Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


lunedì 18 giugno 2012

NIGERIA - Trattare o morire

Contro gli attentati una strada: scendere a patti con gli islamici.

di Gea Scancarell
Lunedì, 18 Giugno 2012 - L’attacco alle chiese cristiane, in Nigeria, sta diventando un macabro rituale domenicale. Da mesi gli episodi si ripropongono con la stessa puntualità della Messa, tra fedeli sempre più spaventati e terroristi sempre più sprezzanti della vita.
Nell'ultima serie di attentati rivendicati dalla setta di Boko Haram  (letteralmente: «L’educazione occidentale è sacrilega»), il 17 giugno, non è stato nemmeno possibile conteggiare con esattezza le vittime: le stime approssimative parlano di 52 morti e 74 feriti, tra cui molti bambini.
L’escalation riporta alla mente le parole di diversi analisti che, in tempi non sospetti, avevano anticipato che il fronte caldo della lotta al terrorismo si sarebbe spostato dal Medio Oriente all’Africa.
LA PAURA NERA. Nelcontinente nero la situazione è tesa sia in Somalia, dove sono all’opera gli Shabaab, sia nel Sahara, dove opera Aqmi, la cellula locale di al Qaeda famosa soprattutto per i rapimenti degli stranieri, tra cui l'italiana Rossella Urru.
Ma la Nigeria conquista il triste primato della frequenza degli attentati. Non si può parlare ancora di una minaccia globale, coma la rete del terrore del defunto sceicco Osama bin Laden. Ma non è detto che non ci si arrivi. Con minacce concrete per i cristiani della zona e per tutto il Mediterraneo.
«Boko Haram può crescere e acquisire un maggior peso politico in caso di radicalizzazione dello scontro», ha spiegato Simone Comi, analista di Affari internazionali del Centro formazione politica. «A quel punto, il salto di qualità verso il terrorismo vero e proprio sarebbe da considerarsi più probabile».
DOMANDA. Eppure cristiani e musulmani in Nigeria hanno convissuto per decenni. Cosa è cambiato?
Risposta.
Non credo che sia cambiato qualcosa: gli scontri nel Nord del Paese sono il risultato dell’esacerbazione di una situazione pregressa che è peggiorata fino a portare a quanto stiamo vivendo in questi giorni.
D. Quale è la situazione?
R. La corruzione dilagante, le pesanti condizioni di sottosviluppo in cui vive la popolazione negli stati del Nord e la frustrazione nei confronti del governo sono state le condizioni di partenza su cui si sono innestati gruppi estremisti e radicali capaci di colpire duramente obiettivi di per sé esposti e poco protetti.
D. Boko Haram è la nuova al Qaeda?
R. Sebbene siano stati rilevati contatti tra le due organizzazioni, difficilmente Boko Haram sarà la nuova al Qaeda. In primis perché non ci sono target internazionali nel mirino degli attentatori facenti capo a questa formazione.
D. Quindi quale è l’obiettivo dei terroristi?
R. La leadership spirituale della Nigeria è contesa tra il Sultanato del Sokoto, l’Emirato di Borno (due dei 36 Stati che compongono il Paese, ndr) e Boko Haram. Le prime due sono formazioni fautrici del rispetto delle istituzioni e della convivenza pacifica con la maggioranza cristiana, l’ultima è massimalista. Una peculiarità che rende Boko Haram capace di affascinare i giovani disillusi che vivono nelle zone più povere nel Nord.
D. La Nigeria ha eletto nel 2011 un presidente cristiano. Che strumenti ha per combattere l’eccidio?
R.
Non molti. Le uniche vie percorribili sono la repressione dura e il negoziato. Ma la prima, già dimostratasi fallimentare nel recente passato, potrebbe portare alla guerra civile e condannare il Paese al caos.
D. Allora per fermare le stragi bisogna sedersi e trattare con Boko Haram?
R.
Sì, il negoziato sembra al momento l’unica opzione credibile. Ci vuole però la volontà di tutte le parti in causa e al momento Boko Haram non sembra essere disposta a sedersi e trattare.
D. Quindi?
R.
Il Sultanato del Sokoto e l’Emirato di Borno potrebbero farsi garanti dei negoziati con il gruppo radicale. Ma, prima di ogni altra promessa, devono essere realizzate alcune riforme istituzionali che garantiscano maggiore equilibrio tra i poteri dello Stato federale e le autonomie degli Stati, con programmi che portino a una migliore redistribuzione della ricchezza.
D. Quindi la guerra religiosa ne nasconde una economica?
R. Non si può parlare di matrice esclusivamente religiosa. Quanto sta succedendo, inclusa la proliferazione di gruppi estremisti, è il frutto del sottosviluppo economico e sociale del Nord.
D. L’Occidente potrebbe intervenire per fermare la mattanza?
R.
No. Primo perché Unione Europea e Stati Uniti - l’Occidente cristiano - sono alle prese con problemi contingenti che occupano le diverse leadership. L’Unione Europea è ancora impegnata a cercare una formula di condanna degli attentati. Mentre qualche stato membro, Italia in primis, spinge affinché venga discussa nel prossimo consiglio degli Affari Esteri della Ue la tutela delle minoranze religiose.
D. E gli Usa? L’America è intervenuta in Somalia contro gli Shabaab.
R.
Casa Bianca e dipartimento di Stato stanno mantenendo un atteggiamento piuttosto prudente: Boko Haram non è stato inserito nella lista delle Organizzazioni terroristiche straniere. Un’eventualità che costringerebbe Washington a fare pressioni a livello internazionale per isolare il gruppo.
D. Il Vaticano starà a guardare mentre i cristiani vengono massacrati?
R.
Potrebbe esercitare pressioni diplomatiche, ma penso sia difficile che la Santa Sede chieda di prendere misure forti contro i gruppi terroristici islamici.
D. Esiste il rischio di un’Africa islamizzata?
R.
No, è una semplificazione troppo facile, se non una mistificazione: è bene non dare per scontata la vulgata comune che vuole l’Africa in mano agli estremisti islamici o a formazioni radicali. Ogni Paese ha una storia a sé e differenti condizioni economiche, oltre che classi politiche a volte profondamente differenti.
D. Ma alcuni cambiamenti, in peggio, ci sono stati.
R. L’attuale situazione in Africa deve essere affrontata con prudenza in quanto caratterizzata da un’estrema fluidità.
D. Potrebbe diventare il prossimo fronte caldo della lotta al terrorismo?
R. Sì, ma non dimentichiamoci che il continente è ricco di risorse naturali. A Washington e Pechino ne terranno conto in fase di definizione della politica estera.
D. Cioè?
R. Si è propensi a credere che entrambi cercheranno, ognuno con modi e motivazioni differenti, di favorire la stabilizzazione di un’area che potrebbe altrimenti divenire in via definitiva un rifugio naturale per gruppi radicali e terroristici.

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