Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


domenica 24 giugno 2012

DALAI LAMA - Forza tranquilla

Il piccolo leader che imbarazza l'Occidente.
L'ultimo piano per ucciderlo è emerso a maggio: una donna era stata addestrata dalla Cina per avvelenarlo.
Con gli occhi sorridenti e la corporatura minuta, il 14esimo Dalai Lama riesce da solo a mettere in crisi una dittatura che è anche la seconda potenza economica globale.
Nonostante sia privo di Stato e di poteri riconosciuti è uno degli uomini più temuti della Terra. Capace anche di mettere in difficoltà il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, già alle prese con le grane dell'Expo.
LA BANDIERA DEI DIRITTI UMANI. Avvolto nella tonaca rossa e arancione, questo piccolo 77enne incarna contemporanemante il Bodhisattva della Compassione e il lato oscuro dell'impero del Dragone. Le censure, le violazioni dei diritti umani, il pugno di ferro del regime, sembrano iscritte sulla sua carne, marchiate con quel fuoco in cui tanti monaci buddhisti hanno trovato disperatamente la morte. A ogni viaggio le porta addosso, nei corridoi degli areoporti, nelle strade polverose delle metropoli del Sud del mondo e sotto i riflettori dei media occidentali.
IL NEMICO NUMERO UNO. Altri hanno sfidato Pechino, da Taiwan alla minoranza musulmana degli Uiguri, ma solo l'Oceano di Saggezza (uno dei tanti nomi del Dalai Lama) è considerato dalla Cina così profondamente pericoloso. Per l'attivismo e per la sua “statura” – questa sì elevata – politica e culturale. Nel corso della sua “missione” ha visitato 62 Paesi, ricevuto 84 riconoscimenti internazionali e scritto più di 72 libri.
Salito al trono tibetano prima di aver compiuto i quattro anni di età, con la stessa semplicità di bambino continua a denunciare le prevaricazioni dell'Impero celeste e a sfidarne la potenza sotto gli occhi del mondo.

La battaglia contro Mao Tze Tung


Avrebbe potuto restare a coltivare i campi nel piccolo villaggio di Takster, in una casa con le tegole azzurre dove, ancora infante, viveva con i genitori. Invece, una commissione di monaci lo cercò, pagò un riscatto al signore della guerra locale, regalò alla famiglia un titolo nobiliare e ettari di terreno agricolo e lo portò sul trono di Lhasa. Avevano avuto una visione: lui era il predestinato. Così dimenticò il suo nome d'origine, Lhamo Dondrub, e per tutti divenne il 14esimo Dalai Lama, la Gemma del desiderio realizzato.
IL TIBET ASSOGGETTATO. Aveva solo 15 anni quando, nell'ottobre 1950, la Cina di Mao Tze Tung invase il Tibet, Stato indipendente dal 1912. Con la dominazione cinese, iniziò anche il suo governo effettivo.
Nel 1954, nemmeno 20enne, affrontò faccia a faccia il “presidente Mao” e i funzionari del Partito comunista, tra cui il futuro presidente Deng Xiao Ping. Ma perse. Pechino impose un Trattato di Liberazione in 17 punti con cui il Tibet veniva formalmente assoggettato alla Cina.
IL DOTTORATO IN FILOSOFIA. Nel frattempo, nell'attesa di prendere il potere, Sua Santità aveva seguito un lungo corso di studi. Sui libri aveva appreso la cultura e l'arte tibetana, la logica, il sanscrito, la medicina. E soprattutto la filosofia buddhista. Poi ancora musica, teatro, poesia, retorica e anche astrologia.
A 23 anni, superò l'esame finale previsto dalla tradizione: nel tempio di Lhasa, tra le preghiere dei suoi sudditi, fu insignito del titolo corrispondente al dottorato in Filosofia. Quella fu l'ultima volta che la Capitale lo festeggiò.
LA FUGA SULLE MONTAGNE. Nel marzo del 1959, all'ennesima repressione cinese, il Dalai Lama scappò sulle montagne e superò i confini della Cina, per trovare rifugio a Dharamsala, in India, sotto la protezione del governo socialista di Jawaharlal Nehru. Quasi 100 mila tibetani lo seguirono in esilio.
Da allora la sua missione è stata quella di testimoniare la causa del Tibet nel mondo, denunciando l'occupazione cinese e la repressione della sua cultura: per molti è un vero rivoluzionario, per Pechino solo un secessionista da eliminare.

Una fine strategia politica


L'attivismo del Dalai Lama ha raccolto alcuni risultati rilevanti. Primo capo di Stato tibetano a viaggiare in Occidente, tra il 1959 e il 1961 è risucito a far approvare alle Nazioni Unite ben tre risoluzioni in favore del suo popolo.
Nel 1987 propose al Congresso degli Stati Uniti un piano di pace in cinque punti. Nel programma spiccava la richiesta di mettere fine alla politica di ripopolamento del Tibet da parte dell'etnia maggioritaria cinese, gli Han. Due anni dopo, nel 1989, ricevette il premio Nobel per la Pace.
LA DEMOCRATIZZAZIONE DEL TIBET. Fine pensatore, la guida spirituale ha capito che per mettere in evidenza le contraddizioni del suo avversario doveva aprire alla democratizzazione sul fronte interno e ammorbidire le richieste nei confronti del regime cinese.
Fino al 1963, il Tibet era una teocrazia di stampo medievale. In quell'anno il Dalai Lama presentò un bozza costituente che prevedeva riforme istituzionali e amministrative, una sorta di statuto dell'età moderna che fissava i diritti civili fondamentali: dalla libertà di parola a quella di movimento.
Alla prima apertura, seguì, nel 1990, la riforma del gabinetto di governo. Recentemente la guida spirituale ha anche annunciato di voler rinunciare al potere e di sognare un vero sistema democratico in Tibet.
Nei confronti della Cina, invece, il leader tibetano è passato dalle richieste di indipendenza a quelle di semplice autonomia, accettando quindi di restare sotto la stella rossa di Pechino.
DA HOLLYWOOD AL VATICANO. L'impegno internazionale per la causa tibetana l'ha trasformato in un personaggio mediatico. Ha camminato a fianco di stelle hollywoodiane come Barbra Streisand e Richard Gere, mentre con la politica la sua fortuna è stata più alterna.La moglie di François Mitterand, Danielle, gli aprì per prima le porte dell'Eliseo, facendo scoppiare un caso diplomatico con il Dragone. Incontrò più volte papa Woitjla, mentre nel 2007 Ratzinger decise di evitarlo, così come fece il primo ministro italiano Romano Prodi. Tutti avevano paura della reazione della Cina.
La sua fama ha alimentato critiche e leggende: qualcuno lo definisce un agente della Cia, utilizzato per combattere Pechino. E gli americani, di certo, hanno sempre avuto a cuore il destino del Tibet. Ma non tanto da osare sfidare la Cina, riconoscendogli ufficialmente lo status di capo di Stato. Un po' come il sindaco progressista di Milano. (Giovanna Faggionato)

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