperto di santi ed eretici del Cinquecento ed esegeta delle lettere di Moro dalla prigione delle Brigate Rosse, oggi il più ascoltato consigliere del segretario del Pd che gli ha affidato la sua campagna per le primarie.

E' già, a risultato ancora incerto nonostante i nove punti che separano i duellanti, l'offerta di un patto post-elettorale tra Bersani e Renzi che gran parte dell'attuale nomenclatura democratica vede come l'anticamera della fine. «Ho sostenuto Bersani con lealtà, sono l'unico che si è impegnano ventre a terra in tutta Italia, ma dopo il ballottaggio dirò basta», si sfoga l'ex ministro Giuseppe Fioroni: «Se vince Bersani farà un partito socialdemocratico, stringerà con Renzi un accordo di potere. E noi saremo fatti fuori tutti».

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