Wolfgang Munnchau 25 giugno 2012 FINANCIAL TIMES Londra
Provate a immaginare che sia già
giovedì prossimo. È sera e al vertice dei capi di stato del Consiglio europeo
il primo ministro italiano si alza in piedi e si rivolge ai presenti in questi
termini: “Signor presidente, cari colleghi, ci troviamo davanti a una scelta
facile. Oggi possiamo salvare l’euro e gettare le fondamenta per una futura
unione politica, oppure possiamo bocciare tutto e fallire. Noi tutti sappiamo
bene quello che bisogna fare per salvare l’euro: ci occorre assolutamente
un’unione bancaria per la Spagna, un’unione fiscale per l’Italia e un’unione
politica per la Germania.
Naturalmente potremo dissentire sui
dettagli, ma questo fine settimana dovremo comunque metterci d’accordo su
alcune divergenze e prendere una decisione sui provvedimenti da intraprendere
adesso. Le politiche che abbiamo varato per risolvere la crisi sono fallite,
più e più volte. Adesso abbiamo bisogno di qualcosa che funzioni. E subito. Se
non ci riusciremo, vi garantisco che non potrò più far parte di questo consesso
e che il mio paese uscirà da questo progetto”.
Lasciate che premetta, innanzi
tutto, che non mi aspetto che Mario Monti dirà veramente queste cose, neppure
in una versione più criptica. Monti è a capo di un governo tecnico e il suo
compito consiste nel mettere a posto le cose. Tener testa alla cancelliera
tedesca – oltretutto mettendosi in mostra, come direbbero alcuni – e ancora
meno scommettere sul futuro dell’Italia, non rientra tra le sue responsabilità.
I partiti politici italiani lo hanno designato perché avevano bisogno che al
playboy subentrasse un idraulico, non un giocatore d’azzardo. E l’ultima cosa
al mondo che desideravano era un leader.
Credo che vi siano i presupposti per
una scommessa calcolata, ma se ne devono comprendere fino in fondo rischi e
benefici. Il punto non sta tanto nel costringere Angela Merkel a venire allo
scoperto con le proprie carte, come pretendono alcuni dei miei amici italiani e
spagnoli. Angela Merkel non sta bleffando, anche se una disgregazione della
zona euro sarebbe evidentemente disastrosa per la Germania. Joschka Fischer, ex
ministro degli esteri, ha detto di recente che consentendo alla zona euro di
disgregarsi la Germania infliggerebbe per la terza volta in un secolo una
devastazione spaventosa all’Europa e a se stessa.
Chi cerca di scoprire il gioco della
Germania spesso immagina un livello di razionalità del tutto inesistente. I
tedeschi hanno sviluppato una concezione alquanto strana della crisi: seguendo
il dibattito in corso in Germania – come io faccio sistematicamente – se ne
ricava l’impressione di un universo parallelo. Per esempio, lì si nega
categoricamente che le eccedenze delle partite correnti possano esserne –
seppur in modo remoto – una causa. Nell’interpretazione tedesca dei fatti,
l’economia è equiparabile a una partita di calcio, che la Germania sta
vincendo. E compito della cancelliera è sostenere una squadra contro un’altra,
come ha fatto a Danzica venerdì scorso, quando la nazionale tedesca ha sconfitto
la Grecia. La Germania, al pari della signora Merkel, sembra inarrestabile.
L’esiguo numero di dirigenti capaci
e l’élite economica capiscono qual è la posta in gioco, ma sono disposti a
correre il rischio di un incidente. La salvezza dell’euro non è il loro
obiettivo primario.
Quando Otmar Issing, ex capo
economista della Banca centrale europea, respinge categoricamente qualsiasi
forma di rateizzazione del debito, come ha fatto in un recente articolo sulla
stampa, omette di riportare ciò che accadrebbe se il governo dovesse seguirne i
consigli: la zona euro si dissolverebbe.
Quando arriveranno pressioni in
questo senso, arriveranno dall’Italia. La settimana scorsa Silvio Berlusconi ha
detto in modo alquanto inquietante che un’uscita dall’euro non sarebbe da
considerarsi “blasfema”. Ha prospettato una scelta molto semplice: o l’Italia
riceve aiuti in extremis con il bailout e la Germania esce dalla zona euro,
oppure esce l’Italia. A me sembra quasi che Berlusconi stia preparando il suo
partito a far campagna in vista delle prossime elezioni a colpi di
euroscetticismo, per respingere la sfida proveniente dal Movimento Cinque
Stelle e dal suo leader Beppe Grillo. Si dice che Berlusconi abbia studiato i
suoi discorsi e i suoi interventi scritti nei minimi dettagli. In pratica,
stiamo assistendo al processo in virtù del quale una posizione anti-euro può
diventare dominante.
La giusta
posizione
Quando ciò accadrà, potrebbe essere
troppo tardi per salvare l’euro. I leader della zona euro hanno avuto oltre tre
anni per agire, ma li hanno sprecati. A livello individuale saranno anche
persone intelligenti, ma in gruppo hanno evidenziato un livello incredibile di
incompetenza economica e finanziaria. Ricordate il concetto di contrazione
fiscale espansionistica? Oppure la balzana idea di speculare sul Fondo
salva-stati? O ancora quella di salvare in extremis gli investitori privati su
base volontaria? Crediamo davvero che siano queste le persone in grado di fare
in un solo giorno ogni cosa in modo giusto, quando per tre anni di fila non ne
hanno imbroccata una?
L’unica speranza è che qualcuno
dall’interno se la senta di sfidare Angela Merkel. Questo sfidante dovrebbe
porre il veto a qualsiasi fandonia dell’ultima ora che verosimilmente sarà
proposta giovedì. Come può essere plausibile un’unione politica in futuro se
oggi non riusciamo a salvare l’euro? Siamo arrivati al nostro mezzogiorno di
fuoco.
Nessuno più del premier italiano è
nella giusta posizione per contrastare Angela Merkel. È Monti l’ultimo insider
europeo. È intelligente ed eloquente. Nella lista dei paesi attaccati dai
mercati, il suo è il prossimo. E l’Unione europea non ha un piano “B”.
Una minaccia di dimissioni sarebbe
plausibile e spaventerebbe molte persone. In ogni caso, che cosa avrebbe da
perdere? Il consenso di cui gode nei sondaggi è sceso e sta perdendo anche
parte dell’appoggio all’interno della sua coalizione. Soltanto dicendo la
verità al potere, Monti potrà salvare il proprio paese, e l’euro.
Consiglio
europeo - Preparativi frenetici per il “vertice
dell’ultima spiaggia”
A tre giorni dal
Consiglio europeo di Bruxelles del 28 e 29 giugno, definito dagli osservatori
“decisivo” per il futuro dell’euro, proseguono i preparativi e si intensificano
gli incontri tra i protagonisti. Dopo aver partecipato il 22 giugno al “mini
vertice” di Roma tra Italia, Germania, Spagna e Francia, il 25 giugno François
Hollande si è incontrato a Parigi con Mario Draghi. Il presidente della Banca
centrale europea cercherà di convincere Hollande della necessità di un’unione
bancaria e di una maggiore integrazione politica. La missione di Draghi si
annuncia difficile, perché come spiega La Stampa:
se gli altri [leader]
non riusciranno a prendere decisioni efficaci [durante il vertice del 28 e 29
giugno], i cocci li dovrà rimettere insieme lui.
Anche se i mercati
sembrano convinti che Draghi troverà una soluzione
dentro la Bce diventa
sempre più difficile compiere nuove mosse senza che i tedeschi della Bundesbank
– ripetutamente rimasti in minoranza negli ultimi mesi – facciano conoscere
all’esterno il proprio dissenso, con perdita di prestigio per tutti.
Mercoledì 27 Hollande
riceverà a Parigi Angela Merkel. Con la cancelliera tedesca “le divergenze sono
ancora forti”, sottolinea Les Echos.
Il quotidiano
francese ricorda che “è sul terreno della solidarietà che Hollande cercherà di
ottenere concessioni da Angela Merkel”, che resta “ostile all’idea di un grande
balzo in avanti istituzionale”.
Il presidente
francese ha rinunciato a mettere sul tavolo del negoziato gli eurobond, ma
conta di convincere la cancelliera ad accettare altre forme di mutualizzazione
del debito, che si tratti di eurobills [obbligazioni a breve scadenza], di un
fondo di ammonizzazione del debito o della possibilità di consentire al fondo
di salvataggio europeo di acquistare titoli di debito di paesi in difficoltà
per contrastare il rialzo dei tassi.
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