Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


venerdì 29 giugno 2012

EUROZONA - Euro, la crisi non è finita

Gli aspetti poco chiari delle decisioni prese a Bruxelles.
Venerdì, 29 Giugno 2012 – Le Borse volano, lo spread cala e l’euro si rafforza. Le decisioni maturate nella lunga notte di trattative del vertice di Bruxelles del 28 giugno, per una volta, esaltano mercati e governi, dando il senso di una concretezza che finora era mancata nella sequenza di riunioni tra leader europei.
TRE PASSI AVANTI. Il premier italiano Mario Monti ha ottenuto lo scudo anti-spread di cui l'Italia ha bisogno per fermare la speculazione: i fondi salva Stato acquisteranno, infatti, i nostri bond sul mercato secondario, in modo da stabilizzare i tassi di interesse.
Il primo ministro spagnolo riceverà dagli stessi fondi - l'European financial stability facility (Efsf) e l'European stability mechanism (Esm), in vigore dal 1 luglio 2012 - aiuti per ricapitalizzare le banche iberiche, senza che i prestiti gravino sul debito pubblico. E il presidente francese François Hollande ha ottenuto di smobilitare risorse per la crescita.
I MERCATI INGANNANO. La crisi dell’euro è risolta dunque? Non proprio. O comunque non ancora. «Sono stati fatti certamente passi avanti, ma non confonderei l’euforia sui mercati con un cambiamento definitivo», ha commentato Luciano Balbo, esperto di finanza e venture capital, precursore dei private equity in Italia. «Finché non ci saranno risposte chiare la partita è tutt’altro che chiusa».

DOMANDA. Ma le risposte non sono state appena fornite?
RISPOSTA. Quelli sono accordi macro. Ma sui dettagli, sulle procedure concrete, al momento le cose sono ancora abbastanza indefinite.
D. Partiamo dall’inizio: il meccanismo anti-spread.
R. Pare che si siano accordati per acquisti di titoli di Stato sul mercato secondario, cioè sui titoli già emessi.
D. E qual è il problema?
R. Che la vera rivoluzione sarebbe se i fondi acquistassero sul primario, ovvero al momento dell’emissione da parte dei vari governi: è allora, infatti, che si determina il tasso di interesse che lo Stato è costretto a pagare alla scadenza.
D. Ma sono le contrattazioni quotidiane a determinare lo spread.
R. Infatti Monti punta a stabilizzare lo spread, ovvero il differenziale. Ma non si tratta di una soluzione definitiva. Oltretutto, bisogna valutare le cifre a disposizione per questa operazione…
D. Quali sono?
R. Vorrei saperlo. Ma, se come si è detto i capitali necessari arriveranno dai due fondi salva Stato, di cui uno destinato a sparire a breve, si può ipotizzare che la dotazione di cassa non superi i 500 miliardi di euro.
D. Pochi?
R. L’Italia entro la fine dell’anno deve rinnovare 300 miliardi di debito.
D. Gli stessi soldi devono servire anche per le banche.
R. Esatto. A fare i conti, insomma, la dotazione non è immensa: il reale impatto è da valutare. Anche perché potrebbero sorgere nuove richieste.
D. Il meccanismo di aiuto sui titoli e le banche vale per tutti gli Stati?
R. Non è chiaro, ma a rigor di logica dovrebbe essere così, pur dipendendo dalle decisioni della Troika e dal memorandum che verrà siglato. Quindi, se ci fossero altre richieste, la dotazione non è certo infinita.
D. Almeno gli aiuti alle banche non gravano sul debito pubblico, e quindi sui cittadini.
R. Vero, anche perché se fossero stati conteggiati nel debito i tassi di interesse si sarebbero alzati e quindi avrebbero alimentato la spirale della crisi.
Il problema delle banche però è un altro.
D. Quale?
R. L’azionariato. Dopo avere ricapitalizzato gli istituti a proprie spese, l’Europa avrà il coraggio di spazzarne via l’azionariato?
D. Secondo lei?
R. Non lo so, ma sarebbe un gesto di coraggio indispensabile. Dovrebbero andare da Bankia e dire loro: questa banca è fallita, andate a casa.
D. Un controllo dall’alto potrebbe arrivare a ottobre con l’Unione bancaria, se si farà.
R. Appunto, se si farà. Nel frattempo però dobbiamo accertarci che le banche riprendano a fare credito alle imprese e ai cittadini.
D. Come?
R. Bisogna che gli azionisti si facciano carico delle proprie perdite consentendo agli istituti di ricominciare a fare credito. Non illudiamoci: per fermare la crisi non basta ricapitalizzare le banche.

Gea Scancarello

ITALIA - Le Bestemmie della Binetti

“Bambini col cancro? No a terapia del dolore perché è giusto che anche loro portino la croce come ha fatto Gesù” - Paola Binetti (Già PD ora UDC)
By il Semplissimus

Credo che se la senatrice Binetti fosse vissuta in Palestina ai tempi di Ponzio Pilato, i vangeli sarebbero diversi: avrebbe strappato bestemmie pure a Cristo. Invece di andare da un buon terapeuta, questa seguace della massoneria cattolica, insiste nel voler essere un ennesimo cilicio per questo Paese.

Oggi ha superato se stessa dichiarandosi contraria alla terapia del dolore per i bambini pazienti oncologici, “perché è giusto che anche loro portino la croce di Gesù”. Non è nemmeno commentabile, queste posizioni non hanno nulla a che fare con la religione, persino con quella simulazione rappresentata in pompa magna dalla casta cardinalizia, ma solo con la poca salute mentale della senatrice chiaramente affetta da schizofrenia di tipo paranoide, come ampiamente illustrata nel DSM IV. Anzi proprio la pietas cristiana imporrebbe di ricoverarla al più presto.

D’accordo che siamo di fronte a una sindrome diffusa nella casta , visto che anche la Fornero soffre dei medesimi sintomi e pretende che i lavoratori portino la croce prima di ottenere il lavoro. Ma francamente quando è troppo è troppo e dobbiamo chiederci a chi si debba l’elezione di questo avanzo di manicomio. Probabilmente allo stesso che ha candidato Calearo. Il quale è ormai, a sua volta, un avanzo tout court.

Per fortuna a tutto questo c’è un sicuro rimedio farmacologico: calcinculina in dosi massicce per via intramuscolo. Una volta lontani dal potere che aggrava straordinariamente i sintomi, i pazienti migliorano e tornano quasi umani, perdono quel senso di onnipotenza che li induce alla pornolalia sociale e umana. Anche per i cittadini è un ristoro non dover pagare profumatamente per il loro mantenimento: essere solidali con chi soffre di malattie mentali invalidanti in Parlamento è un dovere, a patto però di tenerli con la camicia di forza per impedire che aggrediscano la società italiana.

ITALIA - Alessandria, il Comune va in fallimento: dissesto

La Corte dei conti boccia la giunta Pdl. Il nuovo sindaco è nei guai.
La pronuncia della Corte dei conti sulla giunta di Pier Carlo Fabbio (Pdl) è arrivata la mattina del 28 giugno.
Sono 66 pagine dall'esito inequivocabile: per il Comune di Alessandria è dissesto.
IL NUOVO SINDACO DEVE APPROVARE. Ora il nuovo consiglio comunale del sindaco di centrosinistra Rita Rossa (pronto a riunirsi il 28 pomeriggio) è obbligato ad approvare.
In caso contrario, il prefetto sarebbe chiamato a scioglierlo e nominare un commissario che lo faccia al suo posto.
Il finale comunque è scritto: i commissari dovrebbero procedere a pagare per quanto possibile i debiti, trovando accordi al ribasso con i creditori.
Di fatto la nuova giunta riparte da zero.
TAGLI AI SERVIZI. Le imposte locali e le tariffe sono destinate ad aumentare al massimo consentito e molti servizi non indispensabili a essere tagliati.
Alessandria è il primo capoluogo di provincia a essere dichiarato in dissesto con la nuova legge.

USA - Salute per Costituzione

La Corte suprema salva la riforma sanitaria.
Con cinque voti a favore e quattro contrari, la Corte suprema americana ha deciso sostanzialmente di confermare l’impianto della riforma sanitaria di Barack Obama. Per il presidente in cerca della rielezione si tratta di una vittoria cruciale: l’Obamacare, come è stata chiamata la legge che obbliga ogni cittadino a dotarsi di una polizza assicurativa, è stata la crociata della sua presidenza.
Ma per avere una visione accettabile di questo cruciale passaggio occorre per prima cosa avere i termini chiari di qual è la situazione dell’assistenza sanitaria negli Stati Uniti. E quale la realtà della riforma Obama. Che non è stata, come spesso erroneamente si è pensato nel Vecchio Continente, l’adozione di un sistema sanitario di tipo europeo, o single payer, cioè con i contributi e i costi accentrati alla fine in un’unica cassa pubblica, come avviene per quasi tutti i Paesi Ocse, a eccezione appunto degli Stati Uniti e, parzialmente, di Turchia e Messico.
IL MEDICARE DI LYNDON JOHNSON NEL 1965. Di una riforma sanitaria di tipo bismarckiano (assicurazione infortuni e malattie) si parla negli Stati Uniti dai tempi di Teddy Roosvelt, 100 e più anni fa. Il programma è parte centrale dell’ethos democratico dagli anni di Franklin Roosevelt e Harry Truman. Solo Lyndon Johnson riuscì a fargli compiere un deciso passo avanti nel 1965 con il Medicare, l’assistenza pubblica questa sì di tipo single payer per gli oltre 65enni e alcuni disabili gravi, e il Medicaid, la sanità per i poveri.
IL TENTATIVO FALLITO DI BILL CLINTON. Dopo fu Bill Clinton a fare il maggior tentativo, a inizio Anni 90, fallito. E, nel 2010, Obama riuscì a compiere un passo avanti. La riforma di Obama, per alcuni aspetti già in atto ma la cui fetta maggiore dovrebbe partire dal 2014, si innesta sulla realtà sanitaria composita.

Il 30% dei cittadini Usa ha una copertura per l'assistenza pubblica


Circa 40 milioni di anziani e 8 milioni di disabili sono coperti dal Medicare, che non di rado viene integrato con una polizza privata. Circa 49 milioni hanno i requisiti di reddito per l’assai più scadente Medicaid, amministrato dagli Stati e di qualità molto variabile. In totale quindi il 30% ha una qualche forma di assistenza pubblica.
Poi il 55% circa della popolazione ha una polizza parte integrante del salario, gestita dal datore di lavoro, una forma nata durante la Seconda Guerra mondiale per attirare lavoratori in tempi di blocco dei salari e diffusasi molto negli Anni 50 e 60, ma ora meno affidabile.
POLIZZE ACQUISTATE SUL LIBERO MERCATO. Una piccola parte degli under 65, il 5%, acquista le polizze sul libero mercato, spesso care, non meno di 1.000 dollari al mese per una famiglia di quattro in Stati come New York o Illinois.
E il resto è senza copertura: un numero variabile fra i 45 e i 50 milioni, che comprende anche chi acquista o perde periodicamente la polizza in base al datore di lavoro.
L'OBBLIGO A SOTTOSCRIVERE UNA POLIZZA. La parte più nota della riforma Obama è quella che ha dato la copertura a questi circa 45 milioni. Come? Iscrivendo a partire dal 2014 i meno abbienti nel Medicaid, e sempre dal 2014 obbligando gli altri – è il cosiddetto individual mandate - ad acquistare una polizza, aiutandoli fiscalmente in casi determinati, multandoli se non lo fanno.
Questo ci riporta alla difficile situazione in cui è nata la riforma, e alla necessità di trovare nuovo reddito – l’individual mandate appunto, capace di assicurare in 10 anni nuove polizze per 1.000 miliardi – capace di compensare le compagnie di assicurazione di perdite che la riforma imponeva loro su altre voci.

L'offerta di un'alternativa pubblica


Negli ultimi anni, e nella campagna 2008, la parola d’ordine democratica sulla sanità era public option, l’offerta cioè di una polizza pubblica capace di calmierare il mercato e di dare avvio alla fine di una sanità-for profit dominata da assicurazioni private, ospedali privati, farmaceutici trincerati contro le importazioni a prezzi più bassi dal Canada, e una classe medica ai vertici da sempre del reddito nazionale. In più la public option doveva calmierare il costo della sanità Usa, la più cara del mondo, 7.500 dollari a testa contro i poco più che 4 mila del Canada e i 3.500 circa della media Ocse.
GLI ACCORDI CON OSPEDALI E ASSICURAZIONI. Obama ha fatto sua la public option, sempre con qualche distinguo tuttavia, ma una volta insediato l’ha scartata e ha percorso la nota strada degli accordi con ospedali, farmaceutici, assicurazioni. La riforma ha alcuni aspetti indubbiamente buoni, e già applicati, come l’estensione fino ai 26 anni della copertura ai figli, il divieto di un cumulo di spesa massimo nell’arco di una vita (1 milione, in genere, per la maggior parte delle polizze), il divieto di rifiutare la polizza in caso di condizioni preesistenti per i minori di 19 anni, e poi più difficoltà per le compagnie quando vogliono “scaricare” un cliente i cui costi sanitari crescono troppo.
UNA RIFORMA CHE STENTA A CONVINCERE. Se una bocciatura della Corte avesse messo a rischio queste riforme, sarebbero state rimpiante. Nel suo complesso però la riforma non è mai piaciuta alla maggioranza degli americani, e non solo repubblicani. Perché troppo compromissoria. Perché complicata. Perché, fatta in tempi di vacche magre, minaccia di togliere risorse al Medicare e si è quindi attirata spesso l'ostilità degli anziani.
Molti alla Casa Bianca suggerivano nel 2009 un rinvio del progetto, per concentrarsi sulla ben più impellente situazione finanziaria. Ma Obama voleva firmare con una nuova sanità il suo mandato. Ora lo scoglio della Corte è superato. (
Mario Margiocco)

RUSSIA - Putin teme nuova crisi, ordina riserve per emergenze

Il presidente: Bisogna isolare il bilancio da prezzi economia
Venerdì 29 giu. - Per tentare di disinnescare la 'bomba energetica' che minaccia il bilancio della Russia, Vladimir Putin ha ordinato al governo di accantonare riserve sufficienti per parare i colpi di un eventuale ulteriore abbassamento dei prezzi del petrolio e del gas. "Dobbiamo necessariamente prendere in considerazione qualsiasi scenario nello sviluppo della nostra economia e di quella globale, in modo da avere strumenti e possibilità di reagire prontamente", ha detto il presidente russo, presentando al parlamento le grandi linee per la spesa pubblica 2013-2015. Il capo dello Stato non ha dato cifre, ma poco dopo il suo discorso le agenzie di stampa hanno battuto le dichiarazioni al riguardo del ministro delle Finanze Anton Siluanov: già nel 2012 potranno essere destinati 200 miliardi di rubli (6 miliari di dollari) per misure anticrisi, mentre l'obiettivo per i prossimi anni si alza a 40 miliardi di dollari.

La scelta per il nuovo governo moscovita è complicata. Putin è tornato al Cremlino accompagnato da un ambizioso programma per migliorare le infrastrutture e i servizi sociali, oltre alla modernizzazione dell'esercito. Missione che potrebbe diventare impossibile in un "quadro di condizioni complicate", usando le sue stesse parole, ovvero nel caso di un ulteriore declino del prezzo del petrolio e delle entrate da export energetico

UE - Accordo anti-spread

A Bruxelles vince l'asse Monti-Rajoy.
Venerdì, 29 Giugno 2012 - Svolta al vertice di Bruxelles.
I leader dell'Eurozona nella notte tra giovedì 28 e venerdì 29 giugno hanno concordato un pacchetto di misure che ha aperto a un meccanismo anti-spread e alla ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del fondo europeo salva stati, con il quale sperano di rassicurare i mercati, mettere un freno alla speculazione e ridare stabilità all'euro.
«Affermiamo che è imperativo rompere il circolo vizioso tra le banche e il debito sovrano», ha affermato il presidente dell'Ue Herman van Rompuy. «Oggi abbiamo concordato qualcosa di nuovo».
COINVOLTA LA BCE. Con le decisioni prese, ha aggiunto van Rompuy, non solo «le nostre banche potranno essere presto ricapitalizzate direttamente dal fondo salva Stati, sotto certe condizioni» e potranno «avere un'unica sorveglianza, con il pieno coinvolgimento della Bce» ma anche «avere la possibilità che i Paesi che si comportano bene usino il fondo Efsf (Fondo europeo di stabilità finanziaria) ed Esm (Meccanismo europeo di stabilità) per assicurare i mercati».
MISURE PER LA STABILITÀ. Le due decisioni hanno quindi risposto alle richieste di Italia e Spagna che hanno così tolto la riserva che avevano posto al vertice Ue sul patto per la crescita (da 130 miliardi, ndr) e il lavoro, in nome di misure immediate per la stabilità finanziaria.

Monti: «Eurozona più forte. Decisioni entro il 9 luglio»


«La zona euro ne esce rafforzata», ha spiegato il presidente del Consiglio Mario Monti. «L'importante è lo sblocco mentale dei partner». Sono state deliberate «misure che mi sembra siano soddisfacenti per la stabilizzazione dell'Eurozona».
Tempi? L'intesa affida un mandato all'Eurogruppo del 9 luglio a definire i dettagli del meccanismo che attraverso l'attuale Efsf e il futuro Esm dovrà tenere a bada i tassi di interessi dei paesi 'virtuosi'.
Un successo per l'Italia, visto che l'intesa non prevede l'arrivo della troika e la conseguente messa sotto tutela per il Paese che chiede la protezione dello scudo. Ma la semplice firma di un «memorandum di intesa», ha aggiunto Monti, che li impegnerà a «continuare ad adempiere alle condizioni alle quali già adempiono».
L'ITALIA PUNTA I PIEDI. L'accordo è frutto di una tattica diplomatica senza precedenti: Monti, affiancato dal premier spagnolo Mariano Rajoy, aveva minacciato di bloccare l'intero Vertice fino a quando non fosse stato concesso quanto chiedevano, nonostante gli sherpa dell'Eurogruppo avessero appena messo sul tavolo una bozza che andava incontro alle richieste italiane.
OTTIMA STRATEGIA. E alla fine Monti l'ha spuntata e ha parlato di «un'intesa molto positiva per Eurolandia e per l'Europa», anche perché sul fronte crescita si è affermato il «ruolo molto importante riconosciuto agli investimenti pubblici, la forte valorizzazione del mercato unico» e anche un accenno agli Eurobond.
Ha riconosciuto le difficoltà del negoziato: «C'è stato un momento molto difficile» quando l'Italia «ha impedito l'approvazione seduta stante del patto per la crescita». Ma alla fine di un «processo duro il risultato è stato buono».
Inoltre e il premier ha tenuto a sottolinearlo, «l'Italia ha proposto queste misure, ma non abbiamo in questo momento l'intenzione di avvalercene».

E Hollande appoggia Roma e Madrid


La Francia non solo ha sdoganato il patto europeo per la crescita ma ha anche appoggiato la Spagna e l'Italia.
Una mossa che ha messo all'angolo Berlino. Il presidente francese François Hollande ha mostrato piena comprensione per la posizione presa da Monti e dal premier spagnolo Mariano Rajoy.
L'accordo sul pacchetto della crescita c'è, ha affermato l'inquilino dell'Eliseo. «Monti e Rajoy», ha spiegato Hollande «mi avevano avvisato della loro posizione» per avere «un accordo globale», che ricomprendesse cioè sia le misure per la crescita sia quelle per la stabilizzazione finanziaria attraverso un meccanismo d'intervento che resta da definire nei dettagli. «E con i colleghi italiano e spagnolo sono d'accordo».
MERKEL PARLA DI BUONI RISULTATI. È arrivato anche il commento della cancelliera tedesca Angela Merkel: «Abbiamo raggiunto buoni risultati sugli strumenti Esm ed Efsf, una buona base su cui lavorare».
BARROSO E LA PRESSIONE DEI MERCATI. Secondo il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso la decisioni prese sono rivolte a Paesi «con buona performance ma evidentemente sotto la pressione dei mercati, come l'Italia».

giovedì 28 giugno 2012

CONSIGLIO EUROPEO: Uno stress-test per gli europei

Proponendo un maggiore controllo dei budget nazionali e delle banche, i leader delle istituzioni dell’Ue raccolgono la sfida federalista lanciata dalla Germania. Questa soluzione, tuttavia, potrebbe determinare l’opposizione di alcuni stati senza per altro smorzare gli attacchi ai mercati.
Claudi Pèrez 27 giugno 2012 El Paìs Madrid

La crisi europea si protrae ormai da parecchi anni e finora, quando se ne è occupata, la Germania ha dato prova di una leadership meschina, svilita da calcoli politici, dogmatismo e rifiuti a ripetizione. La recessione è in corso da tempo nel Sud, e per due motivi principali: la crescita incontrollata di questi ultimi anni – della quale oggi paghiamo il prezzo – e quei bailout che altro non sono che bruscolini di solidarietà, accompagnati da misure di austerity molto inflessibili (pericolosamente inflessibili), volute da Berlino.

Questo maleficio dell’austerity, che permette di sviluppare politiche di crescita, avrebbe dovuto restituire fiducia alla zona euro, mentre non ha fatto altro che far precipitare la moneta unica in una crisi esistenziale. Malgrado tutto, la situazione è in evoluzione.

La cancelliera Angela Merkel, il suo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble e il presidente della Banca centrale tedesca Jens Weidmann, hanno elaborato in questi ultimi giorni una proposta che con vecchi ingredienti vorrebbe sfornare qualcosa di nuovo: mai, nel corso degli ultimi vent’anni, Berlino si era espressa a voce così alta e così chiara a proposito di un’unione politica. Bruxelles ha raccolto il guanto della sfida il 26 giugno con un documento ambizioso che mira a ricostruire l’edificio europeo, lanciando una proposta che mette a dura prova i limiti dell’Ue, nella misura in cui la paralisi ha indebolito terribilmente l’euro.

A condizione dunque che i paesi membri si impegnino attivamente e con determinazione in questo iter finalizzato all’unione politica, l’Ue accetta di togliere alcuni ostacoli affinché la Germania faccia concessioni in certi ambiti. Tuttavia, sussistono parecchie incognite, come accade quasi sempre allorché si ha a che fare con l’Europa.

Di incognite ne vedo due, perlopiù. La prima riguarda il ruolo che vorrebbe rivestire la Francia di Hollande. Parigi di sicuro non si accontenterà di fare da accompagnamento al primo violino tedesco, ma al contempo deve lottare contro una deriva intergovernativa, contro la sua allergia al modello federale. In secondo luogo, ci si potrebbe chiedere come si possa gestire l’enorme crisi dell’euro sul breve periodo per evitare un’implosione.

Queste due domande rimangono in sostanza del tutto aperte nella proposta che hanno messo a punto i quattro presidenti, per la precisione quello del Consiglio europeo Herman Van Rompuy; quello della Commissione José Manuel Barroso; il presidente della BCE Mario Draghi; e quello dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker. Bruxelles inizierà a riflettere e a lavorare su questi dossier a partire dal 28 giugno, in occasione del summit dei capi di stato e di governo.

Le aspettative sono all’altezza dei fallimenti precedenti. I dirigenti decideranno se questo documento deve essere adottato oppure se limitarsi a fare bei discorsi e andare avanti senza un calendario preciso. Sono tuttavia costretti a trovare una soluzione in tempi più che rapidi per i paesi che sono sul punto di affogare.

Seguendo gli auspici della Germania, la versione 2.0 dell’Ue intende porre vincoli molto rigidi a ogni paese. Secondo la bozza, che fissa come termine ultimo il mese di dicembre, Bruxelles non si accontenterebbe di fissare un tetto massimo per le spese e il debito pubblico: se uno stato membro volesse emettere più debito di quello che è autorizzato a fare, dovrebbe giustificarlo e ricevere in via preventiva l’autorizzazione delle istituzioni europee.

Questa decisione equivarrebbe de facto a consegnare la chiave della cassaforte a una sorta di superministro delle finanze, e in definitiva a creare un Tesoro pubblico europeo. Questo coronerebbe il sogno di Berlino, che auspicava di fare quanti più possibili passi avanti verso l’unione di budget. In cambio di ciò, la Germania dovrebbe accettare una cosa che considera ancora oggi tabù: un certo livello di rateizzazione del debito.

Palla a Hollande

Certo, tutto ciò avverrebbe per tappe, cercando il compromesso come si è sempre fatto in Europa. “In una prospettiva di medio termine, si potrebbe valutare l'emissione di debito comune come elemento di tale unione di bilancio subordinato ai progressi nell'integrazione di bilancio”, si legge nel documento, con una formula che allude in modo appena velato agli eurobond.

Oltretutto, si procede ancor più verso un’unione bancaria, un supervisore comune – la Bce – con un fondo di garanzia comune e un fondo di ricapitalizzazione delle banche. In linea generale, sono i mercati a tradurre al meglio l’incomprensibile linguaggio europeo. “Si tratta di una prima tappa verso un’unione politica e di budget, indispensabile se si vuole che Angela Merkel accetti qualcosa di vagamente simile agli eurobond” spiegano alcune fonti finanziarie.

Queste stesse fonti puntano inoltre il dito contro le lacune delle quali potranno approfittare gli investitori per continuare a scommettere contro l’euro: “Un calendario preciso non esiste. La proposta stessa non è sufficientemente chiara, e questo lascia pensare che sussistano profonde divergenze di opinione. La buona notizia è che l’Europa fa passi avanti. Quella cattiva è che continua a procrastinare sempre tutto: nell’autunno 2013 ci saranno le elezioni in Germania e Berlino insiste a dare una grande rilevanza ai calcoli elettorali, malgrado la gravità della crisi”.

Insomma, è sempre così nell’imminenza di un summit. Questa volta la palla è nel campo di François Hollande, che ha dato nuovo respiro al progetto europeo, ma che deve far presente con precisione fino a dove intende spingersi. Non mancheranno certo i dirigenti che alzeranno le sopracciglia: la cancelliera Angela Merkel, per esempio, a sole 48 ore dal summit ha dichiarato in modo lapidario: “Finché vivrò, niente eurobond”. (Traduzione di Anna Bissanti)

Commento

Il piano soft per l’Ue di Van Rompuy


Il tanto atteso nuovo piano del presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy, finalizzato a garantire il futuro della zona euro, è “meno ambizioso” e “di portata significativamente inferiore” rispetto alle versioni precedenti, afferma il Financial Times. Il quotidiano economico londinese precisa che il piano, che in effetti auspica la creazione degli eurobond e l’istituzione eventuale di un Tesoro centrale per l’Ue, sarà discusso al summit del 28/29 giugno. Nella bozza in questione

si propone di dare alle istituzioni dell’Ue il potere di redigere da capo i budget nazionali e si esortano le leadership dei paesi della zona euro a utilizzare il fondo salva stati di 500 miliardi di euro per ricapitalizzare le banche europee. Se le bozze precedenti del rapporto contenevano anch’esse misure dettagliate da prendere a breve termine per risolvere l’attuale scompiglio dei mercati, la bozza del piano presentato da Van Rompuy sul sito web del Consiglio Europeo contiene meno dettagli e non propone alcuna scadenza per la sua attuazione.

ITALIA - VACANZE DA CASTA

Casini-Fini: «Lavoriamo di notte e a Ferragosto»
Polemica-ferie, i leader di Udc e Fli disponibili. Bersani (Pd) stizzito.

Giovedì, 28 Giugno 2012

Ferie, nuovo tema-chiave al centro dell'agenda politica.
Le ha evocate per primo il sottosegretario Gianfranco Polillo («i parlamentari italiani ne fanno troppe e guadagnano tanto »), prima della stizzita precisazione del capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto («ad agosto vacanze intoccabili, trovatevi una maggioranza »).
Insomma, la Casta vuole il mare. Quasi tutta.
C'è chi si è detto disponibile a restare: come il presidente della Camera Gianfranco Fini.
ANCHE IN NOTTURNA. Visto l'alto numero di decreti in scadenza, i lavori alla Camera possono continuare anche nelle settimane successive alla prima e seconda di agosto e si può prevedere di votare anche lunedì e venerdì e in notturna.
Chi glielo spiega adesso a Cicchitto?
Fini ha avuto modo di ricordare al presidente del Consiglio «la necessità di riflettere sul numero di decreti in scadenza» nelle prossime settimane.
Si tratta di 13 provvedimenti, tre sono in arrivo.
CASINI: «QUI ANCHE A FERRAGOSTO». Anche il leader dell'Udc è pronto a immolarsi per la patria, sacrificando la tintarella da spiaggia: «Altro che vacanze! Per me si può rimanere alla Camera anche a ferragosto!», ha esclamato su Twitter.
BERSANI: «POLEMICA CHE PASSA IL SEGNO». Chi non vuole stare al gioco è Pier Luigi Bersani, segretario del Partito democratico.
A costo di sfidare il sentimento anti-Casta, si è dimostrato stufo della polemica: «Finché c'è un decreto da votare staremo qui a votare, pure ad agosto. Anche gente che ha famiglia e che farebbe volentieri due giorni di ferie. Però così si passa il segno, queste cose porteranno il Paese al disastro».

Un paese al disastro perché i parlamentari non vanno in ferie ad agosto?

L’ex compagno Bersani è stato troppo vicino alla Fornero e forse comincia a deragliare anche lui.

UE - Merkel-Hollande, prove d'intesa

I due leader cercano un compromesso alla vigilia del summit europeo a Bruxelles.
Parigi, 28 Giugno 2012. - Angela Merkel e François Hollande si sono incontrati mercoledi 27 giugno a Parigi e hanno riaffermato la loro volontà di «approfondire l'unione oggi economica e monetaria, domani politica», meno di 24 ore prima del summit europeo dal quale mezzo continente si aspetta degli annunci positivi per la Spagna e per la crisi del debito.
LA CONFERENZA STAMPA ALL'ELISEO. Immediatamente dopo l'arrivo della cancelliera, a fine pomeriggio, i due capi di Stato hanno partecipato a una conferenza stampa improvvisata davanti all'entrata dell'Eliseo. «Siamo oggi alla vigilia di un vertice europeo importante, e abbiamo già fatto un buon lavoro. Ci sono stati dei progressi, in particolare sulla crescita che è stata uno dei temi più discussi, con buoni risultati», ha detto l'inquilino dell'Eliseo. Hollande ha poi aggiunto: «Vogliamo entrambi rendere più salda l'unione tra i paesi del continente fino a giungere a una perfetta integrazione e solidarietà».
MERKEL, IL RICHIAMO ALLA COESIONE. Angela Merkel, dal canto suo, ha esordito ricordando ai giornalisti quanto «seria» sia la situazione, prima di proseguire: «Abbiamo l'obbligo di costruire l'Europa forte, stabile, l'Europa di domani. Abbiamo bisogno di un'Europa che funzioni, i cui membri si aiutino a vicenda».
Poco prima, la leader tedesca aveva detto davanti ai deputati tedeschi che le «soluzioni facili e veloci vanno scartate» e che «per via del vertice di Bruxelles, molti occhi saranno puntati sulla Germania nei prossimi giorni». Le riforme strutturali, insomma, non possono più aspettare.

La cancelliera contro la mutualizzazione del debito


Ma le forze e le risorse della prima economia europea non sono illimitate, e Berlino ha già dato abbastanza garanzie a Bruxelles, secondo la posizione della cancelliera. Merkel ha sottolineato ancora una volta il suo totale disaccordo su qualsiasi forma di mutualizzazione del debito dell'eurozona, almeno finché le procedure di controllo dei conti pubblici degli Stati non saranno state rafforzate abbastanza.
A questo proposito, la Merkel ha emesso severe critiche sul documento presentato dal presidente della Commissione Herman Van Rompuy sulla fusione dei debiti sovrani degli Stati membri.
PRIMA L'INTEGRAZIONE POLITICA. Per Berlino, ha detto la leader della coalizione tedesca nell'incontro, la mutualizzazione richiede prima di tutto una forte integrazione politica e istituzionale e quindi una rinuncia da parte degli interessati a una parte sempre maggiore della propria indipendenza. Ecco il punto più delicato della questione, che Merkel vorrebbe discutere giovedì 28 al summit europeo.
Intanto è necessario risolvere i problemi che affliggono l'Eurozona e ne minacciano seriamente la stabilità. Cipro ha sollecitato l'aiuto dei partner internazionali, tra cui l'Eurozona e il Fondo monetario internazionale, per risanare i propri conti pubblici, mentre Spagna e Italia si trovano nel bel mezzo di una tempesta economico-finanziaria.
LA CRESCITA CHE NON DECOLLA. La crescita non riesce a decollare, la disoccupazione è in aumento e i tassi d'interesse ai quali i due paesi mediterranei sono costretti a indebitarsi sono, oltre che esorbitanti, insostenibili nel medio-lungo termine, come lo hanno affermato entrambi i capi di Stato nella loro conferenza parigina.

Le indiscrezioni trapelate prima del vertice


L'opinione pubblica e la stampa hanno reagito negativamente alle prim indiscrezioni trapelate dopo il summit franco-tedesco. La confederazione europea dei sindacati si è detta «poco convinta» che l'incontro di Bruxelles riesca a interrompere «il circolo vizioso austerità-depressione». Qualche ora prima della cena tra Hollande e Merkel, l'autorevole quotidiano tedesco ha attaccato la cancelliera qualificandone le promesse come «specchio per le allodole», nonostante lei sostenesse di aver inviato un «messaggio forte» all'opinione con l'annuncio di un nuovo piano di aiuti per la Spagna.
Gli analisti di Commerzbank, una delle maggiori istituzioni finanziarie della Germania, hanno dichiarato con rassegnazione che «il mercato ha imparato a non riporre troppe speranze in questi vertici».
HOLLANDE NELLA TRAPPOLA DI MERKEL. Reazione negativa anche dal mondo universitario: il professor Wyplosz, docente di Economia all'Istituto degli alti studi internazionali di Ginevra, ha deplorato che «Hollande sia caduto nella trappola tesa da Angela Merkel, non prendendo posizioni più chiare sugli eurobond», come ha notato Le Figaro.
UN ATTEGGIAMENTO TROPPO AMBIGUO. Un'opinione condivisa da buona parte della stampa francese, molto delusa dall'apparente mancanza di energia del presidente francese, troppo ambiguo nel suo dibattito con la cancelliera tedesca. Bisogna difendere, in altre parole, l'insieme di soluzioni originali che François Hollande aveva proposto nel suo programma elettorale, come ha sottolineato il professor Vesperini su Le Monde.
Intanto, situazione mai vista prima, le principali piazze europee sono cadute in un letargo pre-vertice, come ha analizzato Les Echos. Volumi di scambio ridotti e rialzi (o ribassi) vicini allo zero sono i segni di una crisi di fiducia nelle istituzioni e nell'efficacia della politica. (Paolo Saccò)

USA 2012: Presidenziali

Sondaggio: Obama batte Romney nella lotta agli Ufo

La ricerca è stata condotta dal National Geographic Channel


Washington, 28 giu. (TMNews) - Gli americani preferiscono il Presidente Barack Obama al rivale repubblicano Mitt Romney per fronteggiare un'invasione aliena. Stando a un sondaggio realizzato dal National Geographic Channel, quasi due americani su tre, il 65% delle persone intervistate, ritiene che Obama riuscirebbe meglio di Romney a rispondere a un'invasione degli Ufo, con donne e giovani più certi degli uomini e degli anziani di questa eventualità.

La ricerca è stata condotta nel corso dell'ultimo mese su 1.114 persone, in vista del lancio della serie di documentari 'Chasing UFOs'. Il 36% delle persone interpellate si è detto certo dell'esistenza di oggetti volanti non identificati; l'11% è sicuro di aver visto gli ufo mentre il 20% ha dichiarato di conoscere qualcuno che pensa di averne visto uno.


Obamacare, oggi la Corte Suprema decide su riforma sanitaria


Ripercussioni sulle elezioni del 6 novembre


New York, 28 giu.  - La Corte Suprema degli Stati Uniti si esprimerà oggi sulla costituzionalità dell'Obamacare, la riforma sanitaria varata dal presidente americano nel 2010. La riforma è uno dei punti fondamentali del mandato di Barack Obama, la sua eredità. Il presidente ha messo la sua credibilità personale e politica nella legge, che cita con orgoglio a ogni evento pubblico ed elettorale, quando si sofferma a leggere lettere speditegli da cittadini americani malati che quotidianamente lottano per curarsi.

La Corte Suprema, come sottolinea il New York Times, ha una vasta serie di opzioni: può decidere di bocciare l'intera legge, di confermarla nella sua interezza, o di dichiararne incostituzionale solo una parte. Le diverse sfumature, nella decisione dei giudici, potrebbero fare un'enorme differenza a livello politico, a poco più di quattro mesi dalle elezioni presidenziali. La decisione, per esempio, di considerare incostituzionale l''individual mandate' - il punto più discusso, che obbligherebbe tutti i cittadini ad acquistare una copertura sanitaria entro il 2014 - mantenendo inalterato il resto del testo, permetterebbe di tenere in piedi la struttura della legge.

ITALIA - Confindustria lancia l'allarme: il Paese nell'abisso, è come in guerra

Tagliate le stime del Pil, giù a -2,4%. Entro il 2013 1,5 mln di posti in meno
Roma, 28 giu. - Non è semplicemente recessione, è l'"abisso". L'Italia sta precipitando, con il Pil che sprofonda a -2,4%, l'inflazione che schizza al 3,1% e la disoccupazione che taglierà altri 1,5 milioni di posti di lavoro entro il 2013. "E' come in guerra" ha spiegato il direttore del Centro Studi di Confindustria, Luca Paolazzi, che oggi ha delineato i contorni molto bui dei "Nuovi Scenari economici" del nostro Paese. E le prospettive sembrano nere, decisamente peggiori rispetto a quelle di dicembre: la recessione si aggrava e nel 2012, il Pil crolla del 2,4% (contro il -1,6 precedentemente stimato), mentre nel 2013 si contrae dello 0,3% soprattutto per la "pessima eredità" ricevuta dal 2012 (a fronte del -0,6% previsto a dicembre). Per attendere una eventuale ripresa, insomma, si dovrà aspettare il prossimo anno, senza mai abbandonare l'euro, perchè il ritorno alla lira sarebbe la "più colossale patrimoniale mai varata".

"In questo momento - ha detto Paolazzi - siamo dentro l'abisso. L'aspetto interessante è che anche i tedeschi hanno iniziato a guardarci dentro e si sono spaventati". Nelle previsioni, il Csc ha preso atto della "peggiore realtà, con effetti netti sul Pil, mercato del lavoro e conti pubblici" e per questo, rispetto alla precedente stima di un ritorno alla crescita già dall'estate del 2012, ha posticipato "l'appuntamento con la ripresa" di un semestre. Il ritorno a variazioni positive si avrà "solo dalla primavera del prossimo anno". Per gli economisti di viale dell'Astronomia "la recessione italiana si è già concretizzata più intensa: -2,1% è l'acquisto stimato nel secondo trimestre del 2012". In pratica "ciò - si legge nel rapporto - rappresenta già il 90% dell'arretramento di quest'anno, che è previsto pari al 2,4%".

I danni della crisi economica attuale, quindi, sono gli stessi di una guerra, scatenata da "errori recenti e antichi" come "la falsificazione dei conti greci e il lungo immobilismo italiano". "Non siamo in guerra. Ma i danni economici fin qui provocati dalla crisi - ha osservato ancora Paolazzi- sono equivalenti a quelli di un conflitto e a essere colpite sono state le parti più vitali e preziose del sistema Italia: l'industria manifatturiera e le giovani generazioni. Quelle da cui dipende il futuro del Paese". L'aumento e il livello dei debiti pubblici "sono analoghi, in quasi tutte le economie avanzate, a quelli che si sono presentati al termine degli scontri bellici mondiali", ha aggiunto.

Le politiche improntate al solo rigore, a giudizio del Csc, "invece di stabilizzare il ciclo, stanno facendo avvitare su se stessa l'intera economia europea". Perciò "è indispensabile cambiare strategia, mantenendo la barra dritta sul risanamento con misure strutturali che agiscano nel tempo e che non impediscano di sostenere nell'immediato la domanda".

ITALIA - La Fornero diventa legge

Il ddl lavoro passa alla Camera, l'Ue esulta.
Mercoledì, 27 Giugno 2012 - L'Unione europea l'ha definita «un passo chiave per sostenere l'occupazione e creare opportunità di lavoro per i giovani».
La riforma Fornero è diventata legge proprio alla vigilia del vertice più importante per il Vecchio continente e Bruxelles non ha nascosto la propria soddisfazione per il tempismo con cui è arrivato il via libera della Camera: il 27 giugno Montecitorio ha detto sì con 447 voti a favore e 76 contrari, 27 gli astenuti.
L'Italia si presenta così al vertice europeo del 28 e 29 giugno con una riforma chiesta a gran voce dall'Europa e che, secondo gli addetti ai lavori, potrebbe dare la fiducia necessaria ai mercati, ancora estremamente dubbiosi sulle possibilità di ripresa dell'economia italiana.
PDL, 87 DEPUTATI NON VOTANO LA RIFORMA. Sul fronte politico, forti segnali di insofferenza sono arrivati dal Popolo della libertà: dei 209 deputati pidiellini, 87 hanno deciso di non sostenere il testo al momento della votazione. Sette si sono espressi in maniera contraria, altri 34 si sono astenuti, mentre in 46 (tra i quali Silvio Berlusconi) non hanno preso parte alla votazione.
Significativo anche il comportamento degli ex 'reponsabili': un voto contrario, nove assenti, 10 voti favorevoli; ancora più emblematici i numeri del gruppo di Grande Sud (il movimento di Micciché): nessun voto favorevole, sette astenuti, tre assenti. Nella norma le assenze tra i democratici (10), Udc (sei) e Fli (cinque).
FORNERO: «IL LAVORO NON È UN DIRITTO». POI RITRATTA. Il voto alla Camera è stato accompagnato dall'ennesima polemica scaturita dalle ennesime parole in libertà di Elsa Fornero.
Il ministro del Welfare, in un'intervista al Wall street journal, aveva dichiarato: «Il lavoro non è un diritto. Bisogna guadagnarselo, anche attraverso il sacrificio».
Bersagliata dalle critiche, ha dovuto correggere il tiro: «Il diritto al lavoro non è mai stato messo in discussione come non potrebbe essere mai visto quanto affermato dalla nostra Costituzione», ha detto. Fornero ha quindi spiegato di aver fatto riferimento «alla tutela del lavoratore nel mercato e non a quella del singolo posto di lavoro».
MOZIONE DI SFIDUCIA A FORNERO. Il ministro ora rischia qualcosa, perché la Conferenza dei capigruppo della Camera ha calendarizzato per il 4 luglio la mozione di sfiducia, presentata nei suoi confronti dalla Lega e firmata anche dall'Idv, che potrebbe convincere anche alcuni malpancisti del Pdl.
Mario Monti comunque ha confermato la sua fiducia a Fornero, assicurandole di appoggiarla e difenderla anche il giorno del voto

ART. 18, ARRIVA LA RIFORMA. Addio reintegro automatico in caso di licenziamento per motivi economici. Possibile un'indennità risarcitoria. La procedura di conciliazione, obbligatoria in questo caso, non può più essere bloccata da una malattia 'fittizia' del lavoratore. Uniche eccezioni diventano maternità o infortuni sul lavoro. Resta sempre nullo invece il licenziamento discriminatorio intimato, per esempio, per ragioni di credo politico, fede religiosa o attività sindacale. Nei casi dei licenziamenti disciplinari (giusta causa o giustificato motivo soggettivo) diminuisce la discrezionalità del giudice nella scelta del reintegro, che può essere deciso solo sulla base dei casi previsti dai contratti collettivi e non più anche dalla legge.

CONTRATTI A TEMPO. La durata del primo contratto a termine, che può essere stipulato senza che siano specificati i requisiti per i quali viene richiesto (la causale), è di un anno. Le pause obbligatorie fra uno e l'altro salgono dagli attuali 10 giorni a 20, per un contratto di meno di sei mesi, e a 30 per uno di durata superiore. Il parlamento ha ammorbidito il testo stilato dal governo.

APPRENDISTI. Arrivano norme più stringenti in materia di apprendistato, anche se il Senato ha allentato un po' i vincoli previsti dal ministro Fornero. Rimane infatti possibile assumere un nuovo apprendista, ma i contratti in media devono durare almeno sei mesi e cambia il rapporto con le maestranze qualificate.

CO.CO.PRO, DA SALARIO BASE A UNA TANTUM. Definizione più stringente del progetto con la limitazione a mansioni non meramente esecutive o ripetitive e aumento dell'aliquota contributiva di un punto l'anno fino a raggiungere nel 2018 il 33% previsto per il lavoro dipendente. Lo stipendio minimo dei co.co.co deve poi fare riferimento ai contratti nazionali di lavoro. Si rafforza l'attuale una tantum per i parasubordinati. Per esempio, chi ha lavorato sei mesi può d'ora in poi avere oltre 6 mila euro.

P. IVA, TETTO A 18 MILA EURO ANNUI. La durata di collaborazione non deve superare gli otto mesi (sei nel ddl originario); il corrispettivo pagato non deve essere superiore dell'80% di quello di dipendenti e co.co.co (75% nel ddl); il lavoratore non deve avere una postazione 'fissa' in azienda. Le partite Iva che hanno un reddito annuo lordo di almeno 18 mila euro sono considerate vere.

ASPI. La nuova assicurazione sociale per l'impiego parte nel 2013 ed è destinata a sostituire a regime, nel 2017, l'indennità di mobilità e le varie indennità di disoccupazione. Ne possono usufruire oltre i lavoratori dipendenti anche gli apprendisti e gli artisti. La contribuzione è estesa a tutti i lavoratori che rientrino nell'ambito di applicazione dell'indennità. L'aliquota viene gravata di un ulteriore 1,4% per i lavoratori a termine. Diventa possibile trasformare l'indennità Aspi in liquidazione per poter così avere un capitale e avviare un'impresa. Il lavoratore che però rifiuta un impiego con una retribuzione superiore almeno del 20% rispetto all'indennità che percepisce perde il sussidio.

JOB ON CALL, BASTA UN SMS. Per attivare il lavoro a chiamata basta un sms alla direzione provinciale del lavoro. In caso di mancato avviso l'azienda rischia da 400 a 2.400 euro di multa. Il job on call è libero per under 25 e over 55.

EQUITÀ GENERE. Norme di contrasto alle dimissioni in bianco e il rafforzamento fino a tre anni di età del bambino del regime di convalida delle dimissioni rese dalle lavoratrici madri (al momento è un anno). Viene introdotto il congedo di paternità obbligatorio ma solo per un giorno e due facoltativi, che però si sottraggono ai 20 settimane di congedo della mamma (se lei è d'accordo).

VOUCHER ASILI. Il buono babysitter per agevolare le lavoratrici nei primi mesi di nascita del figlio può essere utilizzato anche per pagare asili nido pubblici o privati.

IMMIGRATI. Sale da sei mesi a un anno la validità del permesso di soggiorno per il lavoratore extracomunitario che beneficia di interventi di ammortizzazione.

BONUS PRODUTTIVITÀ. Confermati con un emendamento del governo gli sgravi contributivi introdotti in via sperimentale per il triennio 2008-2010.

VOLI E AFFITTI. Vengono ridotte le deduzioni sulle auto aziendali e quelle sulla tassa al servizio sanitario nazionale, che si applica sulle assicurazioni Rc auto. Viene tagliato dal 15 al 5% lo sconto forfait previsto per chi dichiara con l'Irpef i redditi derivanti da affitto (non tocca chi applica la cedolare). Aumenta di due euro la tassa di imbarco aereo.


ITALIA - Voto, verso il Provincellum

Asse Alfano-Bersani sulla legge elettorale.
Giovedì, 28 Giugno 2012 - In una giornata convulsa per il governo italiano, in cui la Camera ha approvato la riforma del lavoro e in Senato è stato rilanciato l’asse PDL-Lega sull’emendamento per le riforme costituzionali, il 27 giugno a Roma si stava svolgendo un incontro segreto: quello tra i segretari di partito dei pidiellini e dei democratici Angelino Alfano e Pier Luigi Bersani.
Un vertice che ha portato a un passo dall'accordo sulla legge elettorale, in cui le nuove regole di voto hanno iniziato a essere scritte, di modo da accontentare però anche l'Udc di Pier Ferdinando Casini, sopratutto dopo le sue parole sulla ricerca di un asse con lo stesso Bersani.

COLLEGI DI RIFERIMENTO PROVINCIALI. Come l'ha definita la Repubblica rivelando dell'incontro segreto tra i due leader di partito e tirando fuori un vecchio termine, si sta scrivendo un Provincellum, un sistema misto con collegi di riferimento provinciali, appunto.
Alfano e Bersani si sono incontrati dunque, ma per parlare non solo di legge elettorale, comunque piatto forte del vertice a Roma, ma anche della delicata situazione poltica attuale, con il vertice a Bruxelles in avvio proprio il 28 giugno e il sostegno al governo Monti necessario (l'hanno riconosciuto entrambi). Anche e soprattutto se con l'Ue dovesse andare male.

50% liste bloccate e 50% collegi uninominali


Al centro del gabinetti per pochi comunque, il Provincellum. Già Silvio Berlusconi aveva preannunciato all'incontro con i Giovani del Pdl a Fiuggi che l'intesa era vicina, tra due forze politiche antitetiche.
In particolare grazie al lavoro preparatorio dei così detti sherpa dei due partiti che hanno spianato il più possibile il percorso impervio, per approvare la legge entro fine luglio. Sebbene l’ingorgo parlamentare generato dai tredici decreti del governo renda l’impresa assai ardua.
ELETTO CHI HA I MIGLIORI QUOZIENTI. Poco tempo per una proposta il più possibile semplice e che metta in accordo tutti: il 50% di liste bloccate, com’è attualmente, e un altro 50% con il Provincellum, ovvero collegi uninominali ma con elezione di coloro che hanno i migliori quozienti, in una sorta di ripartizione proporzionale.
Molti i punti ancora da definire, a partire dalla stessa percentuale 50-50. Di certo però c’è che il Pd non rinuncerebbe a una quota larga di collegi uninominali.
I CENTRISTI VOGLIONO LE PREFERENZE. In più, i centristi hanno molte resistenze e le stanno ancora facendo valere: per l’Udc andrebbe meglio un sistema in cui ci sono le preferenze.
Sembra che Alfano ce la stia mettendo tutta, comunque.
All’ultimo vertice ABC, quello convocato da Mario Monti a sorpresa, il segretario del Pdl l’aveva d'altra parte assicurato a Bersani e a Casini: «Non ci impantaneremo, la volontà di cambiare il Porcellum c’è davvero». E se il vertice a Bruxelles dovesse andare male, la riforma della legge elettorale subirebbe un'accelerata politica non da poco.

martedì 26 giugno 2012

ITALIA: SIAMO SOCIALISTI E NON CI NASCONDEREMO

Roberto Biscardini dall’Avanti della Domenica del 24 giugno 2012

Nella pericolosa incertezza del momento, Bersani ha proposto un “Patto dei democratici e dei progressisti” e primarie aperte tra coloro che condivideranno quel patto.
Qualcosa di più delle primarie del PD e qualcosa di meno delle primarie di coalizione.
D’altra parte stabilire coalizioni senza ancora conoscere la legge elettorale non è facile, ma fermi non si può stare.
Con ciò ha spiazzato gli alleati e le sue correnti interne. E pur ammettendo che ci sono ancora “molte contraddizioni” ha deciso di dettare i tempi. Una sorta di guerra preventiva, obbligando coloro che vorranno correre contro di lui a tirare fuori le carte.
Non a caso, la vera notizia non è stata “il PD fa le primarie”, ma “Bersani si candida”, “per mettere in movimento la forza dei progressisti e non lasciarla spettatrice di acrobazie altrui”.
Il patto verrà proposto ai “Partiti di un centrosinistra di Governo”, ma anche ad associazioni, liste civiche, sindaci e amministratori, eccetera.
Un modo per presentare da subito un profilo chiaro e di governo, e obbligare gli altri a fare chiarezza. Il PD, che ha dato prova di responsabilità dando il via libera al governo Monti, sa di non poter tornare indietro, ma deve fare chiarezza a sinistra. Soprattutto con IDV e SEL che, pur per calcoli politici diversi, sono all’opposizione del governo, ma con un piede mezzo dentro ed uno mezzo fuori dalla coalizione. Altro che foto di Vasto.
Il PSI invece la fiducia al governo l’ha votata e sta nel centrosinistra con cultura di governo da sempre.
Il documento di Covatta e Nencini, in occasione del 120° anniversario della Fondazione del PSI, fa giustizia di alcune nostre incertezze. In sintesi. Nel contesto della crisi economica internazionale riprende il suo ruolo il socialismo europeo, il secolo socialdemocratico non è morto. Occasione buona per superare l’anomalia italiana rispetto alla dialettica politica europea, superando quel bipolarismo agonistico tra una destra e una sinistra immaginarie, incarnate da soggetti dall’identità confusa. La profondità della crisi, dopo decenni di assoluta distanza, riavvicina, anzi fa coincidere l’identità socialista con la necessità di politiche socialdemocratiche. Quindi l’appello: “In questa prospettiva è decisivo che le forze della sinistra democratica e riformista si uniscano fra loro e si riconoscano finalmente nel Partito del socialismo europeo senza ulteriori ambiguità”. Non è un ultimatum, ma un giusto e adeguato appello politico.Che implica alcune cose. Prendere atto oggi, con maggiore forza di ieri, che se abbiamo difeso il socialismo, in tutti questi anni, non lo abbiamo fatto per nostalgia del nostro passato, ma perché crediamo nella sua capacità di rinnovarsi e rispondere concretamente agli obbiettivi di giustizia sociale e libertà che sono parte della sua storia e quindi del suo presente.
Negli ultimi decenni in Italia, ma anche nel resto del mondo, il socialismo è stato spesso dipinto come un “relitto inutilizzabile del passato”. E la nostra voce “pregiudizialmente irrilevante”, come dice Alberto Benzoni in una lettera aperta pubblicata su queste pagine domenica scorsa. Insomma raffigurati o come i ladri di tangentopoli o come vecchi statalisti socialdemocratici contro il mercato e contro la modernità.

Un modo sbrigativo finora, per rendere la parola prima odiata e poi superata.Ma non è così nel giudizio generale dell’opinione pubblica. I maggiori sondaggisti confermano che la rilevanza politica di un partito è data dalla originalità (distintività) delle sue proposte politiche concrete e dalla forza (visibilità) con la quale queste proposte sono sostenute dal suo gruppo dirigente. Come dire, per quanto ci riguarda, non è la parola socialista che non tira, ma la difficoltà di associare la parola, quindi il PSI, a precise proposte politiche, esclusive, ritenute interessanti per almeno una parte dell’elettorato. Cosa non semplice, certamente, fuori dal parlamento, ma è questa una valutazione che ci consente comunque qualche passo avanti e, anche per l’immediato, qualche semplice considerazione.
Non si può avere la tessera in tasca del PSI e non far valere la nostra soggettività e la necessità di più socialismo per la società. D’altra parte non possiamo chiedere consensi per il solo fatto di essere socialisti (questo vale sia a livello nazionale che a livello locale), se non caratterizziamo la nostra azione intorno a poche proposte, riconoscibili e ricevibili.
Il collegamento ai programmi concreti dei socialisti europei per superare la crisi rappresenta il nostro vero valore aggiunto. Un valore politico molto maggiore del nostro peso elettorale, assolutamente utile a quel che resta della coalizione e anche al PD.
Nelle prossime settimane il partito deciderà se presentare un proprio esponente politico, il segretario nazionale, alle primarie aperte. Qualunque scelta si farà, sarà politica e motivata. Ma una cosa è certa, qualunque sia la decisione, dovremo mettere in campo il nostro essere socialisti, il socialismo europeo e le nostre proposte socialiste. Da questo campo non potremo muoverci. Sia nel caso si decidesse di presentare le nostre proposte come “alternative” a quelle di Bersani, sia nel caso si decidesse di schierarci con lui, sostenendo la sua leadership di governo come quella più credibile per costruire una sinistra democratica nella prospettiva del socialismo europeo.

ITALIA - Crisi e diritti negati: aumentano debiti e suicidi, in calo risparmi e mutui

I debiti aumentano, i risparmi diminuiscono, la crisi economica morde. Sono aumentate in 9 anni le persone che si sono tolte la vita per motivi economici. I mutui se li possono permettere sempre meno persone, la disoccupazione cresce, il 50,8% delle pensioni non arriva a 500 euro al mese, l’1% del salario se lo mangia l’inflazione. Il tutto mentre ‘i ricchi diventano sempre piu’ ricchi’. E’ un’Italia di ‘diritti negati’ e di ‘disuguaglianze’ quella fotografata dal Rapporto dei Diritti globali 2012 ‘La Grecia e’ vicina’, presentato ieri a Roma. “La prima vittima della crisi economica sono i diritti”, avverte Sergio Segio, curatore del rapporto. Per contrastarla “serve un’alternativa dal basso”, sulla scia degli Indignados e di Occupy Wall Street. Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, chiede al governo Monti di non sacrificare il welfare e ribadisce l’impegno del sindacato nella difesa dei diritti e nella “definizione di un nuovo piano del lavoro”.
RISPARMI IN CALO, DEBITI IN AUMENTO – Nel 2010 si sono prodotti 10 euro di risparmio ogni 100 euro. In rapporto, nel 1990 se ne potevano produrre 23. Solo il 28,6% dei giovani under 35 riesce a risparmiare qualcosa, mentre le rimesse degli immigrati scendono del 13% tra 2009 e 2010. I debiti invece aumentano: dell’1% in generale, del 6% nel caso dei mutui, a cui possono accedere sempre in meno (erano il 62% degli italiani nel 2004, il 48% nel 2011). Considerando poi l’aumento annuo delle retribuzioni orarie (+1,8%) nel 2011 e il livello di inflazione (+2,8%) “si arriva all’1% di salario mangiato dall’inflazione, il valore peggiore dal 1995″. “Questa crisi – ha commentato il presidente dell’Arci, Paolo Beni – ci fa capire che bisogna cambiare rotta”.

PER ISTAT 15,6% L’ITALIANO E’ POVERO – Ma secondo gli indicatori di poverta’ europei la percentuale e’ del 24,5%. Aumenta il numero delle persone senza dimora, il 79% delle pensioni non supera quota 1.000 euro, i pensionati co.co.co. vivono con 121 euro al mese. “Il 36% dei giovani e’ disoccupato, tre milioni sono precari – osserva Segio – e 2 milioni non studiano ne’ cercano lavoro”. Gli appelli alla famiglia care giver, si legge nel rapporto, appaiono ‘ipocriti e deboli’ e ‘le politiche sociali a favore di nuclei familiari sono ridicole’, tanto che ‘l’Italia e’ al 25/mo posto per gli investimenti in spesa sociale a sostegno della famiglia’. L’Isee, con la riforma, e’ ‘destinato a diventare piu’ selettivo’ ai danni dei disabili e degli anziani non autosufficienti, mentre ‘cresce la quota di compartecipazione’ alla sanita’ (nel 2012 si pagano 2,18 miliardi di euro in piu’ di ticket rispetto al 2011) e ‘cala l’accesso universalistico alle cure’.

AUMENTANO SUICIDI PER MOTIVI ECONOMICI – Erano il 2,9% nel 2000, sono arrivati al 10,3% nel 2009, afferma Segio. Si tratta di persone che hanno perso il lavoro o che comunque non riescono a trovarlo, ma cresce anche il numero degli imprenditori e lavoratori autonomi che si arrendono.

I RICCHI DIVENTANO SEMPRE PIU’ RICCHI – Tra la meta’ degli anni 80 e la fine dei 2000 il 10% della popolazione italiana piu’ ricca ha visto una crescita di reddito pari all’1,1% (media Ocse 1,9%), mentre il 10% piu’ povero dello 0,2% (1,3%): nel 2010, secondo l’Istat, il 20% piu’ ricco detiene il 37,2% della ricchezza, mentre il 20% meno abbiente l’8,2%.

IL SETTORE BELLICO NON CONOSCE CRISI – L’Italia, conclude Segio, nel 2011 e’ arrivata a una spesa militare annua di circa 26 miliardi di euro, quanto una manovra fiscale, ed e’ uno dei paesi europei che meno ha ridotto il peso delle spese militari in rapporto al Pil nell’arco di vent’anni.