Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


lunedì 30 settembre 2013

ITALIA - Berlusconi pronto al voto, ma le colombe si sfilano


I distinguo di Alfano, Quagliariello, Lorenzin e Lupi, PdL spaccato. Il Cavaliere: votiamo per legge di stabilità. Letta oggi da Napolitano, poi in tv da Fazio

Il giorno dopo le dimissioni dei suoi ministri, Silvio Berlusconi interviene con una telefonata in diretta a una manifestazione in suo onore (oggi è il compleanno del Cavaliere, 77 anni) e non lascia margini a possibili ricuciture: “La sinistra mette sempre le mani nelle tasche degli italiani, l’unica via e’ andare convinti verso le elezioni il piu’ presto possibile, tutti i sondaggi ci dicono che vinceremo”.

Un richiamo a serrare i ranghi proprio mentre si fanno sentire i distinguo all’interno del suo partito. Per primo Gaetano Quagliariello: “Se ci sara’ solo una riedizione di Lotta Continua del centrodestra ne prendero’ atto e mi dedicherò magari a creare il Napoli Club del Salario”, ha detto il ministro a Piacenza, sottolineando come non abbia fatto ancora in tempo a dare le dimissioni (“lo farò appena rientrato a Roma”).

Anche il ministro della salute, Beatrice Lorenzin, pur confermando le sue dimissioni, prende le distanze dai falchi (“non giustifico ne’ condivido la linea di chi lo consiglia in queste ore”) e sottolinea che non farà parte di questa Forza Italia che “spinge verso una destra radicale”.

Ultimo, arriva Maurizio Lupi che invita Alfano a uscire allo scoperto: “Cosi’ non va. Forza Italia non puo’ essere un movimento estremista in mano a degli estremisti. Noi vogliamo stare con Berlusconi, con la sua storia e con le sue idee, ma non con i suoi cattivi consiglieri. Si puo’ lavorare – prosegue il ministro – per il bene del Paese essendo alternativi alla sinistra e rifiutando gli estremisti. Angelino Alfano si metta in gioco per questa buona e giusta battaglia”.

Immediata la reazione dei fedelissimi, come Mara Carfagna, presente alla manifestazione all’Hotel Vesuvio di Napoli per festeggiare Berlusconi: Credo che Lorenzin e Quagliariello siano fuori dal partito, risponde ai giornalisti. E per domani pomeriggio il Cavaliere ha convocato i gruppi parlamentari PdL e Forza Italia alla Sala della Regina.

In un messaggio su Facebook diffuso nel pomeriggio, Berlusconi confonde ulteriormente le acque: “Se il governo proporrà una legge di stabilità realmente utile all’Italia, noi la voteremo”.

“Ho previsto tutte le accuse che mi stanno rovesciando addosso in queste ore e anche lo sconcerto di parte del nostro elettorato”, prosegue il Cavaliere.

Nel pomeriggio, arriva su Facebook la presa di posizione di Angelino Alfano: “Sono berlusconiano e leale. La mia lealtà al presidente Berlusconi è longeva e a prova di bomba.Oggi lealtà mi impone di dire che non possono prevalere posizioni estremistiche estranee alla nostra storia, ai nostri valori e al comune sentire del nostro popolo. Se prevarranno quegli intendimenti  il sogno di una nuova Forza Italia non si avvererà. So bene che quelle posizioni sono interpretate da nuovi berlusconiani ma, se sono quelli i nuovi berlusconiani, io sarò diversamente berlusconiano.”

In serata il presidente del consiglio Enrico Letta incontrerà il Capo dello Stato per fare il punto della situazione e poi interverrà alla prima puntata del programma di Fabio Fazio, Che tempo che fa.

Il giorno della verità per i diversamente berlusconiani

Quagliariello al Messaggero: «Stiamo valutando se dare vita a un nuovo partito», poi smentisce. Alle 17 Berlusconi incontra i gruppi parlamentari del Pdl

Se ne vanno o non se ne vanno? Enrico Letta si è preso un giorno in più del previsto prima di andare in parlamento a chiedere la fiducia. Un giorno in più per le trattative, un giorno in più per sondare il terreno per una ipotetica nuova maggioranza, che includa almeno una parte di quello che oggi è il Pdl, e che domani potrebbe non esistere più.

Esiste una componente di parlamentari «diversamente berlusconiani» (per citare l’espressione usata ieri dal vicepremier Angelino Alfano) pronti a votare la fiducia? Stamattina Il Messaggero, a pagina 5, riporta un’intervista al ministro per le riforma Gaetano Quaglieriello, titolata: «Stiamo valutando se dar vita a un nuovo partito». «Dobbiamo vedere – queste le parole del ministro, come riferite dal quotidiano romano – se possiamo creare una nuova formazione dove sia possibile essere diversamente berlusconiani. D’altronde in Francia di partiti gollisti ce ne furono tre, qui da noi potremmo averne due».

Eppure stamattina Quagliariello ha smentito seccamente Il Messaggero: «Gaetano Quagliariello – si legge in un comunicato – non ha rilasciato alcuna intervista nella giornata di ieri. Soprattutto, non sta dando vita ad alcun nuovo partito». Ma sulla prima pagina del Tempo lo stesso Quaglieriello scrive: «Non si doveva sganciare l’atomica».

Un’altra “colomba” come Maurizio Lupi, ministro per le infrastrutture, dice al Corriere della Sera: «Berlusconi troverà la sintesi». L’obiettivo, spiega il ministro, è salvare il governo: «Abbiamo ancora due o tre giorni di tempo per usare la forza delle nostre proposte e continuare a far lavorare questo governo con un rinnovato programma». E Berlusconi? «Proprio perché siamo leali e non fedeli al presidente Berlusconi – risponde Lupi – dobbiamo denunciare con forza i rischi che stiamo correndo».

Intanto i mercati, alla riapertura del lunedì mattina, mandano segnali di preoccupazione. Lo spread è salito a sfiorare quota 290 punti, per poi riassestarsi poco più in basso. La Borsa di Milano alle 9.30 perdeva oltre il 2 per cento. Tra i peggiori il titolo Mediaset, che perde oltre il 4 per cento.

Anche questo tema, probabilmente, verrà brandito dal fronte “governista” del Pdl negli incontri di oggi pomeriggio. Prima un faccia a faccia Berlusconi-Alfano, poi alle 17 l’ex premier ha convocato i gruppi parlamentari del Pdl. Per serrare i ranghi e scongiurare il rischio di una fronda.

 

domenica 29 settembre 2013

Unione europea: La democrazia perde terreno


 “L’ascesa dei partiti populisti e xenofobi, la scarsa affluenza alle elezioni, l’aumento della corruzione e la sfiducia nei confronti dell’élite politica […] testimoniano un malessere democratico in Europa, aggravato dalla crisi socio-economica”: così La Libre Belgique riassume il rapporto sulla democrazia nell’Ue chiesto dai deputati europei socialisti e democratici al think tank britannico Demos e pubblicato il 26 settembre.

Lo studio, incentrato sugli anni 2000, 2008 e 2011, elenca una sere di peggioramenti per sottolineare che “la democrazia in Europa non può più essere data per scontata”:

In materia di corruzione e rispetto dello stato di diritto l’Ungheria e la Grecia, ma anche l’Italia, hanno compiuto i maggiori passi indietro rispetto al 2000. In materia di diritti fondamentali l’Ungheria (separazione dei poteri) l’Italia (libertà di stampa) e la Spagna (scarto salariale tra uomo e donna) hanno peggiorato la loro situazione più di tutti gli altri.

La partecipazione civica è in calo nell’Unione, “anche in un paese come la Svezia”. Infine la fiducia nei confronti del sistema democratico “ha fatto registrare un crollo spaventoso” negli ultimi anni, mentre tra il 2000 e il 2008 presentava soltanto “un lieve declino”. In conclusione il capo del progetto Jonathan Birdwell sottolinea che per essere credibile come guardiano, l’Unione deve rivedere il suo funzionamento e le sue strutture.

ITALIA - Ecco quanti miliardi ci costerà l’ultima mattana di Berlusconi


Quanto ci costa? La domanda viene immediata. Quanto costa la crisi di governo agli italiani, contribuenti, consumatori, risparmiatori, salariati e partite Iva?

Non per mettere il conto della serva prima del conto dei padroni, ma è esattamente la questione che si pongono i “mercati”, cioè quei giovanotti che ogni giorno decidono se comprare o vendere i titoli della Repubblica italiana.

Il calcolo è complicato e si tratta in ogni caso di una esercitazione ipotetica. Ma prendiamo, come punto di riferimento, la stima della crisi del 2011-2012 fatta da Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia nell’ultima assemblea generale. Ecco le sue parole:

“La correzione (del disavanzo pubblico, ndr.) ha inciso negativamente sulla dinamica del prodotto nel 2012 per circa un punto percentuale. Hanno inciso di più, per circa due punti, gli effetti della crisi di liquidità sul costo e sulla disponibilità del credito per il settore privato, il rallentamento del commercio internazionale, l’aumento dell’incertezza e il connesso calo della fiducia. La correzione dei conti pubblici ha contribuito a ridimensionare le tensioni sul mercato dei titoli di Stato, evitando scenari peggiori”. 

Di quei due punti in meno, la stessa Banca d’Italia stima che mezzo punto sia dovuto alla frenata sul mercato mondiale. Dunque, la guerra dello spread – in altre parole la sfiducia dei mercati, l’ondata di vendite dei Btp cominciata nella primavera del 2011, e arrivata al culmine a novembre spingendo Silvio Berlusconi a dimettersi –  è costata un punto e mezzo di prodotto lordo, grosso modo 21 miliardi visto che il pil è attorno ai 1.400 miliardi di euro. Un punto, cioè circa 14 miliardi, si deve alla stangata di Mario Monti. Tenendo conto che la domanda estera migliora e ci sono meno tensioni sui mercati finanziari, adesso potremmo sperare di non subire la penalizzazione di mezzo punto (circa 7 miliardi), dovuta alla congiuntura internazionale.

Ma se volessimo trasportare l’analisi di Visco alla situazione attuale, nel caso in cui scoppiassero tensioni sul debito italiano della portata di quelle del 2011, ebbene il costo della crisi non sarebbe lontano dai 21 miliardi di euro pagati un anno e mezzo fa alla irresponsabilità politica.

Attenzione, se scatta l’aumento dell’Iva e se anche il taglio dell’Imu sulla prima casa viene rimesso in discussione dal governo d’emergenza, guidato da Enrico Letta o da Mister X, che dovrà preparare le elezioni, altri sei miliardi escono dalle tasche degli italiani e riducono di un ammontare equivalente la domanda interna.

Nessuno è sicuro, poi, che non ci vorrà un nuovo giro di vite con la legge di stabilità che andrà comunque fatta, per tenere il deficit pubblico sotto il tre per cento del pil. La settimana scorsa si parlava di 14 miliardi tra tagli e tasse nel 2014. Dunque, ancora un bel po’ di quattrini sottratti al reddito disponibile, in parte quest’anno e per lo più l’anno prossimo.

La crisi di governo costerà cara. Su questo non c’è da farsi illusioni. Forse era inevitabile che si arrivasse a uno show-down, visto il logoramento dei rapporti Pd-Pdl e la paura della prigione da parte di Silvio Berlusconi. Forse. Ma non è male che, parlando dei costi della Politica con la maiuscola, si faccia anche qualche conto sui costi di questa politica con la minuscola, una politica davvero piccola piccola.

Stefano Cingolani

giovedì 26 settembre 2013

GOVERNO IN BILICO? Dimissioni dei parlamentari? Come funziona.


Nessun vuoto alle Camere. Ecco perché la minaccia del Pdl non porta alla crisi.

Lo strappo al governo da parte dei deputati Pdl, che si sono detti pronti a dimettersi in massa in caso di decadenza di Silvio Berlusconi, non avrebbe l'effetto sperato di provocare uno scioglimento automatico delle Camere e quindi la fine della legislatura.
La crisi di governo tanto minacciata dai seguaci del Cavaliere, infatti, rischia di non verificarsi. Prima di tutto perché non è detto che tutti i peones del Pdl siano pronti a sacrificare la propria poltrona per difendere gli interessi del capo, ma anche per alcuni motivi strettamente tecnici. Vediamo quali.

1. Nessuno può essere costretto a dimettersi


Quando si parla di mandato parlamentare e di dimissioni, occorre tenere conto dell'articolo 23 della Costituzione, che recita: «Nessuna prestazione personale può essere imposta se non in base alla legge». E dell'articolo 67 della Costituzione, in base al quale «ogni membro del parlamento esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».
I cittadini sono dunque liberi di accettare o meno la candidatura alle elezioni politiche, e si tutela anche la libertà per gli eletti di continuare o meno ad esercitare le loro funzioni in base a una scelta individuale. È per questo che le dimissioni non possono essere imposte dalle segreterie dei partiti.

2. Tempi lunghi per la prassi di respingere l'addio


L'accettazione delle dimissioni di ogni singolo parlamentare richiede per definizione tempi piuttosto lunghi. Ai sensi dell’articolo 49, comma 1, del Regolamento della Camera, e dell’articolo 113, comma 3, del Regolamento del Senato, la votazione ha luogo a scrutinio segreto, poiché si tratta di una questione riguardante persone.
Esiste inoltre una prassi parlamentare consolidata che prevede che le dimissioni di un deputato o di un senatore vengano sempre respinte una prima volta dall'Aula come gesto di cortesia e quasi sempre anche una seconda volta. L'accettazione avverrebbe quindi solo in terza battuta: possono passare anche mesi.

3. Subentra il primo dei non eletti


Un altro meccanismo che renderebbe molto lunghi i tempi consiste nel fatto che per regolamento al parlamentare dimissionario subentra automaticamente il primo dei non eletti della sua lista. Tra accettazione o non accettazione della nomina e poi insediamento ed eventuali nuove dimissioni del neoparlamentare passano diverse settimane.
Una procedura lunga e macchinosa, tra l'altro senza garanzie che i neoparlamentari decidano anche loro di dimettersi subito.

4. Nessuna crisi senza l'intervento del capo dello Stato


In ogni caso, proprio per il meccanismo automatico che stabilisce il subentro dei primi dei non eletti, le dimissioni dei parlamentari non provocano la crisi di governo né producono vuoti nelle Camere. E le attività legislative potrebbero teoricamente proseguire fino a un eventuale intervento di scioglimento da parte del capo dello Stato Giorgio Napolitano.

5. Impossibile salvare Silvio Berlusconi  


Anche nell'eventualità di dimissioni di massa, quindi, in ogni caso Silvio Berlusconi sarebbe destinato a uscire da Palazzo Madama e, per gli effetti della legge Severino, non potrebbe ripresentarsi per una eventuale nuova elezione.

domenica 22 settembre 2013

DIRITTI DELL'UOMO - Blasfemia: ricondannato il pianista turco Fazil Say


Ateo e di sinistra, aveva ironizzato sull'Islam via Twitter: 10 mesi.

Il pianista turco di fama mondiale Fazil Say, 43 anni, è stato nuovamente condannato a 10 mesi di carcere da un tribunale di Istanbul per blasfemia. Incriminati, ha riferito Zaman online, alcuni tweet ironici, ma non offensivi, sull'Islam. Say era già stato giudicato colpevole per lo stesso motivo nel maggio del 2013, ma la sentenza era stata annullata.
TWEET SU UN MUEZZIN. Say è finito di nuovo nei guai per 'insulti ai valori religiosi', in base all'articolo 216 del codice penale turco: aveva fra l'altro ironizzato sulla chiamata sbrigativa alla preghiera di un muezzin di una moschea di Istanbul: «22 secondi: come mai tutta questa fretta? Un'amante? Il Raki (l'alcol all'anice turco, ndr)?».
E sul paradiso islamico, citando il grande poeta persiano del XII secolo Omar Khayyam: «Tu dici che fiumi di vino scorrono in paradiso: per te è un'osteria celeste? E che due vergini vi attendono ogni credente, vuoi dire che il paradiso è un bordello celeste?».
UN ARTICOLO PENALE CONTROVERSO. L'articolo 216 del codice penale, cambiato dal governo islamico di Recep Tayyip Erdogan, nel 2005, dichiara che «va punito chi provoca incitazione all'odio o all'ostitilità contro stato e religione».
Il problema principale, secondo Amnesty international, è un'accezione vaga che rende il testo incompatibile con le norme internazionali con i diritti umani. In pratica la norma è stata utilizzata per colpire le critiche alle convinzioni predominanti e alle strutture di potere e non per perseguire l'incitamento alla violenza e all'odio verso le minoranze. Per lo stesso articolo e per un altro - il 301, che reprime le offere alla 'Nazione turca' - era già stato condannato nel 2006 lo scrittore premio nobel Orhan Pamuk per quanto scritto sul genocidio degli armeni.
PENA SOSPESA CON UNA BUONA CONDOTTA. Questa volta tre attivisti islamici lo avevano denunciato e Say era stato incriminato dalla procura di Istanbul.
La XIX corte di Istanbul ha però disposto una sospensione dell'esecuzione della pena: se per due anni Say non subirà altre condanne, ha precisato Hurriyet online, non dovrà andare in carcere.
È CONSIDERATO IL 'MOZART TURCO'. Il musicista, 43 anni, ateo dichiarato e di sinistra, noto oppositore del governo del premier islamico Erdogan, è uno degli artisti turchi più noti. In Germania il pianista e compositore è considerato il 'Mozart turco'. Molti artisti e intellettuali turchi si sono schierati al suo fianco.
«ERDOGAN SFRUTTA LA RELIGIONE PER IL SUO POTERE». In un messaggio inviato dopo la prima condanna alla Federazione internazionale dei Diritti umani (Fidh), Say aveva affermato che la libertà di espressione è sempre di più a rischio in Turchia e che il Paese vive «un periodo difficile perché coloro che cercano di consolidare il loro potere sfruttando la religione opprimono la gente».

ITALIA - «L'Italia è vittima dell'incompetenza dei politici»


O Imu o Iva. O la casa o i consumi. O la salute o il lavoro. Il Paese è sotto scacco. Colpa di una classe dirigente che non sa e non vuole decidere. Il j'accuse del filosofo Dario Antiseri.

Domenica, 22 Settembre 2013 - Italia, il Paese dell'aut aut. Ogni volta che c'è una questione economica, politica o sociale da risolvere ci si trova davanti a un bivio. Ma trovare una soluzione condivisa è impossibile. Così i cittadini rimangono appesi a un doppio ricatto, ed è l'impasse.
Prima è successo con la tassa sulla prima casa: «O togliamo l'Imu o cade il governo». Poi con il voto sul Cavaliere: «Se decade Berlusconi, cade il governo». Stessa cosa sull'aumento dell'Iva: «O togliamo l'Imu o abbassiamo l'aliquota».
ITALIA SOTTO RICATTO. Un modus operandi non nuovo in Italia, dove ormai ogni decisione si trasforma in una non soluzione. Così è successo anche quando è scoppiato il caso Ilva e il governo si è trovato davanti all'ennesimo aut aut: «Tutelare il lavoro o salute?»
«E scegliere qual è il male minore diventa difficile», dice Dario Antiseri, filosofo e saggista, «perché quando questioni reali così importanti si aggravano per disattenzione, corruzione e interesse, alla fine scoppia la contraddizione». Per evitare «di vivere sempre sotto ricatto», spiega, «dobbiamo smetterla di pensare a una politica dell'immediato. La nostra classe dirigente dovrebbe avere uno sguardo rivolto più verso il futuro».

DOMANDA. Ma per vedere il futuro, la politica deve affrontare le sfide del presente e scegliere.
RISPOSTA.
Proprio per questo si rimane inchiodati al presente. Nel caso dell'economia per esempio l'ex premier Mario Monti aveva inaugurato la fase del rigore, a cui avrebbe dovuto seguire quella della crescita, della ripresa, dello sviluppo. Sarebbe dovuto essere più lungimirante e avviare queste due fasi insieme?
D. Invece la filosofia è stata: o prima accettate una fase di rigore o niente crescita.
R.
Il nostro problema è che lo Stato deve creare le condizioni fiscali, burocratiche e creditizie per attrarre investimenti. Invece abbiamo una classe dirigente cieca, che continua a dibattersi in contraddizioni senza decidere nulla. L'Italia è un Paese bruciato.
D. E il governo sembra incapace di scegliere.
R.
Non riesce a decidere per colpa di ricatti e opposizioni varie. Ma la questione di fondo è che dopo la morte del partito ideologico, che credeva di avere in pugno la verità su tutto, oggi i partiti non sanno più che cosa fare.
D. Il Pd per esempio non sa ancora chi sarà il suo segretario e il suo leader.
R.
Il Partito comunista per esempio è finito e non ha più la sorgente da cui zampilla la verità, quindi ora deve essere una sorgente di proposte.
D. Quelle non mancano, nel piano Destinazione Italia presentato il 19 settembre dal premier Enrico Letta ce ne sono 50.
R.
Sì, ma le proposte si fanno, si guardano le condizioni, si vedono le conseguenze e dopo si sceglie. Questa dovrebbe essere la funzione dei partiti politici oggi.
D. Invece?
R.
Continuano a scontrarsi con la stessa logica: «Io ho ragione, tu hai torto». C'è un vizio di fondo: invece di passare a una politica scientificamente orientata, che consiste nel fare le proposte e poi scegliere quella più efficace, ognuno ribadisce di avere ragione.
D. E si crea immobilismo...
R.
Quindi si arriva ai soliti ricatti: «O si abolisce l'Imu o cade il governo». Ormai si ragiona così.
D. Intanto il governo non cade.
R.
Abbiamo una classe politica inetta, che non sa neanche cambiare questa legge elettorale liberticida, dove quattro Caligola nominano un parlamento con rappresentanti politici che non devono più neanche rispondere a un seggio elettorale, ma al padrone di turno che li ha nominati.
D. Così anche loro sottostanno all'ennesimo ricatto.
R.
È questa la radice del male del nostro Paese.
D. Tutta colpa del Porcellum?
R.
I politici vogliono mantenere il potere, questa è la faccenda. Vogliono prendere decisioni anche se non hanno le competenze necessarie.
D. Infatti alla fine fanno solo proposte, ma non decidono.
R.
Le proposte possono anche essere buone, ma a patto che esistano le condizioni per realizzarle. Altrimenti sono campate per aria. E alla fine se non decidiamo noi, scelgono gli altri, l'Europa.
D. Ma questo limbo fa gioco a tanti.
R.
Sì, la legge elettorale per esempio poteva essere cambiata in cinque minuti, ma non lo fanno perché coloro che sono stati beneficiati dal Porcellum, ora sono in parlamento, e quindi non lo toccano. È un circolo maledetto.
D. E chi paga?
R.
I disastri di una classe dirigente inefficace e incompetente si riversano sui cittadini e la questione diventa sociale. Servirebbero buoni esempi, politici capaci di scegliere per il bene del Paese.
D. Qualche suggerimento?
R.
Si può continuare con il finanziamento pubblico ai partiti, oppure sistemare i pronto soccorso. Si può continuare a spendere denaro pubblico per le auto blu o usare quei fondi per comprare i pullman necessari per per portare i bambini disabili. Le scelte si possono fare. Purtroppo i politici sono attaccati solo ai propri interessi.
D. Come staccarli?
R.
Una stampa e una televisione non servili sarebbero un buon contributo. L'informazione è la fonte principale del controllo, mette la lente di ingrandimento sui mali effettivi. Come diceva Popper, «le istituzioni sono come le fortezze: resistono se è buona la guarnigione».

Antonietta Demurtas

SIRIA - "jihad del sesso": Tunisia annuncia campagna di contrasto


Iniziativa del ministero per Affari femminili per donne che hanno rapporti con miliziani

Tunisi, 21 set.- Il ministero per gli Affari femminili della Tunisia è pronto a lanciare campagne di sensibilizzazione per contrastare "la moltiplicazione" del numero di donne tunisine in partenza per la Siria per la loro "jihad sessuale" al fianco dei militanti islamici impegnati nel conflitto contro il regime di Bashar al Assad.

"Hanno rapporti sessuali con 20, 30, 100" miliziani, ha detto ieri il ministro dell'Interno, Lofti ben Jedou, davanti all'Assemblea nazionale costituente. E "tornano in patria incinte", ha aggiunto, senza precisare il numero delle donne coinvolte che, secondo la stampa, sarebbero centinaia. "Il ministero si adopererà per attuare un piano di informazione, sensibilizzazione ed educazione rivolto a donne e famiglie di tutte le regioni per informarle della gravità di queste pratiche", si legge in un comunicato diffuso oggi dal ministero, in cui si sottolinea come sia già stata creata una "unità di crisi".

Pur riferendo di una "moltiplicazione del numero di giovani donne in partenza per la cosiddetta jihad al-nikah" (guerra santa del sesso), anche il ministero per gli Affari femminili non ha fornito dati precisi.

La "jihad del sesso", che permette relazioni sessuali fuori dal matrimonio con più partner, è ritenuta da alcuni esponenti salafiti come una forma legittima di guerra santa. Nella nota, il ministero ha anche espresso "l'intenzione di rafforzare la cooperazione con strutture governative e non governative che si occupano di questa questione per individuare soluzioni appropriate per contrastare i piani di quanti incoraggiano queste pratiche".

martedì 17 settembre 2013

L'ESCAMOTAGE - Immunità, Berlusconi ci prova con una candidatura in Estonia


L'idea è di presentarsi in un Paese dove non vige la legge Severino.

Silvio Berlusconi potrebbe candidarsi alle prossime elezioni europee in Estonia: sarebbe questa, secondo il quotidiano Il Messaggero, l'ultima idea partorita dai seguaci del Cavaliere per salvarlo.
Se lo stratagemma funzionasse e Berlusconi fosse eletto, sarebbe coperto dall'immunità garantita ai parlamentari europei.
«IMPOSSIBILE!». «NO, POSSIBILE». Un cronista del giornale romano ha intercettato una conversazione nei corridoi della Camera tra l'onorevole Nello Formisano di Centro democratico e un esponente delle colombe del Popolo della libertà, nella quale i due discutevano di questa possibilità.
«E se Silvio Berlusconi, pur decaduto da senatore, si candidasse in Europa?», avrebbe buttato lì il pidiellino. «In Europa? Impossibile! Il Cavaliere è incandidabile», sarebbe stata la risposta di uno stupefatto Formisano, alla quale il berlusconiano avrebbe replicato: «No, non alle Europee dalle liste formate in Italia, ma in un altro degli altri 27 Paesi europei dove la legge Severino non ha alcun valore giuridico».
IL PRECEDENTE DI GIULIETTO CHIESA. L'ipotesi è solo apparentemente paradossale. C'è infatti il precedente di Giulietto Chiesa, candidato alle europee del 2009 con la lista Per i diritti umani in una Lettonia unita, formazione che rappresenta la minoranza russa lettone.
PERCHÉ CANDIDARSI IN ESTONIA. Ma per quale motivo Berlusconi dovrebbe presentarsi proprio in Estonia? La ragione è semplicissima: Tallinn, capitale della repubblica baltica, è la sede principale delle operazioni dell'immobiliarista Ernesto Preatoni, titolare del gruppo Domina, che vanta grossi insediamenti turistici in Italia come in Egitto.
Preatoni, soprannominato il Gianni Agnelli estone, è un grande amico del Cavaliere, e potrebbe facilmente garantirgli i voti necessari per essere eletto.

ITALIA - Pd, le profezie di vittoria deluse


Da Occhetto a Bersani, ostentare sicurezza non porta bene alla sinistra. L'«asfaltatore» Renzi è avvisato.

Anche Matteo Renzi, alla fine, si è fatto prendere dall’ottimismo e intervenendo alla festa del Pd milanese, ha sentenziato: «Se si va al voto li asfaltiamo».
Pure lui, quindi, ha sfoggiato quella sicumera che, statisticamente, non ha mai portato bene a sinistra.
UN VENTENNIO CONTRO B. Il sindaco di Firenze è, però, in buona compagnia. Gli esponenti piddini, infatti, più o meno smaccatamente, continuano a ripetere sempre lo stesso errore: sopravvalutare le proprie forze e, di contro, sminuire quelle degli avversari. Anzi, dell’avversario. Visto che il competitor da sconfiggere da 20 anni a questa parte è sempre lui: Silvio Berlusconi.
Insomma, la «gioiosa macchina da guerra» guidata da Achille Occhetto e sconfitta alle urne nel 1994 pare non aver insegnato nulla.

Da «smacchiata» a «smacchiatina»


Coazione a ripetere o banale spocchia, fatto sta che questo atteggiamento nella maggior parte dei casi si è rivelato un boomerang nel confronto con le urne.
Lo conferma la sfortunata ambizione bersaniana di «smacchiare il giaguaro» (cioè il Cavaliere). Un vero e proprio tormentone per l’ex segretario Pd e candidato premier del centrosinistra. Al punto da non riuscire ad abbandonare lo slogan neppure una volta archiviato un risultato elettorale dimezzato. Definito «una smacchiatina», appunto, a sentire l’ex numero uno di Largo del Nazareno.
LA VITTORIA RISICATA DEL 2006. Quanto a baldanza, tuttavia, con le elezioni politiche del 2006 la sinistra si è davvero superata. Non a caso, l’Ulivo guidato da Romano Prodi era talmente sicuro di vincere che la sera dello spoglio, a risultati ancora non definitivi, i suoi dirigenti decisero di festeggiare ugualmente la vittoria in piazza SS. Apostoli a Roma. Salvo, poi, dover fare i conti con una vittoria risicata (solo 24 mila voti di scarto rispetto al centrodestra). Eppure il risultato del listone Uniti per l’Ulivo insieme delle precedenti consultazioni europee del 2004 (Ds e Margherita, per la prima volta insieme, si fermarono al 31,8% di consensi) avrebbe dovuto indurre i big del centrosinistra alla prudenza.
Ma se, alla vigilia del voto in Europa, persino un uomo d’indole diplomatica come il premier Enrico Letta, allora esponente della Margherita, mise da parte il suo aplomb per abbracciare i toni trionfalistici, allora è lecito pensare che la «sindrome» non risparmi nessuno tra i democratici.
I PRONOSTICI DI LETTA. «Sento che il tempo di Berlusconi è scaduto», disse Letta dalla Fiera di Milano il 22 maggio 2004, «sta arrivando il tempo dell'Ulivo. Ognuno di noi deve fare la sua parte perché questo diventi un fatto concreto nelle urne e perché inizi la lunga rincorsa che porti alla vittoria e alla nascita di un governo Prodi nel 2006».
Scaramazia? Ottimismo? Marketing? Comunque lo si voglia definire, questo spirito contagiò pure Piero Fassino che dallo stesso palco tuonò: «Il voto dimostri che la Casa della libertà non è più maggioranza nel Paese ma che la maggioranza siamo noi». Salvo poi rincarare la dose: «Già adesso la Lista è più forte di Forza Italia».

La cabala di D'Alema


In vista del voto europeo del 2004, però, il titolo di campione di sicumera se l’è aggiudicato Massimo D’Alema. Il lìder Massimo, con le sue previsioni ottimistiche sul risultato elettorale (fissò le percentuali del listone intorno al 37%), non ha davvero nulla da invidiare ai più recenti propositi di asfaltatine e smacchiatine.
Una sicurezza di sé che non ha mai abbandonato l’ex ministro degli Esteri, esperto anche in pronostici a lunga distanza. Come quando nel maggio 2010, ospite di Exit su La 7 vaticinò sull’esito delle Politiche del 2013: «Le prossime elezioni le vinciamo noi».
LA REGOLA DELL'ALTERNANZA. D’Alema fu serafico nello spiegare il suo ragionamento. «Abbiamo perso nel ’94, abbiamo vinto nel ’96, §abbiamo perso nel 2001, abbiamo vinto nel 2006, abbiamo perso nel 2008: la prossima volta vinciamo. È il nostro turno: ci stiamo organizzando per vincere e durare a lungo».
Ma la spavalderia non ha abbandonato l'ex ministro degli Esteri neppure nelle sfide politiche territoriali. E così, nella competizione per le primarie in Puglia tra Francesco Boccia e Nichi Vendola (in vista delle Regionali del 2010), non pareva avere dubbi sull’affermazione del primo competitor. «Vedo che tutti danno per scontato che a vincere le primarie sarà Vendola», disse. Non senza fare ironia sulle «verità preconfezionate nelle redazioni dei giornali, che non sempre riflettono quello che avviene nella società». Peccato che poi, a vincere fu il leader di Sel.
IL SALTO DI RUTELLI. La maledizione della spocchia non ha risparmiato neppure la Capitale. Cinque anni la sfida tra Francesco Rutelli e Gianni Alemanno per il Campidoglio si concluse con la vittoria del secondo. «Il salto nel futuro» del leader dell’Api si ridimensionò, dunque, a un salto nel buio. Un tonfo non solo per lui.
Regista della candidatura di Rutelli fu, infatti, Goffredo Bettini, altro esponente dem cui non manca certo la fiducia in se stesso e nelle proprie strategie. «Rutelli nel primo turno ha staccato nettamente il suo avversario, quindi sono assolutamente fiducioso sul risultato», dichiarò il 18 aprile del 2008. Neppure le sue profezie si son avverate.
A questo punto, tocca farsene una ragione: vale ancora l’anatema lanciato da Nanni Moretti dal palco di piazza Navona il 2 febbraio di 11 anni fa. «Con questa classe dirigente non vinceremo mai»,  insomma, è una specie di sortilegio che ancora nessuno è riuscito a sciogliere.

Paola Alagia

ITALIA - Legge sull'omofobia, Pdl e Pd spaccati


Lite in Aula sulla tutela dei transgender.

Martedì, 17 Settembre 2013 - La fine delle larghe intese fra Pdl e Pd sembra sempre più vicina. Non solo per la vicenda della possibile decadenza di Silvio Berlusconi, ma anche per altri provvedimenti su cui i due partiti sono molti distanti.
È il caso della legge sull'omofobia, arrivata il 17 settembre all'esame dell'Aula di Montecitorio. Complici le fibrillazioni sul caso-Berlusconi, Pd e Pdl si sono spaccati al momento di decidere i contenuti della nuova legge, mandando in frantumi i vincoli di maggioranza.
ASSE PD-SEL-M5S. Il comitato ristretto chiamato a preparare il testo per l'Aula è stato il teatro dove sono esplose le divisioni più vistose. Pd e Pdl si sono trovati su fronti opposti quando si è trattato di decidere sull'aggravante di omofobia e sulla tutela di transessuali e transgender. C'è stata la saldatura di un asse tra Pd, Sel e Movimento 5 stelle, compatti nel votare a favore delle regole contestate dal Pdl.
ESTESE LE NORME AI TRANSGENDER. La riunione del comitato ha visto momenti di confusione quando è stato approvato l'emendamento del M5s che estendeva le norme contro la discriminazione ai transessuali e transgender. I rappresentanti del Pdl hanno fatto fuoco e fiamme sostenendo che il 'blitz' della sinistra faceva saltare tutti gli accordi. Nel caos che è seguito, la presidente della commissione Giustizia Donatella Ferranti ha revocato la votazione rinviando il contenzioso all'aula, dove subito dopo la legge ha cominciato il suo faticoso cammino.
CIRCA 40 EMENDAMENTI. La Lega Nord ha tentato di far saltare tutto chiedendo il voto segreto sulle pregiudiziali di costituzionalità. Sperava che, protetti dall'anonimato, i deputati affossassero un disegno di legge giudicato troppo sbilanciato e pericoloso. Tentativo andato a vuoto: nonostante il voto segreto, le pregiudiziali sono state respinte da un'ampia maggioranza (405 sì, 100 no). La discussione è destinata a proseguire con circa 40 emendamenti da esaminare e votare. Non sono molti: ma tutto dipende dalla capacità di Pd e Pdl di riannodare l'intesa dopo questo primo scontro.

sabato 7 settembre 2013

GERMANIA - Berlino si allinea: firmata la mozione Usa sulla Siria


La Germania contro l'uso dei gas di Assad. Ma non è un sì al blitz.

La condanna degli Usa sull’uso del gas da parte della Siria ha conquistato anche la Germania. Come altri 11 Paesi, tra cuil’Italia, anche Berlino ha deciso di firmare il documento per condannare l'attacco con armi chimiche del regime di Bashar al Assad.
Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Guido Westerwelle, dopo che la Germania a margine del G20 di San Pietroburgo aveva deciso di non firmare il documento.
NON È UN SÌ ALL'ATTACCO. «Dopo aver visto questa posizione eccellente e molto saggia dell'Unione europea, la cancelliera Angela Merkel e io abbiamo deciso di sostenere» la dichiarazione firmata da 11 Paesi, ha spiegato Westerwelle.
Nel documento si sostiene la necessità di una risposta «forte» della comunità internazionale all'attacco chimico compiuto da Assad, ma non c'è alcuna menzione all'uso della forza e all'attacco voluto da Stati Uniti e Francia.

EGITTO- la Fratellanza verso la cancellazione


Il Consiglio di Stato vuole l'illegittimità dell'associazione.

Un dipartimento del Consiglio di Stato egiziano ha chiesto alla giustizia di cancellare le norme che permettono l'associazione dei Fratelli Musulmani, e di chiudere il quartier generale a Mokkatan. Si tratta di fatto della richiesta di dichiarare nuovamente illegale la Confraternita.
La vicenda ha origine da un processo in corso in cui l'ex parlamentare Hamdi el Fakhrani ha chiesto la cancellazione dell'iscrizione dei Fratelli musulmani dall'elenco delle organizzazioni non governative. La trasformazione in Ong è stato l'escamotage utilizzato dalla Confraternita per aggirare lo scorso anno i dubbi sulla legittimità dell'organizzazione, alla luce del bando imposto negli Anni 50, quando i Fratelli musulmani vennero sciolti e dichiarati illegali.
UDIENZA IL 12 NOVEMBRE. Un verdetto di cancellazione dell'iscrizione toglierebbe dunque di nuovo il velo sullo stato di illegalità dei Fratelli. L'udienza è stata aggiornata al 12 novembre. Anche il premier del governo provvisorio, Hazem Beblawi, ha messo sul tavolo dell'esecutivo la proposta di scioglimento, e tra le norme costituzionali che verranno sottoposte a referendum, dopo l'esame del comitato dei 50, è contemplata l'ipotesi di inserire il bando a partiti politici che si ispirino alla religione. In sostanza formazioni come il Fjp dei Fratelli Musulmani.

UE - DEMOCRAZIA: I partiti sono morti, viva i partiti


Le ultime proteste in Bulgaria dimostrano che ovunque il modello dei partiti è messo in crisi dalle nuove forme di comunicazione. Ma la gestione del potere sarà basata su di essi ancora a lungo.

Dimitar Ganev TRUD sofia

Questa non è certo la prima crisi di legittimità con la quale si devono confrontare i partiti. Esistono molti esempi di rigetto di questo tipo di organizzazione politica nel corso della storia. Nel 1919 Benito Mussolini chiamò il suo movimento fascista “antipartito”. Tutti, però, compreso Mussolini, anche se si oppongono finiscono sempre col creare loro stessi un partito. In definitiva, i partiti restano l’unico strumento che permette di partecipare veramente all’esercizio del potere.

In questi ultimi anni ci siamo ritrovati in una realtà tecnologica completamente nuova, che non ha precedente alcuno nella storia. Stiamo parlando dell’accesso di massa a internet da parte di un numero immenso di persone in ogni regione del pianeta e del successo dei social network. A questo proposito si possono ricordare le conclusioni alle quali sono giunti alcuni politologi che hanno studiato l’enorme influenza che internet e i social network hanno avuto sulle primavere arabe. Un’intera regione del mondo ha cambiato radicalmente fisionomia nel giro di pochi mesi. Si possono naturalmente citare anche altri casi, come il movimento Occupy Wall Street negli Stati Uniti, o le violenze in Turchia di questi ultimi due mesi, e altri avvenimenti ancora.

I nuovi strumenti del dibattito politico all’interno dei social network ci allontanano dai forum tradizionali. Proviamo a immaginare quanti giovani facenti parte di un social network preferirebbero partecipare a un evento politico invece di discutere in modo informale su Facebook. Ed è questo a rendere obsoleta e superata l’immagine di partito intesa come modello di organizzazione politica.

Il confronto delle idee politiche non è morto: è in fase di transizione

Dal canto loro, i partiti accolgono questi nuovi spazi di dibattito con paura e diffidenza, più che con aspettativa. Il confronto delle idee politiche non è morto: è in fase di transizione. In verità sembra che i partiti non siano capaci di sfruttare a sufficienza queste risorse che permettono alle idee di essere generate “dal basso”. E quindi continuano a essere molto in ritardo rispetto a una presa di coscienza di questa nuova realtà.

La diffidenza nei confronti dei partiti politici, il loro allontanamento sempre più palese dalla realtà e dalla società, come pure le nuove forme di dibattito politico collocano i mediatori tradizionali tra il potere e la gente in una situazione assai delicata. Non è un caso che la mancanza di legittimità dia vita a nuovi modelli che permettono ai cittadini di fare pressioni. Tali modelli assumono nomi diversi a seconda dei vari paesi, e lottano per obiettivi diversi: si chiamano indignados in Spagna, Occupy Wall Street negli Stati Uniti, opposizione in Russia. Comune a tutti, per contro, è la loro struttura orizzontale, il loro utilizzo dei social network, la posizione che assumono contro i partiti dello status quo, oppure il loro desiderio di cambiare il sistema. A prescindere da ciò che può significare.

La buona notizia è che la Bulgaria non è sfasata rispetto a ciò che accade nel mondo. La contestazione in corso ormai da oltre un anno ha dato vita a questo tipo di organizzazione. Se ne esaminiamo la portata e le dimensioni, scopriamo che il fenomeno non è equiparabile ad altri, ma stiamo muovendo i primi passi in questa direzione. Nel corso degli ultimi mesi su Facebook sono stati creati molti gruppi che ora si stanno trasformando in autentici portali di discussione politica. Tra i tanti c’è anche la “rete delle proteste” di un’attivista.

L'illusione del consenso

Le discussioni confinate su internet dissimulano tuttavia alcuni rischi reali, il più importante dei quali è farsi delle illusioni. Le opinioni che si leggono nei forum online non sono certo rappresentative dell’insieme della società. Restando confinate in questo spazio sociale chiuso, in questo ambiente propizio, è facile supporre che tutti condividano proprio quelle opinioni e quei valori. Non vi è nulla di più falso: si tratta soltanto di una piccola parte della società che ha trovato il modo di far accettare le proprie idee cercando di averne conferma.

Per cambiare qualcosa nell’esercizio del potere serve l’appoggio della maggioranza dei cittadini

Per cambiare qualcosa nell’esercizio del potere serve l’appoggio della maggioranza dei cittadini, e in seguito bisogna disporre di uno strumento legislativo per partecipare alle elezioni o dimostrare che non si tratta di qualche migliaio di persone su internet, ma di una grande percentuale di bulgari. Finora, però, non esiste che un modo per farlo restando nell’ambito legislativo: creare un partito e prendere parte alle elezioni.

Se uno di questi movimenti creati di recente crescerà, si espanderà e guadagnerà in popolarità, finirà col dar vita a un partito che parteciperà alle elezioni legislative. Se farà fiasco, sarà sepolto nel cimitero della politica, come tanti altri prima di lui. Per questo motivo i leader di queste nuove organizzazioni politiche farebbero bene a non affrettarsi a condannare i partiti. Se i loro movimenti riusciranno a perseguire il loro obiettivo faranno ricorso anche loro ai partiti politici, queste vecchie forme di organizzazione che conosciamo così bene. (Traduzione di Anna Bissanti)

Bulgaria

L’eco del 1989

Dopo cinque mesi di continue manifestazioni di piazza la società bulgara attraversa una crisi di fiducia senza precedenti nei confronti del mondo politico, scrive Ilia Valkov su Sega. Questa perdita di fiducia segnala il degrado della società e dello stato, perché indica una crisi di legittimità e di autorità della classe politica, ma anche del potere giudiziario, dei media, delle ong e della chiesa ortodossa.

All'origine di questa perdita di fiducia c’è una crisi dei valori: gli elettori cercherebbero la salvezza attraverso delle elezioni miracolose e delle belle promesse da parte di leader carismatici. In questo modo si finisce per dare fiducia a un "messia" politico.

In un certo senso è possibile stabilire un parallelo fra la situazione di oggi e gli avvenimenti del 1989, in occasione della caduta della cortina di ferro:

all'epoca la società bulgara si era trasformata in una polveriera. La popolazione stava prendendo coscienza di sé, si organizzava da sola e procedeva all'autocritica.

venerdì 6 settembre 2013

ITALIA - Ancora ostaggio di Berlusconi


Il dibattito sulla sorte dell’ex premier sarebbe inconcepibile in qualunque democrazia occidentale. Ma in Italia tocca il cuore della cultura nazionale, che una sconfitta della giustizia contribuirebbe a rendere immutabile.

TimParks 6 settembre 2013 THE NEW YORK REVIEW OF BOOKS New York City

Salvatemi dal carcere o trascinerò il paese insieme a me. Questo, in sostanza, è il messaggio che Silvio Berlusconi – quattro volte primo ministro, proprietario delle tre reti televisive commerciali più importanti del paese, imputato molteplici volte per reati penali – ha appena lanciato al governo italiano. Questo messaggio spiega una volta per tutte la natura esatta della posta in gioco in Italia in questo periodo: l’Italia è uno stato moderno nel quale vige la legalità, oppure è il feudo di un fuorilegge dichiarato? Ora come ora, non è dato sapere quale opinione prevarrà.

Dopo una decina di processi, molti dei quali hanno superato tutti i tre gradi di giudizio previsti dall’ordinamento della giustizia italiana (di primo grado, d’appello e di cassazione), dopo aver creato leggi ad personam per depenalizzare i reati da lui stesso commessi o aver fatto ricorso a tattiche dilatorie affinché i processi si allungassero a dismisura fino a far cadere in prescrizione i reati, o dopo essere stato giudicato colpevole a un grado di giudizio per essere prosciolto al successivo, Berlusconi ha infine ricevuto una condanna penale definitiva e inappellabile per frode fiscale al terzo grado di giudizio.

Condannato a quattro anni di detenzione, ha beneficiato di un condono istituito per svuotare le carceri italiane. Ciò ha ridotto la sua pena a un solo anno di prigione, senza contare che essendo ultrasettantenne gli sarà possibile scontare la pena in una delle sue molteplici dimore di lusso. In ogni caso, in quanto membro eletto del senato, egli gode dell’immunità, non può essere arrestato né obbligato agli arresti domiciliari finché il senato non ne avrà approvato l’espulsione, con una votazione che potrebbe svolgersi a settembre. Adesso ha fatto sapere che se voteranno a favore della sua decadenza egli trascinerà con sé l’intero governo.

Che Berlusconi possa effettivamente provocare scompiglio è evidente

Che Berlusconi possa effettivamente provocare scompiglio è evidente. Egli dirige – in un certo senso ne è proprietario – uno dei due grandi partiti dell’attuale coalizione di governo che si sta faticosamente impegnando per varare riforme di somma importanza, studiate per arrestare l’ormai drammatico declino dell’economia italiana, e in definitiva ispirare un po’ di fiducia negli investitori esteri. Se Berlusconi ritirasse il suo partito dalla coalizione, come ha minacciato di fare, sarebbe difficile formare un altro governo con l’attuale parlamento privo di maggioranza.

Il timore è che un simile esito possa paralizzare il paese, riportando l’Italia indietro al punto esatto in cui si trovava due anni fa, quando le pressioni dei mercati finanziari parevano prossime ormai a costringerla a chiedere un bailout all’Ue o a prendere in considerazione un’uscita istantanea dall’euro. Al momento il 40 per cento dei giovani italiani è disoccupato, mentre la produzione del settore manifatturiero è inferiore del 26 per cento ai livelli raggiunti nel 2007.

Se Nixon si fosse rifiutato l’impeachment e avesse cercato in qualche modo di restare aggrappato al potere, sarebbe stato destituito all’istante. La stessa cosa accadrebbe a qualsiasi leader nelle più importanti democrazie europee. La maggior parte di loro si dimetterebbe al primo sentore di una grave imputazione nei propri confronti, consapevole che il loro partito non appoggerebbe mai qualcuno che ne può mettere a repentaglio la causa.

L’aspetto veramente preoccupante dell’attuale situazione in Italia non è tanto la sfacciataggine di Berlusconi, quanto il fatto che il suo ricatto sia attuabile e permissibile. Per quanto sconcertante possa sembrare a chi non ha familiarità con l’Italia, perfino i quotidiani più seri e i commentatori più rispettabili appaiono restii a insistere per il rispetto della legge: di rado parlano dei suoi reati nei dettagli e di fatto avvalorano la tesi secondo la quale estromettere Berlusconi dalla scena politica equivarrebbe a privare del diritto di voto i milioni di elettori che lo hanno favorito alle precedenti elezioni, come se in parlamento non esistesse un partito autonomo in grado di rappresentare le loro opinioni, come se non fossero liberi di scegliere un altro leader prima delle prossime elezioni. Come è stato possibile arrivare a tanto?

Una delle cause è la personalità dello stesso Berlusconi: è un uomo intrigante, carismatico, persuasivo e implacabile. Il suo preminente impero mediatico funge da amplificatore di queste sue qualità, consentendogli di plasmare il dibattito nazionale di continuo. I suoi oppositori sono in buona parte visti attraverso lo specchio distorto dei media che egli stesso controlla: se cercano di attaccarlo, sono presentati come soggetti ossessionati da Berlusconi. Se ne denunciano le malefatte, sono accusati loro stessi di cercare di sconfiggerlo nei tribunali invece che alle urne, un segnale di debolezza.

Eppure nessuno di questi motivi – siano essi presi in considerazione singolarmente o tutti insieme – sarebbe sufficiente di per sé a permettere a Berlusconi di tenere una nazione alla sua mercé e col fiato sospeso così a lungo se nella cultura italiana non esistesse qualcosa che predispone il popolo a lasciarsi ammaliare, incantare, persuadere e soprattutto intimidire – al punto da essere pronto, insomma, a credere alle promesse di Berlusconi o ad accettarne la presenza come inevitabile.

Il successo di Berlusconi, pertanto, non è un inconveniente temporaneo o un’anomalia, ma è radicato nel cuore stesso della cultura italiana, e mette il luce lo scetticismo molto diffuso che in Italia sia impossibile far pulizia nella politica o renderla equa anche soltanto in parte. Di conseguenza, quando Berlusconi ripete che le accuse penali contro di lui sono soltanto menzogne, inventate di sana pianta dai suoi avversari, le sue parole trovano terreno fertile.

A molte persone in realtà la situazione attuale va benissimo, in quanto legittima le loro stesse piccole trasgressioni

A molte persone in realtà la situazione attuale va benissimo, in quanto legittima le loro stesse piccole trasgressioni, le loro evasioni fiscali. Di conseguenza, se la giustizia prevarrà e Berlusconi sarà estromesso dalla vita politica, milioni di italiani non la considereranno una vittoria della legalità (qualcosa che potrebbe rendere la vita più difficile per tutti), bensì semplicemente una battaglia vinta dalla controparte.

Dai tempi di Leopardi

In sintesi, le contrapposizioni tra buono/cattivo, morale/immorale, o anche efficace/inefficace in base alle quali noi presumiamo che i politici debbano essere valutati e giudicati, in Italia sono sempre subordinate alla questione preponderante del vincere o dell’essere sconfitti, l’unica cosa in assoluto che conti. E Berlusconi si è sempre presentato, più di ogni altra cosa, come un vincente.

Nel 1826, annotando le sue osservazioni sulle consuetudini italiane, il poeta Giacomo Leopardi rifletteva che nessun italiano è mai stato ammirato o condannato fino in fondo, ma ha sempre avuto sostenitori e denigratori anche dopo la morte. Ciò è sicuramente vero, dagli eroi ai farabutti della vita italiana, da Mazzini, Garibaldi e Cavour, passando per Mussolini fino a Craxi, Andreotti e Berlusconi.

Secondo Leopardi per gli italiani era difficile immaginare un leader come qualcosa di più del capo di una fazione o di un gruppo di interessi particolari, e quindi non avrebbero mai cambiato opinione su di lui, quali che siano le conseguenze della sua leadership. Poiché di fatto una certa parte dei suoi elettori crede che egli stia portando avanti la loro battaglia contro un vecchio nemico, i suoi reati e i suoi errori sono irrilevanti.

Pertanto, quando i saggi columnist di alcuni dei quotidiani più illustri e stimati del paese suggeriscono che potrebbe essere meglio salvare Berlusconi e il governo, di fatto avallano la convinzione consacrata dal tempo secondo cui la politica sarà sempre corrotta. Se a Berlusconi sarà risparmiato il carcere, anche solo gli arresti domiciliari, e se gli sarà consentito continuare a fare politica, la percezione che un leader politico è più un signorotto feudale che un cittadino come gli altri sarà confermata, e non ci sarà alcuna possibilità che il comportamento degli italiani cambi per molti anni a venire. (Traduzione di Anna Bissanti)