In questi mesi i
socialisti sono rimasti coerenti con quella impostazione arrivando a
formalizzare, nelle scorse settimane, un sostegno “limitato”, scegliendo di
volta in volta in base alle proprie convinzioni il voto favorevole o contrario.
Nel frattempo, prima sottovoce poi più esplicitamente, si è aperto un dibattito
anche nel Partito Democratico, con Fassina che suggerisce di “verificare
rapidamente se esiste la possibilità di riformare la legge elettorale e, se
questa non c’è, considerare la possibilità di anticipare la legge finanziaria
per il 2013 e votare in autunno” poiché “in questo contesto politico e
con questo Parlamento, Monti non ha la forza di portare avanti altre riforme”.
Una considerazione
quasi disarmante nella sua semplicità che ha avuto il merito di aprire uno
squarcio in quel velo di ipocrisia che accompagna il Governo sin dalla sua
nascita. Un Governo di cui nessuno, tranne il solo Casini, rivendica la
paternità, che pure in questi mesi ha adottato provvedimenti molto lontani
dalle proposte della sinistra e dei riformisti. La previsione di una IMU
pesantissima anche sulla prima casa, l’innalzamento dell’Iva al 21 e poi al
23%, la compressione dei diritti dei lavoratori in materia di licenziamenti,
l’assenza di qualunque iniziativa per tassare i grandi patrimoni hanno
culturalmente allontanato il Governo dalle forze più progressiste e (sicuri sia
un caso?) anche dal consenso popolare, pressoché dimezzato nel giro di sei
mesi.
Era dunque naturale
che con l’avvicinarsi della scadenza elettorale i partiti della sinistra,
seguendo anziché anticipando gli umori dei cittadini elettori, cominciassero ad
interrogarsi fino a che punto è sostenibile un Governo di banchieri,
accademici, qualche furbetto e tanto ben visto Oltretevere e quanto ne siano
condivisibili le scelte economiche e sociali. Il rischio Borse e Spread non può
rappresentare un alibi per nessuno: se dopo i fallimenti berlusconiani e le
controriforme montiane il Pd e la coalizione che si candida a governare il
paese non pensa di poter fare di meglio allora forse è davvero giusto che
questa classe politica vada a casa e ci si affidi per i prossimi lustri ai
tecnici. Ma non è questo il bene per l’Italia.
Marco Di Lello
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