Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


mercoledì 27 novembre 2013

ITALIA - Silvio Berlusconi, il “Lazzaro” della politica


Dal 1994 a oggi non si contano le volte in cui B è stato dichiarato politicamente morto. Ma alla fine è sempre risorto.

Mercoledì, 27 Novembre 2013 - Probabilmente, in cuor suo, sa che questa volta è davvero finita. Ma non lo dice. Sarebbe un segnale di estrema debolezza. E non ci è abituato. Il 27 novembre, per Silvio Berlusconi, è stato il giorno del giudizio politico. Probabilmente peggio di quello di un’aula di tribunale.
Ma non è la prima volta che viene dato per spacciato. E dal 1994 a oggi il Cavaliere è sopravvissuto a tutto e tutti. Colpi di teatro, giochi di potere, campagne mediatiche martellanti, cambi di strategia repentini. Sono tante le armi che gli hanno permesso di risorgere regolarmente a differenza di quegli avversari che lo davano per finito e invece sono caduti, qualcuno in malo modo.
Siamo sicuri, dunque, che anche dopo la decadenza da senatore, il leader di Forza Italia sarà davvero fuorigioco?
La storia per ora dice che, più è ferito e indebolito, più Berlusconi trova l'energia di rialzarsi e di sparigliare carte in gioco e avversari.

1994: l'avviso di garanzia a Napoli


Il 22 novembre di 19 anni fa, Silvio Berlusconi era presidente del Consiglio da poco più di sei mesi. A Napoli, dove si trovava per presiedere un vertice internazionale sulla criminalità organizzata, al Cavaliere fu notificato un avviso di garanzia: era indagato per tangenti (venne condannato in primo grado a due anni e nove mesi e successivamente assolto). L’esecutivo da lui presieduto cadde il 22 dicembre. Lo stesso giorno il Cav consegnò le dimissioni nelle mani dell’allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro.
IL TRADIMENTO DELLA LEGA. Decisivo fu il passo indietro della Lega nord in quello che è storicamente ricordato come il «ribaltone». Berlusconi tuonò: «Non mi siederò mai più a un tavolo in cui ci sia il signor Bossi». Nacque il governo tecnico di Lamberto Dini. Forza Italia decise di non sostenerlo. La carriera politica di Silvio sembrava già al capolinea.
Eppure sotto la cenere qualcosa si muoveva. Alla vigilia del 22 dicembre, la Consulta stabilì l'incostituzionalità della legge Mammì nella parte in cui consentiva a Finivest di possedere tre reti. Rete4 doveva essere venduta o spedita sul satellite. Non un dettaglio, visto che il Cav stava per quotare in Borsa le sue tivù, indebitate fino al collo (si parlò di un debito monstre di 7 mila miliardi di lire). Le banche dopo la caduta del governo avevano infatti chiuso i rubinetti del credito.
IL PRIMO ASSIST DI D'ALEMA. Fu allora che entrò in gioco per la prima volta Massimo D'Alema (un accordo segreto svelato poi da Luciano Violante in Aula nel 2002). Proprio quando il Cav era più debole, abbandonato da Bossi che anzi sosteneva che era «necessario spegnere i ripetitori di Finivest per ricostituzione del partito fascista», i Ds invece di dare la spallata che fecero? Non tradussero in legge, come avrebbero dovuto, la sentenza della Consulta, graziando di fatto il Cav.

1996: i processi All Iberian e la sberla di Prodi


Alle elezioni del 1996 la coalizione guidata da Berlusconi venne sconfitta dall’Ulivo di Romano Prodi. Intanto continuarono i guai giudiziari del Cavaliere, che il 12 luglio del 1996 fu rinviato a giudizio insieme con Bettino Craxi per finanziamento illecito: 10 miliardi di lire sarebbero transitati dalla Fininvest al Psi attraverso la società All Iberian.
Non era certo un bel momento per il Cav: indagato a Milano per corruzione giudiziaria e corruzione semplice, a Palermo per mafia e riciclaggio (indagini che furono archiviate) e addirittura indagato a Firenze come possibile complice delle stragi del 93 con Marcello Dell’Utri.
L'IDEA DELLA BICAMERALE. Ma anche in questo caso, nonostante la vittoria di Prodi, il Cav si rialzò. Grazie alla stampella di D'Alema. E alla bicamerale per le riforme. L’accordo venne stretto nel luglio del 96, poco tempo dopo l'insediamento dell'esecutivo del Professore bolognese. Caso vuole che lo stesso giorno approvata una legge che prorogava l'esistenza delle tre reti della Fininvest. Insomma, il principio Antitrust deciso dalla Consulta anni prima era valido sì, ma doveva essere applicato da un'Autorità garante per le comunicazioni. Che «entrerà in funzione solo quando ci sarà stato un congruo sviluppo tecnologico delle televisioni». Un principio di dubbia interpretazione.
LA VITTORIA NEL 2001. Nel frattempo, all’inizio del 1997, Berlusconi fu rinviato a giudizio con la medesima accusa per l’acquisto di Medusa: condannato in primo grado, fu assolto in appello a Milano. Nel luglio 1998 il Daily Telegraph scrisse: «Le sentenze macchieranno inevitabilmente la credibilità di leader politico di Berlusconi».
Non è stato così. Berlusconi vinse infatti la tornata elettorale del 2001, anche grazie alla rinsaldata alleanza con la Lega, che in passato gli aveva dato del «mafioso di Arcore». Celebre fu il coup de théâtre a Porta a porta, dove firmò l'ormai celebre patto con gli Italiani.
Alla fine anche le accuse giudiziarie finirono nel nulla: il processo All Iberian si concluse il 22 novembre 2000 - in primo grado Berlusconi era stato condannato a due anni e quattro mesi - quando la Cassazione confermò la sentenza d’appello del 26 ottobre 1999 dichiarando il proscioglimento del Cav per intervenuta prescrizione. Il secondo filone della vicenda (All Iberian II), che vedeva l’ex premier rinviato a giudizio per falso in bilancio, si concluse nel 2005 con l’assoluzione dell’imputato: il fatto non era più previsto dalla legge come reato perché nell’aprile 2002 il parlamento di fatto depenalizzò il falso in bilancio.

2009: le Papi girl e gli scandali sessuali


Berlusconi arrivò a fine legislatura logorato. Fece segnare il record di durata di un esecutivo nella storia della Repubblica italiana (1.409 giorni) ma i dissapori interni alla sua maggioranza, la situazione precaria dell'economia del Paese e le critiche sempre più pesanti dall'estero portarno il centrodestra a collezionare una serie di sconfitte elettorali alle amministrative locali e regionali. Romano Prodi, leader dell'Ulivo, sembrava destinato a un facile trionfo alle Politiche del 2006. Dato per spacciato dai sondaggi, nelle ultime settimane di campagna elettorare il Cav cominciò una assedio mediatico furibondo, inziando una risalita per molti impossibile, recuperando il terreno perduto nei confronti del centrosinistra. L'ultimo colpo a sorpresa, durante il confronto televisivo con il Professore, fu la promessa di togliere l'Ici.
IL PAREGGIO INSPERATO NEL 2006. Le urne decretarono la vittoria della coalizione di centrosinistra, ma la Casa delle libertà recuperò terreno arrivando quasi al pareggio in Senato. I fragili equilibri della coalizione di governo portarono, nel gennaio 2008, alla caduta dell’esecutivo.
Ad aprile si tornò a votare e Berlusconi, a capo del Pdl (nato dalla fusione tra Forza Italia e Alleanza nazionale voluta dopo la nasciata del Pd per opera di Walter Veltroni), sedette di nuovo a Palazzo Chigi.
Era il governo del Lodo Alfano e del legittimo impedimento. Dei casi Cosentino, Brancher e Papa. Della “cacciata” di Gianfranca Fini. Degli scandali sessuali.
«IL CIARPAME SENZA PUDORE». Il 28 aprile 2009, in una dichiarazione all’agenzia Ansa, l'allora first lady Veronica Lario definì il Cavaliere «un uomo malato» che «frequenta le minorenni». Circondato da «un ciarpame senza pudore».
Pochi giorni dopo, in seguito alla partecipazione del Cavaliere alla festa di compleanno di Noemi Letizia (la 18enne napoletana che chiamava Berlusconi «papi»), Veronica chiese il divorzio.
Da lì in poi è stata un’escalation. Prima Patrizia D’Addario, poi Ruby Rubacuori, «la nipote di Mubarak». Le notti di Arcore. Nicole Minetti. Il Bunga bunga.
LE DIMISSIONI IL 12 NOVEMBRE. «L’utilizzatore finale» (a giungo 2013, nell’ambito del processo Ruby, Berlusconi è stato condannato in primo grado a sette anni per concussione e prostituzione minorile). In parlamento la situazione precipitò e nel Paese la situazione economica era allo stallo, nella morsa delle recessione. Ad agosto 2011 la Bce inviò una lettera al governo in cui indicava una serie di misure urgenti per uscire dalla crisi. Il Cavaliere, stretto nella morsa dello spread, lasciò il 12 novembre. Quattro giorni dopo nacque il governo Monti. «È la fine di un’era», si disse e si scrisse. In piazza si festeggiava con lo spumante. Ma il Caimano era ancora vivo.

2013: la condanna definitiva al processo Mediaset


Quello presieduto dal Professore bocconiano era visto da molti come «il governo delle tasse». Berlusconi sostenne Monti e il 24 ottobre 2012 annunciò l’intenzione di non volersi ricandidare alla premiership. «È politicamente morto», sentenziarono in molti. Il partito venne messo nelle mani del suo delfino, Angelino Alfano.
L'ENNESIMA DISCESA IN CAMPO. Poi, il 6 dicembre, la capriola: «Scendo in campo per vincere». Lo stesso giorno il Pdl lasciò la maggioranza. Dopo l’approvazione della legge di Stabilità Monti si dimise.
Si tornò al voto, con il Pd davanti al Pdl nei sondaggi. Pier Luigi Bersani  era sicuro della vittoria: «Smacchieremo il giaguaro». «Berlusconi sa che non riuscirà più a riconquistare Palazzo Chigi, la sua carriera politica è finita», scriveva il tedesco Der Spiegel.
LA RISCOSSA ALLE URNE. Alle urne, complice le promesse del Cav, l’ottimo risultato del M5s e i voti raccolti dal centro di Monti, Pdl e Pd pareggiarono. «Miracolo Berlusconi», titolò Il Giornale il giorno dopo le elezioni. E Libero: «Il leone Silvio sbrana il giaguaro».
Fu il fallimento di Bersani, che tentò invano di formare un governo. Spazio alle larghe intese. Il Popolo della Libertà occupò cinque ministeri dell’esecutivo presieduto da Enrico Letta. A giugno, Berlusconi annunciò l’intenzione di ridare vita a Forza Italia.
LA CONDANNA MEDIASET. Il primo agosto arrivò però la doccia gelata. Dopo l’intervenuta prescrizione per il processo Mills (febbraio 2012), il Cav fu condannato per la prima volta in via definitiva: quattro anni per frode fiscale e falso in bilancio nel cosiddetto processo Mediaset. La legge Severino, votata anche dal Pdl, prevede l’incandidabilità per chi ha riportato condanne definitive a pene superiori a due anni.
IL GIORNO DEL GIUDIZIO. Per i berluscones la norma non doveva essere retroattiva. Berlusconi parlò di «colpo di Stato» e il 26 novembre Forza Italia è uscita dalla maggioranza. Tutto inutile.
Alle 19 di mercoledì 27, in Senato, si è votata la sua decadenza da senatore. Forse questa volta è davvero la fine. Forse.

Giorgio Velardi

ITALIA - Il bagnino che ha affondato la ricerca italiana

Magari esistesse davvero, nel nostro paese, quella lobby farmaceutica, quella sorta di Spectre della provetta, evocata dai sostenitori del metodo “Stamina“. Magari. Staremmo meglio tutti, inclusi i malati che gridano in piazza la loro legittima indignazione. Il problema dell’Italia è che questa lobby, questo complesso tecno-industriale, proprio non esiste. O meglio, esisteva tanti anni fa, ed è stato smantellato e svenduto agli stranieri.
Un vero e proprio crimine economico, le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, ma del quale pochi conoscono i responsabili. Stando a quanto ci raccontano Daniela Minerva e  Silvio Monfardini nel loro libro Il bagnino e i samurai (Codice edizioni) l’affossatore della ricerca biomedica in Italia ha un nome e un volto ben abbronzato: si chiama Carlo Sama, e attualmente se la spassa al sole di Formentera. Chi è questo signore? Un ragioniere di Ravenna, ex-playboy della riviera romagnola,  soprannominato appunto “il bagnino”e assurto ai vertici della Montedison grazie al matrimonio con Alessandra Ferruzzi, erede della dinastia che allora controllava il colosso chimico. Fu lui, nel 1993, a vendere agli svedesi di Kabi Pharmacia i gioielli di famiglia, Farmitalia Carlo Erba ed Erbamont, quest’ultima quotata a Wall Street e proprietaria di importanti laboratori in America. Più di duemila miliardi di lire per turare le falle del gruppo, causate da anni di errori manageriali e di tangenti ai politici. Montedison non evitò il tracollo e il bagnino, coinvolto nell’inchiesta “Mani Pulite”,  fu condannato a tre anni, di cui tre mesi scontati in carcere e 2 anni e 6 mesi ai servizi sociali, in un centro di recupero per tossicodipendenti. Lui ha saldato il conto con la giustizia e si gode il suo buen retiro, ma intanto l’Italia ha perso il treno della farmaceutica globale. Un settore strategico, tuttora in continua crescita a dispetto della crisi: il fatturato mondiale dell’industria delle medicine è raddoppiato in dieci anni, superando i mille miliardi di dollari alla fine del 2012. E in questo business è l’oncologia a fare la parte del leone: circa novecento nuovi principi terapeutici in sviluppo nel 2010, un miliardo e mezzo l’anno di spesa per curare duecentocinquantamila nuovi malati soltanto in Italia. Nella ricerca sul cancro, spiegano Minerva e Monfardini, eravamo all’avanguardia negli anni sessanta e settanta, grazie a un gruppo di “samurai” di eccezionale bravura decisi a sconfiggere il male del secolo, tra cui spiccavano i nomi di Pietro Bucalossi, Umberto Veronesi e Gianni Bonadonna. Nella sinergia tra Montedison, Farmitalia e istituto dei tumori (ma potremmo aggiungere il Politecnico) Milano fu sul punto di diventare una capitale mondiale della ricerca scientifica, in campo biomedico e non solo. Poi venne l’ora dei bagnini, della Milano da bere, e il grande sogno svanì. Oggi che il 30% del Pil mondiale è trainato dall’industria hi-tech, l’Italia si è ormai accomodata nella nicchia delle tre effe: fashion, furniture and food. Siamo bravissimi a disegnare scarpe, modellare divani e produrre bufale Dop, e i nostri giovani “samurai” della scienza devono emigrare.

Altro che quel visionario inconcludente di Adriano Olivetti: è a giganti come Sama che dovrebbero dedicare gli sceneggiati tv, proporli a modello delle future generazioni. Studiare, innovare, rischiare,  investire nella ricerca? Ma scherziamo? Con queste ubbie non ci si fanno le ville alle Baleari. Dai retta a me, prendi i soldi e scappa. Pensate cosa sarebbe accaduto se non ci fossero stati imprenditori lungimiranti come Sama: magari sarebbe nata sul serio una multinazionale italiana del farmaco, e oggi rischieremmo di avere ben più di 80 mila ricercatori, forse  tre volte tanti come in Germania, o cinque volte come in Giappone, e pure pagati bene. L’abbiamo scampata bella. Vi immaginate un esercito di camici bianchi che fanno esperimenti (a spese delle povere cavie), trovano nuovi rimedi contro il cancro o la sclerosi multipla o l’Alzheimer? Che incubo. Non pensiamoci: e stasera tutti a Eataly, che c’è una degustazione  guidata di vini biologici

RICCARDO CHIABERGE

martedì 26 novembre 2013

ITALIA – Verso le primarie del PD; Renzi: «Se non si fa ciò che chiediamo: finish»


Aut aut del sindaco di Firenze al governo: «La pazienza è finita».

Lunedì, 25 Novembre 2013 - Non aveva avuto parole tenere verso il governo già alla convention democratica del 24 novembre.Ma aprendo la nuova campagna per le primarie del Pd, a Prato, Matteo Renzi è stato ancora più esplicito.
USINO LE NOSTRE IDEE. «Il Pd porterà il governo ad ottenere risultati per le riforme istituzionali e la legge elettorale perché ha la maggioranza assoluta della maggioranza delle larghe intese: se non si fa quello che chiediamo noi...finish».
Ormai mancano solo due settimane alla grande sfida e dopo 'l'auto-rottamazione' della vecchia guardia, il sindaco di Firenze vede davanti a sé una autostrada, che intende percorrere alla massima velocità.
In vista delle primarie dell'8 dicembre il sindaco di Firenze ha ribadito: «in questi mesi hanno detto 'fai il bravo sulla Cancellieri, sull'Imu, su Alfano'. La pazienza è finita, dopo che loro hanno abusato della nostra pazienza ora usino un po' delle nostre idee».
LEGGE ELETTORALE DEI SINDACI. Poi il sindaco di Firenze ha ribadito che la sua priorità è la riforma della legge con cui andare al voto. «Ci sono poche cose chiare da fare subito. La prima è la legge elettorale. La regola deve essere che chi arriva prima vince davvero e governa per cinque anni. La legge più semplice del mondo esiste già, è quella dei sindaci». Se il rottamatore vincerà «il Pd dice con forza al governo che sulle riforme elettorali e istituzionali si smette di prendere in giro i cittadini e in tempo limitato si portano i risultati a casa».
VOTI DI CUPERLO E CIVATI. Si auto-sponsorizza il sindaco dicendo: «votate per me e ci saranno più risultati dal fronte governativo perché io farò da pungolo e quindi finirà la presa in giro dei cittadini. Renzi ha anche alternato bastone e carota tenendosi buoni (e se possibile portare dalla sua parte) coloro che voteranno per gli 'avversari': «Quelli che votano Cuperlo e Civati li terremo con noi, non li abbandoneremo», ha assicurato.

ITALIA - Napoli, le prostitute bambine dimenticate


Hanno 13, 15 anni. Sono cedute ai clan dalle famiglie. Le si trova per strada o nei cinema hard. Ecco l'orrore di Napoli.

Martedì, 26 Novembre 2013 - C’è chi sussurra che sia abitudine degli impiegati di uffici e banche consumare la pausa-pranzo con una visita a qualche ragazzina che batte lungo i viali, in casa o nei sottopassaggi del Centro direzionale di Napoli. Dieci minuti, un angolo remoto, una manciata di spiccioli, e poi si torna a lavoro più rilassati e contenti.
La vera vergogna, però, qui si consuma ogni sera a due passi dalla sede della procura della Repubblica e dal tribunale, a tre passi dal Consiglio regionale e dalla Giunta, a un soffio dal sorvegliatissimo carcere di Poggioreale e da un sacco di enti pubblici, di austere banche e rispettabili istituzioni.
C’è chi, spudorato, nega che abbiano 13 o 14 anni. Chi minimizza giurando che si tratta «solo di qualche caso isolato». E chi si consola perché, assicura, «di ragazzine che si vendono in strada pullulano tutte le periferie d’Italia».
UN ORRORE SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI. La verità sull’orrore - che è sotto gli occhi di tutti, in mezzo ai grattacieli e lungo le strade intorno al Centro direzionale di Napoli - la racconta Ermete Gallio, 72 anni, un operaio dei limitrofi cantieri dismessi: «Via Brin, via delle Repubbliche Marinare, via Galileo Ferraris: di sera è un brulicare di piccoli corpi alla ventura, di auto che lentamente si accostano, di muti fantasmi che impuniti si appartano».
COME NEGLI AFFAMATI ANNI 50. C’è chi sostiene che nell’area orientale della città si viva come nel Dopoguerra, «negli affamati Anni 50, quando le cosiddette segnorine adescavano per un pacco di pasta i soldati americani», continua Gallio. «Ma in realtà ora va molto peggio: la miseria è simile a quella già vissuta, si stanno prostituendo anche molte mamme che non ce la fanno a far la spesa».
Ma le decine di nuove segnorine che ogni sera si vendono sono bambine camuffate da donne, truccate come bambole e svendute al miglior offerente.
«È un fenomeno da brividi: a volte a schiavizzarle sono le famiglie, che le considerano un patrimonio da sfruttare per garantirsi sopravvivenza e qualche capriccio», denuncia l'operaio.

Tredici anni, prostituta e schiava della camorra


Adelaide ha 18 anni e mezzo. A 13 anni è stata offerta in affitto da mamma e papà a un clan dominante che ha cominciato a gestirla. Tutte le sere in strada. Migliaia di incontri. Per anni. Finché è scoppiata.
È malata, depressa, ha tentato tre volte il suicidio. E si è rivolta alle forze dell’ordine.
«Vengono da noi quando ormai sono maggiorenni e non sopportano più i soprusi», spiega Deborah Divertito che opera nel delicato settore dell’accoglienza sociale. «Si tratta soprattutto di ragazze dei Paesi dell’Est europeo, vittime di una tratta che le rende schiave e non ha mai fine».
VENDUTE DAI GENITORI. Per le italiane e le minori rom, l’iter è ancor più tragico. Sono i genitori che, a volte, decidono di vendere le figlie al clan. Che, a sua volta, può decidere di rivenderle ad altri o di ri-darle in affitto perché operino in una zona più remunerativa. E così via, in un tourbillon criminale destinato a crescere loro addosso man mano che le bambine si fanno donne e possono garantire una «più adeguata professionalità» e più lauti introiti.
UN'ATMOSFERA SURREALE. «Il racket della prostituzione minorile è un mondo osceno, blindato, senza pentiti disposti a spifferarne i segreti: vi si annida il peggio della più squallida criminalità», fa notare un inquirente. «Qui al Centro direzionale di sera l’ambiente si fa surreale», conferma Alessandro Gallo, consigliere di municipalità, «nei campetti i ragazzi giocano spensierati a pallone mentre a pochi metri da loro, immobili lungo il marciapiede, grappoli di ragazzine, forse le sorelle o le cugine, aspettano i clienti per prostituirsi».
In molti, dalla Caritas alle coop sociali, si occupano delle prostitute-bambine di Napoli. «Il fenomeno», spiegano gli operatori, «riguarda le famiglie più povere e disgregate, ma si tenga conto che si prostituiscono anche minorenni provenienti da tutte le parti del mondo perché qui è più facile procurarsi documenti falsi, tramite la camorra, e i controlli delle forze dell’ordine restano sporadici».

Costrette a indossare la divisa del clan


Trucco pesante, bocche esagerate, berretto da baseball, telefonino, stelline luccicanti sulle guance, gonna cortissima e bolerino: le tariffe sono basse, l’approccio è penoso, le prestazioni frettolose.
Si accontenta di poco il popolo dei clienti che viaggia su fiammanti Bmw ma anche a bordo di normalissime Panda, Renault Clio, Y 10. C’è chi arriva persino in motorino.
Si dice che i clan abbiano imposto una sorta di divisa da far indossare alla «merce» in esposizione: in blu se appartieni alla mia banda, in arancione se fai parte di un’altra parrocchia.
«È impressionante è la quantità di automobili che bazzicano in zona: via Taddeo da Sessa, via Brecce, via Gianturco. Dal tramonto in poi, sembra di muoversi in una strada shopping sotto Natale», dice ancora Gallio.
PECCATO SENZA CASTIGO. È un peccato senza castigo, preghiera che si fa bestemmia, è silenzio amico di omertà, tutti immersi in un’aria brulicante di copertoni arrosto e cattiveria, di lavatrici sghembe e violenza, di odori acri e cumuli di immondizia che immondi appestano gli abiti e l’anima.
Somiglia, dicono, a un film di Antonio Capuano, il regista di Vito e gli altri che nel 96 rischiò l’accusa di pedofilia per aver raccontato di Pianese Nunzio, 14 anni a maggio.
Niente pentiti, poche e scarne le notizie su chi gestisce l’orrendo business. Ma si sa che a muovere le fila della prostituzione a Napoli sono almeno tre mafie: quella albanese, quella russa, quella nigeriana.
La camorra - su tutti, i clan Mallardo, Ricciardi, Misso e Vastarella - si limita ad affittare le zone, a garantire quiete, a riscuotere le tangenti.
IL SESSO NEI CINEMA HARD. Una fetta rilevante del mercato del sesso minorile di Napoli si consuma nei cinema a luci rosse che pullulano in zona Ferrovia, lungo il corso Meridionale.
È anche qui, nelle salette riservate che hanno alcuni cinema per «garantire la privacy a chi la chiede», che avvengono gli incontri a pagamento fra finti cinefili e ragazzine (e ragazzini) di 13 o 14 anni.
Per poter entrare indisturbati nelle sale a luci rosse le minorenni hanno bisogno di documenti falsi che ci si procura tramite camorra.
Nessun gestore si accorge dell’inganno. Nessun controllo stronca il traffico.
IL TRIANGOLO DELLA PROSTITUZIONE. Gli abitanti del «triangolo della prostituzione» (Centro direzionale, via Ferraris, via Gianturco) hanno chiesto esasperati che «almeno, chi batte paghi una tassa». Una provocazione non raccolta.
Racconta il presidente di quartiere Armando Coppola: «Stiamo chiedendo da mesi al sindaco Luigi De Magistris un sistema di videosorveglianza lungo le nostre strade invase dalla prostituzione minorile: con le telecamere in funzione, sarebbe possibile individuare le targhe delle auto dei clienti e quelle di chi sfrutta le ragazzine. Ma finora il sindaco, nonostante un impegno verbale, non è riuscito a intervenire».
La municipalità ha chiesto anche una più consistente sorveglianza alle forze dell’ordine. «La questura»,  fa sapere Coppola, «ha risposto che è più urgente presidiare le uscite della vicina autostrada. Per impedire aggressioni e rapine».

Enzo Ciaccio

lunedì 18 novembre 2013

ITALIA/CdV - Chiesa e politica: gli schieramenti di cardinali e vescovi


Ruini plaude al Nuovo centrodestra. Bagnasco tace. Bertone si defila. I rapporti Roma-Vaticano dopo lo strappo di Alfano.

Lunedì, 18 Novembre 2013 - Parlare di scontro sarebbe eccessivo, ma le ultime mosse politiche di una parte della Curia, quella legata alle abitudini dell'ancien régime pre-Bergoglio, hanno suscitato qualche malumore tra gli alti prelati che sposano con maggiore convinzione la linea della non ingerenza imposta dal pontefice argentino.
Stando ad alcune ricostruzioni giornalistiche delle ultime ore, la filiera legata a sua eminenza Camillo Ruini, che non ha mai rinunciato a far filtrare il proprio pensiero nel contesto tumultuoso della politica italiana, ha accompagnato la rottura tra Angelino Alfano e Silvio Berlusconi impartendo benedizioni e consigli, con Rino Fisichella gran cerimoniere d'incontri riservati organizzati in un appartamento vicino a piazza Pio XII.
LA BENEDIZIONE DEL VATICANO. Quest'abbraccio del Vaticano, unitamente all'ombrello aperto su di lui da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, secondo il racconto del quotidiano La Repubblica avrebbe rassicurato il ministro dell'Interno che l'addio al Cavaliere sarebbe stata cosa buona e giusta, guardato con simpatia, se non proprio sollecitato, da potere laico e religioso, nazionale ed europeo.
LE DIVISIONI TRA BERGOGLIANI. Tuttavia, anche tra lealisti, per usare un termine che va di moda nelle cronache dal Transatlantico di Montecitorio, e diversamente bergogliani, non c'è unanimità di vedute. Benché lo scontro sia essenzialmente di metodo, visto che nel merito nessuno s'azzarda ad attribuire al segretario di Stato vaticano Pietro Parolin simpatie per Silvio Berlusconi e sodali. E lo stesso concetto vale per Beniamino Stella, Lorenzo Baldisseri, Francesco Coccopalmerio, e molti altri ecclesiastici in contatto continuo con il papa.
GLI SPONSOR ECCLESIASTICI. «In fondo, un altro recente tentativo neocentrista, finito malamente giusto pochi giorni fa, quello di Mario Monti e Pier Ferdinando Casini, non venne forse sponsorizzato con forza dalla Comunità di Sant'Egidio? Quello che è consentito a Paglia e ad Andrea Riccardi può essere vietato al cardinal Ruini o a Fisichella?», sibila con malizia un osservatore esperto di rapporti tra Oltretevere e partiti.

Gli schieramenti dei rapporti tra Chiesa, istituzioni e politica


Nella scacchiera dei rapporti tra Chiesa, istituzioni e politica, gioca un ruolo importante il nunzio in Italia, Adriano Bernardini, vicino all'ex segretario di Stato Angelo Sodano che, ai tempi in cui prestava servizio diplomatico in Argentina, ebbe scontri frontali con l'allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, e non poteva neppure lontanamente immaginare di ritrovarlo oggi a Roma sul Sacro soglio.
BERTONE S'È DEFILATO. Mentre Tarcisio Bertone, in passato tutt'altro che ostile a Berlusconi, è ora defilato, intento a completare il trasloco in un grande appartamento di Palazzo San Carlo e a presentare il libro sulla diplomazia pontificia nel mondo globalizzato. Giovanni Battista Re, porporato che conosce la Curia come pochi, ed è sempre stato accreditato di simpatie centriste e moderate, ha un rapporto privilegiato con Francesco, cui sovente dispensa pillole di saggezza.
IL LOW PROFILE DI BAGNASCO. Sul fronte degli arcivescovi più importanti, il genovese Angelo Bagnasco, colui che dal vertice della Cei dovrebbe moderare le istanze dell'episcopato italiano, mantiene l'abituale basso profilo, pur ammiccando verso i tentativi di chi lavora per un centrodestra in sintonia con il popolarismo europeo, come il vicario di Roma, Agostino Vallini, e i colleghi Moraglia e Betori, rispettivamente titolari delle cattedre di Venezia e Firenze.
SEPE E SCOLA RESTANO AI MARGINI. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, è troppo scaltro per lasciarsi incasellare nelle vesti di sostenitore di questo o quel movimento, e Angelo Scola, da Milano, preferisce volare più alto rispetto allo spettacolo modesto che offrono aule parlamentari e corridoi di partito.
SI ATTENDE LA MOSSA DEL PAPA. Nelle prossime settimane, capiremo meglio se Bergoglio - che stando alla versione del fondatore de La Repubblica, Eugenio Scalfari, giovedì 14 novembre, nel corso della sua visita al Quirinale ha parlato con Napolitano e ospiti illustri di politica 'in pubblico e in privato' - ha intenzione di decidere di mettere un freno all'attivismo indefesso di taluni cardinali e monsignori, magari con un Angelus che, al posto della “Misericordia”, prescriva calma e gesso.

Daniele Gensini

ITALIA - Abolire l'aborto per uscire dalla crisi: la legge di Stabilità in salsa episcopale


La Cei vede un nesso tra le interruzioni volontarie di gravidanza e la crisi economica. E ne chiede conto alla politica.

Non è una novità che i vescovi italiani si scaglino contro l'aborto. Se fosse solo per questo, il messaggio della Conferenza episcopale italiana per la XXXVI Giornata per la vita, che si terrà il prossimo 2 febbraio, non susciterebbe la nostra attenzione. Ma nel documento emerge qualcosa di più che il semplice no all'aborto per preservare la vita dal concepimento fino alla morte naturale eccetera, come ormai sappiamo recitare a memoria: la Cei spende carte molto più forti in difesa dei suoi principi etici chiedendo all'Italia «quale modello di civiltà e quale cultura intende promuovere».

Prima carta. L'aborto sarebbe una delle cause della «emorragia di energie positive che vive il nostro Paese», perché alla «emigrazione forzata di persone - spesso giovani - dotate di preparazione e professionalità eccellenti», dobbiamo aggiungere il «mancato contributo di coloro ai quali è stato impedito di nascere».

Seconda carta. L'aborto avrebbe influenza sull'aspettativa media di vita degli italiani: «È davvero preoccupante considerare come in Italia l'aspettativa di vita media di un essere umano cali vistosamente se lo consideriamo non alla nascita, ma al concepimento». Il gioco è semplice. Invece di calcolare l'aspettativa media di vita una persona sulla base del tasso di mortalità effettivo della popolazione, si includono nel conteggio anche tutti quelli che non sono mai nati - tanti quanti il numero di aborti - la cui durata di vita è pari, ovviamente, a zero anni. La media pro capite, così, diventa molto più bassa. Il tutto per il pericolosissimo principio secondo cui l'embrione, così come il feto, è considerato "persona" e a pieno titolo deve entrare nelle statistiche.

Terza e ultima carta. A chiudere il cerchio arriva la patetica menzione del «grande desiderio di generare» dei giovani sposi (quelli non sposati non sono degni di attenzione) che resta «mortificato» anche da «una cultura diffidente verso la vita». Un desiderio che evidentemente, per la Cei, trascende la singola individualità per diventare necessità di un Paese in calo demografico.

Tra le righe ma neanche tanto. Oltre al potenziamento dello stato sociale, questa la ricetta che i vescovi propongono all'Italia per uscire dalla crisi: che le donne tornino volenti o nolenti al loro ruolo di fattrici di figli, sani oppure no, desiderati oppure no. Puri contenitori che danno al Paese le giuste risorse per combattere il difficile momento economico e alzare l'aspettativa media di vita degli individui. Un messaggio delirante, inaccettabile, antiscientifico e antistorico che non vale la pena commentare oltre. Viene da rimpiangere i tempi in cui i vescovi si appellavano solo al peccato e al delitto contro dio invece di riempirsi la bocca di dati statistici ed economici di provenienza ignota a sostegno delle loro tesi "non negoziabili" per dimostrare che dio ha forgiato i suoi paranoici veti per il bene supremo delle popolazioni.

Cecilia M. Calamani

domenica 17 novembre 2013

FRANCIA - Hollande e il bilancio del governo


Diritti gay. Assunzioni nella scuola. Tassazione dei redditi più alti. Politica industriale.
Incentivi per il lavoro giovanile. Quello che ha fatto il presidente. Che però crolla nei sondaggi.

Domenica, 17 Novembre 2013 - I bretoni sono scesi in strada con i berretti rossi in testa per protestare contro le nuove imposte. I cattolici hanno contestato in piazza i matrimoni omosessuali. Gli imprenditori e i disoccupati sono rassegnati e affossati dalla crisi economica. Gli studenti hanno scioperato contro le espulsioni dei rom, e adesso anche gli insegnanti marciano contro la riforma della scuola.
La Francia intera, insomma, si lamenta, scalpita e ribolle. E tutti sono pronti a puntare il dito contro il colpevole dei loro guai: il presidente François Hollande, fischiato in piazza, bocciato dai sondaggi, diventato il capo di Stato meno amato della Quinta Repubblica e dell'Europa intera.
GRADIMENTO IN PICCHIATA AL 15%. Con un gradimento personale in picchiata al 15%, persino i socialisti chiedono a Hollande di cambiare, per non trovare i consensi ghigliottinati alla prossima tornata elettorale.
Infierire sul presidente, il Re Solo divenuto anche capro espiatorio della lunga crisi francese, è fin troppo facile.
Il leader socialista è rimasto ingessato nell'austerity europea, Impigliato in gaffe e incertezze, stretto tra le delusioni della sinistra e la rabbia della destra. E ha fatto l'errore di legare il proprio mandato all'andamento della curva della disoccupazione, promettendo di ridurla: un compito che oggi pare impossibile.
Eppure, nonostante le critiche spietate, i sondaggi inclementi e le molte accuse, in un anno e mezzo di governo Hollande ha fatto più di una scelta coraggiosa. Si potrà anche non essere d'accordo con le loro politiche, ma i francesi, almeno, le hanno.

1. Per la crescita 34 nuovi piani industriali e l'investimento sul digitale


In Francia la manifattura è in crisi. Hanno chiuso aziende storiche, il settore dell’auto è in crisi e le delocalizzazioni aumentano.
A settembre 2013, però, il governo socialista ha lanciato un ambizioso piano di 34 progetti industriali per la nazione che verrà, elaborato assieme alla società di consulenza industriale Mc Kinsey e pensato per riportare l'Esagono alla frontiera dell'innovazione, preparando la crescita futura.
Parigi conta di investire complessivamente 3,5 miliardi di euro e di creare 450 mila nuovi posti di lavoro, con 4,5 miliardi  di valore aggiunto, il 40% derivante dalle esportazioni.
ECONOMIA VERDE E DIGITALE. Il progetto di rilancio (consultabile, anche in italiano, sul portale France.fr), indirizza tre priorità strategiche: la transizione energetica (dal fossile e dal nucleare alle energie rinnovabili) e il trasporto ecologico, la salute e l'economia dell'uomo (cioè le biotecnologie, i servizi alla persona e le professioni sanitarie) e soprattutto il digitale.
Temi, forse, buoni per un manuale di economia: ma anche linee di investimento coerenti con le specificità dell'industria d'Oltralpe, all'avanguardia su trasporti, sanità e telecomunicazioni.
 E già il 14 novembre a Parigi è stato inaugurato un centro di sei piani per accogliere le nuove start-up dell'economia digitale.

2. Scuola: 20 mila nuovi insegnanti e più tempo in classe


Il governo socialista investe nella scuola. Hollande ha promesso di assumere 60 mila nuovi docenti in cinque anni e lo sta realmente facendo: dall'inizio del suo mandato sono stati assunti circa 7 mila insegnanti da maggio a dicembre 2012 e altri 10 mila nel 2013.
LA RIFORMA DELLA SCUOLA. Con la riforma del ritmo scolastico (che tanto fa discutere e manifestare in questi giorni), il ministro dell'Educazione Vincent Peillon ha aumentato il monte ore di lezione degli studenti francesi, finora tra i più bassi della media Ue. Mentre il ministro dell'Istruzione superiore, Geneviève Fioraso, ha proposto di inserire corsi in inglese nell'offerta delle università d'Oltralpe per aprire il sistema all'internazionalizzazione.

3. La tassazione sui redditi alti: aliquota al 45% oltre 150 mila euro


Negli ultimi quattro anni in Francia la pressione fiscale è aumentata di un punto percentuale all'anno e nel 2013 ha segnato un nuovo record al 46% del reddito: una situazione che lo stesso ministro dell'economia Pierre Moscovici ha definito al limite. Ma il governo socialista ha ridistribuito gli oneri.
L'ALIQUOTA AL 45%. Anche se la promessa di tassare al 75% i redditi più alti è risultata essere più una boutade elettorale ed è stata trasferita sulle imprese, l'esecutivo ha imposto una nuova aliquota e tassato al 45% i redditi oltre i 150 mila euro.
Hollande ha aumentato l'Iva (dal 19,6 al 20%), tra le tasse più inique perché imposta a tutti indipendentemente dal reddito, ma lo ha fatto in misura minore di quanto previsto dal governo precedente di Nicolas Sarkozy.

4. Sostegno al lavoro giovanile: 4 mila euro per ogni under 26 assunto


Il governo di Parigi è stato tra i più attivi nel favorire l’occupazione giovanile. Lo Stato francese offre 4 mila euro alle imprese che assumono un giovane sotto i 26 anni mantenendo al lavoro anche un dipendente ultra 57enne. Si tratta dei cosiddetti «contratti di generazione», copiati anche dal governo delle larghe intese italiano.
Infine ha messo a disposizione 1,5 miliardi di euro per sovvenzionare gli «impieghi del futuro», contratti a tempo indeterminato o a tempo determinato per i giovani dai 16 ai 25 anni e senza diploma.
BANCA PUBBLICA PER LE PMI. Inoltre a ottobre del 2012, a nemmeno sei mesi dal suo ingresso all'Eliseo, il presidente francese ha creato una banca pubblica per il finanziamento delle piccole e medie imprese francese a corto di capitali. Il nuovo ente è nato dall'unione di un braccio operativo della Cassa depositi e prestiti con l'istituto di finanziamento delle start up Oséo e il fondo di investimento strategico voluto da Sarkozy per proteggere il made in France. L'ente dovrebbe avere una capacità di intervento da 40 miliardi di euro.

5. La legalizzazione dei matrimoni omosessuali


Il 23 aprile 2013 l'Assemblea nazionale francese ha detto si ai matrimoni omosessuali. La legge, promessa da Hollande in campagna elettorale, è stata approvata con 331 voti a favore e 225 contrari, in mezzo alle polemiche.
Per mesi gruppi della destra e i cattolici integralisti hanno riempito le piazze per protestare contro il progetto di legge. Ma il governo ha proseguito dritto per la sua strada, con l'idea che allargare i diritti di una parte fosse un passo di civiltà per tutti.
Attualmente le persone omosessuali possono sposarsi e adottare un bambino.

Giovanna Faggionato

ITALIA - Cancellieri, Civati prepara la mozione di sfiducia


Civati annuncia la mozione di sfiducia al ministro: «Basta ipocrisie. Chi ha i deputati, non fa niente». Assemblea del gruppo Pd il 19 novembre. E il 18 il guardasigilli potrebbe finire indagata.

Domenica, 17 Novembre 2013 - Basta con l'ipocrisia. Pippo Civati, candidato alla segreteria del Partito democratico (Pd) ha deciso di passare dalle parole ai fatti. Dopo Tante dichiarazioni spese sul caso del ministro della Giustizia, il deputato democratico - tra i primi a chiedere le dimissioni del guardasigilli - ha deciso di presentare una mozione di sfiducia.
«Il Pd dice di non poter 'sfiduciare' la Cancellieri perché non si può votare la mozione del Movimento 5 stelle, segnalo che ne possiamo presentare una noi», ha scritto Civati sul suo blog criticando l'atteggiamento del partito. «Martedì presenterò un testo all'assemblea del gruppo. Basta con l'ipocrisia. Non se ne può più». Ma i guai per Cancellieri non sono finiti qui, perché - stando alle ultime indiscrezioni - i magistrati potrebbero presto aprire un’inchiesta per false informazioni.  
«CHI HA I DEPUTATI NON FA NIENTE». Civati ha ricordato come tutti e quattro i candidati alla segreteria abbiano fatto capire che avrebbe dovuto dimettersi lei, per eliminare l'imbarazzo tra i democratici, ma senza poi fare nulla di concreto: «Altri candidati sono dotati di centinaia di parlamentari. Ma non fa niente», ha affondato riferendosi con tutta probabilità ai renziani.
CUPERLO: «PREMIER E MINISTRO RIFERIRANNO». Il 16 novembre, un altro candidato alla segreteria, Gianni Cuperlo, aveva parlato di una «questione di opportunità politica», per poi limare ancora di più la critica: «Saranno il premier e il ministro della Giustizia a fare le valutazioni necessarie», «ascolteremo quello che riferiranno nelle prossime ore».
La nuova stella renziana Maria Elena Boschi proprio la mattina del 17 novembre ha invece spiegato in un'intervista di essere pronta a ribadire che la Cancellieri «deve dimettersi», sottolineando però che «le decisioni si prendono insieme».
DOPO L'8 DICEMBRE, AVREMMO CHIESTO DIMISSIONI. «Se questa vicenda fosse arrivata dopo l'8 dicembre il Pd avrebbe già chiesto le dimissioni», ha osservato la deputata, riferendosi alla prevista vittoria del sindaco di Firenze.
Insomma, sul caso Cancellieri si gioca anche la corsa interna al partito democratico.
CANCELLIERI RISCHIA L'INDAGINE. Intanto, la tempistica sembra giocare contro il ministro. Lunedì 18,infatti, i magistrati potrebbero decidere di iscrivere Cancellieri nel registro degli indagati per aver fornito false informazioni ai pm.
Sotto la lente dei magistrati è finita la terza telefonata del ministro ai Ligresti, avvenuta la sera del 21 agosto, cioè il giorno prima del suo interrogatorio e di cui finora la Cancellieri non aveva fatto menzione.
I tabulati consegnati alla procura dalla Guardia di finanza hanno però rivelato una conversazione di diversi minuti tra il guardasigilli e Antonino Ligresti, fratello di Salvatore e zio di Giulia, partita dal telefono del ministro.
Così dopo aver più volte ribadito che gli inteventi di Cancellieri non avevano rilevanza penale, adesso i pm stanno rivalutando la sua posizione. E, a quanto pare, anche il parlamento.

mercoledì 13 novembre 2013

ITALIA - Ici, Imu, Tari, Tasi, Trise .... TUC ... il valzer della presa per i fondelli


Quello che lascia perplessi, per usare un eufemismo, dell'attuale governo e di questa legge di stabilita' non sono tanto i provvedimenti contenuti nella legge, sui quali si puo' essere in accordo o meno, quanto l'incertezza e soprattutto la mancanza di decisione di adottare l'unico provvedimento serio intorno al quale si gira e si rigira: una vera patrimoniale.

Manca i tutti i partiti di governo e di opposizione una progettualita', una visione del futuro e tutti, chi in maniera piu' palese chi in maniera piu' nascosta, sopravvivono abbeverandosi alla fonte del populismo. Grillo lo fa sfruttando la propria immagine comunicativa e di mattatore del palcoscenico che utlizza le sue capacit' teatrali per infarcire di enfasi i suoi discorsi che alla fine sono privi di contenuti e che non vanno oltre la contingenza attuale, Ha mai fatto un discorso o una proposta seria ed attuabili sil problema della tassazione della casa ? Assolutamente no. Vive alla giornata seguendo il suo disegno che riguarda il fatturato del blog e niente di piu'.

Il Pd segue la stessa rotta populista, la stessa che porto' all'abolizione dell'Ici senza prendere contromisure adeguate e quindi portando allo sfascio attuale, e la stessa che ha portato al partito i milioni di voti nell'ultima tornata elettorale nonostante i disastri del precedente governo grazie alla promessa dell'abolizione dell'Imu.

Il Pd, dopo i disastri post elettorali, ha acconsentito alla formazione di un governo Pdl-Pd assoggetandosi ai voleri del condannato e dimostrandosi incapace di proporre una propria linea politica per seguire il populismo dell'ex avversario politico. Risultato: il paese preso per il naso in quanto l'Imu sara' sostituita da una o più tasse i cui nomi e gettiti sono ancora tutti da scoprire. Intendiamoci: qualsiasi tassa sulla prima casa sarebbe da abolire ma non in maniera indiscriminata a tutti. In un periodo come questo si dovrebbe tenere conto del reddito oltre che del numero di case che una persona possiede.

Comunque quando si parla di tasse nel nostro paese si parla sempre di tributi che sono pagati comunque dalle stesse persone: pensionati e lavoratori dipendenti. Rimane poi lo scoglio della spesa pubblica di come cioè i soldi delle tasse sono spesi dallo Stato e qui arriva un altro scoglio: da 20 anni a questa parte tutti promettono la riduzione della spesa, ma nessuno ci riesce e soprattutto nessuno ci prova realmente.

Oppure chi ci prova, senza risultati concreti, lo fa semplicemente tagliando i fondi da mettere a disposzione dei ministeri ed in questo modo mettendo sul lastrico sanità, scuola, stato sociale e via dicendo. Una situazione dalla quale non si vede una via d'uscita in quanto non si vede nessuno che abbia la capacità, la forza di andare a prendere un po' di soldi dove sono: super syipendi dei manager, super pensioni d'oro, super proprietà, privilegi di categorie varie come i politici, i lavoratori dello spettacolo, i calciatori .... insomma i soldi ci sono basta avere il coraggio di andare a prenderli.

Pubblicato da ANTIPOLITICO  

ITALIA - Il vero ladro non è l’evasore…


A prescindere dal fatto che nel fenomeno dell’evasione più che di italiani “furbi” (espressione che, per dirla con Mughini, aborro) si dovrebbe parlare di Stato “coglione”, che non riesce nemmeno a verificare quanto ricava veramente un ristorante o un semplice idraulico, vorrei dire che, checché se ne dica, chi non paga le tasse non ruba.

No, non “ruba allo Stato” affatto, non ”sottrae denaro al fisco”: soltanto se partissimo dal presupposto che tutti i mezzi di produzione appartengono allo Stato, come accadeva nei regimi comunisti, l’evasione sarebbe da considerare un furto che i cittadini compiono appropriandosi di parte del patrimonio pubblico.

Infatti dal punto di vista giuridico e morale può essere considerato “furto” solo l’appropriarsi, in modo illecito, di beni altrui e sono i cittadini (e non lo Stato) i legittimi proprietari di ciò che producono col loro lavoro (John Locke docet!).Ergo: le tasse non versate allo Stato non possono essere considerate un “furto”, poiché, ovviamente, nessuno può rubare a sè stesso in quanto si tratta di cespiti che, in assenza del fantomatico ”ladro” (cioè l’evasore) non sarebbero mai stati prodotti e sui quali, di conseguenza, il fisco non avrebbe mai potuto vantare alcuna pretesa. Addirittura si capovolgono le parti: non è l’evasore a sottrarre denaro dell’erario, ma è lo Stato che sottrae risorse, con la coercizione, alla disponibilità dei loro legittimi proprietari attraverso le imposte, che divengono una sorta di estorsione legalizzata!Chi non paga le tasse ruba forse agli altri cittadini i quali, come si sostiene molto superficialmente, sarebbero costretti a pagare imposte sempre più pesanti, proprio a causa dell’evasione?

Questo potrebbe essere vero solo a condizione che le imposte fossero delle ”quote fisse” di spese da ripartire fra i cittadini, spese decise col consenso degli stessi cittadini che se ne accolleranno l’onere, come se lo Stato fosse una sorta di grande condominio. In realtà non avviene così: le imposte, sempre crescenti, sono decise dai politici per finanziare spese pubbliche (molto spesso autoreferenziali, per dirla con un eufemismo) in continuo aumento, i cui costi vengono scaricati sui cittadini. L’evidenza empirica mostra, al contrario, che non c’è nessuna correlazione fra il livello di tassazione eil livello di evasione, tanto che 30 anni fa la pressione fiscale era al 31% del Pil al netto del sommerso, mentre oggi ha raggiunto il 55% del Pil al netto del sommerso, nonostante la quota di economia “nera”  sia un fenomeno in costante, anche se lieve, diminuzione, scendendo dal 21% del 2000 all’attuale 17% del prodotto interno lordo (dati ISTAT). Ruba forse perché impedisce alla pubblica amministrazione di far funzionare scuole ed ospedali?

No: lo Stato ha già abbastanza soldi, anche troppi, e che gli italiani, al di là dei luoghi comuni più vieti, sono tra i maggiori pagatori di tasse nel mondo, avendo versato, nel solo 2012, secondo i dati dello stesso Ministero dell’economia, ben 752 miliardi fra imposte dirette, imposte indirette e contributi sociali, “spintaneamenti” pagati “automaticamente” mese per mese dai sostituti d’imposta come i datori di lavoro e le aziende, costretti obtorto collo a fare i gabellieri per lo Stato (e, per di più, gratis!) effettuando le ritenute su stipendi e compensi e “segnalando” al Fisco i loro clienti e fornitori. Lo Stato, da solo, andando a cercarsi le tasse “porta a porta”, riesce a procurarsi non più di 13 miliardi, con la cosiddetta “lotta all’evasione” (quasi fosse un surrogato della lotta di classe, non più à la page).

di Alessandro Spanu in Prima pagina

lunedì 11 novembre 2013

ITALIA - Pd, cattolici a congresso


Fioroni e Marini con Cuperlo. Franceschini e Tonini con Renzi. Lettiani e prodiani divisi. Gli ex popolari si schierano.


Lunedì, 11 Novembre 2013 - In principio fu Francesco Rutelli, anno domini 2009: «Non possiamo diventare socialisti», tuonò l'ex segretario della Margherità dinanzi alla prospettiva che il Partito democratico sedesse in Europa tra i banchi del Pse.
Rutelli ruppe, cercando al centro nuovi eroi (Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini), salvo poi, complice la pessima performance del suo movimento - Alleanza per l'Italia - nelle tornate elettorali, riaffacciarsi al Nazareno in occasione delle ultime primarie candidando Bruno Tabacci con Centro democratico.
L'ALTOLÀ DI FIORONI. Ora a rilanciare il non possum rutelliano è stato Beppe Fioroni, dopo l'annuncio del segretario Pd, Guglielmo Epifani, che il congresso del Pse si celebrerà a Roma, con la regia del Nazareno. «Sarebbe un blitz pericoloso e grave. Metterebbe in discussione le ragioni fondative del partito», ha tuonato l'ex dirigente della Margherita. «Non abbiamo mai deciso di aderire al Pse e non basta la dichiarazione di qualche candidato alla segreteria. L'ingresso equivarrebbe a una mutazione genetica che trasformerebbe i democratici in un soggetto di sinistra e annullerebbe di fatto lo scioglimento della Margherita».
LA COLLOCAZIONE IN UE. Sul tema è intervenuto, lapidario, anche un'altro ex Dc di peso, Pierluigi Castagnetti: «Non mi pare che il Pd abbia mai deliberato di aderire al Pse».
Fibrillazioni in vista del congresso che dovrà sciogliere anche il nodo della collocazione europea del partito e che riguardano in particolar modo la componente cattolica del Pd, molto divisa al suo interno nel sostegno ai diversi candidati.

Fioroni e Marini si schierano con Cuperlo


Fioroni, leader degli ex popolari, ha annunciato il suo appoggio a Gianni Cuperlo. Con lui Franco Marini, già segretario del partito popolare italiano, ex leader del sindacato cattolico (Cisl), i cui rapporti con Matteo Renzi non sono stati mai stati idilliaci e si sono definitivamente deteriorati quando il sindaco di Firenze decise di opporsi alla sua candidatura al Quirinale. Anche un altro ex cislino di peso, Sergio D'Antoni, si è schierato con Cuperlo, seppur con minore verve polemica nei confronti del rottamatore.
BINDI NON SI ESPONE. Al candidato dalemiano va pure il sostegno di alcuni bindiani, secondo quanto raccontano al Nazareno. Anche se la capocorrente, Rosy Bindi, ha dichiarato che non prenderà posizione a favore dell'uno o dell'altro candidato alla segreteria. Almeno per il momento.

Una parte di lettiani e prodiani per Renzi


Ma anche a sostegno del sindaco di Firenze c'è una lunga schiera di big cattolici del partito. A cominciare da quel Pierluigi Castegnetti che si dice contrario all'adesione del Pd al Pse, ignorando forse che la proposta è stata avanzata da più di un renziano e dallo stesso Renzi, anche se con toni via via sempre meno ultimativi.
LA CARICA DEGLI EX VELTRONIANI. Ad appoggiare il sindaco di Firenze nella corsa alla segreteria ci sono poi i cattolici ex veltroniani come Paolo Gentiloni e Giorgio Tonini; una parte dei franceschiniani di AreaDem (di cui faceva parte anche Marini) guidati dallo stesso Franceschini, approdato al renzismo dopo la lunga marcia al fianco di Bersani, con sorpresa di molti, e una parte dei prodiani come Arturo Parisi. Sandra Zampa, però, altra fedelissima del Prof bolognese (che ha annunciato di non voler votare alle primarie del PD per la scelta del segretario) ha deciso di sostenere Giuseppe Civati.
LETTIANI DIVISI. Diverso il discorso per i cattolici lettiani, divisi al loro interno tra chi sostiene Cuperlo e chi Renzi.
Per il candidato dalemiano si è schierata per esempio la lettiana di ferro Paola De Micheli, mentre a favore di Renzi si è espresso Francesco Sanna.
La stessa spaccatura si registra pure a livello locale. Nei congressi provinciali, gli uomini del presidente del Consiglio stanno appoggiando candidati diversi a seconda dei contesti - cuperliani in Campania, renziani in Veneto - dando buona prova di democristianeria.

Gabriella Colarusso

ITALIA - La Consulta ci costa 53 milioni all'anno


La Corte riceve dallo Stato 52,7 mln più i benefit: auto blu, Telepass, pc. Pensioni d'oro: 200 mila euro.

Domenica, 10 Novembre 2013 - La Consulta ci costa 53 milioni all'anno.
Secondo quanto riportato il 10 novembre da il Fatto Quotidiano, la Corte riceve dallo Stato ogni anno un contributo per funzionamento di 52,7 milioni di euro.
Esattamente la stessa cifra del 2012 (niente tagli per la Suprema Corte).
I 16 giudici costano nel 2013, 7,375 milioni di euro, cui si aggiungono 1,5 milioni di 'oneri su retribuzione' e 104 mila euro per viaggi e trasferte.
«UNO SCANDALO». Il professor Roberto Perotti, economista dell'Università Bocconi, ha fatto due conti e su lavoce.info ha scritto: «È il più grande scandalo della pubblica amministrazione. La retribuzione lorda del presidente della Corte è di 549.407 euro annui, quella dei giudici di 457.839 euro. La retribuzione media lorda dei 12 giudici britannici è di 217 mila euro, meno della metà. Il Canada è simile: 234 mila euro per il presidente, 217 mila per i giudici. Negli Usa siamo a circa un terzo della retribuzione italiana: 173 mila euro per il presidente e 166 mila per i giudici». 

Molti i benefit: auto blu, telepass, cellulare e pc


Perotti ha elencato i benefit dei giudici italiani: auto blu con viacard e Telepass, cellulare e pc, una foresteria, perfino i costi dell'utenza telefonica di casa sono pagati dallo Stato.
Vista inoltre l'età media dei giudici costituzionali (i più giovani vanno verso i 70), oltre alla retribuzione, bisogna parlare anche del trattamento pensionistico: i giudici in quiescienza, cioè in pensione, costano 5,8 milioni all'anno, il resto del personale, 334 persone di cui 61 distaccati da altre amministrazioni e 10 a contratto, 13,5 milioni (in lieve aumento rispetto al 2012).
In sintesi: visto che ci sono 20 giudici pensionati e nove superstiti che hanno diritto alla reversibilità, la media è di 200 mila euro annui per giudice pensionato (e 68.200 per il resto del personale, cioè 120 ex dipendenti e 78 loro superstiti).
PAGHIAMO ANCHE L'INFORMATICA. In bilancio, anche altre voci: dai 550 mila euro per «conduzione, manutenzione, assistenza tecnica e aggiornamento sistemi informatici e rete dati» fino alla spesa, non ovvia, di 262 mila euro per «funzionamento struttura sanitaria».
Perotti ha invitato a riflettere sulle auto: ognuno dei 16 membri del collegio ha diritto a una vettura di servizio e due autisti (devono fare i turni), un benefit che spetta loro anche per il primo anno di pensione.
UN AUTISTA COSTA 50 MILA EURO. Tra noleggio, assicurazione, parcheggi e carburante si arriva a un totale di 758 mila euro per il 2013. Se ogni autista costa allo Stato attorno ai 50 mila euro, il costo complessivo per gli spostamenti in auto dei giudici è di 150 mila euro all'anno a persona. «Per ogni giudice», ha scritto Perotti, «in ogni giorno lavorativo si spendono 750 euro per le sole auto blu».

mercoledì 6 novembre 2013

ITALIA - Madre Teresa di Combutta, nata Cancellieri


Mi chiedo come mai non sia già cominciata un’opera di beatificazione per sora nostra  ministra della giustizia Anna Maria Cancellieri: di certo lo merita la sua soccorrevole pietas nei confronti degli oltre 60 mila detenuti italiani la cui condizione, per affermazione stessa delle massime Autorità (mi raccomando non scordiamoci la maiuscola), è indegna. Oddio finora questa compassionevole sensibilità si è esercitata solo sulla miliardaria Giulia Maria Ligresti, datrice di lavoro del figlio della medesima Cancellieri, Piergiorgio Peluso. E che lavoro: 5 milioni e mezzo in un anno per mandare definitivamente all’aria Fonsai  con grandissima competenza e abilità. Ma insomma nella vita bisogna pur scegliere.

Ora qualcuno dirà che penso sempre male. E non è vero: la signora si è data da fare per togliere dal carcere la miliardaria con opportuna anoressia, mentre i poveracci tra le sbarre hanno sempre un volgare appetito, sebbene la Giulia Maria, pensasse del figlio della Cancellieri – per sintetizzare un’intercettazione – che fosse un cretino inaffidabile e infedele, ma protetto dalla madre. Il testo lo trovate dove volete ma non c’è dubbio che l’intervento della ministra per ottenere un trattamento di favore nei confronti della rampolla Ligresti, c’è stato nonostante queste atroci ferite al cuore di mamma. Una santa, ne tenga conto il parroco di Roma, tra una telefonata e l’altra alle pecorelle smarrite.

Certo potremmo anche pensare che sia stato un atto inopportuno, che la Cancellieri abbia approfittato della sua carica per dare vita all’ennesimo caso di ingiustizia ad personam, che si tratti di un’inammissibile ingerenza per cui altrove si danno le dimissioni un’ora dopo e si cerca di scomparire sottoterra, ma anche se così fosse, il tutto è avvenuto avvenuto sulla scia di un imprintig familiare al quale è difficile sfuggire. E infatti il Peluso Piergiorgio dopo essere stato liquidato da Fonsai con quei quattro soldi, è diventato direttore finanziario della Telecom guarda caso poco dopo che quest’ultima si è vista rinnovare dalla ministra diversi appalti tra cui quello per la banca del Dna e quello dei braccialetti elettronici che hanno già avuto la sgradevole attenzione della Corte dei conti. Insomma è come una forma di irrefrenabile cleptomania.

Del resto la stessa Cancellieri è nata e vissuta in questa atmosfera: il nonno dopo la vittoriosa guerra libica del 1911 diviene un ras della nuova colonia e addirittura ”commissario ai beni sequestrati ai berberi”, mentre il padre, sempre in Libia e sotto l’ala protettrice del regime fascista e in particolare di Italo Balbo, si dedica alla costruzione di centrali elettriche. Lei sta a Roma andando in Libia solo per le vacanze, trascorrendo il tempo fra la colonia dei ricchi italiani che sono rimasti anche dopo la guerra e che sotto re Idris fanno il bello e cattivo tempo. Tanto che a 19 anni, appena finite le scuole comincia a lavorare, non alla Standa, ma nientemeno che alla Presidenza del Consiglio. Alzi la mano chi non ha un figlio a cui sia capitato. Dopo una laurea in Scienze politiche a 29 anni, di cui non sembra siano rimaste tracce, eccola cominciare la carriera prefettizia in ogni dove d’Italia. A Nomen Homen Cazzullo rivela in un’intervista: “appartengo, ultima della fila, a una schiera nobilissima. Uomini che hanno dedicato la vita alla cosa pubblica, che hanno versato il loro sangue”. Veramente era il sangue dei berberi e i loro beni che non si sa bene che fine abbiano fatto. Ma certo sono particolari di poco interesse anche in vista di una beatificazione, certificata pure dal povero Sansonetti ormai evolutosi da giornalista a caso umano. Ma anche di un vasto ambiente di opportunisti e difensori dello statu quo ante palesi o segreti.

Comunque sia da tutta questa vicenda emerge in chiaro scuro, ma evidente, il ruolo dei grand commis dello stato come cinghia di trasmissione di un’oligarchia di fatto, dell’incesto fra pubblico e affari privati, come rizoma sulla radice della corruttela, un qualcosa che permette la rigenerazione delle piante infestanti anche in condizioni sfavorevoli. Un ceto duttile che come la Cancellieri può dire che la mafia non esiste ed essere contemporaneamente chiamata da uno poi indagato per mafia, a gestire (peraltro malissimo) l’emergenza rifiuti in Sicilia che notoriamente è in mano alla criminalità organizzata. Che gestisce opportunamente le prebende e sa quali privilegi non toccare, chi aiutare e chi affossare. Un ceto che dall’alto dei suoi privilegi può disprezzare l’insieme dei cittadini che non hanno santi in paradiso. Così anche alla Cancellieri con figlio milionario per grazia di mammà, scappò di dire  «noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà». La beffa dopo il danno.

ilsimplicissimus

ITALIA - La ministra degli affari di famiglia


Parte dall'Africa del colonialismo fascista la vicenda Cancellieri-Peluso-Ligresti. Poteva costituire l'occasione di riscatto per un sistema politico corrotto. E invece no.

Se qualcuno aveva sperato nella possibilità di un riscatto del sistema politico dopo il declino del grande corruttore, può ammainare i vessilli: l'ennesimo alibi di una qualche diversità etica messo come pietoso paravento a politiche inique e allo stesso tempo inefficaci, è caduto con il salvataggio della Cancellieri. Un caso che non ha nulla da invidiare alle gesta del Cavaliere e della sua corte dei miracoli, che nasce nel medesimo brodo di coltura, che ancora una volta ci ridicolizza agli occhi del mondo. Ma evidentemente il sistema politico non si può privare di un ministro della giustizia ricattabile che all' "umanità" già così spiccata nei confronti dei benefattori della propria prole, sarà anche molto comprensiva per quel popolo di indagati che alligna in Parlamento o per nuovi altarini che dovessero venire fuori, come è già avvenuto nel caso Alfano.

Mi ha molto divertito ascoltare Luttwak che ci colloca in Africa e non in Europa. Si perché probabilmente egli non sa che tutta la vicenda Cancellieri-Peluso-Ligresti ha proprio origine in Africa tra quel ceto di grassatori coloniali, assai vicino al fascismo, (come conferma La Russa) che continua ad operare nel dopoguerra con la medesima mentalità e senza nemmeno bisogno di un'organizzazione Odessa, visto che lo spirito di clan è sempre apprezzato in questo Paese. Una mentalità da pieds noirs che trova terreno favorevole per l'ascesa dei Ligresti, così come per la truffa delle fustelle che coinvolge il marito della Cancellieri difeso da Carlo Malinconico, quel tristissimo ministro di Monti che si faceva le vacanze a scrocco ed era implicato nell'affare Sistri. Il tutto mentre la virago Anna Maria faceva carriera come prefetto, integerrimo "servitore dello stato" e il figlio della medesima, il figlio del prefetto amico di questo e di quello, aveva un facile cursus honorum di manager finanziario in funzione di Erode dei piccoli risparmiatori, fino a divenire testimone "reticente e contraddittorio" nel processo Parmalat-Ciappazzi che vedrà Geronzi condannato per bancarotta fraudolenta e il suo amministratore delegato anche per usura.

Un quadro che avrebbe dovuto sconsigliare di elevare l'ormai pensionata Cancellieri in Peluso a ministro dell'Interno nel governo Monti e poi ministro della Giustizia in quello Letta. Ma paradossalmente proprio quel quadro era invece il miglior biglietto da visita per un sistema politico immerso fino ai capelli in ogni tipo di affarini e affaracci. Quindi il suggerimento da parte della famiglia Ligresti di innalzare la virago alla poltrona di ministro trovò porte aperte se non spalancate presso Monti, così come la successiva richiesta di Berlusconi che chiedeva la garanzia di un ministro "amico" e possibilmente anche molto "umano" alla Giustizia, tanto umano da depenalizzare magari in reati di corruzione e frode fiscale, come difatti sta avvenendo. Eccolo servito con il benestare del Pd e di paron Napolitano che anche di fronte allo scandalo delle indebite interferenze confermano la loro scelta, mentre si sono subito liberati della Idem per molto, ma molto meno. Persino di fronte a una difesa del ministro al limite del ridicolo e offensivo per l'intelligenza. Del resto la Cancellieri è lì per i suoi demeriti e solo un sussulto di onestà potrebbe metterla in pericolo: c'è un limite a tutto anche in Italia.

Alberto Capece Minutolo

PALESTINA - «Yasser Arafat è stato avvelenato da polonio»


La relazione svizzera fornisce le prove dell'avvelenamento. Il padre della Palestina forse venduto da uno dei suoi.

Dopo 10 anni di mistero, mentre i palestinesi piangono ancora la morte del loro leader, sembra essere arrivato a una svolta il giallo sulla morte di Yasser Arafat: l'ex presidente dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) è stato «molto probabilmente» avvelenato dal polonio.
Un rapporto di un laboratorio svizzero incaricato degli esami ha registrato livelli di polonio 18 volte superiori alla norma sul corpo dell'ex leader palestinese, morto l'11 novembre 2004.
Lo studio di 108 pagine del centro di medicina legale dell'università di Losanna, pubblicato da al Jazeera, ha scoperto livelli innaturali di polonio nelle ossa di Arafat, in particolare nelle costole e nel bacino, e nel suolo macchiato con i suoi organi in decomposizione.
RAPPORTO CONSEGNATO ALLA VEDOVA. Gli scienziati svizzeri, coadiuvati da un team di colleghi francesi e russi, ha ottenuto i campioni lo scorso novembre quando il corpo di Arafat è stato riesumato da un mausoleo a Ramallah.
«È morto a causa di avvelenamento da polonio», ha detto togliendo ogni dubbio lo scienziato inglese Dave Barclay ad al Jazeera.
Suha Arafat, vedova dell'ex leader palestinese, ha ricevuto una copia del rapporto e ha affermato: «È come se mi avessero appena detto che è morto».
PROBABILE CONGIURA INTERNA. Lo studio ha esaminato solo cosa ha ucciso Arafat, ma non come e quando sia stato avvelenato.
Certo, però, che non sarebbe potuto succedere senza la compiacenza di uno dei suoi uomini: era impossibile avvicinarsi ad Arafat senza passare attraverso le sue guardie del corpo, ed è noto che l'ex leader palestinese mangiasse solo una volta al giorno, un pasto preparato sempre dallo stesso ristorante di Ramallah. Facile dunque ipotizzare che qualcuno abbia venduto Arafat.
Una congiura in pieno stile.

Cominciò a sentirsi male dopo aver mangiato


Nell'ottobre 2004, verso la fine della seconda intifada, Arafat era rinchiuso da più di due anni nel suo compound presidenziale di Ramallah, che le truppe israeliane avevano circondato e in parte raso al suolo.
Era anziano, ma i suoi rapporti medici dimostravano che «era in buona salute e non in presenza di fattori di rischio particolari», afferma il rapporto svizzero.
La sera del 12 ottobre, si sentì male quattro ore dopo aver mangiato. Sulla base dei sintomi (nausea, vomito e dolore addominale) il suo medico personale inizialmente gli diagnosticò un'influenza.
DAI DOLORI ALLA MORTE. Ma la sua salute peggiorò rapidamente e alcuni medici egiziani e tunisini volati a visitarlo non riuscirono a individuare l'origine della sua malattia.
Trasportato d'urgenza in ospedale a Parigi, Arafat cadde rapidamente in uno stato di coma e morì l'11 novembre all'età di 75 anni.
NESSUNA AUTOPSIA. I medici dell'ospedale Percy non effettuarono l'autopsia, né rilasciarono la cartella clinica, facendo aumentare le speculazioni sulla rapida scomparsa di Arafat. Molti funzionari palestinesi vicini all'ex presidente dell'Olp hanno sempre sostenuto che fosse stato avvelenato. Il governo israeliano, nemico di Arafat, ha sempre respinto le accuse di un proprio coinvolgimento nella vicenda.
TRACCE DI POLONIO SUI VESTITI. Nel 2011 la vedova di Arafat diede ad al Jazeera accesso alle cartelle cliniche complete del suo defunto marito e un sacchetto dei suoi beni, compresi gli indumenti che indossava durante i suoi ultimi giorni.
I test condotti dagli scienziati svizzeri che hanno rilasciato il nuovo rapporto hanno trovato livelli elevati di polonio-210 nelle macchie di sangue, sudore e urina sui vestiti di Arafat.

Il polonio è un elemento chimico molto raro e letale


Il polonio è un metalloide grigio-argenteo che si trova nei minerali di uranio. L'isotopo polonio-210 emette particelle alfa altamente radioattive.
Non rappresenta un rischio per la salute umana finché rimane al di fuori del corpo. Ma una dose di 0,1 microgrammi (delle dimensioni di un granello di polvere e pesante meno di un milionesimo di un fiocco di neve) è fatale se ingerita con alimenti o liquidi o inalato in aria contaminata.
IL CASO LITVINENKO. Il caso più famoso di avvelenamento da polonio riguarda Alexander Litvinenko, l'ex ufficiale del Kgb, diventato dissidente con asilo politico a Londra.
Litvinenko morì nel novembre 2006, tre settimane dopo l'incontro con alcuni russi, tra cui un ex ufficiale del Kgb. Un pubblico ministero britannico sostiene che i russi abbiano avvelenato Litvinenko mettendo il polonio-210 nel suo tè.
Il polonio-210 è estremamente raro e sarebbe difficile da ottenere senza l'aiuto di un governo o l'accesso a un reattore nucleare. Si richiede anche un notevole know-how scientifico per gestirlo in modo sicuro. Solo circa 100 grammi si producono ogni anno, quasi tutti in Russia.