Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


venerdì 31 gennaio 2014

ITALIA - L’intesa BR contro la democrazia


Il telefono squilla e mi risponde lui con la sua inconfondibile voce. Rino Formica è sempre un fiume in piena. E risponde senza domande. Con ragionamenti, ricordi, previsioni sempre ludici, avvolgenti. Conditi con pepe e aceto. Con graffi come quelli d’un gatto che ti punta.

“Lasciate perdere il 4,5 o 4,7 per cento”, sostiene deciso. Mi viene in mente De Gregori: “Non è mica da questi particolari che si giudica” … un socialista. “Ci sarebbe una grande battaglia di democrazia. Questo è il punto di fondo. La questione è semplice. La ponemmo noi socialisti nel 1993 con una proposta di legge che riteneva l’introduzione del maggioritario incompatibile con l’architettura della nostra Costituzione. Il nostro equilibrio dei poteri è regolato dal proporzionale. Se introduciamo il maggioritario dobbiamo intervenire sul quorum per l’elezione dei giudici della Corte e del Csm, sui quorum per l’elezione del presidente della Repubblica, anche sulla soglia necessaria per l’approvazione dei regolamenti delle Camere e sullo stesso articolo 138 per le modifiche costituzionali.
Noi prevedevamo allora il referendum confermativo anche in presenza dei due terzi alla Camera e al Senato. La legge venne approvata dalla Camera poi saltò il banco e ci furono le elezioni. Teniamo presente che già nell’inverno del 1947 Antonio Giolitti, allora comunista, propose l’introduzione in Costituzione della legge elettorale proporzionale, essendo essa stessa il perno su cui la Costituzione era stata costruita. E ricordo anche che nel 1995 tutti i gruppi presentarono una legge per modificare la Costituzione. Gli ex democristiani e gli ex comunisti fecero un progetto più organico per modificare le quattro questioni prima richiamate. Ma oggi siamo al paradosso. Non si propone solo il maggioritario, ma un sistema che permette di vincere con la minoranza, cioè col 37 per cento. E di andare al ballottaggio anche se prendi meno. E per di più con la logica delle coalizioni i grandi partiti anche se prendono poco più del venti per cento assorbiranno i voto dei minori che non raggiungono il quattro e mezzo e col venti rischiano di salire al 53. Pazzie. Roba da accordo BR, Berlusconi-Renzi. Sì, il compromesso Bierre. Con doppia fucilazione. Dei partiti minori e delle opposizioni dei grandi partiti, con i listini bloccati. In Italia c’è il tripolarismo, non il bipolarismo. E allora ecco che Renzi e Berlusconi introducono per legge il bipolarismo. In realtà c’è un quarto polo, il più consistente, quello delle astensioni. Che viene oggi sondato al 32 per cento”.
Cerco di inserirmi a fatica. Passo al Formica profeta. Alla zingara Formica che legge il futuro. Osservo che parte del Pd potrebbe approvare l’introduzione delle preferenze, assieme a grillini, Sel e altri e gli chiedo se a quel punto Berlusconi potrebbe far saltare il banco. Mi risponde che a suo giudizio Berlusconi il banco lo farà saltare sul Senato.

“Aspetterà le europee, e se gli andranno bene, magari con la legge elettorale ancora aperta, chiederà le elezioni in autunno con il proporzionale”.
E Renzi? Gli chiedo una sua previsione. E lui mi allunga un altro graffio: “Renzi è un condannato a vincere. Se perde una sola mano viene lapidato. Può cadere sulla legge elettorale. Magari su un emendamento che riguarda il Senato. Che senso ha fare un legge elettorale per un’Istituzione che si vuole sopprimere? Poi perché eliminare la sua eleggibilità? Occorrerebbe invece un Senato delle garanzie e delle tutele democratiche, un consesso dove si eleggono i giudici costituzionali e del Csm, si vigila e i promuovono i trattati”.
E siamo alla crisi della democrazia come l’abbiamo vissuta in Italia. Siamo alla web democrazia. Siamo alla fine dei partiti. Al massacro dei piccoli e delle opposizioni nei partiti. Alla massima centralizzazione e personalizzazione della politica. All’estetica e alla oligarchia della politica. E Formìca mi lascia un ultimo graffio.

“Quei 120 collegi saranno un nuovo ente decisivo. Non più comunale, provinciale, regionale. I parlamentari dei centoventi collegi si riferiranno al loro collegio, non saranno più parlamentari dello Stato che è ormai in frantumi”.

Mauro Del Bue

mercoledì 29 gennaio 2014

Italia - Legge elettorale: quando la fretta è cattiva consigliera


Diciamo la verità. L’ipotesi di legge elettorale scaturita dall’intesa tra Renzi e Berlusconi è pessima e non serve a nobilitarla il fatto che, finora e colpevolmente, le forze politiche hanno fatto melina. Su una materia così delicata, Renzi avrebbe fatto meglio a  controllare la sua impazienza  applicandosi, con tutta l’ energia di cui dispone, ad un più approfondito studio  della materia proprio per evitare che l’accordo frettolosamente raggiunto sia esposto alle insidie e alle trappole dell’iter parlamentare.  Così non è stato e adesso ci troviamo di fronte ad un Italicum” che  non corrisponde affatto, su due aspetti decisivi, a quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n.1/2014.

Il primo aspetto riguarda  il corretto esercizio della sovranità popolare  che presuppone la possibilità del cittadino elettore di poter scegliere, direttamente e non indirettamente, i propri rappresentati in Parlamento. Le liste bloccate, anche se corte,  non superano il  parametro di costituzionalità in quanto, come  rilevato dalla Corte a proposito del porcellum con parole che valgono anche per  l’Italicum “Dette norme, non consentendo all’elettore di esprimere alcuna preferenza per i candidati, ma solo di scegliere una lista di partito , cui è rimessa la designazione di tutti i candidati, renderebbero, infatti, il voto sostanzialmente “indiretto”, posto che i partiti non potrebbero sostituirsi al corpo elettorale […]sottraendo all’elettore la facoltà di scegliere l’eletto”.

Né è dato inferire date le argomentazioni meramente esplicative della Corte sul punto alcun avallo a tale soluzione come, con troppa superficialità, si è cercato di far credere.  Dice, infatti, la Corte: “In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono ai cittadini, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto ( al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)”.

Pertanto la Corte si limita ad evidenziare un’astratta compatibilità con il principio di personalità e libertà di voto da un lato di quei sistemi elettorali che prevedono liste bloccate che consentano di eleggere in tal guisa  solo una parte dei seggi ma non tutti – come accadrebbe invece con l’Italicum! – proprio perché consentono la libera scelta degli elettori sui restanti seggi; dall’altro dei collegi uninominali i quali, per definizione, consentono la piena conoscibilità dei rispettivi candidati unici delle diverse forze politiche.

Così come non conforme ai parametri proporzionalità e ragionevolezza è la soglia minima del 35% dei voti conseguiti dalla coalizione per far scattare un premio di maggioranza del 18% proprio perché esso trasforma una maggioranza “molto” relativa in una maggioranza assoluta dei seggi con conseguente “grave alterazione della rappresentanza democratica [in quanto] producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica [..] prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto” per dirla ancora con le parole usate dai giudici della Consulta.

Parole chiare che depongono nel senso di prevedere una soglia molto più elevata proprio per ridurre tale divaricazione e che dovrebbe oscillare quantomeno tra il 45 ed il 48% . Tale soglia darebbe il “giusto peso” al premio di maggioranza inteso come un quid pluris  inteso a stabilizzare il partito o la coalizione di partiti usciti vittoriosi dalle elezioni senza alterare significativamente la corrispondenza tra voti espressi ed eletti  anche allo scopo di incentivare la partecipazione dei cittadini alle urne.

E’ auspicabile che il Parlamento valuti “funditus”, con “serenità” e responsabilità, la proposta presentata ieri alla Commissione Affari Costituzionali della Camera apportandone gli indispensabili correttivi se si vuole evitare di esporre la nuova legge elettorale ai patenti rischi di incostituzionalità da cui è, allo stato, palesemente affetta.

Andrea Pinto pubblicato su Avantionline 25/01/14

martedì 28 gennaio 2014

ITALIA - Nuova legge elettorale ??' Quale ... ?


Una settimana di discussioni sulla proposta di nuova legge elettorale targata condannato-renzi piena più di gossip, pettegolezze e questioni di forma che effettivamente di sostanza.

Non ho sentito nessuno entrare nel merito di questa proposta, preferenze a parte, e sostenere quello che in realtà è: una nuova fregatura per il paese e per la democrazia che tende solo a mantenere in sella due partiti che ormai sono uno solo.

Per tutta la settimana si è discusso sulla scelta di far entrare il condannato nella sede del Pd, sull'accordo fatto prima con l'opposizione senza prima consultare chi appoggia il governo, sulla superbia di Renzi che sbandiera i voti delle primarie (che poi non si sa nemmeno da chi sono arrivati quei voti considerato che a chiunque si recasse al seggio veniva consentito di votare).

A coloro che hanno considerato un atto da irresponsabili e vergognoso quello di offrire al pregiudicato di arcore la sponda per tornare in sella, hanno risposto i possibilisti che non hanno visto niente di strano in questo accordo considerato che il Pd ha governato per insieme al condannato stesso.

Ma se un partito commette un errore una volta chi ne prende le redini è autorizzato a commetterli sempre in virtù di quel primo errore ?

Comunque oltre queste discussioni folkloristiche non si è andati nonostante la così detta nuova legge elettorale non si altro che una copia modificata, ma molto poco, della precedente. Intanto rimane un premio di maggioranza assurdo che, mentre prima consentiva a chi otteneva anche un voto in più degli avversari di avere la maggioranza assoluta alla Camera, ora il vincitore deve raggiungere almeno il 35% per avere poi un premio di oltre il 15%. Sei al 35% ed io ti porto oltre al 50%, un premio che potrebbe ancora una volta cadere fra gli strali della corte costituzionale.

Per mesi si è invocata, anche e soprattutto da parte di Renzi, la legge dei sindaci e poi si fa tutt'altro, altra cosa sarebbe stata andare al ballottaggio qualunque formazione non avesse raggiunto il 50% in questo modo sarebbero stati i cittadini a decidere sempre e comunque e non solo nel caso che nessuno raggiunga il 35%.

Le liste bloccate sono state una delle principali cause dell'allontamento dei cittadini dalla politica. L'elettore non ha più il potere di decidere lui stesso chi inviare in parlamento ed i parlamentari devono rispondere solo ed esclusivamente al loro segretario o al partito con il risultato di ritrovarsi un parlamento di corrotti, di incompetenti scelti solo sulla base di favori o di simpatie.

La legge proposta mantiene questo obbrobrio con una picccola modifica di forma ma non di sostanza, il ritorno alle preferenze sarebbe stata la vera novità e il vero ritorno alla democrazia, ma il codannato non vuole le preferenze ed allora il paese deve sottostare ai voleri di un pregiudicato.

Altro scandalo il blocco per i partiti minori alzato all'8%, che significa togliere la raprpesentanza ad almeno un terzo del paese ed eliminare quelle formazioni che tentanto di occupare quegli spazi lasciati liberi dai grandi partiti che ormai per i loro giochi di potere tralasciano molti problemi per loro secondari ma che sono sostanziali per gran parte dei cittadini.

In sostanza quindi avremo una legge elettorale che non riporterà quella democrazia tolta dal porcellum di calderoli e soprattutto imporrà un bipolarismo che il paese non vuole.

Questa è la sostanza.

Antipolitico

USA - Obama sfida il Congresso su lavoro, diritti ed economia


Salario minimo. Immigrazione. Debito pubblico. Siria. Ecco i temi del discorso sullo stato dell'Unione. Ma niente Datagate.

Martedì, 28 Gennaio 2014 - Rilanciare la leadership del presidente scavalcando, se necessario, anche il Congresso degli Stati Uniti.
Con il suo quinto discorso sullo Stato dell'Unione, atteso per le 21 di martedì 28 gennaio a Washington (le 3 di mercoledì 29 gennaio in Italia), Barack Obama è pronto a denunciare l'immobilismo di Capitol Hill. E per farlo intende avvalersi del potere di emanare ordini esecutivi. Il primo potrebbe arrivare subito e sancire l'aunento della paga minima per i lavoratori federali (il discorso si può seguire in diretta sul canale YouTube della Casa Bianca e su Twitter attraverso l'hastag #Sotu).
2014 ANNO DELL'AZIONE. In un'intervista rilasciata alla Abc, il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha infatti spiegato che «nel 2013 abbiamo visto come la politica di Washington sia stata incapace di rispettare le promesse fatte al popolo americano. Il presidente considera questo anno come quello dell'azione, per cui lavorerà con il Congresso quando sarà possibile o lo bypasserà quando sarà necessario».
Un 2014 che lasci il segno insomma, in netta contrapposizione con lo stallo che ha caratterizzato il 2013.
IN CALO NEI SONDAGGI. Il discorso di Obama arriva in uno dei momenti più difficili da quando il presidente ha messo piede per la prima volta alla Casa Bianca. Si tratta dell'ultima occasione per lasciare il segno prima che i riflettori si concentrino sul voto di metà mandato del 4 novembre. Allora l'attenzione è destinata a essere tutta per i futuri candidati alla presidenza.
Prima però Obama deve risollevare i sondaggi che vedono il suo consenso poco sopra il 40%, decisamente in calo rispetto al 55% del 2013. Ecco perché, secondo le ultime indiscrezione, avrebbe deciso di puntare il suo discorso su giovani, donne e operai, parlando di crescita economica, creazione di nuovi posti di lavoro e lotta alle disuguaglianze.
Ecco i cinque argomenti che si prevede Obama affronti e su cui scommette la stampa Usa.

1. Aumento del salario minimo per 2 milioni di persone


L'8 gennaio, Obama ha ribadito che è «tutt’altro che finito il lavoro per mettere fine alla povertà negli Stati Uniti». Per questo in molti scommettono che il tema è tra quelli più scottanti in agenda per il discorso sull'Unione.
Gli ultimi dati sulla disoccupazione hanno visto un calo del 6,7%, ma il numero di persone che hanno trovato lavoro a dicembre è salito meno di quanto ci si aspettasse: solo 74 mila unità.
La svolta in Usa potrebbe arrivare da un ordine esecutivo che aumenti il salario minimo per i dipendenti federali. Obama ha già chiesto al Congresso di innalzare la paga da 7,25 dollari all'ora a 9. E secondo un'indiscrezione del Washington Post questa volta avrebbe deciso di utilizzare l'arma del decreto per portarlo a 10,10 dollari. Si tratterebbe del primo aumento dal 2009 per 2 milioni di persone.
UGUAGLIANZA IN BUSTA PAGA. I sondaggi sono tutti favorevoli a Obama. Secondo la Cbs tre quarti degli americani sostengono l'aumento dei salari.
Ma secondo alcuni, prima di agire da solo, il presidente starebbe lavorando per convincere il Congresso ad approvare una legge che punti allo stesso risultato anche per i contratti in corso e che indicizzi il salario orario all'inflazione: ne trarrebbero beneficio almeno 28 milioni di lavoratori e non solo i dipendenti federali.
Inoltre il presidente avrebbe intenzione di parlare al Congresso anche di questioni legate al mondo femminile, tra cui la paycheck fairness cioè l'uguaglianza in busta paga.

2. Avanti con la riforma della legge sull'immigrazione


Dopo l'ok del Senato, il testo sulla riforma dell'immigrazione giace alla Camera bassa, dove la maggioranza è in mano ai Repubblicani, in attesa dell'approvazione.
Secondo le ultime indiscrezioni di stampa, Obama ha intenzione di illustrare i vantaggi economici che una simile svolta porterebbe agli Usa. Inoltre il presidente può contare sul supporto del 63% degli americani che si sono detti favorevoli a nuove norme che permettano agli irregolari, a determinate condizioni, di ottenere nel tempo la cittadinanza.
Obama dunque punta a un accordo bipartisan e di «buonsenso» con il Congresso che riguarda 11 milioni di immigrati irregolari presenti negli Stati Uniti.

3. Nessuna concessione sul tetto del debito degli Usa


L'ultimo braccio di ferro tra la Casa Bianca e il Congresso ha bloccato per 17 giorni le attività di governo, ma lo spettro del default potrebbe ripresentarsi il 7 febbraio quando si deve ridiscutere il tetto del debito Usa.
Obama ha già ribadito, in tono di sfida, che «sulla possibilità per gli americani di onorare i debiti non siamo disposti a negoziare» nemmeno dopo l'allarme lanciato dal Tesoro Usa.
«Il tetto del debito non può essere strumentalizzato politicamente. È solo una questione che va risolta e mi aspetto che il Congresso faccia il suo lavoro», ha spiegato il presidente chiudendo a qualsiasi discussione.
Possibile quindi che nel discorso sullo stato dell'Unione l'inquilino della Casa Bianca voglia spronare Capitol Hill a fare la sua parte.

4. Siria, il presidente resta ai margini della pace tra Assad e i ribelli


Marginali per gli Stati Uniti, ma fondamentali per la comunità internazionale, sono invece le decisioni che Obama deve prendere nei prossimi mesi in materia di politica estera. Le sue mosse potrebbero essere uno degli argomenti da trattare nel discorso dell'Unione viste le numerose questioni ancora sul tavolo nel 2014.
Febbraio si apre infatti con il rifiuto di presenziare all'Olimpiade invernale di Sochi, in Russia, con il rischio di far nascere una nuova Guerra fredda tra le due superpotenze.
Nel frattempo c'è da fare i conti con il fallimento dei colloqui di pace in Siria. L'accordo per smantellare le armi chimiche del regime di Assad è stato una vittoria, ma l'incapacità di guidare un gruppo unitario per porre fine al conflitto sta offuscando l'immagine di Obama all'estero.
NO AL NUCLEARE IRANIANO. Una situazione di stallo simile si registra anche sul negoziato tra Israele e Palestina portati avanti dal segretario di Stato americano John Kerry per tutto il 2013 con ben 10 missioni diplomatiche.
Infine c'è sul tavolo l'accordo sul nucleare iraniano, portato a casa con successo da Obama, che però non basta per parlare di disgelo tra Washington e Teheran. Nonostante abbia detto di preferire l'opzione diplomatica, il presidente Usa ha ribadito: «Il mio scopo è impedire che l'Iran ottenga l'atomica. Tutte le opzioni restano sul tavolo».

5. Silenzio su Datagate e Obamacare per mettere a tacere gli scandali 


E lo scandalo Datagate? Per i meglio informati, nel discorso sull'Unione di Obama non dovrebbe esserci spazio per qualsiasi riferimento allo scandalo della National security agency (Nsa) e alla talpa Edward Snowden.
Il giro di vite annunciato sullo spionaggio a metà gennaio dal presidente Usa dovrebbe bastare a sedare le critiche in materia di sicurezza degli ultimi mesi.
Stessa sorte è stata riservata al discusso programma sanitario di Obama che lui stesso aveva descritto come «il peggiore errore del 2013».
I problemi al sito dell’Obamacare, la riforma pensata per permettere agli americani di trovare un'assicurazione sanitaria conveniente, sono stati solo l'ultimo motivo di frustrazione per il presidente Usa. Ma lui ha più volte ribadito che «la struttura di base della legge funziona e milioni di americani ne trarranno beneficio».
Solo nelle prime tre settimane di dicembre più di 500 mila di americani si sono iscritti tramite Healthcare.gov.

Gioia Reffo

giovedì 16 gennaio 2014

ITALIA – Antonio Mastrapasqua: l’uomo da 100.000 euro mensili di denaro pubblico.

Se esistesse un Don Abbondio dei nostri tempi, alla domanda: "Chi è Antonio Mastrapasqua?", non potrebbe rispondere come a proposito di Carneade. Potrebbe, incrociando le braccia dietro la schiena, rispondere soltanto cosi': "beato lui".

Antonio Mastrapasqua e' infatti, fino a prova contraria, un recordsman, un imbattibile. Non per il reddito che, diciamocelo francamente, non e' nemmeno paragonabile a quello della ministra guardasigilli Paola Severino, che vanta circa 7 milioni all'anno. Ottenuti spellando vivi i suoi clienti di cause legali variopinte. I quali, potendo pagare quel po po' di parcelle, devono essere, a loro volta, degli spellatori dei rispettivi clienti.

Il povero Antonio Mastrapasqua guadagna soltanto 1,2 milioni di euro all'anno, circa 4,4 miliardi di vecchie lire. Ma la differenza sta nel fatto che gran parte dei suoi redditi il nostro ex Carneade la spilla dal denaro pubblico, o semipubblico. Anzi la spilla utilizzando i denari del pubblico, in prima battuta: in qualita' di Presidente dell'Inps.

Benemerita e perfettamente legale attivita', per la quale e' stato nominato dal governo. Da quale governo non importa, essendo stati, in questi decenni, tutti uguali. Se non fosse che l'elenco delle sue presidenze, vice-presidenze, include anche Equitalia, la nota impresa cacciatrice di evasioni, anch'essa di fatto pubblica, poi Equitalia Nord, Equitalia Centro, Equitalia Sud.

E fanno cinque. Invito i lettori a immaginare quante poltrone possono essere distribuite stando in posti come quelli, quante prebende se ne possono ricavare, quante alleanze si possono inventare e gestire. Sarebbe interessante, ma non abbiamo tempo di farlo noi, andare a vedere quali gettoni e quanti ricava dalle riunioni dei rispettivi consigli di amministrazione.

Ma ancora piu' interessante sarebbe fare i conti del tempo che impiega nel partecipare agli stessi. Non sono noccioline, sicuramente. La cosa piu' inverosimile e' il tempo. Quante ore ha il giorno di Antonio Mastrapasqua? Dobbiamo chiedercelo, perche', altrimenti, dovremmo giungere alla conclusione che Mastrapasqua e' un banale truffatore, che prende stipendi a tradimento. E noi questo non osiamo neppure pensarlo.

Ma continuare nell'elenco offre amene sorprese. Perche' Antonio Mastropasqua e' anche dirigente di Italia Previdente, di Eur Spa, di Eur Tel, di Eur Congressi Roma, di Coni servizi Spa, di Autostrade per l'Italia, di Fandango, di Telecom Italia Media. E fanno tredici. Allora uno si pone questioni che sconfinano dalla finanza alla filosofia. Ma quali sono le caratteristiche morfologiche del signor Mastrapasqua? Qual e' la sua intima natura? Altro che Carneade! Qui ci vuole uno studioso di antropologia. Siamo di fronte a un personaggio epico, leonardesco, poliedrico, fantastico.

A vederlo non sembra un superuomo, anche se si sa che frequenta associazioni di canottieri sulle rive del Tevere, avendo come vicino di armadietto Paolo Garimberti in persona. Con queste capacita', infatti, dev'essere in grado di condurre, da solo, un "otto con timoniere", poiche' deve avere, sotto la giacchetta, non due ma sedici braccia, capaci di firmare simultaneamente assegni bancari, documenti riservati, relazioni di attivita', dare ceffoni ai figli, se ne ha, sorreggere la moglie (che, a sua volta, controlla i conti della Rai, cioe' porta a casa un altro sontuoso stipendio e ulteriori gettoni di qualche altro consiglio di amministrazione di ente benefico).

Ma voi non penserete che sia finita qui, spero. L'elenco dell'infaticabile moltiplicazione dei pani e dei pesci di questo divo del lavoro non si ferma a tredici. Lui e' anche nel consiglio di amministrazione di Quadrifoglio, di Telenergia, di Loquendo, di Aquadrome. E fanno diciassette.

Avete presenti i dendriti? Sarebbero quelle strutture ramificate dei cristalli, che riproducono processi di infinita moltiplicazione, si manifestano sullo schermo di un computer, dando l'impressione di precipitare nell'infinitamente piccolo. Ecco, Antonio Mastrapasqua e' probabilmente un dendrite umano, anzi disumano. Una specie di virus capace di insinuarsi in ogni piega della pubblica amministrazione e dei suoi derivati parassitari, succhiando da ogni cellula qualche cosa.

Esistono virus di questo tipo, che si raddoppiano ogni venti minuti e che possono addirittura evolversi, raddoppiando. Ma temo che nemmeno questa escursione matematica sia adeguata alla fantasmagorica capacita' di Mastrapasqua. Il quale e' anche nel consiglio di amministrazione, o forse revisore dei conti, o magari presidente onorario (sempre a gettoni, s'intende, come immagino probabile) di Mediterranean Nautilus Italy, di ADR Engineering, di Consel, di Groma, di EMSA Servizi, di Telecontact Center, di Idea Fimit SGR. E fanno ventiquattro (24).

Da questo approdo, nel quale ci si puo' gettare in mare, sconsolati, si potrebbe anche tentare di salpare verso altri lidi. Ma da quale abisso d'indecenza proviene questo quadro? Non parlo del dendrite Mastrapasqua. Egli altro non e' che il ritratto dell'individuo infelice e avido, afferrato dalla coazione al denaro e al potere. Pensate alla tristezza sconfinata di uno che ha a che fare con tutta quella gente; che deve vivere in mezzo agli squali; che non ha neanche un minuto di tempo per fare un sudoku in bagno; che morira' straricco senza poter confessare a nessuno di avere vissuto.

Penso a chi ha permesso tutto questo. A chi ha messo al vertice dell'Inps, cioe' a tutela del lavoro di milioni e milioni di italiani, un manichino di questa fatta. Mastrapasqua e' il ritratto fedele di una classe dirigente. Da questa gente non potremo ricavare nulla di buono per noi.

Questi non sono riformabili, non sono emendabili, non sono nemmeno scusabili. Sono soltanto pericolosi. Vanno cacciati via. A forconate, se non c'e' altro modo.

Giulietto Chiesa per "la Voce delle voci"

sabato 11 gennaio 2014

USA - La maggioranza degli americani favorevoli all'uso legale della marijuana



Svolta sulla marijuana nell'opinione pubblica Usa. Per la prima volta la maggioranza degli americani (il 55%) si dice favorevole alla sua legalizzazione, come emerge da un sondaggio di Cnn e Orc International. Il 44% degli intervistati continua invece ad essere contraria.
Il sondaggio e' stato diffuso mentre in tutto il Paese divampa la polemica sull'apertura dei cosiddetti 'coffee shop' in Colorado. E mostra come il cambiamento dell'opinione pubblica americana nel corso degli ultimi decenni e' stao impressionante: nel 1987 a volere la marijuana libera era solo il 16% dei cittadini, salito al 26% nel 1996, al 34% nel 2002 e al 43% due anni fa. Lo Stato di New York si appresta a diventare il 21esimo a legalizzare l'uso della marijuana per scopi medici, una settimana dopo che il Colorado ha deciso di consentirne l'uso anche a scopo ricreativo. Secondo la stampa Usa il governatore,il democratico Andrew Cuomo, finora contrario ad allentare i freni sulla droga, ci avrebbe ripensato ed in settimana emettera' un suo decreto per cambiare regime. Negli Usa cresce la convinzione che la marijuana non rappresenti un pericolo a differenza degli stupefacenti piu' forti: ad ottobre il 58% degli americani in un sondaggio Gallup si era espresso a favore della sua legalizzazione.

Dal primo gennaio, in Colorado èin vigore la norma che legalizza la vendita della cannabis fino a 28 grammi per coloro che hanno compiuto 21 anni e ne consente la coltivazione in casa fino a sei piantine (non piu' di 12 a famiglia). Il Colorado, che ha varato la norma in seguito al referendum tenuto nel novembre scorso, sara' seguito tra qualche mese sulla stessa strada dallo Stato di Washington. Le autorita' di Denver hanno gia' rilasciato 248 licenze per la vendita della cannabis, che nelle casse dello Stato portera', si stima, 67 milioni di dollari.

Il consumo di marijuana e' legale in 19 Stati americani ma solo per uso medico da circa venti anni. Ma solo Colorado e Washington hanno in mente la messa in piedi di un mercato per un consumo diverso, con fini ricreativi, ma regolato e controllato lungo tutta la filiera che va dalla produzione, alla distribuzione e alla vendita. Lo Stato di Washington vedra' l'apertura di circa 300 negozi a giugno. In entrambi gli Stati il giro d'affari previsto per il 2014 e' di 2,34 miliardi
di dollari.

ITALIA - La vergogna dell'Italia ? Non la giustizia ma la politica


L'ultimo episodio della fiction "Giustizia contro politica" è andata in onda oggi.

C'è voluto una sentenza del Tar piemontese per stabilire che le elezioni del 2010 sono nulle per una raccolta di firme false della lista Pensionati per Cota. Da vent'anni ormai la politica è allo sbaraglio e incapace di governare il paese lasciando praterie aperte agli interventi della giustizia, interventi che sono richiesti da cittadini e che alla fine portano a sentenze che tentano di porre rimedio a questi vuoti. Il caso del Piemonte è l'ultimo di una serie di casi provocati o da un vuoto legislativo o da leggi in pieno contrasto con la costituzione.

Clamoroso il caso della legge elettorale con la quale si sono svolte, in modo anticostituzionale, ben tre tornate elettorali con conseguente illegittimità dei parlamenti che ne sono scaturiti, compreso quello attuale. 

E che dire del caso "stamina" che riguarda una presunta terapia fondata sulle cellule staminali e  per la quale è ancora una volta dovuta intervenire la magistratura per dichiararla illegale.

Per non parlare dell'intervento ancora della magistratura per garantire la rappresentatività sindacale all'interno della Fiat che aveva escluso in maniera unilaterale la Fiom dalle trattative sindacali non avendo firmato un accordo contrattuale capestro. Insomma la politica tutta, da destra a sinistra passando per il centro, oltre ad essere assente in certi momenti topici, spesso quando è presente lo fa in maniera totalmente incompetente e con mancanza di cognizione. Un'invasione iniziata dai primi anni 90 con tangentopoli quando la politica non fu in grado di liberarsi della corruzione strisciante che aveva occupato i partiti e dovette intervenire la magistratura per fare un minimo di pulizia che purtroppo non fu portata a termine.

Da quel momento si è assistito ad un decadimento continuo fino ad arrivare alla totale incompetenza dei nostri giorni quando non c'è solo il problema corruzione ma anche il problema approssimazione e incompetenza.

I politici di fatto non fanno più politica e non si occupano delle esigenza reali del paese, lasciando libere delle praterie dove vige la legge del più forte fino a quando la magistratura non è chiamata ad intervenire.

Una situazione di instabilità assoluta e di scontro fra uno dei poteri fondamentale di una democrazia, la giustizia, ed il potere politico che tende a delegittimare chi ha il dovere ed il compito di garantire l'osservanza delle leggi.

ANTIPOLITICO

sabato 4 gennaio 2014

EUROPA - La seconda rifondazione dell’Ue


Cinque anni di crisi hanno segnato l'Unione, aumentando la sfiducia tra gli stati membri. Più che misure economiche servono un ritorno alla politica e un gruppo dirigente più autorevole.

Claudi Pérez EL PAIS Madrid

La tempesta finanziaria ha profondamente segnato l'anima europea. Una brutta cicatrice attraversa il continente da nord a sud. I vecchi e i nuovi stereotipi non mancano: le bugie greche, la delirante esuberanza spagnola, la temerarietà irlandese, l'egoista egemonia tedesca. Di fronte a questo dialogo da sordi fra creditori e debitori, ci si rende però conto che tutta la zona euro condivide lo stesso destino.

Con il tempo le certezze sono venute meno e i tabù sono stati violati, abbiamo superato i limiti che ci eravamo imposti e abbiamo riscritto le regole auree in una serie di decisioni affrettate. Questa serie di misure ha permesso di evitare il peggio, anche se oggi ci ritroviamo in mezzo alle loro numerose conseguenze imprevedibili.

Così terminano cinque anni di crisi, con l'impressione che non ci sia mai stato un vero progetto per affrontarla. Bisogna adesso impegnarsi nella seconda rifondazione dell'Unione (dopo il periodo fondatore degli anni cinquanta e dopo la prima transizione, che ha portato alla caduta del Muro, alla creazione dell'euro ed è culminata nell'adesione del blocco dell'Europa orientale).

L'ossessione dei vertici di questi ultimi anni ha portato a un clima di rigore generalizzato. Nessuno rimette in discussione questa strategia, anche se alcuni ammettono degli errori di diagnosi in alcuni paese e una reazione eccessiva da parte di tutti, imputabile alla gravità della crisi del debito nel 2010. Bruxelles ha corretto il tiro, ma la realtà vuole che solo la Germania abbia ritrovato un pil ai livelli di prima della crisi.

Nella battaglia l'Europa ha progressivamente perso gli europei: i responsabili sono preoccupati di fronte alla crescente delusione nei confronti dell'Europa a sei mesi dalle elezioni. All'avvicinarsi di questo appuntamento il 60 per cento degli europei dice di non avere fiducia nell'Ue contro il 31 per cento di prima della crisi, stando agli ultimi dati di Eurobarometro.

L'Unione era e rimane una sorta di spedizione verso l'ignoto. Non abbiamo mai avuto una carta per decifrare i labirinti di quella nebulosa che si chiama Bruxelles. Di fronte a questa lotta eterna fra quello che è possibile e quello che è auspicabile, l'Ue deve trovare una via intermedia fra chi pensa che il disordine porterà allo stato federale (creando così gli improbabili Stati Uniti d'Europa) e chi invece punta a una versione europea di Apocalypse Now di Francis Coppola su colonna sonora di Wagner.

"È probabile che non vi sarà ne un passaggio a uno stato federale né uno smembramento. Questa seconda transizione comincerà e sarà accompagnata da inevitabili delusioni, come l'eterna promessa dell'ipotetico ritorno della grande politica", dice Luuk Van Middelaar, una delle voci più interessanti di Bruxelles. Si tratta dell'autore dell'indispensabile Il passaggio all'Europa e dei discorsi di Herman Van Rompuy. Van Middelaar definisce l'Unione come "uno stato di transizione permanente". "È importante riconquistare rapidamente la fiducia della popolazione, cosa che è impossibile senza un vero progetto globale e senza una leadership", ripete l'autore.

L'analista Moisés Naím è dello stesso parere: "Né le istituzioni europee né i dirigenti politici nazionali hanno oggi il potere sufficiente per riuscirci. […] L'Europa era forte quando i suoi dirigenti erano forti. La situazione attuale – Barroso, Ashton, Van Rompuy e così via – non basta più".

Il mondo non è in crisi, ma l'Europa sì. I problemi non sono economici – o quanto meno non solo – ma piuttosto politici e istituzionali. Si tratta soprattutto di una crisi di governance. Si assiste inoltre a una sorta di rivincita della storia, della demografia e della geografia. Questi cambiamenti si inseriscono nel quadro di un movimento tellurico che sposta il centro del mondo in direzione del Pacifico.

Vizi privati


Al di là della politica o piuttosto proprio per la sua assenza, il futuro è diffuso. André Sapir, che lavoro al centro di riflessione Bruegel, osserva che l'obiettivo principale della zona euro nel corso dei prossimi cinque anni sarà proprio quella di riuscire a uscire da questa situazione: "Quello che preoccupa è che delle decisioni sono state prese senza alcun consenso sulla natura o sulle cause della crisi. E per questo possiamo solo aspirare a uscire da questa situazione".

Daron Acemoglu, autore di un libro fondamentali di questi ultimi tempi – Why Nations Fail [Perché le nazioni falliscono] – è tra coloro per cui questa seconda rifondazione dell'Unione "è già cominciata". In un'intervista a El País, Acemoglu parla di due rivoluzioni fra le ultime novità europee: l'unione bancaria e gli esami preventivi dei bilanci nazionali. In particolare l'unione bancaria assomiglia a una metamorfosi, a un cambiamento della natura stessa dell'Europa.

Il club dell'euro è sempre stato ossessionato dai vizi pubblici e dall'inflazione, una sorta di eredità della storia tedesca. L'euro si è dotato di meccanismi di controllo del settore pubblico (la cui credibilità è piuttosto dubbia, come si è visto a Maastricht). Tuttavia si pensava che i mercati si sarebbero autoregolati e che i vizi del settore privato si sarebbero corretti da soli. In altre parole non sarebbe stato necessario prestarvi attenzione. La crisi però ha mostrato l'inesattezza di questa tesi: "Se l'unione bancaria non ridurrà le sue ambizioni, l'Europa vivrà un cambiamento radicale che potrebbe aiutarla a correggere i suoi squilibri", prevede Acemoglu.

In fin dei conti se non ci saranno ulteriori problemi l'Europa comincerà ben presto a risvegliarsi. In questo contesto il ruolo della Bce in quanto organo di regolazione bancaria è fondamentale. "Bisogna continuare a risanare le finanze pubbliche e a riformare, ma con l'unione bancaria l'Europa apre la porta ad altre forme di vulnerabilità. Per la Bce sarà una vera e propria immersione nella realtà, una caduta dall'Olimpo", conclude una fonte a Bruxelles. (Traduzione di Andrea De Ritis)

giovedì 2 gennaio 2014

ITALIA - Governo, Renzi indica la road map a Letta


Il leader del Pd detta il programma: legge elettorale, civil partnership, ius soli. 2014 decisivo. Berlusconi: “bisognerà inventare un sistema che ci dia la maggioranza assoluta”

Prima di tutto la legge elettorale, ma non basta. Se Matteo Renzi è tornato a smentire le voci di rimpasto del governo escludendo qualsiasi forma di interesse per poltrone e ministeri, non molla comunque la presa su Enrico Letta. Nemmeno a Capodanno.
Altro che feste, quelli che hanno portato dal pranzo di Natale al cenone di San Silvestro sono stati giorni di intensa attività per l'entourage del nuovo segretario del Partito democratico. Da stilare c'era una road map precisa, un cammino da intraprendere col centrosinistra e col governo.
LETTA SUBITO AL LAVORO. Così anche Letta ha avuto ben poco tempo per i banchetti e si è dovuto mettere subito alla scrivania. Palazzo Chigi è pronto a ospitare una serie di incontri informali tra Letta e i leader dei partiti che sostengono il suo governo. Tra questi, ovviamente, figura anche Renzi.
Sul nuovo patto di maggioranza, il sindaco di Firenze ha le idee chiare. No alle elezioni politiche nel 2014, a patto che sia varata una serie di provvedimenti che ricalchino il pogramma elettorale portato alle primarie, perché «tre milioni di persone l'hanno votato».
E si parte proprio dal sistema elettorale, argomento sul quale Letta sarebbe intenzionato ad ascoltare il leader democratico.
IPOTESI MATTARELLUM SENZA PROPORZIONALE. Sindaco d'Italia, dunque, o in alternativa un Mattarellum corretto, senza parte proporzionale, col 75% degli eletti pescato dai collegi uninominali, e il restante 25 da assegnare tra premio di maggioranza e diritto di tribuna.
Resta però il nodo del perimetro della maggioranza con cui votare la riforma: se Renzi insiste per coinvolgere Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, a Palazzo Chigi puntano a una pre-intesa di maggioranza, per poi allargare all'opposizione.
Quanto ai tempi, mentre la Camera darà il suo primo sì alla legge elettorale, il Senato dovrà trovare la forza di cancellare il sistema bicamerale firmando così la sua sostanziale eliminazione.

Palazzo Chigi pronto al rimpasto


Sul piatto della bilancia Palazzo Chigi avrebbe messo anche un possibile rimpasto. Sperando così di rompere le resistenze di Renzi. L'ha spiegato un Dario Franceschini «ottimista» sulla tenuta della maggioranza: dopo aver siglato il patto e fissato il «cronoprogramma», ha detto il ministro, «si potrà arrivare anche a un rafforzamento della squadra».
GUERINI: «PRONTI AL CONFRONTO». Ma a Renzi sembra interessare di più il programma: civil partnership per le coppie omosessuali, adozioni snellite (anche dopo le gravi e preoccupanti vicende del Congo), riforma della Bossi-Fini, ius soli, una nuova legge per la cooperazione internazionale, provvedimenti per l’impresa sociale, servizio sociale obbligatorio.
«Ci stiamo preparando a un confronto sul patto di coalizione. Bisogna tenere l'asticella alta, bisogna avere grandi ambizioni, non basta una semplice mediazione», ha detto il portavoce della segreteria Lorenzo Guerini, dando comunque un giudizio positivo all'offerta di Franceschini sulla legge elettorale e l'abolizione del Senato.
QUAGLIARIELLO: «NON TIRINO TROPPO LA CORDA». Più fredda, su questo punto, la responsabile del Pd per le riforme Maria Elena Boschi: «Le tempistiche e le priorità le abbiamo chiarite da tempo e rimangono quelle. I tempi delle riforme non sono una concessione del governo a Renzi».
Da registrare anche la reazione contrariata del Nuovo centro destra di Angelino Alfano agli aut aut di Renzi. Il ministro per le riforme Gaetano Quagliariello ha invitato il leader del Pd a «non tirare troppo la corda» e gli ricorda che il governo non è un monocolore dei democratici. Berlusconi, invece, ha rilanciato sulle riforme, ma con toni da propaganda elettorale: servirebbe un sistema presidenziale, ma per arrivarci «bisognerà inventare un sistema che ci dia la maggioranza assoluta». Le urne, per ora, sembrano lontane, ma la vera partita si gioca dopo Capodanno.