Quanto
ci costa? La domanda viene immediata. Quanto costa la crisi di governo agli
italiani, contribuenti, consumatori, risparmiatori, salariati e partite Iva?
Non per mettere il conto della serva prima
del conto dei padroni, ma è esattamente la questione che si pongono i
“mercati”, cioè quei giovanotti che ogni giorno decidono se comprare o vendere
i titoli della Repubblica italiana.
Il calcolo è complicato e si tratta in ogni
caso di una esercitazione ipotetica. Ma prendiamo, come punto di riferimento,
la stima della crisi del 2011-2012 fatta da Ignazio Visco, governatore della
Banca d’Italia nell’ultima assemblea generale. Ecco le sue parole:
“La correzione (del disavanzo pubblico, ndr.)
ha inciso negativamente sulla dinamica del prodotto nel 2012 per circa un punto
percentuale. Hanno inciso di più, per circa due punti, gli effetti della crisi
di liquidità sul costo e sulla disponibilità del credito per il settore
privato, il rallentamento del commercio internazionale, l’aumento
dell’incertezza e il connesso calo della fiducia. La correzione dei conti
pubblici ha contribuito a ridimensionare le tensioni sul mercato dei titoli di
Stato, evitando scenari peggiori”.
Di quei due punti in meno, la stessa Banca
d’Italia stima che mezzo punto sia dovuto alla frenata sul mercato mondiale.
Dunque, la guerra dello spread – in altre parole la sfiducia dei mercati,
l’ondata di vendite dei Btp cominciata nella primavera del 2011, e arrivata al
culmine a novembre spingendo Silvio Berlusconi a dimettersi – è costata
un punto e mezzo di prodotto lordo, grosso modo 21 miliardi visto che il pil è
attorno ai 1.400 miliardi di euro. Un punto, cioè circa 14 miliardi, si deve
alla stangata di Mario Monti. Tenendo conto che la domanda estera migliora e ci
sono meno tensioni sui mercati finanziari, adesso potremmo sperare di non
subire la penalizzazione di mezzo punto (circa 7 miliardi), dovuta alla
congiuntura internazionale.
Ma se volessimo trasportare l’analisi di
Visco alla situazione attuale, nel caso in cui scoppiassero tensioni sul debito
italiano della portata di quelle del 2011, ebbene il costo della crisi non
sarebbe lontano dai 21 miliardi di euro pagati un anno e mezzo fa alla
irresponsabilità politica.
Attenzione, se scatta l’aumento dell’Iva e se
anche il taglio dell’Imu sulla prima casa viene rimesso in discussione dal
governo d’emergenza, guidato da Enrico Letta o da Mister X, che dovrà preparare
le elezioni, altri sei miliardi escono dalle tasche degli italiani e riducono
di un ammontare equivalente la domanda interna.
Nessuno è sicuro, poi, che non ci vorrà un
nuovo giro di vite con la legge di stabilità che andrà comunque fatta, per
tenere il deficit pubblico sotto il tre per cento del pil. La settimana scorsa
si parlava di 14 miliardi tra tagli e tasse nel 2014. Dunque, ancora un bel po’
di quattrini sottratti al reddito disponibile, in parte quest’anno e per lo più
l’anno prossimo.
La crisi di governo costerà cara. Su questo
non c’è da farsi illusioni. Forse era inevitabile che si arrivasse a uno
show-down, visto il logoramento dei rapporti Pd-Pdl e la paura della prigione
da parte di Silvio Berlusconi. Forse. Ma non è male che, parlando dei costi
della Politica con la maiuscola, si faccia anche qualche conto sui costi di
questa politica con la minuscola, una politica davvero piccola piccola.
Stefano Cingolani
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