Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


lunedì 30 giugno 2014

ITALIA – Italiastaiserena


Certo è dura passare una domenica senza vedere il faccino di Renzi che fa lo sborone o discutere un suo imperdibile twitt, i fan si sono dovuti accontentare di un misterioso cartiglio in cui premier dice che “siamo della generazione Erasmus” un’esperienza che egli stesso ha fatto trasferendosi brevemente dall’università di Firenze alla Ruota della Fortuna. Molto poco  per un Paese ormai così assuefatto che soffre senza la sua dose , anche se sa che il lider maximo è chiuso nella sua stanzetta a scrivere il discorso per il semestre italiano in Europa. Una bellissima cosa se l’alto incarico non si limitasse all’organizzazione e relativo pagamento dei lavori, convegni, incontri, ma il ragazzo si impegna perché è l’ultima buona occasione di far vedere quanto i valgono i suoi ghost writer.

In compenso però media e giornaloni non hanno lesinato sul metadone andando a scomodare tutto il cerchio magico del guappo per mettere insieme un benefico beverone di ottimismo che mette le ali. Mentre leggi anti corruzione e job act sono sprofondati nel nulla, il ministro Poletti fa sapere che manca un miliardo per finanziare la cassa integrazione in deroga, 50 mila lavoratori col culo per terra. Ma sono sciocchezze perché il sottosegretario Delrio, sgravato per un attimo dal concepimento industriale di marmocchi, dice che grazie alla flessibilità europea si sbloccano dieci miliardi e vaneggia di eurobond immobiliari Peccato che la flessibilità europea non esista e che Delrio farebbe bene a leggersi i documenti, invece di farseli riassumere da Matteo che li conosce per sentito dire. Purtroppo il sottosegretario all’economia Morando dice pure che non ci sono nemmeno i miliardi sperati della spending review, che forse bisognerà fare una manovrina a meno di non svendere selvaggiamente il patrimonio dello stato e le ultime aziende rimaste.

Insomma un bordello dentro il quale si intravede molto chiaramente il ritratto della Grecia. una sorta di manicomio nel quale non si ha una mezza idea strategica su cosa fare se non spremere ciò che si può con i pos obbligatori, con il ritorno dell’anatocismo bancario, con la folle idea di far pagare il canone Rai anche per Internet. Davvero una triste sceneggiata per ora nascosta dal can can sulla riforma del Senato come se fosse la panacea di tutti i mali e non invece un male aggiuntivo, un’ esercitazione di tracotante dilettantismo politico.

In compenso Berlusconi ha scoperto di essere fautore dei diritti civili, deprimendo la nota pasionaria dell’omofobia, Michaela Biancofiore. E il presidente Napolitano festeggiando il proprio innumerevole compleanno ha bonariamente risposto agli auguri, senza ringraziare ma, come si conviene a un monarca esprimendo “il suo caloroso e grato apprezzamento per queste espressioni di stima e personale vicinanza”.

Tutto molto divertente se non fosse che il “vero fico”, come lo chiama Scalfari non ha ottenuto un fico secco dall’Europa, né ammorbidimento del fiscal compact, né slittamento al 2016 del pareggio di bilancio (che peraltro sarebbe obbligatorio grazie ai demenziali rimaneggiamenti costituzionali), né scorporo degli investimenti o dei pagamenti della pubblica amministrazione dal deficit. Un flop completo che però si evita accuratamente di mettere in luce evitando di affrontare il disastroso panorama generale. Ma si, è chiaro che ci vorrà un’altra manovra per rimangiarsi con gli interessi quegli 80 euro pagati peraltro dall’Inps, che il marcio affiora a vista, che le riforme di cui si fa ambiguo spaccio consistono nello sbancamento del welfare e dei salari, ma tutti fanno finta di non vedere e al massimo citano piccoli graffi marginali. #Italiastaiserena,

ITALIA - Antitrust: "Intreccio tra politica e potentati danneggia il Paese"


Pitruzzella: "Il capitalismo di relazione mina la concorrenza e aggrava le diseguaglianze"

Roma, 30 giu. - Il capitalismo di relazione ha creato danni al Paese. Il presidente dell'Antitrust, nella sua relazione annuale a Palazzo Madama, ha puntato il dito contro quell'intreccio tra i grandi potentati economici e il potere politico e amministrativo che rende la società chiusa, poco aperta alla concorrenza e "danneggia la parte vitale e competitiva dell'economia italiana".

Il "capitalismo di relazione", è basato "sull'intreccio tra pochi grandi potentati economici, sulle loro relazioni con il potere politico e amministrativo, sulla ricerca delle "rendite di posizione", ha spiegato il numero uno dell'Antitrust. Questa deriva del capitalismo "si basa sui privilegi, piuttosto che sui meriti, aggrava le diseguaglianze, rende la società - ha osservato Pitruzzella - chiusa, statica, poco aperta alla concorrenza e all'innovazione".

Inoltre, secondo il presidente dell'Antitrust, "sacrifica l'aspirazione degli individui di poter migliorare la loro posizione sociale, esclusivamente in virtù dei loro meriti. Quindi pregiudica quella particolare forma di eguaglianza che è l'eguaglianza delle opportunità".

L'espansione della spesa pubblica, per alcune delle componenti, "improduttiva e inefficiente" è stata diretta a "soddisfare gli interessi particolaristici delle lobbies e dei cacciatori di rendite", ha aggiunto Pitruzzella. "Anche per questa via - ha sottolineato il presidente dell'Antitrust - si è creato quell'enorme debito pubblico che costituisce un grande ostacolo alla crescita economica ed un fardello ingiustamente caricato sulle nuove generazioni".

Queste tendenze, secondo Pitruzzella, "in Paesi come l'Italia, hanno favorito l'espansione di una spesa pubblica, per alcune delle sue componenti, improduttiva e inefficiente, diretta a soddisfare gli interessi particolaristici delle lobbies e dei cacciatori di rendite".

Anche per questa via "si è creato quell'enorme debito pubblico che costituisce un grande ostacolo alla crescita economica ed un fardello ingiustamente caricato sulle nuove generazioni", ha aggiunto.

Tuttavia, per il numero uno dell'Autorità, "etichettare l'economia italiana, nel suo complesso, come esempio di 'chrony capitalism' sarebbe ingiusto per quella gran parte di imprese italiane che competono con successo sui mercati internazionali, che sono capaci di essere leader nell'innovazione, per le tante che hanno saputo superare la crisi e per quelle che hanno sofferto anche a causa di un ambiente giuridico-istituzionale poco amichevole".

Oggi, però, "questo assetto dell'economia, i suoi rapporti con le istituzioni politiche e quelle amministrative sono sottoposti - ha detto - ad un significativo cambiamento". Ad alimentare questo processo di cambiamento "concorrono forze ed esigenze diverse: l'imperativo di mettere in ordine i conti pubblici, rispettando i vincoli europei, l'esigenza di rafforzare la competitività dell'economia per rimettere in moto la crescita economica, il bisogno di rinnovare la legittimazione delle istituzioni pubbliche e dei soggetti economici a fronte dei gravissimi scandali che hanno fortemente minato la fiducia dell'opinione pubblica". Si tratta, talora, di "vicende che coinvolgono profili penalistici - ha concluso - che devono essere accertati, nel rispetto del diritto individuale di difesa, dalla magistratura.

domenica 29 giugno 2014

ITALIA - Ragazzi, eravamo ricchissimi. E vi hanno rubato tutto


Questo è per voi, giovani italiani. Vi guardate intorno persi nella nebbia perché milioni di voi già dai 16 anni hanno capito che semplicemente il futuro non c’è. Liceo, università, specializzazione, quello che vi pare, ma la strada finisce in un mini-job part-time verticale, apprendistato gratis, i fortunati 800 euro al mese. Cioè: Albania, Romania, o Tanzania. Ma vi faccio questa domanda: qualcuno di voi si è mai… voltato indietro? Voltatevi indietro un attimo, per favore, ecco, così: cosa si vede? Si vede un paese, l’Italia, le cui donne 70 anni fa non avevano le calze, sedevano su cumuli di macerie e si chiedevano perché le truppe americane non facessero rumore quando camminavano. Povere donne, non conoscevano l’esistenza della scarpe di gomma. Non c’era nulla, l’Italia aveva il Pil del Bangladesh.

Poi cosa si vede? Si vede che i vostri nonni, padri e madri hanno fatto i compiti a casa. Dopo 35 anni dai cumuli di macerie, e dai mandarini solo due volte all’anno in tavola, l’Italia diventa la quinta potenza mondiale, il primo paese al mondo per risparmio privato e per ricchezza privata pro-capite. Scese Cristo e moltiplicò i pesci? No, no. Tuo nonno e tuo padre fecero i compiti a casa. E arriviamo al 1994, quando le agenzie di rating ci definivano “Economia leader d’Europa”, quando stracciavamo la Germania sia in produzione che export. Ricchi, ricchissimi. E arrivate voi. I giovani italiani si presentano dal Notaio dopo il 1994 per reclamare la giusta eredità del quinto paese più ricco del mondo, quindi lavoro garantito, stipendi per casa, matrimonio e bei risparmi. No? Il Notaio apre le carte e dice: non c’è più nulla, mi dispiace.

Nulla? Eh???? Dove sono finiti i soldi, il 5° Pil del mondo, gli enormi risparmi, la 1a ricchezza privata del mondo, il lavoro, cioè tutta l’eredità dei 70 anni di lavoro di tuo nonno e di tuo padre? Ancora giratevi indietro, ragazzi. Cosa si vede? Si vede che i padri fondatori dell’Italia si erano seduti sulle macerie della guerra e avevano scritto la più avanzata Costituzione nell’interesse pubblico del mondo. Anno 1948. Diritti garantiti, Stato sovrano, Parlamento sovrano, Costituzione sovrana. Una legislazione del lavoro che era invidiata da tutto il pianeta. I giovani italiani si presentano oggi dal Notaio per reclamare la seconda giusta eredità: si chiama diritti della Costituzione italiana ga-ran-ti-ti. Il Notaio apre le carte e dice: non c’è più nulla, mi dispiace.

Nulla? Eh???? Sì, nulla. Non vi avevano detto che nel 1993 dei tecnocrati europei che nessun italiano ha mai eletto avevano creato il Trattato di Maastricht, poi nel 2007 quello di Lisbona, che hanno esautorato il Parlamento del tutto, hanno tolto all’Italia la sovranità monetaria, e hanno persino soppresso la nostra Costituzione. Risultato: Non avete nessun diritto che l’Italia possa oggi difendere per voi. Shock. Ricapitoliamo: Esistevano per voi giovani, due eredità capitali, costruite per voi dai vostri nonni, padri, madri, e Padri Fondatori, che vi avrebbero garantito il futuro di dignità e prosperità e democrazia. Erano lì fino al 1999! Oggi non ci sono più. Ma come è possibile? Come accade che 70 anni di lavoro per voi svaniscano nel nulla negli ultimi 5 minuti?

Chi vi ha… rubato il futuro e la vita stessa quando vi spettava di diritto in eredità dopo 70 anni di lavoro, vita, lotta e morte dei vostri nonni, genitori e padri fondatori? Risposta: Unione Europea dei Tecnocrati non eletti che lavorano per un pugno di speculatori Neofeudali, primi fra tutti i tedeschi, che vogliono divorare l’Italia. Chi vi scrive pubblica da 5 anni le prove su prove su prove di questo crimine contro di voi, perpetrato attraverso la creazione dell’Eurozona coi suoi Trattati di cui sopra.

Soluzione: le due eredità sono vostre! Riprendetele, in due modi: a) Assediare il Parlamento, che s’inginocchi a chiedere scusa agli italiani, stracci i Trattati Ue della rapina storica contro l’Italia, riporti la sovranità monetaria e costituzionale in Italia; b) Gridare alle forze armate della Repubblica di arrestare Giorgio Napolitano, principale complice della rapina storica in Italia, dissolvere il governo di Renzi servo dei tedeschi distruttori dell’Italia, e che riportino la sovranità monetaria, parlamentare e costituzionale in Italia. Fuori dall’Eurozona. Le forze armate hanno giurato fedeltà alla Costituzione, devono farlo. Poi tornate dal Notaio e reclamate le vostre eredità, questa volta nel nome dei vostri nonni, padri e madri, che ve l’avevano lasciata. Alzate la testa, ragazzi, la piazza è vostra, ma non per fare casino. Per reclamare ciò che vi spetta in eredità.

“Giovani, se capite questo farete le barricate”

(Paolo Barnard)

ITALIA - Supercazzole in Europa


Forse ci sarebbe da sorridere di fronte al penoso dramma dei media di regime che hanno salutato la partenza del prode Anselmo al 40,8 % per la crociata europea, che ne hanno anticipato le immancabili e vittoriose gesta per strappare la flessibilità al barbaro inimico. Ma che oggi devono in qualche modo constatare la sconfitta: il patto di stabilità non si tocca. Non si può avere la botte piena e il premier ubriaco: non si può essere tra i grandi elettori di Junker, fra la maggioranza dell’austerità ed essere al contempo eretici rispetto ad essa, non si può avere austerità e crescita al tempo stesso. Certo è imbarazzante cominciare a scoprire di essere accorsi sul carro allestito da quegli stessi poteri che si volevano contestare e che le baruffe di cui si narra tra Merkel e topo gigio sono robetta di cartapesta.

La cosa che però fa tristezza è che il canovaccio sempre uguale della disarmante commediola può essere possibile solo grazie ai silenzi e ai fraintendimenti di cui siamo vittime spesso inconsapevoli. Sarebbe ben strano che a strappare qualcosa fossero proprio i personaggi di volta in volta imposti (Monti), suggeriti (Letta), creati (Renzi) da Berlino e Bruxelles; che possano essere davvero loro quelli che vanno a battere i pugni contro gli sponsor che reggono i fili della loro fortuna. Ma a parte i personaggi è il meccanismo stesso al quale siamo condannati che non consente vie d’uscita: il patto di stabilità siglato nel ’97 e ribadito nel 2011 è strettamente collegato all’euro e non può essere significativamente cambiato, come è giusto e ovvio che sia in presenza di una moneta spuria che non ha gli stessi strumenti delle divise concorrenti ed è in comune tra Paesi con interessi divergenti.

Peraltro esiste la possibilità di una minima elasticità o flessibilità nei parametri, ma essa è affidata a meccanismi da comma 22: può essere concessa solo dimostrando un miglioramento nel perseguire i parametri stessi e dunque può intervenire solo quando a rigore non ce n’è bisogno e non quando essa è necessaria a provocare i miglioramenti stessi. Insomma, tanto per fare un esempio, bisogna dimostrare di riuscire a stare dentro il 3% per poter ottenere qualche sconto sul fiscal compact: un serpente che si mangia la coda. In ogni caso non è certo qualche elemosina marginale che può migliorare la situazione e per di più viene taciuto il fatto che questa flessibilità è già stata applicata all’Italia con il consenso della Merkel  permettendo l’operazione degli 80 euro senza copertura per un’operazione di consenso che servirò soprattutto alla Germania per mantenere l’austerità.

Ed è talmente evidente che la flessibilità è divenuta un puro feticcio mediatico, senza alcuna consistenza se non puramente contabile, che la risoluzione dei capigruppo di maggioranza alla Camera, nella quale sono contenute le direttive in vista della presidenza italiana del semestre europeo, approvata con 296 sì e 169 no, i riferimenti all’allentamento del Patto di stabilità e del Fiscal compact sono del tutto assenti. Tutto dunque si riduce ad assicurarsi la complicità dei media nel vendere all’opinione pubblica un qualche fumoso risultato, la solita supercazzola con tanto di cappello a destra. Fosse pure un incarico di apparente prestigio all’interno della Commissione Ue nella quale in ogni caso ci spetta un commissario. Meglio una carica di prestigio, anche se di fatto inesistente come il “ministero degli esteri” retto finora dalla baronessa Ashton direttamente dalla sua magione di campagna e purché non si tratti di Letta o di qualche altro possibile rivale del guappo fiorentino. Meglio la Mogherini che almeno è una riconosciuta esperta di sinecure. Passa un giorno, passa l’altro, mai non quaglia il prode Anselmo.

giovedì 26 giugno 2014

ITALIA - Marco Travaglio: carriera amici incarichi di Giulio Napolitano figlio di Giorgio


ROMA - Marco Travaglio denuncia il caso dei figli del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: Giovanni Napolitano e Giulio Napolitano.

“Il primo, Giovanni, è in forza alla Direzione conflitto di interessi dell’autorità Antitrust, dando un tocco di surrealismo al tutto.

Il secondo, Giulio, classe 1969, è il più attivo nel bel mondo (si fa per dire) romano fra salotti, atenei, palazzi del potere e spiaggia di Capalbio. È l’Infante d’Italia, omologo dell’Infanta di Spagna Elena María Isabel Dominica de Silos de Borbón y Grecia che tanti guai ha procurato al povero Juan Carlos, accelerandone l’abdicazione (istituto previsto dai cerimoniali della Corona spagnola, non di quella italiana). Nel 2003, a 34 anni, Giulio già beneficiava – per la sua leggendaria bravura, s’intende, mica per i lombi e il lignaggio - di due consulenze legali da 15mila euro dalla giunta romana di Veltroni (la Corte dei conti accertò poi che le sue prestazioni potevano essere tranquillamente svolte dal folto ufficio legale del Comune e condannò la malcapitata funzionaria che l’aveva reclutato a risarcire 10mila euro).

Intanto Giulio era già passato a migliori incarichi,tra consulenze pubbliche (Coni, Federcalcio, presidenza del Consiglio) e fondazioni private o quasi (VeDrò di Letta jr. e Arel del duo Amato&Bassanini).

Sempre grazie ai meriti scientifici conquistati sul campo, partecipò alla stesura del decreto sulle Authority, che in ultima analisi fanno capo al Papà Re.

Poi fu chiamato dal n.1 dell’Agcom, Corrado Calabrò, a presiedere l’Organo di vigilanza sull’accesso alla rete Telecom.

Senza trascurare la travolgente carriera universitaria, all’ombra del suo maestro Cassese (di cui ha curato il Dizionario di diritto pubblico), amico del Genitore Regnante (che nel 2013 tenterà di issarlo sul suo trono).

Un’irresistibile ascesa, quella dell’Infante prodige, fin sulla cattedra di Istituzioni di diritto pubblico all’università Roma Tre. Lì, per puro caso, ha regnato per 4 mandati (15 anni) il magnifico rettore Guido Fabiani, marito della sorella di donna Clio, cognato di Giorgio e zio di Giulio. E lì, sempre in ossequio alla meritocrazia, insegnano il Divo Giulio e la cugina Anna Fabiani, figlia del rettore, mentre il di lei marito Alberto Tenderini, non potendo proprio insegnare, cura le iniziative sportive dell’ateneo.

Quando l’anno scorso l’amico Letta Nipote va al governo, due fedelissimi dell’Infante diventano finalmente sottosegretari. Alla Giustizia l’inseparabile Andrea Zoppini, avvocato, autore di libri a quattro mani con Giulio e ordinario di Diritto privato a Roma Tre, ça va sans dire (presto costretto a dimettersi da un’indagine per frode fiscale, poi archiviata). Al Lavoro l’indimenticabile Michel Martone, che si segnala per gaffe memorabili prima d’inabissarsi nel nulla.

Ma ci vuol altro per oscurare la stella di Giulio, che séguita a collezionare poltrone: riformato il diritto sportivo per il Coni di Giovanni Malagò, è commissario ad acta alla Figc di Giancarlo Abete.

Sulle prime Matteo Renzi pare infastidito dall’ubiquo Infante, ma poi – in piena “emulsione” con S.A.R. – si arrende. Il Colle storce il naso per il decreto Franceschini sulla Cultura? Ecco sbucare al suo fianco il consigliere Lorenzo Casini, altro gemello siamese di Giulio, con cui firmò l’imprescindibile “Prospettive della globalizzazione. Come uscire dalla crisi”.

La Madia tribola a partorire il decreto PA, respinto con perdite dal Quirinale? Chi meglio del rampollo, che le fu pure fidanzato, per lubrificare l’ingranaggio?

Lui nega tutto: quello avvistato qua e là dev’essere un fantasma, o un sosia. La Napoli del dopoguerra ironizzava sulla somiglianza fra Umberto di Savoia e Giorgio Napolitano, il “figlio del Re”. Ora che questi s’è incoronato da solo come Carlo Magno, Giulio è figlio di un re e nipote di quell’altro. Viva l’Italia, viva la Repubblica.

UE - Jürgen von Hagen: «Renzi non risolverà i problemi»


Il premier non porterà più crescita. Colpa delle regole europee. E di un Patto di Stabilità da rifare. Parla l'ex economista della Bundesbank, von Hagen. Che attacca Angela Merkel: «Un'opportunista».

L'Italia festeggia l'inizio del semestre europeo, sbandierando la presunta svolta di Angela Merkel sulla «flessibilità», meno austerity e più crescita.
Ma in Germania, le reazioni alle parole magiche della cancelliera sul «prolungamento delle scadenze, possibile e già usato», per rientrare dal deficit sono evasive. Si pone l'accento sulla seconda parte del comunicato, sui parametri immutabili del fiscal compact e sulla «credibilità che deriva dal rispetto delle regole».
LA LEVATA DI SCUDI TEDESCA. Il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble invita i governi a «non ripetere gli errori del passato, nel non rispettare le regole». E per far capire come stanno le cose, il falco a capo della Bundesbank (ex sherpa di Merkel) Jens Weidmann ammonisce che «ammorbidire il Patto di stabilità sarebbe fatale per l'Eurozona».
A che gioco gioca allora Frau Merkel? Il suo programma è davvero compatibile con la sfida di Matteo Renzi alla sola austerity di Bruxelles, riforme alla tedesca in cambio di investimenti per la crescita? Per Jürgen von Hagen, top economista con un curriculum accademico alla Fed e nelle università Usa, ex advisor del ministero dell'Economia a Berlino, del Fmi e dell'Ue, ex ricercatore della Bundesbank, in realtà il problema è molto più profondo e non sarà certo Renzi a risolverlo.
LA TATTICA DI ANGELA MERKEL. «Neanche con il semestre italiano si avrà più crescita nell'Ue», chiosa la voce critica. In primis per colpa di Bruxelles e delle regole europee. I concetti di riforme, intanto, sono vaghi. Il Patto di Stabilità riformato dal 2009, poi, è privo di sostanza economica e passibile di diverse interpretazioni. «Quanto a Frau Merkel che va incontro a Renzi», ha spiegato il direttore dell'Istituto di Politica economica internazionale dell'Università di Bonn senza peli sulla lingua, «si tratta di mera, e anche provvisoria, opportunità politica».

DOMANDA. La cancelliera dà il disco verde a Van Rompuy per una «maggiore flessibilità». Renzi la vince?
RISPOSTA. Così com'è, il Patto di Stabilità offre abbastanza flessibilità. Di per sé i suoi criteri sono molto grossolani e muniti di molte aggiunte, del tipo fare «abbastanza velocemente». Il punto vero della questione è un altro.
D. Quale?
R. Si parla di compensare le «riforme» con il «consolidamento» di bilancio. Cosa si intende per riforme? Le riforme non sono quantificabili. E chi non è italiano, per esempio, non può valutare cosa sia una vera riforma in Italia.
D. Dove vuole arrivare con il suo ragionamento?
R. Andando in questa direzione, il Patto di Stabilità non diventa più flessibile, ma si invalida.
D. Cosa pensa dell'attuale Patto di Stabilità?
R. Dal 2009, le riforme al Patto, forzate dal governo tedesco, sono state varate per calmare l'opinione pubblica e la Corte costituzionale tedesche. Dentro non vi si rintraccia ragione economica.
D. Merkel come si colloca? Difende la vecchia linea o va incontro a Renzi?
R.
Intanto non esiste una «vecchia linea», c'è solo una retorica del passato da difendere. Per Frau Merkel non si tratta di principi economici. Per lei non è mai stato così, perché non ne ha.
D. Qualcosa la muoverà.
R.
L'opportunità politica, che in questo momento, per la cancelliera, consiste nell'andare incontro a Renzi. Ma il quadro può cambiare di nuovo, anche rapidamente.
D. Il semestre europeo dell'Italia non sposterà Bruxelles nella direzione di una maggiore crescita?
R.
No, tutt'al più farà aumentare la spesa pubblica. La verità è che Bruxelles non può guidare le riforme necessarie per far crescere l'Italia e altri Paesi.
D. Il suo è un giudizio duro.
R. Al momento, Bruxelles non ha a disposizione né gli esperti, né le informazioni per concepire le riforme in modo corretto.
D. Più flessibilità, taglio della spesa pubblica, privatizzazioni. In cambio, meno tasse e soldi per la crescita. La ricetta di Renzi non funziona?
R.
Non sono un esperto di economia italiana. Posso solo dire che in Germania le riforme del 2003 che hanno reso il mercato del lavoro più flessibile si sono tradotte in una maggiore occupazione nel 2010-2011, quasi 10 anni dopo. La manovra è di lungo respiro.
D. Negli altri Stati non accadrebbe lo stesso?
R.
Che più flessibilità nel lavoro porti davvero a più crescita è una questione quantomeno controversa.
D. Perché gli economisti ne dibattono?
R.
Non esiste una logica economica in questo processo. Lo stesso vale per l'abbassamento delle tasse e per le privatizzazioni. Di solito si argomenta che più flessibilità porta a prestazioni economiche di livello più alto. Non comunque a una crescita a lungo termine.
D. Come valuta lo stato di salute dell'Ue, con l'avanzata degli euroscettici?
R. I commenti sul successo degli euroscettici alle urne mi sono sembrati eccessivi e anche falsi. L'Ue non è un santuario incriticabile. Che si possa esprimere la propria opinione è il sale di ogni democrazia. Le critiche sono sintomo di salute.
D. Ma se tanti elettori chiedono il cambiamento, criticando la Germania, Merkel avrà fatto degli errori.
R.
Dal 2009 l'establishment politico, incluso il governo Merkel, non ha fatto altro che vantarsi di infrangere il diritto europeo, per salvare i suoi amici banchieri, a spese dei contribuenti. Questa violazione del diritto è una perdita di credibilità dell'Europa.
D. Niente cambiamenti sostanziali per l'Ue, dunque, neanche con Renzi a braccetto dell'Spd?
R. L'idea dell'Ue come di una comunità rassicurata dal vincolo dei contratti si ripercuoterà ancora a lungo come una forma di sfiducia generale verso le istituzioni europee (Barbara Ciolli)

LIBIA - Elezioni, caos e violenze


Seggi aperti per le Legislative. Ma la metà degli elettori disertano le urne. Il Paese è ormai ostaggio di golpisti e islamisti. Come aveva predetto il Colonnello.

L'ANALISI

Tre anni fa crollava il regime di Muammar Gheddafi e la Libia in guerra combatteva per un futuro democratico. «C'erano le bombe, ma sapevamo che sarebbero finite», raccontano a Tripoli, incerti per una pace che non è ancora arrivata.
Nell'ex Jamahiriya, il 25 giugno il popolo è stato chiamato alle urne per le seconde legislative della ricostruzione. L'affluenza, nelle prime ore, è stimata bassissima.
Un dato scontato: dei circa 3 milioni e mezzo di aventi diritto, appena 1 milione e mezzo di elettori si sono registrati, quasi la metà dei 2,7 milioni di libici che andarono a votare due anni fa.
PREMIER SOTTO ASSEDIO. Ora sanno che l'ultimo dei premier ad interim, Ahmed Maetig, è stato dichiarato illegittimo dalla Corte suprema libica, per una elezione in parlamento giudicata incostituzionale.
In carica è tornato, obtorto collo, il dimissionario Abdullah Theney, premier per meno di un mese dopo un attacco armato alla sua famiglia. Prima di lui, anche Ali Zeidan, a marzo, aveva gettato la spugna, dopo il sequestro con un tentato golpe e la sfiducia per il furto della petroliera Morning Glory.
PARLAMENTO ASSALTATO. Se i governi vacillano, il parlamento non naviga in acque più sicure. Per ragioni di sicurezza, i premier vivono in hotel blindati e, dopo un assalto armato, anche il Congresso di Tripoli è stato costretto a trasferirsi nell'albergo Waddan, nel centro della Capitale.
La prossima legislatura lavorerà a Bengasi. Il trasferimento dell'esecutivo era stato deciso dal Congresso, dominato da blocchi parlamentari controllati da milizie armate rivali. Nella votazione, evidentemente, hanno prevalso gli islamisti, particolarmente forti nel capoluogo della Cirenaica.

Offensiva di laici e riciclati contro gli islamisti dell'Est: coprifuoco a Bengasi


Bengasi, dove l'11 settembre 2012 un commando islamista assaltò il consolato Usa uccidendo l'ambasciatore Christopher Stevens, la notte vige il coprifuoco.
La nuova Camera dei rappresentanti, che sostituirà l'attuale Congresso eletto nel luglio 2012, avrà sede nell'hotel Tibesti e sarà composta da 200 seggi, 32 dei quali riservati alle donne. I primi risultati del voto sono attesi per il 27 giugno, ma i definitivi non saranno confermati prima di metà luglio.
GOLPISTI CONTRO ISLAMISTI. Tra i cittadini prevale il disorientamento per le turbolenze continue.
Nella lunga transizione, la crisi economica e l'allarme sicurezza anziché attenuarsi si sono acuiti. Il Paese, privo di un apparato statale, è conteso tra le forze golpiste dell'ex generale Khalifa Haftar, appoggiato dall'ala laica dei ribelli, e l'opposizione musulmana salita al potere con la caduta del raìs, ma osteggiata e sulla via della radicalizzazione, come in Egitto.
In uno dei suoi ultimi discorsi pubblici, Gheddafi aveva ammonito: «Dopo di me, torneranno i terroristi islamici». Come in Siria e in Iraq, i jihadisti si stanno impossessando della Libia. Ma sotto le insegne del capitano Haftar, sono tornati allo scoperto anche i riciclati gheddafiani, mai del tutto sconfitti durante la rivoluzione.
LE MINORANZE BOICOTTANO. Nell'Est dilaniato dagli attacchi, le milizie di Haftar sono impegnate in un'offensiva contro gli estremisti islamici. I morti sono centinaia, senza contare le vittime di scontri, sequestri ed esecuzioni quotidiane.
In pochi, tra gli elettori, sperano che con il nuovo parlamento cambi qualcosa. Le minoranze che, rovesciata la Jamahiriya libica, confidavano nell'avvento della democrazia, non sono andate a votare.
Berberi, tuareg e tobu, che pure avevano combattuto in parte contro Gheddafi, hanno boicottato le elezioni perché «non abbastanza rappresentati» nel nuovo parlamento. Nelle zone controllate da queste tribù non è stato possibile neanche votare.

Partiti armati in lotta fratricida. Si spera in una coalizione d'emergenza


A Bengasi, seconda città del Paese, è allarme sicurezza: 182 seggi a rischio sono stati posti sotto il controllo delle forze militari e, per recarsi alle urne, sono state distribuite mappe con percorsi sicuri e check-point. I pochi cittadini in strada si dicono stanchi di «tutto questo».
Con l'escalation degli ultimi mesi, alcuni Paesi stranieri hanno chiuso ambasciate e consolati, e ritirato il loro personale.
IL NODO DEL PETROLIO. Nell'Est in guerra, cuore delle raffinerie, il blocco della produzione del petrolio messo in atto dalle milizie separatiste ha fatto crollare l'export di greggio dagli 1,4 milioni di barili di inizio 2013 ai 200 mila barili esportati quotidianamente nel giugno scorso, per un danno economico, in un anno, di circa 30 miliardi di dollari per il Paese. Nella Cirenaica, le multinazionali straniere che non si sono potute trasferire sono presidiate a vista.
IPOTESI ESECUTIVO DI UNITÀ NAZIONALE. La speranza è che, come in Iraq, i nuovi gruppi parlamentari formino un governo di unità nazionale, per «calmare il Paese». Ma nella selva dei 1.628 candidati, i nomi forti sono sempre i soliti, e sono in lotta fratricida da mesi.
Nel 2012, con il 48% riuscì a imporsi l'Alleanza delle forze nazionaliste (Nfa). La coalizione «liberale e democratica», che si batteva per un «islam moderato», comprendeva 58 partiti e oltre 500 tra ong e indipendenti.
Due anni dopo, il quadro appare più frammentato. L'impressione è che, in generale, il radicalismo islamico abbia preso forza. Per effetto di faide e patti tra clan, diversi aderenti del blocco potrebbero essere confluiti tra i partiti islamisti che, con i capofila moderati del Partito per la Giustizia e la ricostruzione della Fratellanza musulmana, non riuscirono a superare il 10% dei consensi.
REGGE LA COSTITUENTE. A differenza che in Egitto, i riciclati golpisti non sono ancora abbastanza forti da imporre una nuova dittatura. Ma, come al Cairo, raccolgono il sostegno dell'opposizione laica.
Forte dell'appoggio di unità dell'esercito e dell'aeronautica, per la giornata del voto Haftar ha concordato il cessate il fuoco. Ma, nonostante tutti i 1.601 seggi siano difesi da almeno 15 poliziotti l'uno, a Sud, nella città di Sebha, un candidato è stato assassinato in un agguato.
C'è la povertà, ci sono le armi e dilaga la violenza. Ma non tutto è perduto: dal 20 febbraio 2014 è al lavoro una Costituente, democraticamente eletta.
( Barbara Ciolli)

ITALIA - Lettera aperta all'associazione PANDORA.


Pandora è una rivista on line di giovani studenti di ottimo livello che ogni tanto compaiono sul Network per il Socialismo Europeo e altrove, anche in blog del PD: ne conosco direttamente qualcuno e  con altri ogni tanto interloquisco.

Vi giro le mie riflessioni di oggi:  Cari pandorini, apprezzo tutto quello che scrivete, anche se è  proiettato molto avanti: ma guai se a venti anni non si pensa anche all'impossibile, non si andrebbe mai avanti. Purtroppo, o per fortuna, siamo nel secolo veloce, e gli scenari cambiano in fretta anche per voi, figuriamoci per me che ho 50 anni più di voi. Oggi sono colpito da due riflessioni, che vorrei condividere con voi:

1- gli USA cominciano a esportare petrolio, il che cambia lo scenario della politica nel Medio Oriente e nel Mediterraneo: insomma, d'ora in avanti Iraq,Turchia,Siria  Egitto, Libia , la possibile esplosione dell'Algeria con  presidente rieletto con l'Alzheimer, saranno solo cazzi degli  europei, anzi dei sud europei, anzi dell'Italia che sta come una portaerei facilmente abbordabile nel bel mezzo del Mediterraneo: tutto quello che gli USA ci chiederanno è di non buttare a mare Israele., cosa comunque non consigliabile visto che hanno più atomiche di GB e Francia messi insieme. Anche le faccende dell'Ucraina e della Russia saranno fatti nostri, una volta isolati quei quattro gatti di dr. Stranamore sopravvissuti nella CIA che continuano a pensare al contenimento della Russia come a una faccenda necessaria ma da delegare alla parte europea della NATO, che è ora che facciano la loro parte. La parte dell'Italia, invece, è di fare al più presto il South Stream. E quella dell’Europa è di interfacciarsi con la Russia, non di combatterla.

2- il flusso in aumento dei rifugiati che arrivano sulle nostre coste e poi si spargono per l'Europa: questione che non va affrontata col tono del mendicante di Alfano, ma facendo presente all'Europa che siamo davanti a una enorme opportunità: perchè chi ha il coraggio di emigrare è sempre più intelligente e intraprendente di chi resta, e noi abbiamo l'esempio quotidiano nel nostro mezzogiorno, che da 120 anni  manda i migliori nelle Americhe, nel Nord Italia, in Germania e in Belgio. Ma adesso, dalla Siria stanno arrivando a migliaia ingegneri, medici, scienziati: non si tratta di dividere il conto dell'albergo con l' Europa, si tratta di pianificare l'uso di questa risorsa, che ci arriva gratis, senza che abbiamo speso un lira per allevarli e istruirli.

Insomma, sarei molto contento se nei prossimi mesi la UE si attrezzasse per finanziare il south stream con fondi BEI, e creasse un fondo per l'inserimento dei profughi in Europa .

Chi di voi si occupa di storia, rifletta all'enorme stupidità di quella fanatica di Isabella la Cattolica che cacciando gli ebrei e i moriscos fece la fortuna del resto d'Europa e ridusse la Spagna a vivere di rapine sul Sud America, a quell'altro cattoimbecille di Luigi XIV che cacciando gli ugonotti fece la fortuna della Svizzera, dell'Olanda e della nascente industria inglese, agli anglicani della chiesa alta che cacciando i presbiteriani (che avevano fondate ragioni per non apprezzare i loro vescovi) crearono gli USA: e cerchiamo di non ripeterli, come vorrebbero i leghisti di tutta Europa
Claudio Bellavita

lunedì 23 giugno 2014

GAZA - Attacchi ad Israele da Gaza. uno schifo morale, non terrorismo


Un schifo morale, non terrorismo

Molte famiglie ebree sarebbero ben felici di riportare in vita i loro cari uccisi in attentati terroristici in cambio di qualche graffito offensivo sui muri delle loro case

Di Nadav Shragai

Gli attacchi comunemente noti in Israele con una locuzione grossomodo traducibile come “fargliela pagare” sono uno schifo morale e sono contro ogni valore ebraico. Gli autori di queste azioni si pongono al di sopra della legge, ledono persone innocenti, trascinano segmenti pacifici di una minoranza dell’opinione pubblica nella spirale dell’odio e del conflitto, gettano benzina sul fuoco della discordia tra ebrei e musulmani. Gli attacchi della serie “fargliela pagare” fanno il gioco dei nemici di Israele, in patria e all’estero, e rafforzano le tesi di chi demonizza Israele. Sono azioni che hanno la capacità potenziale di ampliare le dimensioni del terrorismo anti-ebraico e anti-israeliano, sia all’interno di Israele che in altri paesi, e di convincere ad aderirvi persone che di per sé se ne starebbero ai margini del conflitto.

Gli attacchi “fargliela pagare” sono anche molte altre brutte cose, che è possibile o non è possibile prefigurare in questo momento. Ma una cosa non sono: terrorismo. A questo proposito la Ministra della giustizia Tzipi Livni e il procuratore generale Yehuda Weinstein si sbagliano di grosso.

Molte famiglie ebree sarebbero ben felici di riportare in vita i loro cari, uccisi in attentati terroristici, in cambio di qualche graffito offensivo sui muri delle loro case. Slogan razzisti vergati in un villaggio arabo, anche su una moschea, non sono sullo stesso piano dell’assassinio a freddo di bambini, o della devastazione e del lutto che gli attentatori suicidi hanno lasciato dietro di sé durante lo scorso decennio. Il coltello che fora le gomme di un’auto in un villaggio arabo non è lo stesso coltello che ha tagliato la gola della piccola Hadas Fogel, tre mesi di vita, e degli altri quattro membri della sua famiglia, a Itamar.

La rabbia e la paura che prova oggi il dottor Khater Nashad, il cui studio dentistico a Yokneam è stato recentemente vandalizzato con le parole “morte agli arabi” vergate con la vernice a spruzzo su un muro adiacente, sono comprensibili e giustificati. È chiaro che si tratta di un gesto imbecille e vergognoso. Ma i suoi gravosi sentimenti non hanno nulla a che vedere con quelli della famiglia Applebaum. Il dottor David Applebaum, direttore del pronto soccorso dello Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme, e la sua figlia ventenne Nava, che era alla vigilia del matrimonio, sono stati uccisi da un attentatore suicida nel settembre 2003 mentre cenavano in un bar. L’orrore di Nashad non ha nulla a che vedere con l’orrore e la sofferenza patiti da Avi Ohayon, i cui due figli sono stati uccisi a sangue freddo in un attacco terroristico al kibbutz Metzer insieme alla loro madre, che aveva cercato di fare scudo col proprio corpo per proteggere i piccoli.

La nostra terra è piena di lutti e dolori causati dal terrorismo e da aggressioni violente. Ora c’è chi vorrebbe alimentare questi attacchi con reati razzisti contro gli arabi. Ma una cosa sono reati che danneggiano le proprietà e seminano odio, altra cosa il terrorismo che sparge sangue e semina morte. Non sono la stessa cosa. Chi definisce “terrorismo” gli attacchi del genere “fargliela pagare” svilisce il sacrificio cui sono state costrette le migliaia di famiglie delle vittime del terrorismo, così come il dolore delle decine di migliaia tra noi che sono stati feriti in quegli attentati. Chiunque tracci un parallelo tra il vandalismo contro le proprietà, da una parte, e le vite stroncate dall’altra, minimizza ciò che è veramente il terrorismo, un po’ come quelli che gridano e sbraitano di “nazismo” e “olocausto” ad ogni piè sospinto.

Non c’è simmetria, né per dimensioni né per gravità, tra il terrorismo arabo con le sue vittime, e gli attacchi del tipo “fargliela pagare” con i loro danni. Reati di matrice razzista vengono compiuti in continuazione contro gli ebrei, ma le svastiche trovate sulle lapidi del cimitero del Monte degli Ulivi a Gerusalemme o le sinagoghe date alle fiamme ad Harish, Lod e Ramle sono meno “stuzzicanti” e raramente se ne sente parlare. I reati di matrice razzista sono da entrambe le parti uno schifo e una patologia. Ma il terrorismo è un’altra cosa.

domenica 22 giugno 2014

GRECIA – Alle porte di casa nostra un popolo alla disperazione, e i media italiani tacciono


Negli ultimi due anni da Atene sono giunte notizie tali da far accapponare la pelle. Già nel 2011 le politiche della Troika avevano fatto chiudere 1 negozio su 4: oggi ne sono rimasti la metà, rispetto al periodo pre-crisi. La situazione è peggiorata e sta peggiorando progressivamente e inesorabilmente: esattamente quello che – in tono minore, almeno per ora – sta accadendo da noi. 

Hanno licenziato migliaia di statali, ridotto all’osso gli stipendi, tagliato del 25% anche le pensioni da 700€ al mese, e messo in vendita i propri gioielli (è recente la messa sul mercato di 110 bellissime spiagge, che diventeranno i “lidi privati” dei lobbisti, magari i responsabili della situazione greca.)

Bambini abbandonati dai genitori disperati che non sanno come sfamarli e prendersi cura di loro: i casi di questo tipo sono in costante aumento, come lo è il numero dei senzatetto. Secondo i dati Unicef il 30% dei bambini greci vive in condizioni di povertà. La fila dei disperati che chiedono un pezzo di pane agli enti caritatevoli si allunga di giorno in giorno. Quando al mercato è stato distribuito cibo gratis, per accaparrarsi una busta di alimenti è finita in rissa: scene che fino a qualche anno fa credevamo di non dover vedere in un paese dell’UE.

C’è chi è arrivato a inocularsi il virus dell’HIV per ammalarsi e ottenere il sussidio di 700€ previsto per i malati (con il concreto rischio che questo tipo di aiuti sia prossimamente eliminato…)

Sono inevitabilmente aumentati i furti, lo spaccio di droghe pesanti – con la diffusione della ‘sisa’, la droga dei poveri, una sostanza micidiale – e tutti reati di allarme sociale, compresi i crimini violenti. La polizia reprime sempre più duramente anche i reati minori o indotti da uno stato di effettiva necessità e indigenza: la giustizia è allo sbando, abusi di potere e violenze sono sempre più frequenti e diffusi, come dimostrano anche le persecuzioni, mediante false accuse, perpetrate a danno degli euroscettici.

Il sistema sanitario è al collasso: alcuni ospedali sono “autogestiti”, ogni giorno 2.300 greci perdono la possibilità di curarsi, alcune case farmaceutiche hanno interrotto le forniture di farmaci antitumorali a causa di insolvenze. E’ di un mese fa la notizia di un paziente che, giunto in sala operatoria, è stato riportato in corsia perché si sono accorti che non fosse assicurato; ormai nemmeno i malati di epatite vengono curati se sprovvisti di assicurazione. La mortalità infantile è quasi raddoppiata nel giro di pochi anni.

Le condizioni di lavoro – che dagli anni 80′ fino al 2000 erano migliorate sensibilmente e costantemente – sono regredite a livelli da medioevo: i “contratti di lavoro” sono carta straccia, chi vuole lavorare deve accettare stipendi di poche centinaia di euro ed essere disposto a lavorare tutto il giorno a ritmi serrati, senza nessun diritto, ne garanzia: e la povertà ha fatto tornare di moda addirittura il baratto.

Molte persone non hanno capito ciò che è avvenuto in Grecia: ovvero la causa del disastro. I cosiddetti “mercati” hanno messo in ginocchio il paese imponendo un tasso di interesse sul debito pubblico (sui titoli di stato) che sarebbe insostenibile per qualsiasi nazione del mondo. Quando lo spread italiano superò quota 500 punti, in Grecia è arrivato a 1.500! Tradotto in soldoni, l’Italia doveva pagare un tasso di interesse superiore al 6% sui titoli di stato, la Grecia addirittura il 15%!

La disfatta della Grecia è stata decisa a tavolino: una sorta di “esperimento” per capire a che livello possono spingersi e verificare quali sono le reazioni dei cittadini. E la maggioranza dei cittadini greci non ha compreso cosa è accaduto: certo, hanno contestato le politiche della Troika e il governo che le ha imposte, ma un po’ come da noi, i cittadini attribuiscono la responsabilità al governo, alla malapolitica, a sprechi-corruzione-evasione, etc. e la “valvola di sfogo” di molti greci sono gli stranieri: bersaglio preferito dei neonazisti di Alba Dorata…

L’esperimento sociale della Troika raggiunge questo nuovo stadio



“Vi ricordate la servitù e i contadini nei bei tempi passati del feudalesimo medioevale? Se la risposta è no, ho delle buone notizie per voi! E’ consuetudine nel mondo del lavoro in Grecia oggi ottenere la paga in beni, il baratto, invece che in salari. Rivive il feudalesimo nella Grecia della moderna Unione Europea e della zona euro”. Con questa premessa in uno dei suoi ultimi post, il blog greco KTG riporta un’inchiesta condotta dall’Istituto del lavoro della Confederazione dei sindacati (GSEE), definendola scioccante ma non così inattesa se si considera che per le leggi dell’austerità, della depressione indotta e della competitività, le condizioni di lavoro e di salario hanno reso i cittadini greci degli schiavi moderni.

Ecco alcuni dati dell’inchiesta, così come riportata da KTG:

i lavoratori ricevono stipendi con ritardi dai 3 ai 12 mesi

i lavoratori ricevono un terzo dei loro salari, il resto è pagato attraverso servizi come ad esempio la possibilità di dormire in un albergo, buoni pasto e coupon per acquisti di altri beni al supermercato.

I datori di lavoro non pagano tredicesima e quattordicesima come obbligati per legge, ma in cambio offrono couppon per cibo e benzina. Costringono poi i lavoratori a firmare per il fatto che hano ricevuto l’intero bonus. GSEE stima che oltre un milione di lavoratori non ha ricevuto tredicesima e quattordicesima. 

I giovani lavoratori sotto i 25 anno anni sono assunti con contratti mensili per lavoro part-time di 4 ore al giorno e salari di 180 euro al mese. Con 25 giorni lavorativi si tratta di uno stipendio di 7,2 euro al giorno e più o meno 1.72 euro l’ora! KTG ricorda l’indignazione della prima “riforma del lavoro” nel 2011 che aveva tagliato drasticamente i salari fino a paghe da 3 euro l’ora. Ma ora si è passati alla rassegnazione e non ci si indigna neanche più…

Secondo il diritto del lavoro, il salario minimo per coloro che hanno meno di 25 anni dovrebbe essere di 480 euro per un lavoro full-time. Ma a chi interressa le leggi quando la domanda del lavoro è straordinaria, il tasso di disoccupazione enorme e la liquidità in circolazione è scarsa perché le banche stanno risparmiando?

I lavoratori greci, prosegue Ktg, saranno presto abilitati a pagare le loro bollette e il loro affitto in coupon per detergenti o buoni pasto. E’ strano come nel 2011 e 2012 i greci hanno fatto un tuffo nel passato ad i tempi di Chrles Dickens, mentre nel 2013 e 2014 si è arrivati fino al Medio Evo. “Posso immaginare che in un paio di anni, la Troika si lamenterà della mancanza di abilità del mondo nel lavoro e di fondi sociali assicurativi vuoti nella  competitiva Grecia”, conclude Ktg.

sabato 21 giugno 2014

ITALIA - La politica ieri,la politica oggi. In politica è cambiato il mondo o il modo?


Da alcuni anni stavamo facendo alcune riflessioni sulla situazione italiana, su come è cambiata la politica del nostro paese negli ultimi venti-venticinque anni. Ci è venuta voglia di confrontare un po’ di teorie e di modelli politologici con quello che è successo dopo aver posto questioni ad un senatore socialista ricevendo una sola risposta per altro molto, ma molto,vaga: “Il mondo è cambiato”. Allora ci siamo chiesti che cosa funzioni ancora di questi modelli teorici e che cosa invece è stato superato dalla quotidianità della realtà.

E’ passato oltre un mese a ricercare, rielabore, riassemblare e il risultato è stato duplice: da un lato in termini di qualità della nostra democrazia e in termini di salute del nostro sistema politico, non emerge un quadro troppo confortante. I problemi aperti vent’anni fa ci sono ancora e in buona parte si sono anche aggravati con il passare del tempo. Dall’altro però si aggiungono anche più vaste questioni irrisolte che toccano quasi tutte le democrazie consolidate e che non appartengono solo al nostro paese. Per esempio, la crisi economica o un rafforzamento delle leadership con la diminuzione della presenza di corpi intermedi, della partecipazione e condivisione sociale  .

Non abbiamo voluto adagiarci solo sulla spiegazione del ventennio berlusconiano, ma di allargare lo sguardo a più ampi parametri di valutazione.

Certo, Berlusconi è stato una figura dominante degli ultimi vent’anni, ma secondo le nostre valutazioni ci sembra un po’ semplicistica l’idea che, venuta meno la parabola di un singolo leader, cambierà la politica italiana. Casomai, va valutato il fatto che persino un leader che ha avuto un grande potere di intervento, a livello di politiche pubbliche ha cambiato molto poco

Siamo arrivati davvero alla fine di un’era politica denominata “berlusconismo”? Cosa si sta muovendo sulla scena politica italiana? Quale differenza intercorre tra l’operazione “mani pulite”, che portò al crollo definitivo di tutti i partiti annessi alla “Prima Repubblica”, e il proselitismo giudiziario che ruota intorno a Berlusconi?

Questa successione infantile tra prima e seconda repubblica in realtà non è mai esistita. La scansione è puramente di carattere giornalistico. Giuridicamente parlando, non ha motivo di reggere poiché non ne è stato mai modificato l’assetto costituzionale, sotto il profilo della forma di stato e di governo. La nostra è ancora una repubblica parlamentare e non presidenziale.

“L’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul Lavoro” (Art. 1 Cost.). L’espressione del primo articolo è un concetto che va preso con le molle. Nell'esperienza francese, diversamente da quella italiana, alla IV Repubblica Parlamentare (1946-1958), che ricalcava il modello attuale italiano verosimilmente, si sostituì una V Repubblica di carattere presidenziale.

De Gaulle preferisce il semipresidenzialismo poiché abbraccia i programmi del suo movimento “Francia Libera” e le sue aspirazioni personali, di una Francia moderna e che allo stesso tempo conservi un forte carattere nazionalista.

In Italia, come sostiene il Prof. Pietro Scoppa in un suo autorevole saggio, con il riferimento alla caduta della I Repubblica, ci si riferisce alla scomparsa di alcuni partiti che sono stati i principali protagonisti di un’Italia neo-repubblicana, appena uscita dal dominio incontrastato del Fascismo mussoliniano coinvolto nel secondo catastrofico Conflitto Mondiale.

Ci sono degli elementi che ci fanno capire come in realtà sia cambiato l’assetto dei partiti tra la I e la II Repubblica e che ruolo abbia assunto l’ideologia all’interno di uno stato che si è aperto alla globalizzazione.

Tra 1994 e il 1998, la legge maggioritaria aveva cambiato il rapporto tra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio. Quest’ultimo non era nominato tra gli eletti al Parlamento, ma coincideva perfettamente con il leader del partito (o della coalizione) che aveva ottenuto la maggioranza alle elezioni. Ci si è avviati dunque verso un presidenzialismo di fatto.

Scalfaro ricordò che la nostra era una Repubblica Parlamentare. Quindi dal punto di vista scientifico non poteva considerarsi “costituzionale” una tale procedura. Ma tantomeno comparivano elementi di incostituzionalità.  

Chi, infatti, avrebbe messo in discussione la titolarità e la legittimità alla carica di Presidente del Consiglio di Silvio Berlusconi che aveva raccolto i residui del vecchio mondo politico e volti nuovi che avrebbero assicurato la tanto attesa rivoluzione liberale? Praticamente nessuno.

Il sistema partitico che si sviluppa a partire dal 1943, anno in cui inizia l’attività partigiana coincidente col declino del Fascismo, è basato sul “Comitato di Liberazione Nazionale”.

I 6 partiti che ne fanno parte (comunisti (PCI), democristiani (DC), azionisti (PdA), liberali (PLI), socialisti (PSIUP) e demolaburisti (PDL)) combattono l'occupazione nazifascista della penisola. Dal 1943 vengono gettate le basi del sistema partitico italiano.  

Questi avrebbero avuto un ruolo determinante nella storia dei primi sessant’anni della Repubblica. Un sistema, dunque, nato nello spirito della liberazione. Ironicamente, la formazione egemonica di tali partiti veniva definita la “cittadella esantica”, quasi a voler indicare un circolo chiuso dove si custodiva gelosamente la vittoria della liberal-democrazia sul fascismo.

Dal 1947, al posto della collaborazione che c’era stata fino a quel momento tra i partiti perché accomunati dal nemico, subentra una netta cesura. Era già preannunciata. I sei partiti erano diametralmente opposti. Quest’unione era stata funzionale alla comune lotta contro il nazifascismo.

La contrapposizione tra USA e URSS, infatti, fa già crescere la diffidenza tra la DC e il PCI. Questo determina una situazione di forte e netta contrapposizione all’interno dello Stato Italiano. La tensione è fortissima.

Si creano delle vere e proprie scuole di partito, dove l’indottrinamento rappresenta la linfa che alimenta i giovani militanti per impegnarli nella lotta dell’affermazione dell’ “idea”, sfociando spesso e volentieri in dei specifici movimenti settari. Già questa è una differenza forte con la vita e l’organizzazione dei partiti di oggi. La vita di sezione era il primo approccio che la gioventù politica riceveva.

Dal 1962, la DC inizia a valutare un’apertura a sinistra (PSI). Giovanni Orsina sottolinea che non è una necessità ma una scelta. È la dirigenza del 54 che decide di dialogare con il PSI, e chiude con la destra politica ed economica.

Perché?

Nel 1961, in un tentativo di dialogo tra DC e MSI (Governo Tambroni) si scatenano furibonde proteste che bocciano totalmente tale mossa politica. La destra monarchica, però, gioca un ruolo importante in quanto stringe una serie di alleanze locali come quella di Napoli, Lecce, l’ operazione Sturzo a Roma etc.

A partire dal governo Tambroni, qualsiasi apertura a destra si rivela un fallimento. Questo sistema politico, pertanto, si sviluppa verso sinistra, aprendo al PSI, col governo Moro (62-63) fino agli anni 70 con l'attenzione verso il centro sinistra aprendo al PCI. Le vicende del fallimento sono note e drammatiche: il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro.

Gli anni 79-80 rappresentano la fine di qualsiasi possibilità di rinnovamento partitico. Il fallimento della solidarietà nazionale (cioè della collaborazione di tutti i partiti al di là delle ideologie per lo sviluppo del paese) fa capire che il sistema politico è bloccato. Non si riesce più a trovare una causa per rilanciare la posizione del centrismo. Si comincia a parlare di crisi politica dovuta alla mancanza di proposte, di progettualità.

Evidentemente non si può più andare oltre. A questa immobilità risponde Bettino Craxi che intercetta la modernità degli anni 80 (come sostiene Gervasoni) e la fa propria.

C'è un'idea del PSI liberistica che però si rende troppo spesso partecipe e complice di una nuova società corrotta e senza scrupoli, quella degli affare e del miracolo degli anni 80. I due vecchi partiti di massa fortemente ideologizzati si rivelano incapaci di leggere i tempi e di farli propri.

Da un lato, infatti, abbiamo la DC che sta sulla difensiva mantenendo posizioni radicali contro l'aborto, il divorzio etc. quindi, una parte della società italiana si allontana dal mondo cattolico e dall'impronta de-gasperiana; dall’altra parte abbiamo Berlinguer, propagatore dell'eurocomunismo, che non ha colto la modernità che intanto penetrava all’interno della società e che, d'altronde, è in molti casi ostaggio della sinistra estrema che fa fallire i suoi tentativi di avvicinarsi al governo (come per il caso Moro o per il caso del sequestro del giudice D'Urso ).

Gli avvenimenti del 94 non avvengono all'improvviso. I fenomeni di scandalo, di corruzione e della famosa “tangente” risalgono agli anni 70, si pensi allo “scandalo dei petroli” e poi ancora allo scandalo Lockheed.

C'è un sistema di corruzione che non nasce negli anni 90 ma che è precedente, che si perde nei finanziamenti dati ai partiti nei primi anni 50.

Un altro elemento importante è il crollo del comunismo: la DC in questo contesto riesce ad essere il contenitore, blocco moderato conservatore, tratto distintivo della società italiana. Nel momento in cui il comunismo viene meno, questo collante che aveva convogliato i voti sulla DC non c'è più e il PSI si scioglie sotto iltiroindrociato di Tangentopoli.

Crollati i due massimi sistemi partitici, venuto a mancare il blocco moderato e il blocco comunista, manca l’alternativa: una destra moderata italiana. Negli anni che precedono il 94, si riesce ad intendere che il potere schematizzato dalla politica sta crollando.

Ma il berlusconismo è un'anomalia italiana o un fenomeno rivoluzionario?  

Nel 94, per far fronte allo scandalo che aveva travolto il mondo della politica, Berlusconi si presenta al popolo con un progetto innovativo, come la speranza, come l'anti-politica di un tempo. Recupera l'idea di partito leggero, post-ideologico, mediatico figlio dei mass-media e di Publitalia, vagheggiato, senza riuscire nemmeno a tratteggiarlo, anche da Veltroni che voleva un partito liquido, all’americana, che si riunisce solo per le elezioni.

In quella fase Berlusconi sembra intercettare anche lui un elemento di modernità, è lui l’erede del visionario Craxi, troppo in anticipo suoi tempi per questo costretto a fuggire ad Hammamet. Berlusconi diventa il punto di qualcosa di più liberale che ci sia.

In realtà Berlusconi illude il paese con l'idea di una rivoluzione liberale. Il fenomeno dell’imprenditore che si è fatto da se e che diventa “leader di un partito” sta a dimostrare che ormai gliusi stanno cambiando.

Questo nuovo modello di partito non è più il centro ideologico di adesione, ma si configura come una pubblica impresa che offre determinati beni e servizi dove l’elettore, che in questo caso diventa consumatore, sceglie liberamente. O quasi.

Per pilotare le scelte, è tipico di una politica di stampo imprenditoriale manipolare l’informazione a proprio favore per mostrare “l’universo” della propria offerta.

Nella Catalogna, nella Croazia, è accaduto lo stesso, quasi nello stesso periodo. È stata un'anomalia e una risoluzione allo stesso tempo che ha creato proseliti. Il sostanziale cambiamento è stato quello di far politica diversamente, accentuando molto di più, come in Francia e in Spagna, la figura del leader rispetto al partito, facendola soprattutto prevalere come criterio di scelta dell’elettore, diversamente dai primi anni 50 quando il partito era visto come un soggetto al di sopra del leader, anzi dove questi ultimi erano scelti dai partiti e quasi sempre dopo le elezioni. Si seguiva l’idea, e quest’ultima poteva essere “amministrata” da qualsiasi esponente del partito.

La visione del mondo era diversa durante gli anni 50-80, era una realtà che potremmo definire a trazione ideologica. I tratti che si chiedono ad un candidato oggi sono rigorosamente diversi: anzitutto una forte base economica e la capacità di manifestare un carisma mediatico che colpisca ogni tipo di platea.

Tutto fuorché un minimo di cultura politica affiancata da una buona preparazione tecnica, gli specialisti annoiano, gli “showman” trascinano le folle.

Berlusconi è diventato l'asse su cui si è polarizzato il discorso politico. Il modo di ragionare esclude i ragionamenti di tipo politico (si è caduti nel bipolarismo infantile Odio-Amo). Non avrà fatto la rivoluzione istituzionale, ma il modo di concepire la politica stessa lo ha cambiato, almeno nella sensazione comune.

Il fenomeno “Berlusconi” non è nient’altro che un contenitore di un blocco moderato sommerso come lo è stata la DC e come al suo tempo il Fascismo.

Parte degli esponenti della cultura politica democristiana sostengono che il personalismo ha determinato una profonda modifica dei partiti.

L’Italia è l’unico paese in Europa che ha soppresso per sempre le quattro correnti politiche che sono state protagoniste della nascita della Comunità stessa: Democristiani, Comunisti, Socialisti, Liberali

Il pensiero democristiano, però, diversamente da quello comunista e socialista, rappresenta ancora la speranza in quanto non ideologizzato. Molti credono che la politica s’identifichi nel programma (è questa la “politica del fare”), invece nella pratica odierna i partiti si organizzano sui modelli che ritengono opportuni di inserire nelle istituzioni.

Dunque il programma potrebbe essere definito come l’azione politica del governo. Il finto liberismo partitico, che ha liberato la politica italiana da ogni ideologia, ha determinato un'anomalia: né una repubblica presidenziale nè parlamentare.

L’inesistenza di una repubblica presidenziale, facendo riferimento alla Costituzione, svuota il parlamento della decisione, della sua stessa natura. I decreti del governo e la semplice approvazione parlamentare (basata su di una maggioranza fedele al leader) bastano per governare il paese.

Il voto del parlamento, si può dire, è diventato superfluo in quanto è la figura del leader ad avere molto più potere contrattuale rispetto agli eletti stessi.

Il parlamento dovrebbe avere la capacità di imporsi come organo istituzionale, costituzionalmente tutelato e non come burattino, nelle mani di una maggioranza accentrata sulla monografia di un leader.

Cambiano i partiti, cambiano le istituzioni, ma bisogna avere una cultura politica di riferimento?

Sì, perché è un codice di lettura che bisogna avere, per affrontare i bisogni diversi nelle differenti stagioni, facendo appello alla propria chiave di lettura acquisita attraverso lo studio. La mancanza del codice di lettura da’ vita al personalismo, un'involuzione democratica drammatica che svuotano le istituzioni parlamentari e democratiche trasformandole in “fantasmi istituzionali”.

Il terreno della democrazia dove lo si trova? Nel partito personale? Dal leader di Turno?

Il personalismo non dà più la capacità di avere gruppi dirigenti. Il partito basato sul personalismo privo di ogni dirigenza pluralista è la peggiore arma democratica mai esistita.

Oggi c'è un totalitarismo nel mondo della politica che è un circuito basato su finanza e informazione. L’altro tratto distintivo che accompagna il personalismo, è il genericismo.

Molti politici di esperienza ventennale, invece, hanno visto in questo presidenzialismo di fatto una traccia di stabilizzazione dei governi.

L'elettorato vota sapendo di stabilizzare il governo, vedendo nella figura del leader la sicurezza, la certezza ma non la coscienza. Con l’esperienza della prima repubblica invece abbiamo visto come il voto al partito, e non al leader, era una delega in bianco ad operare nel migliore dei modi possibili.

Il PCI ha sempre avuto una funzione anomala. Messo continuamente fuori dal governo, esercitava pressione con un grande sindacato di massa quale la CGIL. Soprattutto, condeterminava l'azione di governo ma era fuori “la stanza dei bottoni”, influenzava e dialogava con i governi sebbene non avesse ministri. Giorgio Galli lo definì il bipartitismo imperfetto in quanto solo la DC governò effettivamente.

Ma la leadership allora era condivisa?

Certamente no e una vera lotta era all'interno della DC in cui le correnti erano veri partiti

E cosa ha fatto oggi Berlusconi per riprendere le correnti? Che cos'è oggi la seconda repubblica?

Il PDL in qualche modo è stato rappresentato come il partito di Silvio Berlusconi che ha riassemblato culture politiche sotterrate nella prima repubblica. Erano culture estromesse e bandite.

La Destra era una cultura estromessa, il socialismo autonomista in alternativa al PCI e alla DC era escluso, la cultura laico - risorgimentale, la cultura Cattolica - liberale, tutte soppresse.

Con la nascita del PDL si prospettò una opportunità di uno spazio di agibilità e forse dignità a queste culture. Ma il problema rimase e rimane tale. Opportunità non colta nella misura prospettata. Sbagliata la metodologia nella ricalcatura del modello partitico liquido e aziendalistico berlusconiano.

Il leader oggi è il centro di compromessi e interessi che tiene lontane le correnti, magari a lottare per qualcosa che è svanita da tempo: l’ideologia.

Dopo questo viaggio nella cultura politica, possiamo ben dire che la struttura economica di Karl Marx ha prevalso sul mondo della politica.

L’ideologia è stata inglobata dal mercato, forse facendo smarrire quelle tracce di dignità e di appartenenza che ritroviamo solo in qualche vecchio libro pieno di polvere.

Con Renzi si completa la mutazione della sinistra italiana.

La grande affermazione di Matteo Renzi rappresenta uno spartiacque nella storia della sinistra italiana che, oggi, ormai ridotti al lumicino i socialisti del PSI, completa la mutazione genetica dell’ex PCI iniziata con il discorso della Bolognina di Achille Occhetto. Un percorso lungo venticinque anni che è servito per traghettare la storia dei comunisti italiani dentro un calderone indistinto di slogan in cui si sono persi perfino gli elementi lessicali della sinistra che, pure nelle mille contraddizioni e con elementi di subalternità, caratterizzava l'armamentario politico recente del PDS-DS-PD.  

Renzi è il risultato di un combinato esplosivo: rifiuto della politica tradizionale e esaltazione della sua spettacolarizzazione. Il binomio che ha caratterizzato gli ultimi venti anni di politica nazionale e che si ripropone, in forma simmetrica, sull'altro versante del bipolarismo.

Vi sono dei grandi assenti in questo dibattito: quelli che non si sono rassegnati alla mutazione genetica della politica italiana e che sono ormai in preda ad un lungo letargo, quelli che si sono ridotti a fare da commentatori critici di questa nuova e ormai dilagante stagione del “pensiero unico”, quelli che dopo una serie infinita di scandali, esempi di corruzione e malcostume e una miriade di casi che hanno travolto la politica italiana, ormai provano  un diffuso e scoraggiante senso di disillusione e sfiducia preconcetta nei confronti della classe politica, cioè quell’ormai quasi 50% di cittadini che non esprimono più il loro voto  Se non c'è spazio per questa posizione dentro il campo largo del Pd è necessario costruire un nuovo campo di gioco della sinistra italiana ed europea. Necessario ed urgente.

Si dice  che le ideologie del ‘900 sono morte e che la nostra era una società postmoderna, postindustriale, post-post, permeata di una concezione ultra relativista della realtà che la rendeva esente dall’essere inglobata in un’ideologia politica dominante a cui ricondurre le scelte politiche dei governi. Nemmeno questo è vero, in quanto a partire dalla metà degli anni ’70, dalla soppressione degli accordi di Bretton Woods sotto l’amministrazione Nixon e con le amministrazioni Reagan in America e Thatcher nel Regno Unito, abbiamo assistito all’imposizione su un nuovo tipo di visione, quella del “pensiero unico” come è stato definito in seguito, ovvero della dottrina neoliberista, della deregolamentazione finanziaria, della soppressione dello Stato sociale e del Sindacato, dei tagli indiscriminati alle tasse dei ricchi in una perversa logica economica che in realtà ha tutti i caratteri di un’ideologia di Destra in cui i ricchi diventano sempre più ricchi mentre la massa dei sempre più poveri allarga inesorabilmente le sue fila, sprovvista, inoltre, di una forte assistenza sociale da parte dello Stato.

Di fatto la Politica in questi ultimi trent’anni ha abnegato alla sua funzione fondamentale di guida, di leadership capace di fornire una visione, imprimere una direzione per limitarsi a svolgere “i compiti a casa” che la Finanza e l’Economia le assegnavano. Sono i mercati che decidono, i politici che si adeguano, mentre del tutto secondaria è ormai diventata la volontà democratica del Popolo Sovrano-

Per cui?

Contrariamente al nostro senatore che cavalca l’onda de “Il mondo è cambiato” ed io cambio come va il mondo, ci sentiamo in piena coscienza di affermare che a volte, come in questo caso, la scelta giusta è cambiare direzione.

 (Beppe Vijno)