È ben strano che il più
piccolo dei partiti proponga l'unità ai più grandi e questi ultimi siano gelosi
della loro indipendenza. Vuol dire che i più grandi hanno paura di assumere
l'identità del più piccolo, l'unico che l'identità ce l'ha.
Si può essere
piccoli numericamente ma grandi per identità, si può essere grandi
numericamente, ma piccoli, divisi, incerti e deboli perché privi di identità.
Il Pd si è accorto finalmente che esiste l'Europa e che si deve fare una scelta
di allineamento con essa. Peccato che non se ne sia accorto al momento della
sua nascita e durante questi anni. Se oggi se n'è finalmente reso conto e
sceglie il campo socialista, questa la dobbiamo considerare una vittoria, una
nostra vittoria, visto che a quest'approdo noi lo abbiamo richiamato,
stimolato, incoraggiato e indotto anche con la nostra iniziativa critica. E ciò
riguarda anche Sel che ha chiesto l'adesione al socialismo europeo, dopo lunghe
e travagliate riflessioni.
S'apre per noi alla luce di questa novità una nuova, vecchia questione. Essere
solo socialisti europei e dunque dichiarare chiusa la nostra esperienza nel
momento in cui altri sono ormai avviati a divenire quel che siamo sempre stati
o continuare a essere, perché non siamo solo socialisti europei, ma anche e
soprattuto socialisti italiani ed è col socialismo italiano che costoro
dovrebbero confrontarsi
La nostra scelta è chiara.
Noi siamo stati socialisti liberali. Io lo sono più che mai ancora oggi e credo
che tra noi e gli altri partiti della sinistra restino almeno quattro questioni
ancora non risolte, rispetto alle quali non è venuta meno la nostra diversità,
rispetto alle quali non vale la nostra omologazione, quattro questioni
richiamate nella nostra mozione e solo in essa, sulle quali concentro il mio
intervento.
La prima riguarda il giudizio su questo ventennio che noi abbiamo definito
seconda repubblica mai nata e che abbiamo anche processato e condannato in
quella iniziativa che mi sono permesso di proporre e che il partito ha
splendidamente organizzato a Roma. Sono stati vent'anni neri, di decadenza
politica, economica e anche morale. Ebbene di questo noi non sentiamo alcuna
responsabilità e dal banco degli accusati a cui una giustizia di parte ci aveva
relegati alla metà degli anni novanta, ci dobbiamo trasferire sul banco degli
accusatori. Con coraggio, senza tentennare, senza esitare. Chiedere di dar
conto del perché il debito pubblico che quando Craxi scese dal governo era
all'86 per cento del Pil, ed era tanto, forse troppo perchè non si era tagliato
abbastanza, sia poi arrivato oggi al 133, sottolineare come la crescita che
negli anni ottanta era il doppio di quella europea è poi divenuta negli ultimi
vent'anni meno della metà, con una recessione che sembra non finire mai tanto
che quando noi parlavamo di nuove povertà avevamo in mente un paese che quelle
vecchie stava ormai superando mentre oggi siamo tornati al primum vivere, alla
difficoltà di sopravvivere, alla povertà di vecchio stampo, pretendere le
ragioni di una politica di asservimento acritico all'Europa, quando semmai
sarebbe stato utile una classe dirigente con lo spirito di Sigonella, ostinata
a difendere l'interesse nazionale e a pretendere se necessario anche la
ricontrattazione dei parametri di Mastricht. Giudicare il ventennio della
speranza smarrita per le nuove generazioni con oltre il 40 per cento di
disoccupati, con la democrazia in soffitta, con il Parlamento dei nominati, i
listini regionali dei raccomandati, popolato da finte igieniste dentali e da
consiglieri specializzati in gite turistiche e hotel di lusso con cene a base
di ostriche e champagne, con tesorieri che rubano nelle casse dei loro partiti
e partiti che rubano la libertà ai loro iscritti. Il ventennio del dipietrismo
col suo vate ispiratore scopertosi abile immobiliarista e ricco proprietario
mentre noi senza soldi e potere e animati solo dalla nostra passione ci siamo
rintanati nei sottoscala dei condomini di periferia per continuare a fare
politica. ll ventennio del falso bipolarismo. Un bipolarismo in cui sono
costretti a collocarsi i partiti italiani e che si sfalda sempre il giorno dopo
le elezioni. Il bipolarismo truffa perchè si presenta in un modo agli elettori
e in un altro in Parlamento. Un bipolarismo che è in default sia nella forma
bastarda, italiana, sia nella forma classica di stampo europeo, soprattuto a
causa della crisi che ha partorito dal suo seno forti movimenti di
contestazione di destra, di sinistra e senza collocazione, che rendono meno
distanti i partiti socialisti e popolari di quanto non lo siano entrambi da
questi movimenti di contestazione radicale. Questo ventennio che appartiene
anche al Pd, non ci appartiene. E prima si concluderà e più saremo contenti,
non solo per noi, ma soprattuto per l'Italia. Il ventennio dei manager di stato
più pagati, altro che stipendi dei parlamentari, sui quali si sono concentrati
giornalisti o disinformati o in malafede. Il sistema politico italiano sta
crollando. sta crollano per intero dopo la scissione di Alfano, e i singolari
analoghi sussulti della parte opposta. Tenteranno una legge elettorale per
rimetterlo in piedi. Non credo per quel poco che possiamo fare, che dobbiamo
agevolarli.
Alla denuncia la proposta. Dobbiamo voltare pagina. Al più presto e in modo
netto. Occorre un vero e proprio piano di risanamento e di rilancio di un paese
in ginocchio, varare una nuova legge elettorale che io auspico dunque
proporzionale di stampo tedesco e un rafforzamento del presidente, con partiti
identitari di carattere europeo, con una proposta di unità politica ed
economica dell'Europa non più schiava del folle rigore che scambia gli
investimenti per spese e con banche al servizio delle imprese, con tasse
ridotte sulle imprese e sul lavoro. Con gli Stati uniti d'Europa, del quale
Turati parlò per primo nel 1929, non solo con la moneta unica d'Europa, e con
una classe politica certo giovane ma anche nuova nel modo di fare politica, non
schiava dell'umore popolare e dei sondaggi. Una classe politica che sappia
togliersi le ragnatele, la ruggine, e anche scontare finalmente quella condanna
senza scampo che alla politica ha decretato la gente comune. Noi non sogniamo
un impossibile, ritorno al passato. Ma l'avvio di una nuova repubblica,
chiamiamola terza, che si sposi con i nostri interessi nazionali.
Poi c'è un secondo versante che riguarda la libertà. Noi non possiamo delegare
la libertà a un popolo che si è affidato a un partito senza libertà. Nè
possiamo accettare una sinistra che si è dimenticata delle libertà perché le
considera di destra. In questo ventennio ha sostenuto e orientato lo scontro
politico un duplice conflitto d'interesse. Quello di Berlusconi che ha
mischiato politica e informazione, quello dei magistrati che hanno mischiato
politica e giustizia. due conflitti d'interesse noi possiamo combatterli, siamo
gli unici, assieme ai compagni radicali, che li possono combattere entrambi.
Questo duplice conflitto d'interesse ha giustificato questo bipolarismo. Con
una destra che ha visto solo il conflitto della magistratura e con una sinistra
che ha visto solo quello di Berlusconi. Per di più quando hanno reciprocamente
governato non hanno saputo e voluto risolvere il conflitto opposto. Quando ha
governato il centro-destra non è stata varata alcuna riforma organica della
giustizia, quando ha governato il centro-sinistra non si è partorita alcuna
legge sul conflitto d'interesse d Berlusconi, come se il bipolarismo italiano
vivesse di questa duplice illegalità, e da questa sola traesse la sua
legittimazione.
Noi invitiamo il Pd ad aderire ai referendum radicali sulla giustizia, a
smetterla di tentennare, di pasticciare, di traccheggiare. Sono referendum di
libertà. Perché finalmente i magistrati, come noi per primi proponemmo nel
1987, vengano sottoposti al principio di responsabilità, perché la si finisca
con l'applicazione illegale della carcerazione preventiva, perché l'Italia non
resti l'unico paese ove non esiste la separazione delle carriere dei magistrati
inquirenti e giudicanti. L'unico precedente, ce lo ha ricordato Angelo
Panebianco, è stato il Portogallo di Salazar. Un'Italia dunque salazariana in
tema di giustizia e per di più richiamata e sanzionata piu volte dall'Europa.
Il complesso di Berlusconi non può essere l'eterno alibi per rifiutarsi di
guardare in faccia la verità. E per non combattere battaglie di garanzia per
tutti i cittadini.
Noi dobbiamo ringraziare Enrico Buemi per le posizioni assunte sulla vicenda
della decadenza di Berlusconi al Senato, sulla questione del voto segreto e
anche sulla legge attorno ai presunti reati di negazionismo. I principi della
tolleranza e del rispetto delle leggi e delle normative deve essere applicato
anche a fronte degli avversari e delle teorie più ingiustificate e assurde. E
così sul caso Cancellieri il partito, e in primis Riccardo Nencini, ha fatto
bene ad esprimere una posizione contraria alle dimissioni. Sfidando le ire dei
dimissionisti di professione, del giornale delle Procure "Il fatto
quotidiano" (caso Tortora) e di Marco Travaglio, dal cui volto non
traspare mai un minino cenno di umanità, di pietà, di tolleranza. Ma solo un
sorriso acido e compiaciuto. E basta, compagni amici, del Pd con quella
continuo ritornello che le sentenze non si giudicano, non si commentano.
Pensate se avessimo fatto tutti così con Enzo Tortora. Riprendete la parola,
esponetevi con noi in battaglie di libertà.
I tre candidati alla guida del Pd hanno svolto parte delle primarie sulla
decadenza della Cancelleiri. Luigi Manconi ha dichiarato che la posizione dei
dimissionisti rappresenta una deriva della sinistra, l'azzeramento di diritti e
valori, l'assecondamento alle pulsioni piu basse, all'urlo feroce". Ci ha
pensato Letta a dimostrare ai gruppi parlamentari del Pd che due più due fa
quattro. Era molto complicato prevedere che un voto contrario a un ministro del
suo governo era un voto contro il suo governo? Evidentemente era molto
difficile. Così hanno scoperto l'uovo di Colombo o uovo di Letta e cioè che un
partito di maggioranza non può votare una sfiducia a un ministro di un governo
di cui fa parte. Sembra di essere su Marte.
I dimissionisti di professione hanno accusato il ministro di aver telefonato
troppo, naturalmente senza porsi il problema dei motivi per i quali alcune
telefonate siano state intercettate e diffuse sulla stampa. Gli stessi
ritengono che il ministro avrebbe dovuto staccare il telefono, punto e basta.
Oppure comprare tanti gettoni quanti sono i carcerati e telefonare a tutti.
Secondo altri, prevalentemente renziani, avrebbe dovuto fare un sondaggio e
chiedere a quanto ammontava il consenso alla segreteria del Pd se il candidato
avesse risposto in un senso o in un altro. Poi anche verificare se per caso il
ministro avesse votato Renzi alle primarie e anche nel caso fosse stato
raggiunto da avviso di garanzia assolverlo e invece condannarlo nel caso avesse
per Cuperlo. Secondo altri ancora, prevalentemente del Pdl, avrebbe dovuto
chiamare un consigliere regionale, affidarle la delicata e spinosa questione,
d’altronde anche la persona in oggetto era una nipote, ma di Ligresti, e poi
chiamare personalmente la guardia carceraria. Così l’equazione con Berlusconi
era completa.
Il giornale delle Procure Il Fatto quotidiano ha anche chiesto le dimissioni di
Nichi Vendola, per via di una risata telefonica, forse non di gusto eccellente,
ma pur sempre una risata. Possibile che costoro siano così presi dal loro
furore come se fossero novelli soldati della Santa Inquisizione? Penso però che
Vendola debba applicare le sue licenze telefoniche ingiustamente registrate e
illegittimamente fatte pubblicare sui giornali, non solo a se stesso ma anche
agli altri. Come facciamo noi che siamo tanto, forse anche troppo, discreti, ma
difendiamo anche chi non lo è.
Un terzo versante è ancora rappresentato dalla laicità, dalla concezione dello
stato che non può mai essere etico, fautore di principi non condivisi e imposti
ad altri. Questo vale ancora per la questione riferita al fine vita ed un
sincero, imperituro affetto noi dobbiamo esprimere ancora al nostro compagno
Beppino Englaro per la sua battaglia che non è stata vinta, sulle leggi che
riguardano le coppie di fatto, la fecondazione assistita, ma anche il principio
dello ius soli, a fronte dei drammi della popolazione immigrata, delle continue
Lampeduse che torturano le nostre coscienze, richiamate come vergogna da Papa
Bergoglio. Basta con timidezze e assurde mediazioni. Su queste materie, sulla
libertà, i diritti, la laicità noi incontriamo sulla nostra strada ancora i
compagni radicali, i vecchi compagni di sempre coi quali non possiamo evitare
di confrontarci e di accordarci perché in fondo rappresentano una parte della
nostra storia. E chi vede in questo una contraddizione con la strategia di
realizzare una forza italiana del socialismo europeo, abdica alla nostra
diversità di socialisti italiani, alla nostra storia di socialisti riformisti e
liberali. Non ci potranno annullare nel socialismo europeo, perché noi siamo
quel che siamo stati e quel che vogliamo continuare ad essere oggi. Socialisti
in Italia, con la nostra storia, le nostre convinzioni, il nostro ineludibile
aggancio del socialismo con le libertà.
Una quarta diversità, diciamo cosi di comportamento, riguarda la coerenza con
la cultura del riformismo. Che è anche capacità di remare contro corrente, di
sfidare spesso l'umore popolare. La politica riformista non la si fa con i
sondaggi, ma con le idee, che possono trasformare i risultati dei sondaggi.
Penso che nessuno dei leader di oggi avrebbe avuto il coraggio di sfidare e poi
riformare i sondaggi ai tempi del taglio della scala mobile. Glielo avrebbero
sconsigliato i Mannaheimer di turno. Oggi pare che il Pd sia ancora schiavo di
questa cultura da piacioni, un po berlusconiana e un po cattocomuista.
Oggi è tempo di coraggio. Lo è per il governo, l'unico governo possibile, altro
che inseguire i grillini per un governo non del cambiamento ma del deragliamento,
caro Bersani. E mi fanno ridere quei compagni che mi criticano perché
sull'Avanti sostengo Letta e Napolitano. Sono com Martin Schulz che nella
conferenza recentemente promossa dall'associazione di Pia Locatelli manifesta
stima e consenso proprio a Letta e Napolitano. È nel momento in cui il governo
delle larghe intese si trasforma nel governo delle piccole intese, con uno
spostamento a sinistra del suo asse e con noi che rischiamo di diventare
determinanti, che propongono le mozioni due e tre, di staccare la spina e di
passare all'opposizione? Io penso invece che dobbiamo pretendere mai come
adesso di entrare al governo e con una posizione non marginale.
Si aprono spazi di iniziativa intorno a noi, nel Pd si annuncia una singolare
nemesi. Gli ex comunisti che non hanno voluto diventare socialisti nel 1989
oggi sono estromessi degli ex democristiani. Sembra la profezia di Ulrica nel
Ballo in maschera di Verdi. Ti uciderà il primo che ti darà la mano. Mai
fidarsi delle mani dei democristiani. Lo diceva anche Gaber. Dall'altra parte
si è consumata una divisione del partito che fu di Berlusconi e che rende
possibile un governo al Paese con una maggioranza più esile, ma politicamente
più compatta. Al centro si consuma nell'ira la divisone tra montiani e popolari,
mentre nella Lega si prendono a schiaffi Bossi e Maroni. I grillini sono
perennemente in preda al furore di un Grillo parlante, urlante, delirante, che
espelle chi dissente, ispirato da una specie di Fantasma del lago di nome
Casaleggio. C'è un terremoto politico segnalato alto nella Scala Mercalli. E
noi che facciamo. Rispondiamo con Lucio Battisti. "Tu chiamale se vuoi tre
mozioni". Avremmo potuto presentarci diversamente, magari con una nostra
lista alle elezioni? Forse si, l'avevo anche suggerito. Ma non è che coloro che
invece fino all'ultimo hanno accettato di inserire candidature nelle liste del
Pd e non hanno trovato la propria, oggi possono scoprirsi improvvisamente
autonomisti. Vabbè.
Oggi serve una ricomposizione per andare avanti insieme. Questo è possibile e
necessario. Votiamo tutti insieme Riccardo Nencini segretario del partito
perché se lo merita.
Siamo tornati in Parlamento. I nostri sette, magnifici o non magnifici, fanno
il loro dovere. Ecco vorrei si trasformassero in quei cavalieri coraggiosi del
film. E ne assumessero un po il tratto spregiudicato. Senza naturalmente
augurarmi che succeda a loro quel che succede ai sette nel film, perché alla
fine quattro vengono uccisi e ne rimangono solo tre. Abbiamo bisogno di
iniziative parlamentari che segnino la nostra originalità. Senza lamentarci dei
mezzi pubblici che non ci considerano. Se abbiamo idee originali, idee solo
nostre, ci considereranno.
Ad esempio la vogliamo far finita con sta storia dei cosiddetti pentiti che
tengono ancora banco anche dopo la tragedia di Enzo Tortora? E denunciare per
calunnia quel tale che ha accusato Craxi di aver fatto ucidere Dalla Chiesa che
era suo amico e la figlia nostra compagna e componente la nostra assemblea
nazionale? E Martelli d'esser stato nominato ministro dalla mafia, lui che ha
fatto le leggi più dure e risolutive contro la mafia? E chiedere le dimissioni
del presidente dell'Inps Mastrapasqua, che occupa ventidue poltrone e intasca 1
milione e 200 mila euro e lancia l'allarme che non fa dormire i pensionati e
poi si smentisce, ma non sente il dovere di lasciare una quindicina di
incarichi e di dimezzare il suo stipendio. E chiedere conto a questo ventennio
per la svendita dei nostri beni di famiglia, della nostra industria pubblica
all'estero come se fossimo ai saldi di fine stagione. E perché nessuno se non
noi con l'Avanti ci siamo accorti di questa inchiesta giudiziaria sulla Rai che
si serviva dello stesso agente di Berlusconi per sovrafatturare i prodotti
cinematografici comprati in America? Perché questo assordante, complice
silenzio?
Noi non usiamo il dentifricio clorodont, caro D'Alema, ma possiamo dire quel
che vogliamo. Facciamolo sempre e ognuno faccia nella nostra comunità il suo
dovere. Io sto tentando di farlo all'Avanti, una testata storica che ho l'onore
di dirigere. Ognuno lo faccia dalla propria postazione. E porti il suo granello
di sabbia. Che dobbiamo tirare adosso agli altri e non a noi stessi, come
troppo spesso facciamo. E lo dico al popolo socialista di Facebook che scrive
spesso solo per parlar male di se stesso, in un misto di autocommiserazione,
masochismo e di frustrazione da inesistenza del PSI. Noi non possiamo rifare il
Psi come l'abbiamo conosciuto. Vent'anni non sono bastati per farlo capire? Ma
possiamo, dobbiamo rendere questo nostro drappello di donne e uomini
appassionati a una storia, a un'identità, a una politica, un movimento politico
attivo, combattivo, coraggioso. Che sa essere, che vuole esserci. Capace di
allearsi con altri, ma di rimanere se stesso e di non avere troppa
preoccupazione di perdere qualche poltrona quando si afferma la nostra
identità. È molto piu facile perdere le poltrone quando non si serve a nulla.