Francamente non mi è dato sapere se ci sarà
il cosiddetto rimpasto. Ad ascoltare le frasi che Renzi dedica a Letta
quest’oggi c’è da stare poco allegri. Altro che rimpasto o rimpastino. Renzi
sostiene che tra lui Alfano e Letta non c’è niente in comune. Passi per Alfano,
che però è suo alleato di governo. Ma che con Letta, che non è solo presidente
del Consiglio, ma anche autorevole esponente del Pd, Renzi non senta alcuna
affinità è davvero sorprendente. La motivazione è che Letta sarebbe stato
nominato ministro qualche tempo fa da D’Alema. E quando si pronuncia quel
cognome ormai nel Pd renziano è solo per disprezzo. Se le parole hanno un senso
quella che doveva essere una smentita delle affermazioni di Faraone, giovane
guerrigliero della nuova segreteria, sono diventate peggio che una conferma.
Governo sempre più traballante, dunque.
Letta farà bene a mettere le cose in chiaro e
a chiedere un pronunciamento del suo partito sulla necessità o meno di
continuare questa esperienza, perché un percorso costellato di logoranti
polemiche porta diritti nel burrone. E a me pare che questa sia la via scelta
da Renzi e dal suo éntourage. Non chiedere mai apertamente la crisi e non
pretendere che il governo vada a casa, sia per non assumersi questa gravosa
responsabilità, sia perché senza legge elettorale è folle pensare alle
elezioni. Quel che interessa a Renzi è mostrare la sua diversità nei confronti
di questo esecutivo. Renzi è l’uomo della nuova Italia che non può confondersi
con la vecchia. E l’Italia di Renzi è fatta di bipolarismo, meglio se
bipartitico, di due candidati che si contrappongono con programmi e uomini, i
suoi giovani e pimpanti.
Si compone di un’idea della politica di
stampo esclusivamente leaderistico, e concilia l’antipolitica grillina e la
soppressione dei partiti, che peraltro è in gran parte già avvenuta, con una
riforma del mercato del lavoro di stampo tedesco. Queste promesse vengono
rinviate a dopo il suo avvento e non possono essere sciupate oggi. Noi
osserviamo e prendiamo nota. Ma abbiamo una semplice considerazione da fare. Il
nostro piccolo partito, di stampo identitario, dispone oggi di sette
parlamentari, di cui tre senatori. Non ha alcuna rappresentanza governativa,
eppure al Senato i tre valgono trenta, visto che la maggioranza è piuttosto
risicata. Si vada o no verso il rimpasto, alcune caselle, dopo il ritiro della
delegazione di Forza Italia, sono rimaste vuote. O si vorrà tenere presente la
nostra legittima, anzi ovvia, esigenza di qualche rappresentanza
nell’esecutivo, oppure anche il Psi che, diversamente da Renzi, considera di
aver molte cose in comune con Letta, dovrà ripensare al suo atteggiamento nei
confronti del governo.
Mauro Del Bue
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