Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


sabato 31 marzo 2012

Economia: La Grecia è il nostro futuro

L’interdipendenza sviluppata dai paesi europei nel dopoguerra ci ha salvato dai conflitti. Ma ora servono regole comuni sul bilancio, altrimenti prima o poi seguiremo tutti la sorte di Atene.
Le due guerre mondiali che l’Europa ha inflitto all’Europa (nessun nemico esterno né carestia o “mancanza di spazio” la minacciavano) ci hanno indotto a pensare che avevamo perso il diritto politico, economico, militare, morale e filosofico di condurre gli affari del mondo, in altre parole di essere una grande potenza.
L’Europa si è poi ritrovata nella confusione e nella polvere della ricostruzione del dopoguerra. Un periodo da cui è uscita grazie all'importante aiuto del piano Marshall (gli americani hanno sostenuto un continente che è stato l’incubatrice di una guerra diventata mondiale, e non si trattava di prestiti, ma di regali).
In seguito l’Europa si è rimessa in piedi e ha creato qualcosa di completamente nuovo: un’unione libera di nazioni, che non si fanno la guerra ma che discutono fra di loro e che intrattengono relazioni commerciali.
Ma esiste anche un altro principio che è ancora più importante e che non possiamo ignorare: non è prudente distruggere (o non aiutare) i popoli o le regioni che si trovano in una cattiva situazione economica.
In passato si pensava che si poteva prosperare solo a scapito di qualcun altro, oggi invece prevale l'idea contraria. La strada più sicura per la ricchezza si fa insieme e non gli uni contro gli altri. In questo concetto risiede tutta la bellezza dell'economia, che unisce e si alimenta delle nostre differenze.
Oggi il commercio ci lega in modo così stretto che il naufragio di una piccola economia provoca un tale trauma emotivo ed economico-finanziario che facciamo di tutto per evitarlo, almeno fino a quando rimane un po’ di speranza.
Non dimentichiamo che se il quasi fallimento della Grecia (così come quello dell’Ungheria o dell’Irlanda) fosse avvenuto 60 anni fa, i nostri  cocciuti dirigenti politici e i nostri economisti da bar dell’epoca si sarebbero probabilmente concentrati su un solo argomento: trovare il modo di occupare militarmente il paese indebolito.
Oggi invece stiamo cercando con tutte le nostre forze (o quanto meno con quelle che ci rimangono) di aiutare questi paesi. Si potrà obiettare che attraverso questi sforzi aiutiamo soprattutto noi stessi; è vero, ma si tratta comunque di un progresso notevole.
Lasciamo ai lettori e alla loro riflessione il compito di dire se questa maggiore solidarietà e la riduzione dei conflitti sono il risultato delle lezioni della storia, di un rafforzamento dello spirito europeo o del lavoro delle istituzioni dell’Ue (che fin dalla loro creazione hanno escluso l'uso delle armi delle guerre commerciali come la svalutazione, i dazi doganali e il protezionismo).
A ogni modo una cosa è certa: l’Europa non ha mai conosciuto un periodo così lungo di pace. Da questo punto di vista il progetto di un'Europa integrata è pienamente riuscito e dobbiamo esserne riconoscenti, anche se talvolta questo risultato ha un costo.
Controllori incapaci
Come ai tempi dell'antica Grecia, i greci sono oggi in anticipo sui tempi. Hanno fallito una decina di anni prima dell’Italia, della Spagna, della Repubblica Ceca e della stessa Germania. Se continuiamo a seguire la traiettoria delle generazioni passate, anche noi arriveremo allo stesso fallimento.
I mercati si sono rivelati dei custodi troppo deboli e non abbastanza reattivi del livello dei debiti sovrani. In altre parole non sono capaci di obbligare gli stati alla prudenza quando si indebitano. I popoli democratici e i loro responsabili politici si devono assumere la responsabilità di questo compito. Ma a quanto pare non ne siamo capaci. Ecco perché abbiamo bisogno di regole comuni in materia di indebitamento, ma anche e soprattutto di rimborso del debito durante gli anni migliori.
Questo era ed è ancora oggi il senso del patto di bilancio che non abbiamo approvato di recente. La Repubblica Ceca dovrà rapidamente reinventare le sue regole fiscali, perché altrimenti rischia  di diventare il prossimo bersaglio della speculazione. E sono convinto che queste regole saranno molto simili a quelle che abbiamo appena rifiutato. Inoltre bisogna sapere che per noi, al contrario del resto dell’Ue, sarà molto difficile farle rispettare, perché nessun vincolo esterno ci obbligherà a seguirle.
In ultima analisi siamo stati fortunati che i paesi europei minacciati di fallimento fossero delle economie piuttosto piccole. Speriamo che questi avvertimenti (che molto probabilmente hanno permesso al nostro governo attuale di vincere le ultime elezioni) siano sufficienti. Altrimenti di quanti fallimenti ancora più gravi avremo bisogno prima di ammettere la verità? (Traduzione di Andrea De Ritis)

SCOZIA: Gli sceicchi del nord

Se il referendum sull’indipendenza previsto entro il 2014 avesse successo, il nuovo paese potrebbe diventare uno dei più ricchi d’Europa grazie alle sue risorse. Ma la transizione non sarebbe facile. Estratti.
Severin Carrell 29 marzo 2012 The Observer Londra

“É il petrolio scozzese!” dice uno degli slogan più diffusi nella politica scozzese: usato per la prima volta nel 1974 dal Partito nazionale scozzese (Snp), sostiene che la Scozia possiede fino al 90 per cento delle riserve di greggio del Mar del Nord e resta uno dei pallini dei nazionalisti.
Nei prossimi due anni, in cui Alex Salmond guiderà il paese verso il referendum sull’indipendenza, è probabile che quello slogan diventi uno dei punti di forza nelle argomentazioni dei nazionalisti, che credono infatti che sarà proprio questo a contribuire a decidere del destino del Regno Unito.
Da quando è diventato palese che i giacimenti petroliferi del Mar del Nord potrebbero portare immense fortune, l’Snp ha insistito che tale ricchezza è stata finora dilapidata dai governi che si sono succeduti a Westminster. I nazionalisti fanno notare che la Norvegia, paese che al pari della Scozia ha una popolazione di poco meno di cinque milioni di abitanti, ha risparmiato buona parte dei proventi del petrolio e le entrate sono state utilizzate per il più grande fondo pensione d’Europa, del valore di circa 434 miliardi di euro.
L’Snp sostiene che se si traccia una linea a est di dove il confine tra Scozia e Inghilterra tocca la costa settentrionale di Berwick, la spartizione del fondale marino assegnerebbe  alla Scozia il controllo di quasi tutti i giacimenti di petrolio e di gas del Mar del Nord.
Il governo scozzese – che sta mettendo a punto un caso dettagliato per sostenere la rivendicazione su quel 90 per cento, mentre i suoi funzionari civili si preparano  per il referendum – afferma che il Mare del Nord potrà generare entrate per circa 64 miliardi di euro entro i prossimi cinque anni, mentre il suo valore è valutato intorno a 1190 miliardi di euro, comprese le restanti riserve.
Salmond sostiene che sommate alle significative risorse eoliche della Scozia, all’energia marina e ad altri settori produttivi redditizi come quello del whiskey,  le potenzialità dei giacimenti petroliferi farebbero della Scozia il sesto paese più ricco dell’Ocse, lasciando il resto del Regno Unito ad arrancare in quindicesima posizione.
Salmond però dovrà rispondere alle preoccupazioni di chi si chiede se la Scozia riuscirà a offrire a quel settore la medesima vitalità a livello internazionale e quel regime fiscale e normativo relativamente stabile che assicura adesso il Regno Unito.
Secondo gli esperti, le compagnie petrolifere e le società ingegneristiche che fanno affidamento sui futuri contratti nel Mar del Nord stanno soppesando le possibili ripercussioni negative dell’indipendenza. In pratica, infatti, dovranno barcamenarsi tra due diversi regimi normativi e fiscali: il Regno Unito ha agenzie e istituzioni competenti nelle questioni sanitarie, nella sicurezza e nelle questioni ambientali, in buona parte controllate dal governo, mentre la Scozia dovrà dar vita alle proprie partendo da zero.
Una volta diventata indipendente la Scozia, uno degli stati più piccoli dell’Ue, sarà in grado di raggiungere la medesima influenza politica di cui  il Regno Unito gode a Bruxelles e a livello internazionale?
C’è anche il problema delle esplorazioni petrolifere a lungo termine e delle licenze per i carotaggi che il governo britannico ha concesso alle società petrolifere, tenuto conto che alcune di esse hanno una durata di 30 anni. In che modo le si potrà trasferire? Si pensi poi a come la Scozia potrà difendere le piattaforme petrolifere nel Mar del Nord: il governo di Edimburgo si potrà permettere una marina capace di sventare un attacco terroristico?
Camminare da soli
In ogni caso, l’industria petrolifera potrebbe anche decidere che il governo scozzese è più disponibile riguardo alla pressione fiscale: la ricchezza petrolifera del Mar del Nord è di gran lunga più importante per l’economia scozzese che per quella del Regno Unito. Anche se le cifre variano di anno in anno, il greggio e il gas generano circa il 2 per cento del pil e del gettito fiscale del Regno Unito, ma il rapporto economico annuale del governo scozzese prevede che possa arrivare a rappresentare il 12 per cento delle entrate complessive della Scozia.
Salmond ha fissato per il settore delle energie rinnovabili l’obiettivo di soddisfare il cento per cento del fabbisogno scozzese di elettricità entro il 2020 in circostanze favorevoli, pur mantenendo due impianti nucleari di riserva e le centrali alimentate a carbone già esistenti. Hendry però ha fatto notare quali problemi attendono la Scozia: se otterrà l’indipendenza non potrà attingere ai sussidi del Regno Unito per le rinnovabili, dovrà pagare di tasca propria per le infrastrutture necessarie a creare la rete necessaria a esportare energia e dovrà affrontare la concorrenza dei fornitori francesi, irlandesi e norvegesi.
Secondo un portavoce di John Swinney, segretario scozzese alle finanze, “la Scozia ha una base di asset nel Mar del Nord quantificata in 1190 miliardi di euro, mentre il debito pubblico del Regno Unito ha già superato quella cifra. Metà dei giacimenti deve ancora essere sfruttata. Tenuto conto che si prevede che il prezzo del greggio salirà oltre i 200 dollari al barile, queste cifre evidenziano chiaramente quanto sia indispensabile per la Scozia ottenere il controllo delle proprie risorse con l’indipendenza, per l’interesse a lungo termine del paese”.(Traduzione di Anna Bissanti)

IL REDDITO MINIMO GARANTITO COME DIRITTO DI CIVILTA’.

Il Reddito minimo garantito non è stato mai voluto in Italia. E’ un dato storico che era ben noto già al movimento del ’77.

A differenza di tutti gli altri Paesi europei (tranne Grecia ed Ungheria), dove anche i governi conservatori non si sognerebbero mai di metterlo in discussione (basti pensare che finanche nell’Inghilterra della Thatcher c’era), in Italia il reddito minimo garantito è visto come il fumo negli occhi da almeno cinque grandi poteri forti italiani;

1) La classe politica, specialmente meridionale, che vuole tenere i giovani permanentemente sotto il ricatto clientelare (non c’è molta differenza in questo tra PDL e PD al Sud);

2) La Confindustria, che vuole avere sempre una larga sacca di disperazione sociale per tenere il costo del lavoro a livelli da terzo mondo, come ormai sta per succedere;

3) La grande malavita organizzata che ha bisogno della disperazione giovanile per reclutare in un ampio ed inesauribile bacino, soprattutto al Sud, la sua manovalanza in modo tale che anche se si arrestano centinaia e migliaia di boss c’è sempre immediatamente pronto il ricambio

4) La Chiesa Cattolica, che reclama il monopolio dell’assistenza, con la Caritas e con tante altre sue protesi. Ma l’assistenza discende dal concetto di carità, che è discrezionale e soggettivo per definizione. La Chiesa non vuole la moderna e laica solidarietà sociale, che invece è universalistica, è un diritto del cittadino e non un dono calato dall’alto dalla Provvidenza per imperscrutabili sue ragioni. Il RMG è una espressione del Welfare avanzato e toglierebbe alla Chiesa Cattolica “clienti” e funzione ( le opere caritative sono ormai  l’unica vera funzione che gli resta nella nostra società secolarizzata nell’epoca in cui ‘Dio è morto’);

5) Infine, spiace anche dirlo, il sindacato, che ha sempre difeso solo gli occupati, dimenticandosi sempre della seconda società dei non garantiti.

Si è persa la memoria collettiva in questo Paese? Si sono già dimenticati tutti di cosa accadde nell’Università di Roma nel febbraio 1977?

C’è tutta una letteratura anche su questa tradizionale insensibilità del sindacato verso gli invisibili. Forse, negli ultimi mesi è in corso un ripensamento, non ne sono molto sicuro, ma quest’ultimo anche se fosse convinto e sincero nulla toglie al fatto che finora è stato così.

Per tutti questi motivi la battaglia per il RMG e per il nuovo Welfare si annuncia non solo come la più importante ai fini di un programma di  riforma sociale per una ricostituenda coalizione di centrosinistra, non solo come il punto più avanzato su cui dovrebbe impegnarsi oggi la sinistra, ma anche come la più difficile.

Il Nuovo Partito d’Azione (NPA)  in ogni caso va avanti con la sua campagna e con le sue specifiche iniziative, ben sapendo che questa è una battaglia che nessuno può portare avanti da solo.

Pino A. Quartana
Presidente nazionale NUOVO PARTITO d’AZIONE – Roma

Istituzioni: La nebulosa delle agenzie europee

Spese folli, poca trasparenza, conflitti d’interesse: l’autonomia accordata alle 24 agenzie dell’Ue le ha rese pericolosamente esenti dalla vigilanza di Bruxelles e dal controllo democratico.
Oliver Grimm  30 marzo 2012 Die Presse Vienna

Esattamente 6.157 euro: ecco quanto costa una riunione del board dell’Efsa, l’agenzia europea per la sicurezza alimentare. A persona. Non sappiamo se i quindici membri del consiglio di vigilanza sono stati portati a Parma [sede dell’Efsa] su lettighe dorate e là hanno mangiato uova di quaglia mentre discutevano l’ordine del giorno.
Si sa però, grazie a Monica Macovei, eurodeputata romena impegnata nella lotta alla corruzione, qual è la concezione che queste persone hanno del loro incarico. Solo nel 2010, l’Efsa ha sborsato 49 milioni di euro in contratti esterni per cose come “comunicazione e gestione”.
Non si tratta dell’unica anomalia riscontrata tra le 24 agenzie europee. All’inizio dell’anno Thomas Lönngren, che in passato ha diretto l’autorità europea dei medicinali a Londra, è entrato senza problemi nell’industria farmaceutica. Nella Frewen, che per molto tempo ha lavorato a Bruxelles [come lobbista] per la Monsanto, multinazionale statunitense delle sementi e ora è a capo della lobby dell’industria agroalimentare, starebbe per entrare nel consiglio d’amministrazione dell’Efsa.
Le stesse organizzazioni non governative non riescono a dire cosa spetti a loro e cosa no. Il capo dell’Agenzia europea per l’ambiente, con sede a Copenaghen, è partito con alcuni dei suoi collaboratori per i Caraibi senza che venissero contate come ferie. Per studiare la biodiversità. A beneficiarne è stata Earth Watch, un’organizzazione per la difesa dell’ambiente, ma a pagare sono stati i contribuenti. Earth Watch ha presentato una fattura di duemila euro per ogni partecipante al viaggio. La cosa non puzza di sovvenzione incrociata. Lo è.
Come possono succedere episodi del genere? Semplicissimo: perché nessuno si sente responsabile. Quando si chiede alla Commissione europea cosa pensa di fare per rimediare al malfunzionamento di queste agenzie, la risposta è sempre la stessa: abbiamo le mani legate, il regolamento interno delle agenzie non prevede alcun diritto di ingerenza e sono anni che abbiamo proposto di cambiare le modalità di controllo.
I principali colpevoli di questa situazione sono chiaramente i governi europei. Da anni i paesi membri lottano tra di loro in maniera penosa sulla creazione delle agenzie. Tutti ne vogliono almeno una. Se un vertice europeo blocca tutto, si può sempre proporre di aprire questo o quell’ufficio esterno e, miracolosamente, ottenere consenso.
Anche i politici austriaci, che non perdono occasione per parlare male di “quelli di Bruxelles”, poi si affrettano a dare la loro approvazione. Quando l’Agenzia per i diritti fondamentali è stata aperta a Vienna, il primo marzo del 2007, i membri del governo hanno fatto a gara a chi pronunciava la dichiarazione più entusiastica, anche se bisognava leggerle tutte due volte per essere sicuri che non si trattasse di uno scherzo.
Il ministro degli esteri Ursula Plassnik si è lasciata scappare che la creazione dell’Agenzia per i diritti fondamentali “avrebbe rafforzato ulteriormente la posizione di Vienna come sede di organizzazioni internazionali di rilievo”.
Tagliare i doppioni
Il cancelliere federale Alfred Gusenbauer ha parlato di un “segnale forte inviato dall’Ue”. Da notare che l’Agenzia per i diritti fondamentali ha attraversato un momento di vaga agitazione soltanto una volta in cinque anni, quando il commissario Viviane Reding ha criticato il progetto di inserirla nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. L’eurodeputato Martin Ehrenhauser ha ragione, bisognerebbe chiudere l’agenzia viennese senza sostituirla con qualcos’altro, dato che è chiaramente un doppione del Consiglio d’Europa.
Ironia vuole che gli europei, se fossero più di un milione, potrebbero lanciare un’iniziativa civica a partire dal primo aprile per ottenere, secondo la formula del momento, più democrazia, più partecipazione e più trasparenza. Intanto le autorizzazioni sui nostri medicinali e la valutazione dei rischi legati agli alimenti che consumiamo continuano a essere rilasciate nell’ombra.
Questa situazione non è tollerabile. I governi dovrebbero approfittare dei negoziati sul riassetto finanziario dell’Ue per il periodo 2014-2020 per chiudere le agenzie inutili e rafforzare il controllo sulle altre. Altrimenti le agenzie che lavorano nell’ombra potrebbero presto conquistare un’autonomia irreversibile.( Traduzione di Anna Franchin)

PSI: Parliamo del futuro del socialismo italiano.

Dove va il Socialismo Italiano? Una domanda cruciale a Franco Bartolomei
Dove dovrebbe collocarsi, secondo la sinistra socialista, il PSI?

I Socialisti devono divenire parte dirigente di un grande progetto di rinascita e ristrutturazione della Sinistra italiana nel quadro del piu’ generale processo di rifondazione politica e programmatica che sta rivitalizzando tutto il Socialismo europeo.
Questo ruolo del PSI passa attraverso la ricerca di nuove alleanze elettorali a sinistra del PD, finalizzate ad allargare , ben oltre i nostri ridotti limiti elettorali, una area politica piu’ vasta che, partendo dal riferimento alla esperienza delle grandi forze Socialista Europee , si ponga l’obiettivo di ricostruire una nuova grande forza Socialista nella Sinistra Italiana, attraverso un processo costituente simile a quello che il congresso di Epinay indico’ a suo tempo al Socialismo Francese.
Una nuova forza Socialista in grado di superare quella ormai cronica inadeguatezza del PD a guidare un progetto di governo alternativo della sinistra , autonomo dai poteri forti nei suoi riferimenti programmatici e culturali , ed autenticamente maggioritario nella società, e che, sopratutto, sia in grado di lavorare seriamente ad un progetto alternativo di governo della Sinistra. Progetto, questo, fondato sulla individuazione e costruzione di un nuovo modello di sviluppo e di rapporti sociali in grado di risolvere con piu’ democrazia ed equilibrio i problemi drammatici generati dalla grande recessione economica che stiamo attraversando, generata dalla crisi del modello finanziario e liberista che ha caratterizzato l’evoluzione, o meglio dire l’involuzione, delle nostre societa’ nell’ultimo ventennio.
L’assemblea nazionale del PSI del 1 aprile avvia, nei fatti, la preparazione del congresso statutario di quest’anno, che vedrà il rinnovo degli organi.

La nostra speranza è che il seme gettato dalla sinistra socialista possa scuotere l’intero partito, far uscire allo scoperto gli indecisi e ridare slancio al socialismo italiano.

In uno scenario fosco come quello che si prospetta all’orizzone, fatto di recessione, aggravamento della povertà, della disoccupazione e restrizione dei diritti e della rappresentanza, l’Italia ha bisogno, ora più che mai, di una idea e di una pratica socialista forte ed agguerrita.

Noi Giuovani Democratici e Dalemasessuali

Noi siamo giuovani democratici, e liberalizziamo pensieri al plurale maiestatico.

Lanciamo una fatwa contro Luca Telese ché su Twitter attacca il nostro Segretario.

Se tocchi Bersani ti facciamo male.
Se tocchi D’Alema ti muore la mamma.

D’Alema è il più lucido pensatore del panorama politico italiano, e ha sempre ragione. Walter Veltroni non esiste.

Noi odiamo la conta, il televoto, e tutto il cucuzzaro. «Mi fido di te»? No, «Bella Ciao»! Soltanto le spie prendono appunti! Stefano Boeri è svenuto alla perfomance di Marina Abramovic, noi sopportiamo anche nove ore di merenda davanti Youdem: eccellente martirio di formazione politica.

Amici, il nostro pilastro luddista, Stefano Fassina, è un eroe: sopravvissuto all’ostico ambiente bocconiano invaso da quegli alieni antropologici con «la macchina col telefono, le iniziali sul taschino e, quando sono di buonumore, l’orologio sul polsino». Matteo Renzi è uno yuppie.

Noi preferiamo la Cina agli Stati Uniti. Le primarie si devono svolgere solo sulla base di un accordo con le parti sociali. I Laogai cinesi sono un’invenzione della stampa. Abbiamo venti anni, ma ne dimostriamo cinquantasei. Il pensiero cattolico può aiutare il Partito democratico a sconfiggere le drammatiche piaghe del liberismo, della finanza, e del libero mercato. Indossiamo giacche larghe e stropicciate come le nostre occhiaie.

E’ tutta colpa della Rivoluzione industriale! «Rosy, sei bellissima». Per San Valentino organizzeremo una veglia di lettura (perché chiamarla «reading»?) dedicata alla storia d’amore tra Nilde e Palmiro. Vi ricordiamo che stasera ci sarà Matteo Orfini a #piazzapulita! Tra pochi minuti, Bersani a #portaAporta! E’ nostro dovere informarvi della presenza di Francesco Cundari a #omnibus.

Noi copuliamo tra noi al fine unico di non imbastardir la mozione. Le nostre amiche e compagne pensano all’articolo 18 non al tacco 12, e hanno deciso di non depilarsi le ascelle per ricordare l’insopportabile selva di contratti precari. Abbiamo trentanove anni, ma siamo ancora Studenti democratici.
«La giovanile che vorrei» non va a far la buffona alla Leopolda di Firenze, con quei destri mitomani dei rottamatori! Il Pentapartito? Ma siamo seri, su!

Odiamo augelli far festa: Concita De Gregorio è andata via, potete ricominciare a leggere L’Unità. Ricordate che Alfredo Reichlin non ha mai torto.

Anche noi avremmo voluto scrivere su Facebook di aver fatto pipì nel bagni del Pentagono con il Segretario Bersani.

Gli amish sono nuovisti.

Pippo Civati è un trasgressivo.

 Amici e compagni, dobbiamo equipararci: tutti con la barbetta e gli occhiali rettangolari.

Prendere la birra al bar da soli, è bello.

Non siamo eterosessuali. Non siamo omosessuali. Siamo dalemasessuali.
(Martina Alice de Carli – Avanti! online)

venerdì 30 marzo 2012

SLOVACCHIA: Fico presenta il suo nuovo governo

Praga, 30 mar. - Il leader socialdemocratico Robert Fico (Smer - sociálna demokracia), dopo il trionfo elettorale dello scorso 10 marzo, ha presentato oggi la compagine del governo monocolore con il quale si accinge a tornare alla guida della Slovacchia, dopo la sua prima esperienza da premier dal 2006 al 2010.

Della lista - in tutto 13 nomi - fanno parte anche sei ministri del primo governo Fico e non mancano - sono tre - i cosiddetti tecnici. Fra i primi spiccano i nomi di Robert Kalinak (Interno), di Marek Madaric (Cultura) e di Miroslav Lajcak (Esteri). Quest'ultimo è un diplomatico di carriera il quale negli ultimi anni ha ricoperto la carica di direttore esecutivo della External Acion Service dell'UE per la Russia, il partenariato orientale e i Balcani occidentali.

Per quanto riguarda i tecnici, è stata accolta bene dai commentatori la nomina a capo del ministero della Giustizia di Tomas Borec - l'attuale capo dell'Ordine slovacco degli avvocati - un giurista che gode di buona reputazione fra i giuristi e fra le organizzazioni non governative.

Alla guida delle Finanze è stato chiamato Peter Kazimir, vicepresidente socialdemocratico (già viceministro delle Finanze, responsabile dell'ingresso in Eurozona della Slovacchia nel 2009), mentre alla Difesa andrà invece Martin Glvac, deputato e leader del partito Socialdemocratico Smer nella regione di Bratislava.

Il nuovo governo sarà nominato dal capo dello Stato, Ivan Gasparovic, mercoledì 4 aprile.

Fico, 44 anni, da alcuni anni il politico slovacco che gode di maggiore popolarità, è riuscito a conquistare alle ultime elezioni una maggioranza schiacciante di 83 seggi in parlamento su 150.

Italia: I giovani che lavorano

Per migliaia di bambini dei quartieri più poveri di Napoli la scelta è tra lavorare a nero per pochi spiccioli o arruolarsi nella camorra. E la crisi ha prosciugato i fondi degli operatori sociali.


Sette del mattino a San Lorenzo, nel cuore di Napoli. Un ragazzino cammina veloce nel labirinto di vicoli umidi con in braccio una pesante cassa di barattoli di conserva. Con la tuta scolorita, il cappuccio in testa e le scarpe da ginnastica logore, il piccolo Gennaro comincia la sua giornata di lavoro.
Nessuno si stupisce di vederlo sgobbare così presto. Nel settembre 2011 Gennaro è stato assunto da un negozio di alimentari. Sei giorni su sette, dieci ore al giorno, riempie gli scaffali, scarica le casse e fa le consegne nel quartiere.
Gennaro sognava di diventare informatico, ma fa il garzone, il mestiere più diffuso fra i ragazzi che lavorano a Napoli. Lavora a nero a meno di un euro l’ora e guadagna al massimo 50 euro a settimana. Gennaro ha appena compiuto 14 anni.
Mai Paola Rescigno, la madre di Gennaro, avrebbe creduto di doverlo privare della scuola. Per vent’anni Paola ha abitato con suo marito in 35 metri quadrati in un cortile di San Lorenzo, il quartiere più buio del centro città.
Poi il padre è morto, portato via da un tumore fulminante. Da allora Paola è costretta a vivere di espedienti; ha organizzato una piccola impresa di pulizia e divide il suo lavoro con altre disoccupate del quartiere; guadagna 45 centesimi di euro all’ora, 35 euro a settimana, meno dello stipendio del figlio.
È lei che ogni mattina all’alba sveglia Gennaro per farlo arrivare puntuale al negozio di alimentari. La figlia più piccola ha sei anni e così ha dovuto scegliere: “Non ho i mezzi per pagare i libri di tutti e due. O uno o l’altro”. Sul tavolo di cucina c’è un pane da otto giorni, una pagnotta da 3 chili di segale che si conserva a lungo e costa solo cinque euro. L’alimento principale degli anni della carestia del dopoguerra italiano.
A Napoli migliaia di bambini come Gennaro sono obbligati a lavorare. In Campania tra il 2005 e il 2009 54mila ragazzi hanno abbandonato il sistema scolastico, secondo un allarmante rapporto pubblicato nell’ottobre 2011 dal comune. Il 38 per cento di questi ragazzi ha meno di 13 anni.
Commesso di negozio, barista, fattorino, apprendista barbiere, aiutante nelle concerie dell’entroterra e nelle pelletterie delle grandi marche, factotum ai mercati, questi ragazzi sono ovunque, ben visibili, nell'indifferenza quasi generale.
“È vero, siamo sempre stati la regione più povera d’Italia. Ma adesso abbiamo raggiunto un livello mai visto dalla fine della seconda guerra mondiale”, dice Sergio d’Angelo, vicesindaco di Napoli. “A dieci anni questi ragazzi lavorano già 12 ore al giorno, un vero rifiuto del loro diritto di crescere”. I genitori vivono nell’illegalità e i servizi sociali possono in ogni momento affidare i loro figli ad altre famiglie.
La crisi italiana ha la sua parte di responsabilità in questa situazione. Dal 2008 le varie leggi finanziarie hanno imposto drastici piani di rigore. E nel giugno 2010 la Campania ha soppresso il sussidio di disoccupazione facendo sprofondare 130mila famiglie che ne avevano diritto nella miseria più nera.
Il reddito medio nella regione era intorno ai 644 euro per abitante. Oggi la metà degli abitanti ritiene che la situazione sia peggiorata. “Sono i giovani a pagare i costi della peggiore crisi economica del dopoguerra”, dice d’Angelo.
A Napoli i ragazzi delle famiglie povere non hanno altra scelta che cercare di studiare o di lavorare a nero. Una terza scelta è quella di entrare a far parte della camorra. Ed è contro questa scelta brutale che si batte Giovanni Savino, 33 anni, educatore specializzato. Il suo settore è uno dei quartieri più difficili di Napoli, Barra, vero e proprio supermercato della droga con i suoi grandi caseggiati fatiscenti sotto il controllo dei clan della camorra.
Ogni settimana Savino va alla Rodino, una scuola in mezzo alle case popolari, dove il traffico di droga è enorme e un ragazzo su due si assenta da scuola per più di cento giorni all’anno.
Secondo la legge dopo 60 giorni di assenza questi ragazzi dovrebbero essere espulsi. La direttrice della scuola Annunziata Martire e l’insegnante lottano contro il tempo: una volta a settimana la direttrice gli consegna la lista degli assenti e Savino ha dieci giorni di tempo per trovare una soluzione, prima dell’intervento dei servizi sociali.
Il più delle volte è lui che si incarica di far sostenere ai ragazzi l’esame di terza media da privatisti, per evitare che siano tolti alle loro famiglie e affidati ai servizi sociali.
I funzionari del comune non osano neanche avvicinarsi alle case popolari e pochi insegnati come Savino sono capaci di entrare a Barra. La sua associazione si chiama il Tappeto di Iqbal, dal nome di un bambino schiavo che si è ribellato ed è stato ucciso.
Savino è un uomo arrabbiato. Arrabbiato contro la mafia, contro un sistema educativo carente e contro lo stato “che abbandona questi ragazzi”. In Italia non esiste una struttura di aiuto sociale. Il sostegno ai giovani e alle famiglie dipende dall’energia di 150 associazioni che vivono delle sovvenzioni del comune.
Con la crisi il fondo di aiuto sociale è stato ridotto dell’87 per cento. E da due anni i ventimila educatori della Campania non ricevono alcuno stipendio e devono indebitarsi per lavorare. In mancanza di finanziamenti il Tappeto di Iqbal dovrà chiudere.
Cocainomane a 12 anni
Tuttavia Savino è riuscito a strappare decine di ragazzi di Barra dalle mani di datori di lavoro senza scrupoli o dai clan della camorra che vengono qui a reclutare i loro futuri soldati.
Carlo è uno di questi. A 13 anni questo ragazzino tatuato imponeva il racket, rubava e accoltellava su richiesta del clan Aprea. Quattro anni dopo Carlo è diventato il braccio destro di Savino, nei confronti del quale dimostra una fedeltà assoluta: “Giovanni non si limita a farti superare l’esame di terza media, non ti lascia e a me ha salvato la vita”.
Dopo Carlo c’è stato Marco, cocainomane a 12 anni e scippatore. E Ciro, studente brillante diventato cameriere per salvare la famiglia dagli usurai della camorra.
L'ultimo, Pasquale, 11 anni, rappresenta per Savino la sfida più grande. Quando lo ha preso sotto la sua protezione nove mesi fa, Pasquale aveva lasciato la scuola e non mangiava abbastanza. Per aiutare la famiglia questo ragazzino di un metro e 30 dal viso coperto di lentiggini scaricava casse in un supermercato e la notte andava a rubare il rame alle discariche o nei depositi di Trenitalia.
“Prendi il filo, lo bruci e lo tagli per farne una matassa”, dice il ragazzo con aria spavalda, ma subito dopo si preoccupa: “Mi raccomando però, non dire a mamma che ho un coltello”. Nel quartiere di Barra il rame e l’alluminio si vendono sul mercato nero a 20 euro il chilo. E questo traffico è nelle mani dei bambini.
Quando gli chiediamo cosa vuole fare da grande, Pasquale ammutolisce e poi scoppia a piangere: “farò quello che posso”.

USA/CASA BIANCA: Nessun piano b se riforma sanità sarà bocciata

Amministrazione Obama fiduciosa su sentenza della Corte Suprema

New York, 29 mar. - Il presidente americano Barack Obama non ha un piano di emergenza nel caso in cui la riforma sanitaria sarà bocciata. Lo ha ammesso la Casa Bianca, al termine dei tre giorni di analisi della riforma da parte della Corte Suprema, che deciderà a giugno sulla costituzionalità della legge. "Se ci sarà un motivo per preparare un piano di emergenza lo faremo", ha detto Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca, sottolineando di avere fiducia nella Corte Suprema e di credere che "la riforma sarà ritenuta costituzionale". Tuttavia, ha aggiunto, "è temerario cercare di prevedere l'esito di questa decisione basata esclusivamente sulla scelta dei giudici".

Dopo tre giorni passati ad analizzare la riforma, i nove giudici della Corte Suprema hanno raccolto gli elementi necessari per determinarne la costituzionalità. La parte più criticata riguarda l'Individual Mandate, che impone ai cittadini di stipulare una polizza di assicurazione sanitaria. Mancano ancora diversi mesi alla decisione della Corte Suprema, ma è probabile che i giudici più conservatori bocceranno la legge in toto o in parte, mentre quelli più liberal tenderanno a salvarla, anche nel caso in cui venisse bocciata la parte riguardante l'Individual Mandate.

La sentenza, che sarà annunciata a pochi mesi dalle elezioni presidenziali di novembre, avrà forti ripercussioni politiche su ambedue i partiti. Soprattutto per Obama che, nel caso in cui questa riforma cruciale nel suo programma fosse dichiarata incostituzionale, dovrà elaborare un difficile piano di emergenza.

RUSSIA: Putin lancia concorso per 'migliore operaio',come in Urss

Iniziativa di sovietica memoria per rianimare la produttivi

Mosca, 29 mar. - Vladimir Putin ha lanciato un concorso per "il miglior lavoratore", con premi in palio da 100.000 a 300.000 rubli (tra i 2.500 e i 7.700 euro), che saranno assegnati a dicembre. Un'iniziativa di sovietica memoria, come pure "l'entusiasmo dei sindacati e dei datori di lavoro" per l'iniziativa, comunicato al primo ministro - e presto di nuovo presidente - dalla responsabile dello Sviluppo sociale, Tatiana Golykova. "Certo, sono stati però delusi nell'apprendere che ci sono solo cinque categorie previste, quindi molti dirigenti di fabbrica hanno deciso di finanziare in proprio altre categorie", ha detto Golikova.

Per ora, secondo la trascrizione della riunione del consiglio dei ministri pubblicato sul sito del governo, Putin ha decretato che verrà scelto e premiato il miglior saldatore, il migliore minatore, il migliore elettricista, il migliore muratore e il migliore camionista.

Ai tempi dell'Urss ogni fabbrica eleggeva e celebrava i suoi migliori operai, con i risultati delle loro imprese pubblicati in bacheca. Li chiamavano 'udarniki', i lavoratori d'assalto: il loro modello per eccellenza era Aleksei Stakhanov, che nel 1935 avrebbe estratto in cinque ore e 45 minuti ben 102 tonnellate di carbone. Il termine stakhanovista è sopravvissuto anche alla fine del suo mito: con la perestrojka, infatti, anche i media russi sottoscrissero la tesi dei dati a dire poco gonfiati. Il record di Stakhanov, sosteneva la Komsomolslaya Pravda nel 1988, fu opera di un'intera squadra di minatori.

ITALIA: Liberazione chiude. Rifondazione Comunista sconfigge i suoi lavoratori

Fine vertenza, cassa integrazione a zero ore per tutti
Roma, 30 mar.- Si è conclusa la vertenza di Liberazione e il quotidiano del Prc chiude definitivamente i battenti. Ne dà notizia un comunicato del comitato di redazione. "Rifondazione comunista - si legge - che attraverso la società editoriale Mrc di cui è unica socia si è opposta in maniera miope a ogni tentativo di soluzione costruttiva, a ogni proposta di ulteriore sacrificio che non smantellasse il giornale e la redazione infligge ai suoi lavoratori e lavoratrici una tragica sconfitta".

"Ci siamo battuti ostinatamente per due obbiettivi: la salvezza del giornale e i nostri posti di lavoro. Invece andremo tutti e tutte in Cassa integrazione a zero ore. Abbiamo firmato la richiesta per evitare ulteriori difficoltà a colleghi già provatissimi (il mancato accordo avrebbe implicato complicazioni e ritardi nell'erogazione dell'ammortizzatore sociale). A fatica abbiamo ottenuto, pare, il pagamento delle nostre spettanze ma non lo smaltimento delle ferie arretrate normalmente previsto prima dell'inizio della Cassa. Abbiamo addirittura dovuto accettare la rateizzazione dei buoni pasto arretrati (un migliaio di euro a testa, parte integrante della nostra retribuzione)", continua la nota.

In teoria, nella trattativa si parlava di "sospensione" delle pubblicazioni, ferme da gennaio scorso per volere dell'editore. Una "sospensione" che il cdr definisce "sine die, nonostante le opposte assicurazioni, offerte in primo luogo ai militanti del Prc impegnati in una generosa sottoscrizione per un giornale che non c'è".

ITALIA: C’è chi tira la corda e chi la cinghia, Casini dà il buon esempio, gli altri chissà

In campagna elettorale tutto è concesso. Anche spogliarsi pubblicamente di quei privilegi - autoblu, uffici, personale – dei quali godono gli ex presidenti della Camera e che tanti mal di pancia continuano a sollevare nei milioni di cittadini che lottano con la cassa integrazione, con buste paga sempre più leggere o peggio con licenziamenti più o meno giustificati. Dare il buon esempio, si sa, non fa mai male se non a quanti non hanno il coraggio di fare lo stesso. Non diciamo di meglio. Così va la vita in campagna elettorale. C’è chi tira la corda e chi invece tira la cinghia. Chi spende e spande con i soldi del Mezzogiorno, quei fondi Fas per lo sviluppo che a tutto son serviti tranne che per dare una spinta al Meridione con una marcia in meno. E chi invece fa un gesto che, di questi tempi, è politicamente scorretto per davvero.
CASINI DA’ IL BUON ESEMPIO – A premere sull’acceleratore è invece Casini che ha annunciato di rinunciare, da subito, a ogni benefit connesso allo status di ex presidente della Camera. Dopo la decisione dell’Ufficio di presidenza di ieri (che protrae i benefici per altri 10 anni), il leader Udc ha scritto una lettera a Gianfranco Fini nella quale scrive: «Ho avuto il privilegio di guidare la Camera dei deputati dal 2001 al 2006 e ritengo di averla servita con onestà ed equilibrio, come da più parti mi e’ stato riconosciuto. Ho preso atto delle decisioni assunte ieri, a maggioranza, dall’Ufficio di Presidenza in relazione allo status degli ex Presidenti. Ringrazio Lei ed i colleghi ma Le comunico- dice Casini- che non intendo avvalermi della delibera e rinuncio, con effetto immediato, ad ogni attribuzione e benefit connessi a questo status».
IDV E LEGA, PRIMA SI OPPONGONO E POI DANNO LEZIONI DI MORALITA’ – Ma intanto va ricordato che il Senato, poche settimane fa, era stato più rigoroso e aveva dato lo stop dopo dieci anni dalla cessazione dall’incarico. Senza alcuna eccezione. A Montecitorio, invece, la strada scelta è stata diversa. E la cosa ha provocato la spaccatura dell’ufficio di Presidenza. Il provvedimento è passato ma con cinque voti contrari: oltre a Dussin (Lega) e Mura (Idv) anche quelli dei pidiellini Leone, Fontana e Milanato. Anche il vicepresidente Lupi (Pdl) ha votato no, per alzata di mano, sebbene il suo sesto non sia stato registrato a verbale. Ironia della sorte proprio da Lega e Idv, gli stessi che avevano votato contro il provvedimento di austerity, si sono levate critiche e moniti ai colleghi di Casini a seguire il buon esempio. Su twitter il deputato della Lega Giacomo Stucchi, componente dell’ufficio di presidenza della Camera ha cinguettato: «Casini rinuncia da subito ai benefits come ex Presidente della Camera? Sai che rinuncia…sono gli stessi di cui gode come capogruppo Udc!». In campagna elettorale ci si mette la faccia, per quanto tosta sia.
I PRIVILEGIATI – Ieri l’Ufficio di presidenza della Camera aveva deciso, a maggioranza, di eliminare le agevolazioni a vita concesse alle ex terze cariche dello Stato, con una eccezione: per chi era stato rieletto nell’attuale legislatura, o in quella precedente, la concessione di uffici, auto di servizio e segreteria nel Palazzo, sarebbero stati prorogati per altri 10 anni. In questa casistica rientravano Violante, Bertinotti e appunto Casini. Mentre gli altri due ex presidente ancora in vita, Ingrao e Pivetti, avrebbero cessato di avere ogni benefit terminata la legislatura corrente. «E’ un bene che Casini rinunci da subito ai suoi privilegi di ex presidente della Camera che una pessima decisione presa ieri gli avrebbe assicurato» dice, in una nota, Antonio Borghesi, vicepresidente dell’Idv regalando una lezione di strabismo politico da manuale. «Ci attendiamo ora – aggiunge Borghesi – che uomini di sinistra come Bertinotti e Violante facciano altrettanto e che Fini dichiari fin d’ora di rinunciarvi al termine del mandato. Solo così, forse, potrà essere posto rimedio a quanto di vergognoso ha stabilito ieri la Camera». A questo punto non resta che aspettare. Magari Violante e Fausto Bertinotti ci penseranno su al termine di questa faticosa giornata politica. La notte, si sa, è consigliera. ‘Mala tempora currunt’ alla Camera dei deputati per gli ex presidenti.(Lucio Filipponio)

SPAGNA: Lagrimas y sangre

Inutile, inefficace, ingiusta. Le famigerate tre I, a volte ritornano e sui governi di destra lo fanno con un cinico effetto boomerang. Sotto lo slogan delle tre I, si riuniscono i partiti di sinistra, con ritrovato vigore il maggiore partito il PSOE ma soprattutto i sindacati spagnoli, che definiscono con le tre i e l’aggettivo brutal la “Reforma Laboral”, la riforma del lavoro varata dal governo conservatore guidato dal leader del Partido Popular Mariano Rajoy. Quarantasei feriti e 176 arresti, trasporto pubblico paralizzato, autobus, treni, aerei spagnoli fermi, le quattro compagnie aeree nazionali Iberia, Air Nostrum, Vueling e Air Europa, hanno cancellato nella giornata la maggioranza dei voli nazionali e rallentato il traffico internazionale ovviamente la paralisi non è stata totale, i sindacati dei trasporti hanno garantito i servizi minimi, il che significa che in tutta la giornata di Huelga General sono rimasti attivi un autobus su quattro, circa un terzo delle metropolitane e dei treni de cercanias locali, aeroporti semideserti quindi, così come spettrali sin dalle primissime ore della notte si sono presentate le fabbriche, quelle di automobili su tutte.
CONSUMI DI ELETTRICITA’ METRONOMO DELLA PARTECIPAZIONE - Gli operai delle fabbriche, Seat, Opel, Volkswagen e Renault, hanno iniziato lo sciopero già nel turno di notte tra mercoledì e giovedì. I due principali sindacati spagnoli CC.OO e UGT hanno chiesto al governo conservatore di avviare un negoziato per modificare il provvedimento entro il primo maggio per evitare un ulteriore aggravamento della tensione sociale. I rispettivi segretari Ignacio Fernandez Toxo (CC.OO) e Candido Mendez (UGT) hanno dichiarato che l’adesione allo sciopero è stata dell’ 80%, mentre il governo ha diffuso dati che andavano in direzione opposta, sostenendo che la giornata lavorativa su tutto il territorio spagnolo stava proseguendo normalmente. Uno dei dati più affidabili per misurare il successo o il fallimento di uno sciopero è il consumo di energia elettrica. La domanda alle ore 13  è stata di 27,536 megawatt, 15,5% in meno di quanto previsto dallo Red Electrica Española (REE). Se il confronto viene fatto sul giovedì della settimana precedente, il consumo di elettricità è stato inferiore del 19,8%, ciò denota che in Spagna si è passati da34.400 a 27.536 megawatt. Per ora, la caduta massima dei consumi è stata registrata tra le 8 e le 9 ed era 19,3%. Ma perché sui principali social network è iniziata la guerra di cifre, sui consumi elettrici dichiarati dal governo? Semplice, con il calare della sera in molte città, guarda caso a guida del PP come Cadiz e Valladolid i cittadini si sono accorti che le luci per strada erano rimaste accese e negli uffici pubblici l’aria condizionata o il riscaldamento giravano a pieno regime.
CARICHE DELLA POLIZIA, ARRESTI, FERITI - Quanto all’avvio del negoziato la ministra del lavoro Fatima Bañez ha però respinto immediatamente la richiesta, il governo di Mariano Rajoy aveva già anticipato che non sarà uno sciopero a condizionare l’operato dell’esecutivo in materia di lavoro, proseguendo sulla strada delle riforme che considera necessarie. Quindi rimane da capire cosa intenda per normale il governo di Rajoy, la polizia a Madrid dispiegata in numero eccessivo lungo tutta calle San Jeronimo sede del Parlamento e gli altri edifici pubblici, mentre in tutta la Spagna, in una sola giornata ha arrestato un totale di 176 persone, e 46 sono rimaste ferite, molte delle quali facevano picchetto per impedire l’accesso ai luoghi di lavoro. Tensioni in Catalogna a Barcellona, dove a margine del corteo e dei sit-in in piazza si sono registrate cariche di polizia, a seguito dei gravi incidenti che hanno segnato in mattinata la protesta, lungo la avenida Diagonal e nel centrale Paeso de Gracia. Con i lavoratori per le strade nella manifestazione principale delle 18.30 nella capitale Madrid, partita dalla centralissima Puerta del Sol il PSOE era presente con il suo numero tre,  Oscar López segretario di organizzazione, una presenza importante dietro i cartelloni che aprivano il corteo ‘Chiuso per sciopero’ e ‘giù le mani dai diritti dei lavoratori’. Si sono rivisti anche gli indignados organizzati in manifestazioni parallele: biciclettate per rallentare il traffico, comizi improvvisati e una colorita ”siesta” di massa all’aperto. Ma i rappresentanti del movimento hanno, come abitudine, preso le distanze dai partiti e dai sindacati, accusati ancora una volta, di non rappresentare la volontà popolare. Lo sciopero generale del 29M, sigla utilizzata sui manifesti e soprattutto su twitter come hashtag dai manifestanti in piazza per ovviare allo sciopero dei media, arriva a gamba tesa alla vigilia dell’approvazione attesa per consiglio dei ministri del venerdì , un nuovo giro di vite da quasi 20 miliardi previsto dal governo per rispettare l’impegno preso con l’UE.(Sara Pasquot – Avanti!online)

giovedì 29 marzo 2012

VATICANO: S.Sede

'Vescovi ribelli' ucraini scomunicati dal 2008

Levada: Si sono autoproclamati,chi li segue è fuori dalla Chiee

Città del Vaticano, 29 mar. - La Congregazione per la Dottrina della Fede presieduta dal Cardinale Joseph Levada ha reso nota oggi la scomunica comminata nel 2008 nei confronti dei quattro sacerdoti ucraini espulsi dall'ordine Basiliano di S. Giosafat e autoproclamatisi 'vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina' A.Dohnal, Markian V. Hitiuk, Metodej Piik e Robert Oberhause, esprimendo "preoccupazione" per i loro comportamenti di "continua sfida all'autorità ecclesiastica" che "danneggia moralmente e spiritualmente non solo l'Ordine Basiliano di San Giosafat e la Chiesa grecocattolica ucraina, ma anche la Sede Apostolica e l'intera Chiesa Cattolica".

"I suddetti chierici, dopo aver dato vita ad un gruppo di 'vescovi' di Pidhirci - ha denunciato l'ex Sant'Uffizio- recentemente hanno cercato di ottenerne il riconoscimento e la successiva registrazione, da parte della competente autorita civile, come 'Chiesa Ortodossa Greco-Cattolica Ucraina' e tutto questo - ha messo nero su bianco l'ex sant'Uffizio provoca divisione e sconcerto tra i fedeli". E dunque "i fedeli sono, tenuti a non aderire al suddetto gruppo in quanto esso è, ad ogni effetto canonico, fuori della comunione ecclesiastica". E "invitati a pregare per i membri dello stesso gruppo affinche possano ravvedersi e tornare alla piena comunione con la Chiesa cattolica".

Salta convegno con scienziati pro-staminali embrionali in Vaticano

Ufficialmente per soldi.Ma organizzazione ammette:troppi malumori

Roma, 29 mar. - Il Vaticano ha deciso di cancellare una conferenza scientifica di alto livello sulla ricerca sulle cellule staminali organizzata in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita. E' quanto riferisce il portale Vatican Insider, secondo cui la terza Conferenza Internazionale sulla Ricerca Responsabile sulle Cellule Staminali si sarebbe dovuta svolgere a Roma dal 25 al 28 aprile, e avrebbe dovuto concludersi con un'udienza concessa ai partecipanti da Papa Benedetto XVI.

Ufficialmente, la cancellazione, decisa dal presidente dell'Accademia, monsignor Ignacio Carrasco de Paula è dovuta a motivazioni economiche: "Purtroppo - si legge in una nota diffusa questa settimana - lo scarso numero di adesioni al Congresso, sia dal punto di vista degli sponsors sia delle singole registrazioni, ha irrimediabilmente compromesso la buona riuscita dell'evento e ciò ha indotto gli organizzatori a prendere la decisione di annullare l'evento".

ITALIA: Legge elettorale

Di Pietro: Vaccata dopo porcata. Faremo referendum
Serve nuovo sistema ma con modello Abc dalla padella alla brace
Roma, 29 mar. - "Un referendum per abrogare la vaccata dopo la porcata". Lo ha annunciato Antonio Di Pietro, leader Idv, interpellato alla Camera sulla nuova legge elettorale che l'attuale maggioranza intende approvare.

"Alle prossime elezioni - ha spiegato l'ex pm - bisogna andare con una nuova legge elettorale perché il Porcellum ha prodotto un Parlamento che si è svenduto alle leggi ad personam. Non c'è dubbio però che non si può passare dalla padella alla brace imponendo ai cittadini di andare a votare per i singoli partito che solo dopo il voto decidono con chi accordarsi e con chi formare il governo, svendendosi al miglior offerente come nel mestiere più vecchio del mondo".

L'Idv è per "il doppio turno con i collegi e per le primarie di collegio. Contro la proposta di Casini, Alfano e Bersani abbiamo già annunciato un referendum così come contro la legge Gasparri e contro il nuovo articolo 18".

Regno Unito: Le cause delle rivolte di agosto

28 marzo 2012 The Guardian

“Verdetto sulle rivolte: la gente ha bisogno di un ‘interesse nella società’”, titola il Guardian dopo la pubblicazione di un rapporto sulle rivolte dell’agosto 2011.
Secondo il Riots Communities and Victims Panel (Commissione per le comunità e le vittime delle rivolte), un corpo indipendente creato dal governo,
le rivolte sono state alimentate da una serie di fattori, tra cui la mancanza di opportunità per i giovani, un’educazione insufficiente da parte dei genitori, l’incapacità del sistema giudiziario di riabilitare i condannati e l’atteggiamento sospettoso e materialista della polizia.
Le rivolte furono innescate dall’uccisione di Mark Duggan da parte di un poliziotto, avvenuta il 4 agosto nel quartier londinese di Tottenham. Tra il 6 e il 10 agosto le violenze si diffusero in diversi quartieri della capitale e nel resto dell’Inghilterra. Secondo la commissione “per evitare l’esplodere di altre rivolte in futuro è fondamentale che le comunità funzionino”, scrive il Guardian, aggiungendo che tra le raccomandazioni ci sono multe per le scuole che non riescono a insegnare agli alunni a leggere correttamente, un sostegno più efficace per le famiglie problematiche, una ‘promessa di lavoro per i giovani’ in modo da coinvolgere le nuove generazioni nel mercato del lavoro e ‘una valutazione costante del carattere degli alunni’ da parte delle scuole primarie e secondarie.