Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


mercoledì 23 ottobre 2013

ITALIA - Femminicidio: qualche dato in barba alla moda del momento

Il governo ha approvato l’8 agosto il decreto legge in 12 articoli per dare alle donne vittime più sicurezza e agli uomini violenti pene più severe. Il decreto prevede, tra le altre cose, che il marito violento venga “buttato fuori di casa”. Il virgolettato è d’obbligo dato che la frase è del presidente del consiglio, Enrico Letta.

Sicuramente una legge di questo tipo è sinomimo di un Paese civile che ha sufficiente sensibilità per capire che no, uomini e donne, alla fine, dopo tante battaglie, tante recriminizioni e chilometri di manifestazioni, non sono uguali. Con buona pace delle femministe che si sono battute per decenni per la parità. Ma forse pensavano a una parità spontanea.

Un Paese, che è bene ricordarlo, ha abrogato le leggi sul delitto d’onore (che riconoscevano le attenuanti per chi ammazzava la moglie traditrice) nel 1981 (legge n. 442 del 5 agosto).

Si sperava che, con il tempo, uomini e donne si rispettassero in quanto esseri umani (evitando di demonizzare un genere: fino a trent’anni fa le donne, traditrici cattive). Letta ha detto che il governo ha dato un “chiarissimo segnale di contrasto e di lotta senza quartiere al triste fenomeno del femminicidio“.

Pur restando il fatto che più sicurezza per le (potenziali) vittime e più certezza della pena per i (potenziali) colpevoli è un enorme e civile passo avanti, il presidente del consiglio, probabilmente, non si è soffermato sulle statistiche. E’ infatti stato appena pubblicato l’ultimo rapporto sull’omicidio volontario in Italia da parte di Eures-Ansa.

Il femminicidio, un tema che fa vendere

Oppure le conosce, ma dato che l’argomento “tira”, “fa vendere”, allora meglio cavalcare l’onda. Angelino Alfano, nella conferenza stampa di Ferragosto, in definitiva ha anche lui cavalcato l’onda parlando di stalking e femminicidi (il 30% degli omicidi, naturalmente volontari, che sono cosa ben diversa dai colposi e dai preterintenzionali).

Il dato che emerge dal Rapporto Eures-Ansa parla di 526 omicidi volontari nel 2012 (di cui oltre il 50% premeditato) con un totale di 367 maschi e 159 femmine (il 30,2%). Alfano ha parlato di 505 omicidi totali, ma diciamo che siamo più o meno nei numeri giusti. Quello che in tutto questo manca è il pregresso.

Un morto, anzi no, una strage, una carneficina

Quanti erano gli omicidi? Stanno calando? O stanno aumentando? E, a questo punto, è vero che le donne muoiono di più? O a fronte di una diminuizione globale degli omicidi, in percentuale, ne muoiono di più? E, tra l’altro, dove si trova l’Italia, dove il femmincidio sembra una vera e propria emergenza, nel ranking internazionale?

Perché poi capita di sentire il giornalista di SkyTg24 dire nei titoli di apertura: “Nel 2012 uccise 505 donne”. E, a ruota, dato che bisogna fare notizia, se ne esce anche La Repubblica con lo stesso titolo. Scrivere una cosa del genere significa non avere la più pallida idea di quanti siano gli omicidi in Italia. E per chi fa cronaca non è un bel biglietto da visita.

Vuoi vedere che si muore meno?

E quindi? Allora non è vero che c’è un femminicidio al giorno, perché se ci fosse dovremmo avere almeno 365 donne morte in un anno. E ne abbiamo meno della metà (a Dio piacendo, questo è pacifico). E, considerando che siamo più o meno 60 milioni di persone, forse non c’è alcuna emergenza.

Resta il fatto che ammazzare il prossimo, soprattutto se è più debole (anche solo fisicamente) non è un bella cosa, ma l’omicidio, il crimine in generale, è endemico di ogni società: c’è il male perché diversamente non potrebbe esserci il bene. Il male funge da “collante” per tenere coesa la società che contrasta il male con il bene. E progredisce.

I morti, in numeri

Ma andiamo a vedere i numeri di questa emergenza. Abbiamo detto che, secondo Eures-Ansa, gli omicidi volontari (premeditati e non) sono stati nel 2012, in totale, 526. Ora andiamo un po’ indietro (colonna uno, l’anno, colonna due il numero degli omicidi volontari totali riferiti a quell’anno):

- 2011: 551

- 2010: 530

- 2009: 590

- 2008: 611

- 2007: 631

- 2006: 617

- 2005: 598

- 2000: 756

- 1995: 1.006

- 1990: 1.633

Gli anni Novanta con le stragi di mafia sono stati gli anni più sanguinosi sia rispetto agli anni precedenti (nel quinquennio 1971-75 gli omicidi sono stati in media 542, poi sono saliti tra il 1981 e l’85 a oltre 1.000) che a quelli successivi: il dato dell’omicidio volontario, è evidente, è in discesa da almeno un ventennio. Per dire che non è una roba dell’altro ieri.

Più donne morte, ovvero meno donne morte

Le donne, come sarà facile intuire, morivano anche prima e, numericamente, dato che c’erano più omicidi, ne morivano di più anche se, percentualmente, ne morivano di meno: il bello di giocare con le statistiche. Un esempio: nel 2004 sono morte 701 persone vittime di omicidio volontario. Di queste 598 erano maschi e 183 erano femmine.

183. Di più delle 159 del 2012. Ma percentualmente di meno (il 26,1% rispetto al 30,2%). Se andiamo ancora più indietro, nel 2000 sono morte 756 persone di cui 556 maschi e 200 femmine, più di 159, ovvio, ma siamo sempre al 26,5%. In sostanza la notizia non è che le donne muoiono di più, ma che percentualmente muoiono di più.

Del morire in famiglia

Gli omicidi, vent’anni fa, erano soprattutto di criminalità organizzata (mafia, camorra, ‘ndrangheta). Che non significa che gli omicidi domestici non ci fossero, solo restavano mescolati ai grandi numeri e si vedevano meno. Ora si muore soprattutto tra le pareti domestiche. Ma perché si muore meno di criminalità organizzata.

Anzi, si muore meno (di omicidio volontario) tout court. Ma si muore davvero in famiglia: ci sono madri che ammazzano figli, figli che ammazzano madri e padri, padri che ammazzano figli. Ci sono autori che, in famiglia, ammazzano la moglie e i figli (un solo evento, ma più vittime e questo conta parecchio).

Resta il fatto che a morire, numericamente, sono più gli uomini. Il dato sugli autori di reato, cioè su chi ammazza, in compenso non è cambiato: gli uomini hanno sempre ammazzato molto, ma molto di più delle donne (nel 2012 il 91,4% degli autori di omicidio volontario appartiene al genere maschile). In Italia e nel resto del pianeta.

Ma quanto ammazzano all’estero?

Un giro all’estero

Per esempio. In Lussemburgo nel 2008 ci sono state 12 vittime di omicidio volontario. In Estonia 84, in Italia, come detto, 611, in Finlandia 133, in Francia 839, in Germania 722, in Danimarca 54 e nel Regno Unito 780 (se poi si esce per un attimo dalla Ue dei 27, si trovano oltre 16 mila omicidi negli Usa, quasi 18 mila in Sud Africa, ma solo 600 in Canada).

I dati così, servono davvero a poco. Perché si potrebbe dire che il posto più sicuro in cui vivere è il Lussemburgo, seguito dalla Danimarca e dall’Estonia. In realtà quelli sono solo numeri (come i 505 omicidi di cui si è tanto parlato a Ferragosto e che, raccontati così, servono a niente).

Leggere i numeri

Il dato vero è questo: l’indice di rischio per 100.000 abitanti. Cioè il tasso di omicidi per 100.000 abitanti. Nel 2008 l’Italia è 1 come valore, mentre, nell’ordine, Lussemburgo 2,5, Estonia 6,3, Finlandia 2,5, Francia 1,4, Germania 0,9, Danimarca 1 e Regno Unito 1,3. Il che vuol dire che, in effetti, nel 2008 si era più al sicuro in Germania che in Lussemburgo.

Per completezza: il tasso di rischio in America è del 5,4, in Sud Africa del 36,5 e in Canada dell’1,8. Le donne muoiono. Non è un segreto. Ma parlare di emergenza è una moda. E dire che è stata fatta una legge per cui il consorte cattivo verrà buttato fuori di casa (per metterlo dove? E chi controllerà che ci resti?) è un’operazione di marketing notevole.

Il rispetto per l’essere umano

Meglio sarebbe, forse, insegnare il rispetto di genere nelle scuole: i bambini che tirano le treccine alle bambine non sono “semplicemente bambini” sono bambini maleducati che vanno educati al rispetto. Continuare a raccontare fiabe dove le bambine hanno la parte debole e i bambini quella forte finora non ha funzionato un granché.

Smetterla di raccontare che il principe azzurro ci salverà (da chi? Da cosa? E, soprattutto, perché?) è il primo passo verso il rispetto. Rispetto in quanto esseri umani. Perché, al di là dei numeri, a morire sono persone. E poco importa che siano maschi o femmine. Restano persone.

La vera emergenza? L’incidente domestico

Persone che, tra l’altro, muoiono molto più spesso di incidente domestico: 8.000 all’anno (21 al giorno, dato che ci piace tanto giocare con i numeri). Ma l’incidente domestico non fa notizia. A chi importa di quella che scivola in bagno sul bagnoschiuma? E di quell’altro che si fulmina mentre cambia la lampadina?

Niente. Non ci interessa. Probabilmente è più divertente il vittimismo, il piangerci addosso, è più divertente fare leggi che nessuno, nemmeno nelle più sfrenate fantasie, potrà far rispettare: perché è impossibile. Ma una campagna di rottamazione di vecchi elettrodomestici ormai pericolosi, sì, quella si potrebbe fare. Ma non ci interessa. Too easy.

lunedì 21 ottobre 2013

EU - La guerra di classe? Stravinta dai ricchi


L'economista anglo-francese Susan George accusa l'Europa di voler togliere di mezzo democrazia e diritti umani per favorire lo status quo voluto dai nababbi.

La guerra di classe non è morta, ma l'hanno stravinta i ricchi. Anzi, i super ricchi, nuova classe globale che ora si chiama Hnwi, acronimo di High Net Worth Individuals (individui con alto patrimonio finanziario, almeno 30 milioni di euro. Parola di Warren Buffett, re dei mercati finanziari globali, uno degli uomini più facoltosi del pianeta, dunque membro di questo club esclusivo in crescita continua nonostante la crisi, tanto da includere quest'anno la quota record di 200.000 persone e del quale si parla troppo poco.

La lotta di classe al contrario, un mondo paradossale dove si ruba ai poveri per dare ai ricchi, con l'obiettivo di togliere di mezzo i diritti umani e la democrazia, considerati l'ultimo ostacolo (o l'ultimo baluardo) da superare per ricavare profitti più alti senza troppe seccature.

L'establishment economico e finanziario non ha sensi di colpa per quello che è accaduto nel mondo negli ultimi sei-sette anni. È uno dei paradossi di quest'epoca, i neoliberisti hanno capito il significato del concetto di egemonia culturale di Antonio Gramsci e l'hanno applicato benissimo. La loro ideologia è penetrata negli Stati Uniti, poi si è diffusa in tutte le organizzazioni internazionali e vanta un supporto intellettuale mai visto. Prendiamo l'Ue. Sono riusciti a ottenere consenso e supporto proponendo misure di austerità per uscire dalla crisi convincendo tutti che il bilancio di uno Stato e quello di una famiglia sono la stessa cosa per cui si può spendere solo in base alle entrate. Non è così, il debito pubblico storicamente finanzia la crescita, è altra cosa dagli sprechi. Per fare un esempio due economisti della Bocconi di Milano, Alesina e Ardeagna, a mio avviso hanno fornito una errata base teorica alla Banca centrale europea, ai governi e alle istituzioni europee proponendo l'austerità per fronteggiare la depressione. E la gente è stata convinta dell'ineluttabilità delle scelte.

La prova? In Grecia non hanno fatto la rivoluzione. Se tagli gli sprechi, va bene. Ma un euro tagliato ai servizi sociali come alla scuola ha un impatto che produce costi tre volte più alti.

I lavoratori hanno pagato e stanno pagando i costi della crisi provocata da altri. Mi pare obiettivo dire che chi lavora oggi non riesca a guadagnare abbastanza mentre i manager della finanza si sono elargiti subito i lauti bonus derivanti da questi salvataggi. E che la ricchezza accumulata in poche mani ammonti a 35.000 miliardi di euro e sia posseduta, da 200.000 persone. Trovo immorale tutto ciò. Ma è ancor più immorale l'ideologia che consente loro di accumulare queste smisurate ricchezze e di manipolare le persone facendo loro credere che tutto ciò sia giusto e che le ricette per combattere la povertà siano quelle della Banca mondiale o del Fondo monetario.

Si continua a credere che ogni dollaro detassato alle grandi aziende e ai più ricchi venga reinvestito produttivamente. Invece la ricchezza finisce nei paradisi fiscali. E, aldilà dei proclami, nulla è stato fatto per illuminare gli angoli bui di queste giurisdizioni segrete e controllare i profitti di aziende e singoli. Le grandi multinazionali sono ormai troppo forti e determinano il pensiero unico che ci racconta un mondo bello, quello della globalizzazione, che crea occasioni per tutti. Peccato sia così solo sulla carta.

Il movimento di Occupy aveva buoni contenuti, ma è stato anarchico. Hanno consentito a tutti di parlare in un momento di rabbia collettiva, ma non hanno mai preso una sola decisione per passare all'azione. Il problema della società civile è la mancanza di una visione globale: gli ecologisti pensano solo all'ambiente, i sindacati al lavoro, le femministe alle donne, altri a finanza e tasse.

Il pericolo è che la gente, il 99 per cento di chi non detiene nulla, venga convinta dal restante 1 per cento dell'inutilità della politica. Prendiamo l'Unione europea. Credo nell'Unione e nell'euro, ma a patto che siano partecipate dai cittadini. Ormai l'85 per cento delle leggi in Paesi come Italia e Francia recepiscono le direttive della Commissione europea, un organismo non eletto democraticamente e influenzato dalle lobby. Ma gli europei non si ribellano, preferiscono astenersi dal voto. Così garantiscono lunga vita al sistema ingiusto che oggi è al potere.

Susan George

sabato 19 ottobre 2013

ITALIA - Interdizione Berlusconi, il Pdl si stringe intorno al capo


Dopo l’interdizione per due anni, il Pdl attacca i giudici. E per la decadenza punta a voto segreto e Consulta. Alfano: «Non toglieranno un leader al suo popolo».

Sabato, 19 Ottobre 2013 - Se c'è qualcosa che sembra essere in grado di rimettere insieme i cocci di un Popolo della libertà sempre più a pezzi, questa sembra trovarsi nei guai giudiziari di Silvio Berlusconi.
Nessuna delle due animi del partito, infatti, sembra vedere un futuro senza il Cavaliere. Almeno nell'immediato. Così, la pronuncia della Corte d'Appello di Milano che, dando seguito all prescrizione della Cassazione, ha ricalcolato in due anni l’interdizione dai pubblici uffici per l'ex premier, ha ricompattato il Pdl.
FALCHI E COLOMBE ALL'UNISONO. Un coro unanime di falchi e colombe, tutti pronti a difendere Berlusconi dalla «persecuzione» giudiziaria. Tutti contro Michele Vietti, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, reo di aver commentato la pronuncia della Corte d'Appello dicendo che «ancora una volta la magistratura è arrivata prima della politica».
Sì, perché nonostante le previsioni contrarie, il tribunale ha preso la sua decisione prima che il Senato potesse votare la proposta di decadenza uscita dalla giunta per le Elezioni in conformità alla legge Severino.
UNA SENTENZA SENZA EFFETTI IMMEDIATI. Un fatto, che, hanno assicurato da Palazzo Madama, non ferma comunque il lavoro dell'Aula, perché l'interdizione è una cosa, la decadenza prevista dalla legge Severino un'altra. E la pronuncia della Corte d'Appello è poco più che formale. Non può essere eseguita immediatamente, c'è la possibilità di un ulteriore ricorso, che Ghedini e Longo hanno già detto di voler sfruttare per chiedere uno sconto di un anno.

Si punta sul voto segreto in Aula


La vera partita riguarda dunque il voto in Senato, che il Pdl vorrebbe segreto, e che comunque continua a far discutere dal punto di vista della costituzionalità della legge Severino.
Se infatti dai giudici è arrivata una condanna a due anni di allontanamento forzato di Berlusconi dalla politica, la Severino lo renderebbe incandidabile per un periodo tre volte maggiore: sei anni. Ed è anche per questo che gli avvocati del Cav vogliono ricorrere alla Consulta.
Un'idea, questa, appoggiata anche dal ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello, e che consentirebbe almeno di prendere tempo.
IL SENATO NON SI FERMA. Ma dal Senato hanno già avvisato: non ci si ferma per aspettare la pronuncia della Corte. Allora non resta che far cerchio attorno al Cavaliere.
Intanto il Cavaliere ha incassato la solidarietà dei suoi: «Ho sentito al telefono Berlusconi», ha raccontato il segretario del partito e ministro dell'Interno Angelino Alfano, «il nostro leader è forte e determinato come sempre. Siamo tutti con lui, impegnati, oggi più che mai nella ricostruzione di un centrodestra, moderno, competitivo. Il nostro progetto va avanti e non sarà toccato da una sentenza che non priverà un leader del suo popolo e quel popolo del proprio leader».
FITTO: «UN GIORNO CUPO PER LA DEMOCRAZIA». Secondo Maurizio Gasparri «è un copione già scritto» e «faremo di tutto per fermare la persecuzione».
Anche per Renato Brunetta è andato «tutto come da copione». Raffaele Fitto ha parlato di «un giorno cupo per la libertà e la democrazia». Per Daniela Santanchè è «beato il popolo che non ha bisogno di eroi né di martiri». Di «ingiustizia lampo» ha invece parlato di Lucio Malan che da sempre punta il dito contro una giustizia veloce solo quando c'è da condannare il Cav.
E poi ancora attacchi a Vietti, le cui dichiarazioni sono «surreali» secondo Mara Carfagna, e «dimostrano bene l'inutilità del suo ruolo» per Sandro Bondi.

venerdì 18 ottobre 2013

ITALIA - Breve storia del negazionismo, E perché se ne parla tanto in questi giorni


17 ottobre 2013 - Martedì scorso, la Commissione Giustizia del Senato aveva approvato un emendamento presentato dal senatore Felice Casson del PD che modificava l’articolo 414 del codice penale, quello che riguarda l’istigazione a delinquere. La norma, presentata da tutti i gruppi e votata a maggioranza, prevede un aggravio di pena del 50 per cento «se l’istigazione o l’apologia riguarda delitti di terrorismo, crimini di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra. La stessa pena si applica a chi nega l’esistenza di crimini di genocidio o contro l’umanità».

Mercoledì 16 ottobre, giorno del settantesimo anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma, il presidente del Senato Piero Grasso aveva inoltre chiesto che la Commissione Giustizia approvasse direttamente un disegno di legge che avrebbe previsto una pena per «chi nega l’esistenza di crimini di genocidio o contro l’umanità»; ma poiché il regolamento del Senato prevede che il presidente possa assegnare la sede deliberante solo se non c’è la contrarietà di un gruppo «che abbia forza sufficiente», la decisione è stata rinviata all’analisi dell’aula per iniziativa di alcuni senatori del Movimento 5 Stelle e di Enrico Buemi del PD. Buemi ha poi detto che «la fretta con cui si voleva procedere senza neppure convocare la riunione dei capigruppo offende la memoria delle vittime dell’Olocausto»

Se anche fosse stata approvata la richiesta di Grasso, il decreto legge avrebbe dovuto essere ratificato sia dal Senato che dalla Camera, dove con tutta probabilità sarebbe stato modificato in alcune sue parti: è comunque stato il tentativo più approfondito di rendere il cosiddetto “negazionismo” un reato punibile anche in Italia.

Il negazionismo
Il negazionismo è una corrente storica che ha spesso pesanti risvolti politici. Non si limita a reinterpretare determinati fatti della storia in modo contrario a quello comunemente accettato dagli storici (“revisionismo”), ma si spinge fino a negare la realtà storica di alcune vicende. Si usa principalmente a proposito di avvenimenti legati a fascismo e a nazismo, mentre il revisionismo storico è il nome più generale di un atteggiamento culturale che interessa argomenti e impostazioni lontanissime: per citare un caso estremo, i cosiddetti “storici revisionisti israeliani” sono un gruppo di studiosi che a partire dagli anni Ottanta ha messo in discussione la ricostruzione dominante della nascita dello stato di Israele.

Ma torniamo al negazionismo. Un piccolo numero di persone, fin dalla fine della Seconda guerra mondiale, rifiuta il fatto accertato che lo stato tedesco abbia perseguito una politica di sterminio sistematico nei confronti degli ebrei mediante l’utilizzo di camere a gas. Non negano che ci siano state violenze o uccisioni, che vengono spesso spiegate con le consuete pratiche di guerra, ma sostengono che la cifra complessiva degli ebrei sterminati sia un’enorme esagerazione e che nei campi europei controllati dai tedeschi non vi fu mai nessuna camera a gas, ma ad esempio camere per la pulizia e la disinfestazione dei vestiti, progettate per prevenire la diffusione di malattie tra i prigionieri.

Ritengono poi che la ricostruzione storica condivisa sull’Olocausto sia il frutto della propaganda dai governi alleati per giustificare la guerra a posteriori, oltre agli accordi post-bellici, o per distogliere l’attenzione dai presunti crimini contro l’umanità commessi dagli Alleati stessi. Le tesi principali dei negazionisti, come la non esistenza delle camere a gas e di un piano di sterminio, sono totalmente screditate da un’enorme quantità di documenti, testimonianze e prove materiali: gran parte delle loro argomentazioni discendono da una lettura distorta dei documenti storici e si basa su errori di argomentazione. Per chi volesse saperne di più c’è questo articolo di Valentina Pisanty pubblicato pochi giorni fa su Minima et Moralia.

Già nell’immediato dopoguerra, l’intellettuale francese Maurice Bardèche tentò di negare o ridurre la responsabilità del Terzo Reich nella cosiddetta “soluzione finale”. Negli anni Cinquanta, si aggiunse un ex deportato politico nel campo di Buchenwald, Paul Rassinier, che nella sua opera Le Mensonge d’Ulysse definì la Shoah una «menzogna storica» elaborata dagli Alleati ai danni dei tedeschi. Rassinier pose le basi su cui si sarebbero costruite le future teorie negazioniste.

Nel 1976, negli Stati Uniti, venne pubblicato un testo intitolato La menzogna del Ventesimo secolo, in cui Arthur Butz poneva in dubbio l’Olocausto. Una delle figure centrali nella diffusione del negazionismo fu però Robert Faurisson, professore di letteratura francese all’università di Lione, le cui teorie sono state recentemente riproposte in Italia dal quotidiano Rinascita, diretto da Ugo Gaudenzi. Faurisson concentrò il suo lavoro soprattutto sul diario di Anna Frank, da sempre oggetto di particolare attenzione dei negazionisti che lo considerano un falso, e sulla cosiddetta teoria “dell’impossibilità tecnica delle camere a gas”.

Il “caso Faurisson” esplose in Francia nel 1979 dopo la pubblicazione su importanti quotidiani di alcuni suoi scritti e la sua sospensione dall’insegnamento, a cui si accompagnarono un documento di 34 storici che lo accusavano di “oltraggio alla verità” e un documento di altri intellettuali che difendevano invece la sua “libertà di parola”: tra questi ultimi, anche il linguista statunitense Noam Chomsky. Sempre negli Stati Uniti, dove le posizioni negazioniste sono sempre state protette dal Primo emendamento della Costituzione, che tutela la libertà di parola, l’Institute for Historical Review è diventato nel tempo il punto di riferimento principale per il movimento.

Il principale esponente del negazionismo in Italia è Carlo Mattogno, nato a Orvieto nel 1951 e membro dell’Institute for Historical Rewiew. Dal 1985 ha scritto numerosi libri pubblicati ad esempio dalle “Edizioni AR”, di proprietà di Franco Freda, dalla casa editrice “Effepi” di Genova o dalla casa editrice “Sentinella d’Italia” della destra radicale italiana. Tra questi, Il mito dello sterminio ebraico, in cui nega che lo sterminio degli ebrei sia mai esistito, Il rapporto Gerstein: anatomia di un falso, in cui dichiara falsa la testimonianza di Kurt Gerstein sul processo di sterminio mediante il gas, e La Risiera di San Sabba: Un falso grossolano che riguarda le ricostruzioni sul lager di San Sabba.

Gli altri paesi
Il negazionismo, inteso come negazione del genocidio del popolo ebraico e di alcuni altri eventi storici come il genocidio degli armeni è punito, tra gli altri, in Francia, Austria, Belgio, Germania, Svezia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Polonia, Romania ma anche in Canada e Australia. In Francia, ad esempio, la “legge Gayssot”, dal nome del parlamentare che la propose, esiste dal 1990: Jean-Marie Le Pen, del Front National, è stato definitivamente condannato in base a quella legge nel giugno di quest’anno, per aver pronunciato nel 2005 frasi che minimizzavano i crimini dei nazisti durante l’occupazione. In Belgio una legge simile esiste dal 2005, in Svizzera dal 1994 e in Germania dal 1985: per il reato di negazionismo è prevista una pena detentiva fino a 5 anni di carcere. In base alla legge tedesca, nel 1992, è stato condannato l’ex ufficiale nazista Otto Ernst Remer.

giovedì 17 ottobre 2013

UE - Un rinascimento europeo è possibile


Invece di cercare dei capri espiatori gli europei dovrebbero ammettere le loro responsabilità nella crisi e riscoprire le qualità che hanno fatto grande la loro civiltà. Reagire al declino è necessario per il bene di tutto il mondo.

Edouard Tétreau 17 ottobre 2013 LA CROIX Parigi

Un'Europa più piccola in un mondo globale? Si tratta di un'evidenza storica. Sì, l'Europa – e con lei l'occidente – è diventata più piccola in un mondo più globale. Eppure è immensa! Sempre che queste cifre non siano semplici dati di propaganda, nel 2013 l'Europa rappresenta: 500 milioni abitanti, 4,5 milioni di chilometri quadrati, un prodotto interno lordo di 18mila miliardi di dollari, superiore a quello degli Stati Uniti e tre volte quello della Cina. Un risparmio finanziario disponibile per la sola zona euro di 12mila miliardi di euro!

Non ci troviamo forse davanti a un'Europa-Gulliver incatenata da mediocri lillipuziani rappresentati dagli stessi stati, dai loro egoismi e dai vari interessi nazionali che impediscono l'affermazione di un'Europa unita e grande? Dalla somma degli interessi particolari, industriali e finanziari, che manovrano l'Europa a loro piacimento abbindolandola nelle reti di lobby bene organizzate?

L'elenco dei lillipuziani di questa Europa-Gulliver è lungo e lo si potrebbe allungare ancora di più con i vari "capri espiatori" che l'Europa ha sempre saputo trovare nella sua storia per assolversi nei confronti dei propri fallimenti e incapacità. E se invece la contrazione, l'impotenza e il fallimento dell'Europa non fossero il frutto di un grande complotto contro l'Europa?

"Siamo noi i responsabili di tutti e di tutto, e io prima di tutti gli altri", diceva Ivan Karamazov. L'inferno europeo, i lillipuziani dell'Europa-Gulliver, sono gli altri! Formidabile mezzo per liberare i cittadini, l'opinione pubblica e i popoli europei da ogni responsabilità di fronte alla crisi dell'Europa.

Al contrario, sono convinto di un'idea radicalmente diversa: se l'Europa nonostante la – o a causa della – sua immensa ricchezza finanziaria, la sua abbondanza di beni materiali e immateriali sta scomparendo dalla scena mondiale, la causa va ricercata negli stessi europei e in particolare nelle generazioni oggi al potere, questi figli viziati del dopoguerra che hanno conosciuto solo la pace, la ricchezza e l'egoistica ricerca della felicità individuale.

Dedicando solo il minimo indispensabile per assicurare la loro integrità e la loro sovranità nei settori strategici, questi responsabili preferiscono finanziare il loro comfort piccolo borghese e gettare alle ortiche quello che caratterizza lo spirito europeo e quello che l'Europa ha di meglio: il suo umanismo e il suo profondo altruismo.

Se l'Europa va male, se oggi è in crisi in un mondo apparentemente in piena espansione, la colpa e degli europei che non sono più europei. "Roma non è più Roma", e allo stesso modo l'idea di Europa ha abbandonato gli europei.

Potremmo fermarci alla constatazione di un'Europa senza progetto, senza identità, che si riassume in quello che gli altri si attendono da essa: un mercato, uno spazio da popolare, una cornucopia di ricchezza e di benessere da visitare o saccheggiare.

Questo scenario è una possibilità da considerare freddamente, così come la possibilità della propria scomparsa. E forse è proprio questo il destino dell'Europa, lasciare il posto al Nuovo mondo nella speranza che quest'ultimo sia capace di prendere il meglio dell'eredità europea.

Rivoluzione europea

Nei suoi momenti di regressione l'Europa ha rappresentato un pericolo mortale per se stessa e per gli altri

Ma non condivido questa idea. Prima di tutto perché la storia ha insegnato che nei suoi momenti di regressione l'Europa ha rappresentato un pericolo mortale per se stessa e per gli altri. Inoltre per coloro che credono che la "crescita economica perdona tutti i peccati", è difficile pensare che la Cina possa andare meglio se l'Unione europea dovesse scomparire o entrare in recessione. Infine, come immaginare che questa gigantesca distruzione di capitale umano che rappresenta l'inattività per un giovane su tre in Europa non generi scontri e violenze?

In altre parole, il rinascimento europeo non è una piacevole opzione ma una necessità per gli stessi europei e per il resto del mondo. Il rinascimento europeo non è solo necessario ma anche possibile. Ci vorrà almeno una generazione, ma come le antiche nazioni che non muoiono mai, non sarebbe ragionevole prevedere la scomparsa dell'Europa. "Il miracolo è essere vivi in un mondo di morti".

Come identificare e prendere le strade possibili per questo rinascimento? È necessaria una grande iniziativa franco-tedesca? Una nuova "Ceca", un grande progetto, per esempio ecologico, da condividere e portare avanti fra le diverse generazioni e paesi europei? O bisognerà invece adottare metodi più radicali, una "rivoluzione europea", sull'esempio della rivoluzione americana e passare per l'affermazione di un "We, the People"? (Traduzione di Andrea De Ritis)

martedì 15 ottobre 2013

ITALIA - Cercasi politico competente


Il più eclatante risultato di questi ultimi venti anni di storia del nostro paese è davanti agli occhi di tutti: un sistema politico e soprattutto una classe di politici incompetenti e incapaci.

 Per chi ha vissuto gli anni 70-80 indipendentemente dall'idea politica non può che giungere a questa conclusione avendo ancora nella mente uomini come Berlinguer, Moro, La Malfa, Nenni, Pertini e via dicendo.

Mi sarebbe piaciuto vedere i politici di allora confronto con gli attuali politici e con le problematiche che il paese sta affrontando in un'epoca nella quale uno stato da solo può fare ben poco. Una cosa è certa: un politico in quanto tale dovrebbe avere una capacità di analisi in merito ai problemi della società più larga e più lungimirante di un cittadino qualsiasi.

Facendo riferimento agli eventi tragici di questi giorni relativi al barcone affondato a Lampedusa con centinaia di morti, qualunque cittadino ora, dopo che è accaduto l'irreparabile, è in grado di capire che una legge che impedisce di dare assistenza a chi è in difficoltà in mare o che invece dichiara indagati i superstiti per reato di clandestinità, è semplicemente una legge vergognosa. Ma scoprirlo dopo i fatti è molto facile. Oggi ascoltare i politici che si affannano a dichiarare che quella legge va cambiata, che questi episodi non devono più accadere, che l'Italia deve farsi valere in ambito europeo per affrontare il problema dell'immigrazione, non può che aggiungere alla vergogna anche la rabbia.

Fino ad oggi dove erano queste menti illuminate ? Non erano a conoscenza di quanto stava e sta accadendo in medio oriente e nei paesi nord africani per capire che la fuga da quei paesi di morte si sarebbe impennata ? O davvero si pensa che sia il colore della pelle di un ministro ad aver provocato l'incremento della fuga da quei paesi ? Possibile che ci sia bisogno di qualche morto, in questo caso qualche centinaio, per rendersi conto del problema ? E poi che questa consapevolezza sia raggiunta in base al numero di morti, come se la perdita anche di una sola vita umana in questa ma come in qualsiasi altra circostanza non rappresenti un evento tragico, è veramete squallido.

Insomma ormai non si fa più politica per passione o per ideologia ma semplicemente per convenienza, fare politica è un business, un investimento, un modo per garantirsi in pochi anni di lavoro (si fa per dire) una vita tranquilla.

La riforma delle riforme sarebbe una sola: chi entra in politica continua a percepire lo stipendio che pecepiva quando lavorava oltre le inevitabili spese, niente viatlizio, conservazione del posto di lavoro.

Credo che il numero di parlamentari si dimezzerebbe automaticamente senza fare alcuna legge.

ANTIPOLITICO.

ITALIA - Le carceri fantasma in Italia sono 40: costruite, inaugurate e mai utilizzate


Per risolvere il serio problema del sovraffollamento carcerario, c’è da una parte la pressante richiesta di amnistia da parte di Pannella con l’ improvviso consenso di Napolitano e la stesura della legge svuotacarceri; dall’altra i dati dei sindacati di polizia penitenziaria, confermati anche da Emergency che mostrano la presenza di carceri inutilizzate su tutto il territorio nazionale che possono senza dubbio risolvere il problema senza ricorrere a rendere libero chi ha commesso reati. Senza dimenticare che almeno la metà dei detenuti negli istituti di pena italiani, sono stranieri e che quindi dovrebbero essere espulsi e scontare la pena nei luoghi di origine. Infine le tante caserme militari dismesse in tutta Italia che potrebbero essere adibite a carceri. Tutto ciò a testimoniare l’interesse personale o l’incapacità dei nostri politici, compreso il presidente della Repubblica.

Li hanno battezzati “carceri fantasma”. Costruiti, inaugurati e mai utilizzati. Aperti e sfruttati solo in parte. Dismessi. Demoliti. Sono tanti, da Nord a Sud. Rappresentano uno spreco di denaro pubblico e di spazio in un Paese dove la maggior parte dei penitenziari sono sovraffollati e i detenuti, insieme con gli agenti che li controllano, vivono in condizioni al limite della sopportabilità.La “regina” di questo cattivo esempio di amministrazione è la Puglia. Nel Barese c’è Minervino Murge, mai entrata in funzione e mai completata, e Casamassima, che è stata chiusa. A Monopoli, dove gli sfrattati avevano trovato un tetto nelle celle, la prigione è stata dismessa. Poi ci sono le case mandamentali (dove finiscono galeotti con pene brevi o in semilibertà) di Volturara Appula (45 posti previsti, incompiuta e mai utilizzata) e Castelnuovo di Dauna, arredato da 17 anni, mai aperto.

Sempre nel Foggiano altri tre casi: Accadia (consegnato nel ’93 e poi passato al Comune), Bovino (struttura da 120 posti chiusa da sempre) e Orsara. Per non parlare di Francavilla Fontana, usato per un pò e poi adibito a sede della polizia municipale, e Spinazzola, che aveva 40 detenuti, ne avrebbe potuti ospitare cento perché due sezioni erano inutilizzate e un paio di anni fa è stato chiuso. In Calabria non va meglio. Oltre a Mileto, ci sono Cropani, Squillace (ristrutturato e mai aperto) e le mandamentali soppresse di Arena, Soriano Calabro, Petilia Policastro e Cropalati, convertito in legnaia. Sempre calabrese è il supercarcere di Palmi, che però ha bisogno di una ristrutturazione perché fatiscente. In Sicilia è stato finalmente aperto il carcere di Gela (60 detenuti) ma a Villalba (Caltanissetta) c’è una prigione per 140 persone inaugurata vent’anni orsono che è costata 8 miliardi di lire e non ha mai dischiuso i battenti. Ad Agrigento i lavori di costruzione di un padiglione di quattro piani, che poteva accogliere 300 persone, sono fermi da un anno e mezzo perché l’azienda costruttrice è fallita: lo Stato non pagava.

Saliamo in Campania. Gragnano è stato dismesso per un problema geologico. Dismissione anche per Frigento. Morcone, vicino Benevento, è pronto ma non apre. In Abruzzo il carcere di San Valentino è stato trasformato dal Comune in una struttura di accoglienza per turisti. Eccoci in Toscana, dove a Pescia il ministero ha soppresso la casa mandamentale. Il Barcaglione di Ancona, nelle Marche, di posti ne ha 180. Ma i detenuti sono 100 perché non è stato ancora “potenziato”.Salendo ancora di più arriviano a Udine, dove da anni è stata eliminata la sezione femminile. E a Gorizia, dove è inagibile un intero piano della prigione. A Pisa i lavori del nuovo padiglione in costruzione sono bloccati: la ditta è in amministrazione controllata. In Umbria il centro clinico di Capanne è inutilizzato e, a Terni, non c’è personale di polizia per attivare un padiglione da 300 posti pronto da aprile.

A Pinerolo, in Piemonte, carcere chiuso da 16 anni. In Emilia Romagna gli esempi non mancano: nel Ferrarese c’è Codigoro, che è chiuso. Al Dozza di Bologna era stato espropriato un terreno vicino al penitenziario per costruire un centro sportivo a disposizione degli agenti della penitenziaria. L’area è stata recintata ed è stato fatto lo spogliatoio. Poi i lavori si sono fermati e ora lo spazio è diventato rifugio di sbandati e senzatetto. Il tutto è costato tre milioni e mezzo di euro. A Forlì sono state gettate le fondamenta per una prigione da 400 posti. L’opera doveva essere finita due anni fa, poi la ditta edile è fallita e nel sottosuolo sono stati trovati reperti archeologici. Quindi tutto fermo, in attesa di una nuova gara d’appalto.

ALSIPPE

lunedì 14 ottobre 2013

ITALIA - Partiti e movimenti allo sfascio


La prima repubblica con i suoi 7 partiti (Msi, Pli, Dc, Pri, Psdi, Psi, Pci) andò avanti per circa 40 anni e nonostante l'instabilità continua dei vari governi che cambiavano all'incirca ogni 1 o 2 anni, i partiti mostravano una certa solidità.

Solidità dovuta soprattutto a due fattori: da una parte il partito costituiva un centro di aggregazione di persone con medesimi ideali, principi e progetti, dall'altra gli ideali ed i principi rappresentavano appunto il vero e proprio collante indipendentemente dalle persone che si succedevano alle cariche direttive del partito stesso.

Se gli stessi partiti non avessero messo in piedi un sistema di potere basato sulle tangenti forse quel modello sarebbe sicuramente andato avanti per molti altri anni. Mani pulite ha però messo fine a quel sistema di corruzione, un sistema conosciuto da tutti anche dai cittadini comuni, ma che fu portato giustamente alla luce dalle inchieste di inizio anni 90 causando lo scioglimento di tutto il sistema partitico italiano.

Ebbe inizio così la seconda repubblica che fu subito indirizzata verso il bipolarismo, tentando di copiare i sistemi politici delle democrazie europee tutti basati sull'alternanza di due opposte fazioni. Per qualche anno il sistema ha funzionato ma era destinato al collasso soprattutto perchè i nuovi partiti, che si sono formati nella seconda repubblica, hanno abbandonato le ideologie e si sono sostanzialmente trasformati in partiti ad personam. Il successo del partito dipendeva e dipende dalla capacità trainante del proprio leader segretario o padrone che fosse.

 Allo stesso tempo la corruzione, che non è stata mai completamente debellata, è diventata anche questa un fenomeno ad personam: nella prima repubblica si rubava per il partito, nella seconda si ruba per proprio tornaconto. I partiti della seconda repubblica sono quindi arrivati allo sbando in tempi molto più brevi ed in particolare l'ultimo nato, il Movimento 5 stelle, è già dilaniato dopo solo pochi mesi che sta in parlamento.

Il tutto proprio a causa di questa loro nuova natura che li identifica come formazioni politiche aggregate intorno non ad un'ideale quanto piuttosto intorno ad una persona.

Ecco allora il Pdl che con il tramonto, ancora non definitivo, del proprio leader a causa sia della sua inettuttidine politica che dei propri guai giudiziari, si sta completamente sfasciando in due fazioni (dopo aver già espulso altri pezzi importanti come Fini e gli ex An).

La Lega, fondata dal buon Umberto Bossi, si è sgretolata appena il capo è caduto sotto gli strali della malaconduzione del partito causato dall'utilizzio dissennato dei fondi del finanziamento pubblico.

Il Pd da sempre è dilaniato da leader in pectore che si divertono al gioco delle primarie e che cadono come pere cotte in virtù di una mancanza totale di un programma che si possa definire tale e di una precisa identità politica. Fra pochi giorni si celebrerà l'ennesimo congresso nel quale sarà eletto il 5 segretario, in soli sei anni che probabilmente traghetterà definitvamente il partito verso quella L che manca ormai solo nel nome.

Ultimo arrivato il Movimento 5 stelle ha battuto tutti i record: in pochi mesi ha sperperato il proprio patrimonio di voti affermandosi come il primo partito ad personam del paese, superando in questa categoria lo stesso Pdl.

I parlamentari del M5S sembrano tanti burattini sotto il controllo del burattinaio genovese, burattini che al minimo movimento fuori del controllo del capo ... anzi dei capi ... sono subito redarguiti e riportati sotto il comando o direttamente espulsi dal movimento.

Questo è il quadro politico del paese oggi, un quadro desolante che rende ancora più cupo e senza prospettive il futuro dell'Italia, un futuro già derubato e irrimediabilmente distrutto dalla crisi economica.

ANTIPOLITICO

mercoledì 9 ottobre 2013

ITALIA - Costituzione da attuare e aggiornare per costruire altra società


Nulla da eccepire sulla difesa della Carta Costituzionale, un bene di tutti e non di una parte. Anzitutto perché nata dalla e per la lotta al nazi-fascismo: dall'intelligenza e dal coraggio di 'uomini di cultura' come Antonio Gramsci, Piero Gobetti, i fratelli Rosselli, Giacomo Matteotti che furono tra i primissimi a capire e denunciare la pericolosità del fascismo. E furono eliminati.

Poi, per i suoi alti, nobili principi fondanti: laicità; libertà di pensiero; uguaglianza; diritto al lavoro, all'istruzione e quindi la scuola pubblica e non privata, alla salute, alla formazione di ciascuno; rifiuto della guerra.

Purtroppo, questi alti, nobili principi fondanti, concepiti dall'intransigenza di chi aveva combattuto il nazi-fascismo 'de visu' e perseguiva il 'benessere' della gente e non della sua parte partitica, sono stati disattesi in parte o in toto.

Se si facesse un onesto bilancio dei suoi 65 anni, la Costituzione entrò in vigore il primo gennaio 1948, non può sfuggire che una delle cause alla sua incompiuta attuazione sta nell'assetto istituzionale escogitato all'Assemblea Costituente dal 'tripartitismo', i tre partiti di massa Dc, Pci e Psi: la 'Repubblica parlamentare', il bicameralismo (Camera e Senato) e dal sistema elettorale, proporzionale con preferenze.

Tant'è, che un partito, la Dc, con la maggioranza relativa, ha governato ininterrottamente per più di 30 anni scegliendo di volta in volta 'coalizioni', guidate sempre da suoi esponenti (tranne rare eccezioni) ai quali il Presidente della Repubblica, quasi sempre dc, (tranne rare eccezioni), affidava l'incarico di formare il governo, le più disparate: dai monocolori con appoggio esterno a coalizioni di due, tre, quattro, cinque partiti; dal centro-sinistra al centro-destra.

Un sistema 'bloccato' che non ha mai permesso l'alternanza tra due o tre schieramenti alternativi, come nel resto dell'Europa; che ha partorito la 'partitocrazia', l'occupazione delle istituzioni da parte dei partiti; il consociativismo, cioè la divisione non scritta del Potere tra centro (Enti ed aziende pubbliche) e periferia, non a caso il Pci ha votato dall'opposizione più del 90% delle leggi; ed il proliferare di una miriarde di partitini dallo zero virgola all'uno per cento, il cui compito è stato quello di...mungere soldi pubblici! Partiti e partitini che pur malmenati dagli elettori (Idv, Pdci, Rc, Rifondazione Comunista, Sinistra Critica, Sel) si ritrovano in piazza sabato prossimo per difendere la Costituzione, la 'loro' Costituzione, ossia i propri interessi, dietro gli slogan 'giustizialisti' o del livoroso 'sessantottino' Flores D'Arcais o dell'ex-Borghese Travaglio, o del 'sandinista' Landini o dei piu' fini ed insigni giuristi, Zagrebelsky e Rodotà che dicono di non voler fondare alcun partito - "un no evangelico", ha garantito il primo - mettendo insieme la difesa degli alti e nobili principi con l'assetto istituzionale ed elettorale. I principi non sono in discussione rispetto invece all'assetto istituzionale ed elettorale su cui occorre intervenire ed incidere con il bisturi 'riformatore'.

La Commissione dei Saggi propone tre soluzioni: la prima è il modello della Quinta Repubblica francese - il semipresidenzialismo - con doppia elezione maggioritaria a corta distanza; la seconda, una forma di parlamentarismo razionalizzato e la terza un mix tra i due precedenti, un governo del Primo ministro, caratterizzata da un possibile ballottaggio nazionale tra le prime due forze o coalizioni e i relativi candidati premier. Il modello francese si fa preferire: un cambio di forma di governo, con l'introduzione dell'elezione diretta del vertice dell'esecutivo, rappresenterebbe un forte segnale nei confronti di un'opinione pubblica disincantata dai fallimenti della Seconda Repubblica e da decenni di riforme mancate.

Insomma, va estirpato il carcinoma della partitocrazia che strozza la democrazia. E non da oggi: risale al 4 marzo '47 quando il giurista Piero Calamandrei, fautore della 'Repubblica Presidenziale', si rivolse cosi' all'Assemblea Costituente: "[...] Per questo noi avevamo sostenuto qualche cosa che somigliasse ad una Repubblica Presidenziale o per lo meno a un governo presidenziale, in cui si riuscisse, con appositi espedienti costituzionali, a rendere più stabili e più durature le coalizioni, fondandole sull'approvazione di un programma particolareggiato sul quale possano lealmente accordarsi in anticipo i vari partiti coalizzati.

Ma di questo, che è il fondamentale problema della democrazia, cioè il problema della stabilità del governo, nel progetto non c'è quasi nulla". Aveva vinto il tripartitismo e Calamandrei lo esplicito': "[...] Se dovrà continuare un pezzo, come mi pare di aver sentito dire dall'on. Togliatti, il sistema del tripartitismo, credete voi che si possa continuare a governare l'Italia con una struttura di governo parlamentare, come sara' quella proposta dal progetto di Costituzione?".

Calamandrei, nume tutelare della scuola pubblica e laica, si batte' con pochi altri per l'epurazione dello Stato dai dirigenti e collaboratori del Regime fascista e contro l'inserimento dei Patti Lateranensi del '29 tra la Chiesa e Mussolini nella Costituzione: di fronte al decreto di amnistia del Guadasigilli, Palmiro Togliatti controfirmato dal Premier, Alcide De Gasperi e all'art. 7 voluto da Togliatti, De Gasperi e dalle destre, resto', come per la 'Repubblica Presidenziale', una 'vox clamans' nel deserto. E 'vox clamans' nel deserto, lo resta tuttora, come altri Padri Costituenti, oscurati dai promotori della 'Via maestra' che preferiscono, evidentemente, l'attuale Repubblica parlamentare.

Carlo Patrignani

martedì 8 ottobre 2013

ITALIA - I 98 miliardi di euro di tasse evase di cui è vietato parlare


La storia è talmente gigantesca e trascurata che molti, ancora oggi, si chiedono se sia vera e non si tratti, piuttosto, dell’ennesima bufala del web.

La storia dei 98 miliardi di euro che i concessionari delle slot machine devono al nostro Stato è verissima. E non dovete crederci perché ve lo diciamo noi, che siamo 4 gatti. Basta che andiate sul motore di ricerca Google e digitiate alcune parole, ad esempio: “evasione, fiscale, 98, miliardi, euro, videopoker”. Troverete un sacco di pagine dedicate all’argomento. E non si tratta di sconosciuti siti che teorizzano assurdi complotti, ma di siti in cui normalmente andate, a parte alcuni che invece hanno interesse a censurare.

Fatta questa premessa, entriamo nella vicenda. Le dieci concessionarie del gioco d’azzardo devono allo Stato 98 miliardi di euro. Cifra mostruosa: l’equivalente di una decina di manovre finanziarie, per intenderci.

Come spiega Il Secolo XIX, prima del 2002 i videopoker erano considerati illegali ed erano quasi completamente in mano alla criminalità organizzata, che faceva guadagni sensazionali.

Poi lo Stato decise di regolare il settore. Con una prescrizione categorica: ogni singola macchinetta doveva essere collegata al sistema telematico di controllo della Sogei. Perché neanche una giocata sfuggisse al controllo e soprattutto alle tasse, il Preu. Così non è avvenuto, per anni. Il sistema ha fatto cilecca. Gli apparecchi, “interrogati” a distanza dal cervellone del ministero, non davano nessuna risposta (Il Secolo XIX).

Ma come fu possibile arrivare a multare le concessionarie del gioco d’azzardo? Grazie soprattutto alle indagini dell’ex colonnello della Guardia di finanza Umberto Rapetto.

Il lavoro dell’esperto di crimini informatici era durato anni e aveva accertato l’esistenza e la consistenza del danno al nostro Stato. In un Paese normale, Rapetto avrebbe fatto carriera, magari sarebbe diventato anche ministro. Invece gli è successo l’esatto contrario, visto che lo scorso maggio si è dimesso. Dimissioni si fa per dire, visto che il colonnello ha fatto intendere di essere stato costretto a farsi da parte proprio per le sue clamorose indagini sulle slot machine, ma non solo. Durante la sua brillante carriera, infatti, Rapetto si è più volte scontrato coi poteri marci del belpaese.

Il lavoro dell’ex colonnello non può andare perduto. L’Italia deve ancora riscuotere questi 98 miliardi. Il governo dia una risposta chiara sui motivi per cui non si è ancora adoprato per riscuoterli ed invece riparla di IMU e aumenta l’IVA per recuperare ¾ miliardi dalle tasche di italiani innocenti e super tassati. Qual è la paura? Qual è il ricatto?

 Il PSI faccia un passo avanti e dia battaglia sulla questione, molto più qualificante che il dibattito su Berluska. Con questi soldi, si potrebbe realmente salvare l’Italia. Se si vuole.

ITALIA - L’apologia dell’egoismo


Il patetico tentativo messo in atto in questi giorni dalla Lega Nord di raggranellare qualche consenso utilizzando la questione dell’immigrazione (scomparsa negli ultimi due anni dal pubblico dibattito, a vantaggio di spread,tassi di interesse,bilanci e debiti) a seguito della tragedia di Lampedusa,non è un problema che attiene unicamente un partito xenofobo e il proprio elettorato. E’ qualcosa che riguarda più profondamente la coscienza collettiva e individuale di ogni italiano, di ogni europeo, di ogni essere umano che senta di appartenere,in qualche maniera, a una società. E’ innegabile che l’apologia dell’egoismo che ha trovato nella Thatcher e in Reagan due illustri profeti e legittimatori abbia condizionato profondamente lo sviluppo sociale occidentale degli ultimi tre decenni, gettando le fondamenta per monumentali palazzi,tutt’ora in costruzione, che possono vantare architetti del calibro di Dick Cheney, Ronald Rumsfeld,Bush padre(mi rifiuto tutt’ora di pensare che George W. avesse consapevolezza di quanto stesse accadendo nel corso del proprio doppio mandato) e,nelle remote lande del Vecchio Continente, Tony Blair,Nicolas Sarkozy ,fino a scendere al confine meridionale, con la Silvio Berlusconi Spa(elenco chiaramente a titolo puramente esemplificativo).

In questi decenni abbiamo assistito,il più delle volte senza accorgercene, a un progressivo ribaltamento del nostro orizzonte.

La fase del dopoguerra, segnata da un’inclusività allargata,generata dalla necessità della ricostruzione e segnata dal trauma degli orrori da poco sperimentati nel conflitto, ha celermente ceduto il passo alla disgregazione e alla mesmerizzazione sociale.

L’orizzonte dell’individuo è passato dall’altro a se stesso impoverendo, non solo la capacità delle fasce meno abbienti di far fronte allo strapotere di quella nicchia che si andava esponenzialmente arricchendo, ma anche la dimensione culturale di ogni singolo individuo.

La mancanza di confronto porta a reiterare i medesimi ragionamenti sorretti dalle proprie convinzioni riducendo l’idea stessa a un mantra autistico recitato in maniera sempre più convinta, in toni sempre più alti,infilandoci anche una buona dose di turpiloquio per incrementarne l’incisività. 

La distanza tra l’uomo della strada e il rappresentante politico si è così ridotta,sbalzandoci dinnanzi a una politica che adottava un lessico da bar dello sport per innalzare il proprio consenso e a un cittadino che , riconoscendo inevitabilmente a essa una dimensione , checché se ne dica, più elevata non ha fatto altro che dissetarsi alla fontana dei propri istinti più viscerali, ormai legittimati dalle alte sfere. Un meccanismo che per esistere ha però bisogno del diverso,dell’altro, di qualcuno a cui si possano dare colpe di paternità incerta.

Una simile impalcatura non si regge da sola. Non se tu riconosci nell’altro un tuo simile,qualcuno con le stesse tue necessità, pulsioni,esigenze,desideri. Qualcuno che pianga per un lutto o perché sfruttato,o perché la casa gli si è appena frantumata sotto una bomba. Qualcuno che porti tra le braccia cadaveri di creature talmente piccole da non aver ancora imparato a gridare “aiuto” e che, dopo averle seppellite, intraprenda un viaggio a piedi in mezzo al deserto,vedendo cadere a uno a uno i propri compagni di sventura,pensando che ogni alba che si riflette nei suoi occhi potrebbe essere l’ultima. Qualcuno che, sopravvissuto a tutto questo ,metta nelle mani di trafficanti di carne umana tutti i propri averi per salire a bordo di imbarcazioni stracolme, che anche se non ne capisci nulla di nautica non ci metti molto a comprendere che possono arrivare all’altra riva solo per un corpo di fortuna. Qualcuno che su quella spiaggia magari ci arriva,poggia piede a terra e quel punto….

A quel punto diventi un criminale. Reo del crimine di “essere umano”. Di esistere al di là di una linea tratteggiata su un pezzo di carta che ogni giorno le merci non hanno alcun problema a oltrepassare in una perfetta triangolazione che parte da una fabbrica in cui vengono negati diritti e salari,per approdare in un qualunque centro commerciale occidentale(glissiamo su dispendio energetico e conseguente inquinamento),fruttando alla multinazionale che li commercializza( e nel frattempo ha costruito un sistema a matrioska per ridurre la tassazione all’osso) ingenti capitali che, a questo punto, sono liberi di prendere il volo per qualsivoglia lido.
Ma tu sei un criminale

Lo sei per il colore della pelle diverso,perché parli una lingua incomprensibile,perché non hai un quattrino in tasca,perché spesso non hai un documento,perché quello che vuoi è un lavoro che ti permetta di vivere e costruire un futuro migliore,perché hai un karma di merda,altrimenti non saresti nato nell’Africa Subsahariana ma nel centro di qualche metropoli,magari in una famiglia agiata e non staremmo a parlare di tutto questo.

Non è un paradosso,è la colonna portante del ragionamento che prende vita ogni volta che vengono anteposta le spicciole questioni di parte, siano esse dettate da appartenenza politica,dalla frustrazione per ciò che nelle nostre vite va storto e deve trovare un bersaglio su cui sfogarsi per non farci impazzire, dal mero egoismo , o dalla galassia di mattoncini di lego che compongono la nostra coscienza e non riescono a incastrarsi l’uno con l’altro.

L’odio è un collante forte.Più forte dell’amore,dell’empatia,dell’amicizia. Per queste devi giocare una parte attiva,per l’odio è sufficiente focalizzarsi su un obiettivo e lasciarsi trasportare dagli istinti viscerali,con il benefit di non essere mai da solo.

E’ un dato storico. Ogni regime,ogni potenza,ogni nazione,ogni movimento o partito politico ha bisogno di trovare un altro a cui contrapporsi,alla supposta menzogna del quale contrapporre la propria verità.

Verità che hanno portato all’olocausto,allo sterminio degli Armeni, alla persecuzione degli oppositori della Junta argentina e di Pinochet in Cile,all’emarginazione e alla discriminazione degli stagionali italiani in Svizzera,alla loro morte nelle miniere in Belgio, alle quarantene di Ellis Island per quelli che in America ci arrivavano e ai naufragi della Principessa Mafalda(più di 300 morti) e del Sirio ( 200 morti),per quelli a cui era stato solo concesso di sognare un futuro migliore rispetto a quel presente fatto di fame,miseria,malattie,sfruttamento,povertà in Piemonte,Sicilia,Campania,Lombardia e in quello stesso Veneto sul quale oggi la Lega Nord si permette di basare la propria apologia xenofoba.

Era un secolo fa, un secolo veloce,che nella sua fretta e fame di progresso forse ha smarrito il rispetto per il destinatario ultimo della sua corsa sfrenata. L’umanità. Siamo davvero così lontani da quelle storie? E’ cambiato davvero qualcosa? Vite diverse hanno valori diversi?

Le risposte a queste domande e all’infinità di altre che le accompagnano rappresentano una componente fondamentale di un futuro la cui necessità di radicale di riforma sociale e valoriale rischia di non poter più essere rimandata. Negli anni in cui il sistema che ha generato questa faccia della globalizzazione ha mostrato tutta la propria fragilità e fallibilità, siamo di fronte a un bivio. Le indicazioni per la highway dell’imbarbarimento si ammassano lungo la carreggiata, quello dell’accoglienza,della solidarietà,del ripensamento valoriale è a malapena un sentiero e pure dissestato.
A ognuno la scelta.

Christian Neretto