Al futuro non ci
pensano, il presente non li soddisfa e il passato lo ignorano. La politica è
‘ladrona’ e votano Grillo in segno di protesta, ma contro chi o cosa non
riescono a dirlo. Un viaggio nell'universo dei ventenni romani, tra piazze e
locali vissuti come conglomerati di un vuoto culturale
di Gaetano Massimo Macrì
“Nun saccio”, direbbe in
uno stentato italiano un omertoso mafioso. Ebbene anche i ventenni italiani,
nonostante la mole di notizie e di informazioni che gli gira intorno, sembrano
non sapere e non vedere. Non si accorgono di nulla. Il fatto è che la loro non
è omertà. Utilizzano il ‘non sapere’ perché davvero questo soltanto conoscono:
un fico secco. Ragazzi diversissimi dai loro genitori che, ‘ai tempi’, almeno
un quotidiano lo leggevano, una discussione la sapevano intavolare e
difficilmente avrebbero fornito un “non so” come risposta a molteplici
questioni. Sono numerosi gli studi che in questi anni hanno fotografato i
comportamenti giovanili, da cui emerge un immiserimento generale, che colpisce
le fondamenta delle loro scelte nella vita quotidiana.
Soltanto scorgendo alcuni dati Istat, si può apprendere che 300 mila giovani
(spesso ancora minorenni) soffrono di ‘drunkanoressia’, ovvero bevono
superalcolici a stomaco vuoto, in sostituzione delle calorie del cibo. È in
aumento anche la percentuale di ragazzi che bevono fuori pasto. Sempre da fonte
Istat emerge che la lettura non è in cima ai loro pensieri. Poco più della metà
del campione intervistato, tra i 20 e i 25 anni, ha letto almeno un libro
nell’ultimo periodo. Che dire poi dei giovani ‘neet’, ovvero coloro che non
lavorano e non studiano, che costituiscono il 22,7 per cento della popolazione
tra i 15 ed i 29 anni? Insomma, il quadro non è dei più rassicuranti. I
ragazzi, se avessero un briciolo di consapevolezza, dovrebbero rimboccarsi le
maniche, controbattere, provare a ribaltare la situazione. Invece è calma
piatta. Una flebile scossa sembrerebbe averla generata il movimento 5 stelle.
Il fenomeno Grillo ha sicuramente ‘pescato’ voti in questa fascia della
società. L’Istituto di ricerca Tecnè ha svolto un’indagine sul recente voto
delle politiche, da cui è emerso che il 47.2% tra i 18 e i 24 anni ha espresso
il voto in favore dell’ m5s. Sul blog del comico genovese si legge anche
chiaramente: “In Italia ci sono due blocchi sociali. Il primo, che chiameremo
blocco A, è fatto da milioni di giovani senza un futuro, con un lavoro precario
o disoccupati, spesso laureati, che sentono di vivere sotto una cappa, sotto un
cielo plumbeo come quello di Venere. Questi ragazzi cercano una via di uscita,
vogliono diventare loro stessi istituzioni, rovesciare il tavolo, costruire una
nuova Italia sulle macerie”. Può darsi che l’analisi abbia un fondo di verità.
Tuttavia alcune impressioni che abbiamo avuto interrogando i ragazzi ci
lasciano qualche dubbio. Si crogiolano troppo, tra bevute spesso ‘consistenti’
e quattro chiacchiere al bar o nelle piazze di ritrovo, luoghi un tempo simbolo
di aperte e accese discussioni, dove non infrequentemente hanno avuto origine
movimenti di pensiero o idee rivoluzionarie o dove semplicemente sono circolate
opinioni che hanno costituito una massa critica, quella che oggi è
assente, o, quando c’è, è troppo relegata ad ambienti estremisti, dunque appare
viziata in partenza.
È verosimile che una frattura generazionale si stia consumando sotto i nostri
occhi, con migliaia di giovani che ormai hanno rinunciato ai loro sogni e
vivono privi di punti di riferimento. Ogni certezza sembra crollata,
figuriamoci, in queste condizioni, se possono trovare uno spazio agevole altri
interessi culturali. La percezione del tempo perduto sembra un’ombra latente
che li segue mestamente ovunque, senza manifestarsi appieno. I sacrifici sono
percepiti come un inutile esercizio di stupidità. “Tanto c’è sempre qualcuno
che ti farà le scarpe. Vedi i politici come mangiano?” Figli di questa cultura
superficiale che non indaga, non si pone questioni né ricerca soluzioni ai
problemi, preferiscono non pensare, ma solo ‘gustare’ i frutti inesistenti di
una vita senza sforzi. Meglio ‘godersela’. Privilegiano una lettura sommaria su
internet in luogo di un quotidiano. Non scelgono. Perché in fondo non
saprebbero che scelta compiere, perché passa il messaggio “tanto sono
tutti uguali”. Meglio se c’è qualcuno a sceglie per loro. Uno come Grillo, per
esempio. Uno ‘intuitivo’, diretto, immediato. Uno che le votazioni “le fa
veloci, gratuite, sulla rete”. Uno che parla di democrazia diretta, come se
l’altra, quella indiretta, fosse antidemocratica.
Il mio viaggio nei luoghi frequentati dai giovani romani prende il via da queste
premesse, perché vogliamo provare a capire cosa pensano, di quali argomenti
discutono e come trascorrono il tempo questi ragazzi. Se sono veramente senza
speranza o se un barlume della stessa può essere intravisto. Una mini inchiesta
che, pur non assumendo la pretesa di una indagine scientifica, è stata compiuta
senza preconcetti, allo scopo di aprire una finestra su uno spaccato della
società che rappresenta il futuro del Paese.
Tutto ha inizio una sera, in un rione del centro amato dalla ‘movida’ capitolina.
Riesco a intavolare subito una conversazione con uno dei tanti gruppetti di
ragazzi dentro un noto locale di Trastevere. Qualcuno la sposta subito sul
politico, per cui chiedo: “Chi
vorresti come presidente della Repubblica?”. Il “Non so” impera. “Non avete curiosità o interesse sulla
vicenda? Il Presidente è una figura importante, lo sapete?”.
Qualcuno azzarda un discorso. Dice Andrea, 24 anni, commesso di un negozio di
tendaggi nella periferia est di Roma: “So
che devono eleggerlo. Ma non saprei darti un nome mio. Uno vale l’altro, alla
fine”. “Non è
vero, tanti ‘rùbbeno’ (a Roma si dice proprio così). Serve uno apposto, ecco.
Uno de noi”, puntualizza Mariarita, 19 anni, estetista al
tuscolano. Le sopracciglia disegnate fanno il paio con le unghie rifatte,
l’effetto è zebrato. Insisto: “Cosa
vuol dire uno di noi? Il Capo dello Stato non è un marziano. Anzi, rappresenta
tutti, garantisce ognuno di voi”. “Si, ma che vuol dire questo? Io non mi sento
rappresentato da uno che non conosco”. La protesta è di Antonio,
che ha ascoltato la conversazione da un tavolo vicino e ha deciso di
aggregarsi.
Chiacchierando, scopro che Antonio è un laureato in Scienze Politiche, viene da
Milano, è a Roma per un corso di cucina regalatogli dalla madre, divorziata, che
vive nella Capitale. Per un po’ Antonio sembra tenere banco con gli altri
ragazzi. Esce fuori che lui ha votato per Grillo. E sul movimento
‘pentastellato’ la confusione iniziale sembra placarsi.
Su questo punto sono tutti d’accordo. Anche se “a me non sta simpatico, però almeno è uno che sta
rompendo le scatole a quegli altri” (i soliti ‘ladri’, deduco).
Senza volerlo ho innescato una miccia, da cui si è generato un confronto che,
francamente, non mi aspettavo. Lascio il gruppetto a discutere animosamente e
mi sposto nella vicina piazza Trilussa. Non è gremita di gente, ma sugli
scalini della Fontana dell’Acqua Paola, siede un discreto numero di ragazzi.
Tento un approccio, sperando di incuriosirli: chiedo se sono al corrente che la
fontana alle loro spalle, un tempo era ubicata nella vicina via Giulia, ma
dall’altra parte del Tevere. Mi guardano sbigottiti. Romolo – il nome tradisce
le sue origini trasteverine – 19 anni tra una settimana, non aveva mai
sentito questa storia. Nemmeno dal nonno, che pure di fatti gliene raccontava
tanti. Dato che ho destato un po’ di curiosità continuo sulla stessa strada e
provo a illustrare la vicenda della fontana seicentesca, voluta da papa Paolo V
Borghese, smontata nell’ottocento per la costruzione degli argini del Tevere e
quindi ricollocata sulla riva opposta. La meraviglia cresce. A dimostrazione di
quanto ho raccontato, indico alcune iscrizioni aggiunte a ricordo della
ricostruzione. Speravo di essermi conquistato la loro attenzione, invece, dopo
una miscela di espressioni cui danno vita nel medesimo istante in cui ho
terminato la mia ‘lezione’, a bocca aperta, esterrefatti, divertiti, si alzano
per andare a prendere “un altro mojito”. Non riesco a collegare il nesso tra
l’attimo di attenzione regalatomi poco prima e la faciloneria con cui si stanno
per sbarazzare di me. Di fronte a questa incostanza, mi chiedo cosa facciano
nella vita, a cosa si interessino veramente questi ragazzi. Mi incammino
insieme a loro e la cosa no sembra infastidirli. Camminiamo e chiaccheriamo
fino al vicino locale, fino al prossimo drink. “È il secondo, del resto cosa vuoi fare qui?”
sottolinea Valeriano, 21 anni, manifestando un disagio che, come ci confermano
gli altri amici, è abbastanza comune. “Veniamo
qui, di solito, quasi tutte le sere, beviamo uno, due cocktails, anche di più
nel fine settimana. Passiamo il tempo”. La domanda mi sorge spontanea: “Si, va
bene, ma non lo trovate noioso?”, “Si, ma sarebbe più noioso stare a casa”.
Provo a stuzzicare qualche intelligenza: “Vivete
nella Capitale. Ci sono decine di eventi culturali. Musei da visitare, mostre…”.
Questa volta le espressioni facciali tradiscono disinteresse. “Si, è vero, ma alla fine con chi ci
vado? Nessuno mi seguirebbe a una mostra”. Chiara, 22 anni, mentre
si regala l’ennesimo sorso, racconta di esserci stata, una volta, a un museo. “Quello etrusco, di Villa Giulia.
Bello, molto interessante”. E poi? E poi nulla. Curiosità di
vederne altri? “Boh, non
saprei. Vedremo, penso di si”. Non capisco e ribatto: “Prima, durante il racconto della
fontana, avete dimostrato interesse. Vuol dire che qualcosa potreste voler
scoprire di questa città, no?”. Luciano sorride, declamandoci
quello che, lentamente, sembrerà sempre di più l’unico credo di questa
gioventù: “Si, va beh, che
c’entra. Tu hai raccontato bene. A parte che era interessante, ma tu l’hai
posta proprio bene. Ci hai ‘rapiti’ per un istante. Ma appunto, un istante. Di
passaggio. Così non ti scoccia. Anzi, sarebbe bello se fosse sempre così, sai
quanto imparerebbe la gente?”. “Sembravi Grillo!”.
Ne approfitto immediatamente per domandare al gruppo: “Vi piace Grillo?”. A
questa domanda le risposte variano da un “Sì,
molto. Credo in tutto quello che dice. Ce ne vorrebbero altri come lui”,
a un “Sì, abbastanza, anche
se non l’ho votato, mi piacciono le idee che porta avanti e soprattutto come le
esprime”. Cerco di saperne di più:“Cosa intendi? Come si esprime Grillo, cos’ha di diverso
dagli altri?”. “È un innovatore. Vedi come fa votare la gente su internet.
Senza sprechi di soldi e di tempo”.
Decido di incalzarli:“Voi
preferireste un sistema di voto elettronico sempre e comunque?”
L’insieme di risposte è sconcertante. Perché da una parte non hanno alcun
dubbio: “Grillo non è
difficile da capire. Dice cose quasi banali, per quanto sono semplici”.
Ma dall’altra emerge chiaramente che la democrazia diretta di cui il comico
parla spesso è interpretata da molti di questi ragazzi come la sola unica vera
forma di democrazia. I partiti politici sono invece visti come quelli che hanno
affossato quel sistema ‘ateniese’, diretto, che per ovvi motivi di numero,
funzionava bene ‘direttamente’, senza il necessario ricorso alla
rappresentanza. Un concetto che cerco di far passare attraverso il racconto di
un pezzetto di storia antica (lezione che questi ragazzi dicono di non aver mai
ricevuto a scuola, fingono di non ricordarlo o accusano di non aver avuto buoni
maestri). Ma in ogni caso la replica è secca: “C’è poco da riflettere e ricordare quello che
studiamo a scuola. Grillo ha ragione”. E la conversazione
diventa fastidiosa: “Perché
non parlate tra di voi di queste cose come state facendo ora?”, “Perché quando
usciamo vogliamo solo svagarci”.
Non capisco e chiedo: “Svagarvi
da cosa? Avete stress così grandi?”
“Anche il non fare nulla, il
non pensare molto, stressa”, dice qualcuno, col sorriso. Ma la
verità viene subito dopo:“La
polita è complicata”, “Il movimento 5 stelle è diverso. Fatto di gente come
noi. Quello lo capiamo meglio”. Provo a farli dubitare: “Avete mai pensato che anche Grillo vi
stia sfruttando? Che le sue idee siano messe là apposta per pescare consensi?
In altre parole: riflettete con la vostra testa?”.
Rispondono in coro: “Certo”,
“Si”, “Ovvio che pensiamo da soli”. E allora ripeto: “Quindi perché siete d’accordo con
Grillo?” Ma le risposte tornano vaghe e allora
approfondisco: “Per il
sistema? La corruzione? Vi prego, mi fate un esempio?” Silenzio.
No, ecco che ci provano: “Fiorito”. Provo
per un’altra strada:
“Conoscete Stefano Rodotà? Se seguite Grillo, dovreste sapere di chi sto
parlando?” La risposta è sconcertante: “Ma noi non seguiamo Grillo. Non lo
seguiamo, ma ci piace per quello che dice e che fa”. Decido di
spostarmi nella vicina Campo de’ Fiori dove, sotto la statua di Giordano Bruno,
un folto ‘melting pot’ di italiani e americani si stringe al suono di ‘cin’ con
bottiglie di birra. Anche qui molti i ragazzi che intervistati dichiarano di
non essere interessati molto alla politica e ai problemi che li dovrebbero
riguardare. Chi non lavora stabilmente, chi studia e si arrangia come
cameriere, chi lavora ma non è soddisfatto, tutti sembrano andare avanti per
inerzia, ignorando la realtà che li circonda. Alla parola ‘Grillo’ si
entusiasmano. “Sì, sì lo
abbiamo votato”, “A me piaceva di più come comico, però alla fine l’ho votato,
non è che ci fossero altre scelte”.
Controribatto: “Ma
parlate tra di voi, vi confrontate con queste scelte? Per esempio, perché
venite qui? Sapete che un tempo nelle piazze si discuteva, anche animatamente?
Le idee circolavano in questo modo”. La risposta è glaciale: “Ormai lo facciamo su internet. È più
veloce, più facile”. Come le ‘Quirinarie’, penso. Forse Grillo ha
davvero azzeccato i tempi delle sue battute, coinvolgendo con 'la pancia' il
pubblico. Questi ragazzi non hanno voglia di politica. Anche se la ritengono
interessante, importante e necessaria, la vedono con occhi troppo sfiduciati.
Preferiscono qualcuno che abbia pronte delle idee veloci da mettere sul piatto.
Uno come Grillo, appunto.
Eccola qui la generazione ‘fast-food’, che preferisce soluzioni veloci già
belle e pronte, piuttosto che ragionamenti troppo elaborati. Più che delle
idee, questi giovani si accontentano di slogan. È meno faticoso. Loro
preferiscono svagarsi, per stemperare il troppo stress (da cosa non si capisce).
Contano su qualcuno che pensi per loro. La coscienza critica è rimasta
là, sui banchi di scuola, forse tra le pagine della storia di Atene, mai
spiegata o mai capita. Tanto se glielo chiedi la risposta è sempre la stessa: “Non so”.