Come hanno dimostrato le recenti
rivolte in Iran, in Spagna o in Turchia internet fornisce ai cittadini numerosi
strumenti di azione politica. La maggior parte potrebbe essere usata in Europa
per superare la crisi democratica attuale, ritiene un economista francese. Estratti.
Philippe
Aigrain EUTOPIE Rome
Il fatto che cittadini di regimi
democratici critichino il fallimento di questi regimi nel raggiungere gli
obiettivi annunciati, e dubitino persino della loro capacità a raggiungerli
affatto fa parte dell’essenza della democrazia stessa. Ma non è un motivo per
ignorare la profondità della crisi profonda e globale delle democrazie, e in
particolare dell’intensità di questa crisi in Europa.
Malgrado dei processi democratici
come le elezioni e le votazioni in parlamento c’è un diffuso sentimento che le
nostre società sono governate da un piccolo gruppo di persone che sfruttano per
il proprio benessere e profitto gli interessi economici, politici e dei mezzi
d’informazione.
Anche se, grazie alla rivoluzione
digitale, un numero crescente di attività possono svolgersi senza transazione
monetaria, il pensiero politico maggioritario è dominato da uno stretto
economicismo.
Diverse analisi sono state proposte,
più o meno coerenti, per trovare dei modi per superare questa crisi
democratica. La prima si concentra sull’evoluzione oligarchica delle nostre
classi dirigenti — l’aumento delle diseguaglianze e del modo in cui gli vengono
serviti gli interessi di un nuovo gruppo di super-ricchi.
La seconda descrive le nostre
società come postdemocratiche, e si concentra più sui processi istituzionali e
sul ruolo delle tecniche manageriali nella distruzione del tessuto sociale e
democratico.
La terza analisi mette l’accento sul
doppio ruolo della rivoluzione digitale, che da un lato rafforza la capacità di
vaste organizzazioni a organizzare la produzione secondo modalità che
indeboliscono le resistenze collettive e di controllare e sorvegliare le
società; dall’altro, consente a gruppi e individui di sviluppare nuove capacità
di pensiero critico, di coordinazione, di innovazione e di realizzazione di
alternative concrete.
Gli intellettuali che adottano il
terzo tipo di analisi sono più ottimisti sulla possibilità che la democrazia si
rigeneri, anche se ammettono che le sfide che la aspettano sono notevoli.
A creare una nuova relazione tra
cittadini e politici sono il militantismo e il sostegno della libertà della
rete e dei diritti nella sfera digitale; un uso più diffuso dell’azione
politica attraverso la rete nelle rivolte iraniane, siriane, spagnola e turca e
il movimento dei commons in Italia e più in generale in Europa. Tutti
elementi profondamente diversi dal movimento No global della fine del XX
secolo.
I nuovi movimenti hanno le radici
nell’espressione personale degli individui, ma non sono affatto individualisti
nel senso neoliberista del termine. Puntano a sviluppare comunità basate
sull’amicizia, sugli interessi condivisi, sulle buone pratiche e il vicinato, e
la loro produzione è sottoposta al regime dei commons.
Si caratterizzano per la
partecipazione degli individui a diverse comunità o attività più che per
un’affiliazione formale.
Ogni comunità dipende massicciamente
dalla rete e dai mezzi d’informazione digitali per la comunicazione e il
coordinamento, e per le attività stesse (sia che si tratti di software,
militanza online, cultura digitale o sistemi di scambio locali).
I nuovi movimenti sociali sembrano
molto più potenti e seducenti, con il loro obiettivo duplice di ottenre riforme
politiche radicali e di creare una vita quotidiana migliore
Le realizzazioni di questi movimenti
sono impressionanti, e vanno ben al di là dei limiti incontrati di solito da
gruppi di pressione come le ong monoobiettivo. I nuovi movimenti sociali
sembrano molto più potenti e seducenti, con il loro obiettivo duplice di
ottenre riforme politiche radicali e di creare una vita quotidiana migliore.
Non solo ottengono vittorie, come la bocciatura
del trattato ACTA da parte del parlamento europeo, o il risultato del referendum sulla gestione dell’acqua
in Italia; hanno anche creato nuove tecnologie come il software
libero o open design, e creano nuovi processi di partecipazione con nuovi
meccanismi come i prestiti a interesse zero tra individui e il crowdfunding.
Più in generale rigenerano la
produzione locale e lo scambio di beni, di servizi, di cultura e di conoscenza.
Ma devono anche affrontare ostacoli che risultano dal dilemma del loro
posizionamento rispetto a un potere politico ed economico centralizzato.
I vincoli economici e politici
incarnati nelle politiche attuali sono il primo ostacolo per movimenti che
tentano di cambiare l’orientamento dello sviluppo delle nostre società.
Malgrado l’incombere della crisi ecologica, e i costi sociali devastanti del
mantenimento dello statu quo, i cambiamenti richiesti da un nuovo sistema
sembrano fuori dalla loro portata della maggior parte delle persone.
Con il tempo questi ostacoli
potranno essere superati e sempre più gente uscita chi pim chi meno dal sistema
economico e sociale dominante trarrà beneficio da questi nuovi usi.
Questo scenario è tuttavia reso
molto improbabile dall’atteggiamento dei leader postdemocratici attuali.
Definiscono infatti ogni tentativo di riforma radicale proveniente dai nuovi
movimenti sociali, e le critiche che essi rivolgono alle loro politiche, come
una nuova forma di demagogia populista.
Piuttosto di creare nuove coalizioni
con questi moviementi, li stigmatizzano e creano per loro un quadro
regolamentare ancora più ostile.
Sembra quasi che preferiscono
affrontare la xenofobia populista nella speranza che convincerà la gente a
continuare a sostenerli piuttosto che aprire la porta a riforme radicali.
Questi vincoli esterni non devono
nascondere il fatto che un “reset” dal basso della società deve scontrarsi
anche con ostacoli interni, e in particolare con la difficoltà dei partecipanti
a essere d’accordo su una piattaforma di riforme di base. Usano o sviluppano
una serie di interessanti strumenti di deliberazione collettiva, dalle pratiche
basate sui segni degli Acampados o di Occupy Wall Street agli strumenti
di decisione online come Liquid feedback.
Comunque sia questi approcci si sono
dimostrati inefficaci quando si tratta di sviluppare nuove idee. In Spagna un
approcio misto è sembrato promettente. Il Movimento
15-M è stato reso possibile grazie al lavoro preliminare di
elaborazione di una piattaforma politica digitale. I suoi sviluppi successivi
comprendono un’interessante interazione tra intellettuali che propongono delle
politiche di riforme radicali.
Delle reti come Partido X fanno un uso esteso delle tecnologie
digitali per sviluppare le loro proposte e per sottoporle ai commenti di un
pubblico più ampio. La politica che ne è risultata ha alimentato il programma
di Podemos e di altri movimenti che hanno ottenuto un successo significativo
nelle elezioni
europee di maggio 2014.
Al momento è presto per giudicare.
L’applicazione testarda di politiche economiche immobiliste non ha sbocchi
diversi dallo sviluppo di regimi regressivi xenofobi e autoriari? Oppure un
numero sufficiente di umanisti e di leader progressisti capiscono che il loro
compito è di dare maggiore autonomia a coloro i quali hanno già cercato di
costruire un nuovo Futuro?
Traduzione di Luca Pauti