Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


mercoledì 30 novembre 2011

SOCIALISMO: Razzisti di destra e razzisti di sinistra

Chi dice che il razzismo non esiste nell’Italia di oggi? Esiste eccome. Ed ha a che fare non con la xenofobia di “padani”un po’ arretrati; ma con una vera e propria visione del mondo e della società. Razzista è ‘Nosferatu’ Sallusti che denuncia il complotto mondiale di finanzieri dal naso adunco, con la complicità di banchieri e di presidenti comunisti. Ma lo è anche Ferrara, che nel suo culto della libertà come grossolanità denuncia il “governo dei presidi”. E lo sono, ancora, gli intellettuali raffinati de ‘il manifesto’ con il loro “governo dei banchieri affamatori del popolo”. Loro comuni seguaci, gli studenti milanesi intenzionati ad assaltare la Bocconi come luogo fisico del complotto. I loro predecessori, di destra e di sinistra, andarono, per inciso, molto oltre, negli “anni felici” del connubio nazi-sovietico e in quelle “terre di sangue”che ebbero la disgrazia di trovarsi a cavallo della frontiera tra i due imperi. Lì (come descritto dal libro dall’apposito titolo) i nazisti eliminarono scientificamente gli ebrei e l’intellettualità polacca; mentre i loro compari sovietici sterminarono, altrettanto scientificamente, ufficiali, proprietari e borghesi perché, in quanto tali, “nemici del popolo”. Un esito, questo, che non è naturalmente nelle intenzioni dei neorazzisti nostrani. Ma ciò non toglie nulla alla gravità dei loro ragionamenti; perché la teoria del complotto con l’annessa identificazione fisica dei suoi protagonisti, avvelenerà a lungo le fantasie della destra populista e della sinistra anticapitalista Né varranno, ad interromperne il corso, improbabili interdizioni giudiziarie (da parte di chi e nei confronti di cosa, poi? ) o specifiche contestazioni di falso. Perché ai propalatori di teorie complottarde basta e avanza che queste vengano considerate verosimili. Il compito delle persone razionali è allora, semplicemente, quello di ragionare su ciò che sta accadendo. Per capirne, nella misura del possibile, la portata e la natura. Tanto per cominciare, richiamiamo, ma solo per memoria, una constatazione che dovrebbe risultare evidente, in sé e per sé ma anche in base ad innumeri esperienze storiche: lavorare per una banca non porta automaticamente ad essere un affamatore del popolo; far parte dell’èlite di un Paese non impedisce affatto di essere alfieri del rinnovamento della società e dello Stato. Ciò detto (ma senza alcuna illusione di far breccia sui nostri razzisti di oggi) veniamo alle questioni di fondo che noi stessi abbiamo interesse ad affrontare. Questioni, insieme, di rappresentanza (un governo non eletto dal popolo), di democrazia (dai cui diritti saremmo stati espropriati) e, infine, della stessa “politica” (di cui la formazione del nuovo governo avrebbe decretato la fine o, quanto meno, la sospensione). Diciamolo subito: l’intera polemica si regge sul primo punto; insomma sul fatto che il governo Monti sarebbe sì formalmente legittimo (e ci mancherebbe! n.d.r. ) ma sostanzialmente non legittimato. Perché non fruirebbe dell’unzione popolare garantita, e in permanenza, a Berlusconi dal voto del 2008. Si dà il fatto, però, che la nostra sia una repubblica parlamentare, non presidenziale. E, ancora, che in tutte le repubbliche parlamentari d’Europa abbondino i casi di governi magari plebiscitati alle urne, ma poi caduti sia per la perdita di fiducia della maggioranza nei confronti del suo leader sia per il nascere di situazioni di emergenza che la combinazione uscita vincente dalle urne non era in grado di affrontare. E’ naturalmente ciò che si è verificato nel nostro Paese dalla “crisi Fini” in poi; e il fatto che larghi settori della maggioranza giudichino come una specie di golpe un evento assolutamente normale in una democrazia liberale dimostra soltanto la loro scarsa dimestichezza con la medesima. Pochissime parole, poi, sulla “sospensione della democrazia”; perché se questa consiste non soltanto nel diritto di votare, ma anche in quello di discutere e di essere informati sulle materie del contendere, il nostro Paese sta vivendo oggi una sua grande stagione. Infine, qualche battuta finale sulla “sospensione della politica”. Formulazione, questa, accettabile: Ma con una piccola aggiunta “dei partiti”. E questi, allora, non sono certo stati espropriati. Hanno, temporaneamente, rinunciato ad assumere le loro responsabilità nella gestione della crisi. Il centro-destra, per incapacità congenita a occuparsi degli interessi del Paese (se non nella prospettiva di Disneyland o di Rete 4); il centro-sinistra per semplice mancanza di coraggio. Ciò rende, comunque quest’ultimo meglio piazzato per gestire il ritorno alla fase politica e, nel contempo, assai più interessato al successo dell’operazione Monti. In una prospettiva che si potrà concludere o con l’emergere di una sinistra autenticamente riformista; o con il ritorno al potere di un centro-destra altrettanto stupido, ma certamente più “cattivo” di quello che ci ha governato lungo tutti questi anni.
(Alberto Benzoni)

PSI: Un’alleanza per la proporzionale con preferenze

Solo due settimane fa l’annuncio delle dimissioni di Berlusconi lasciava prevedere la nascita di un governo di transizione per arrivare nei tempi più rapidi possibili a nuove elezioni. Oggi il quadro è cambiato, ma con molti margini di incertezza.
Primo. Monti governerà fino al 2013? E’ molto probabile. Anche se la cautela, con quale i partiti maggiori PD e PDL si sono espressi sul punto, può lasciare intendere molte cose. Solo Casini è stato chiaro: “Governo fino alla fine della legislatura”.
Secondo. I partiti maggiori, sotto la pressione europea e mediatica, non hanno voluto creare troppe complicazioni prima ancora di avere votato la fiducia, ma vivono certamente questo governo non come un governo loro. Il PDL evita le elezioni anticipate nel momento di massima difficoltà. Bersani per senso di responsabilità perde l’occasione di una vittoria quasi scontata. La Lega, volendo capitalizzare nei prossimi mesi la scelta di stare all’opposizione pressoché da sola, userà tutte le carte per lavorare contro, scavando negli umori profondi della “Padania”, contro le banche, contro la finanza internazionale, contro l’Europa e tenendo sulla corda il Parlamento “no all’ammucchiata” e il governo “se occorre faremo la mobilitazione del nord”.
Terzo. Il PD si è impegnato a garantire una fase di stabilità, per uscire dalla crisi o almeno per poterla affrontare meglio. Prende atto del nuovo governo, con spirito di sacrificio e lo dichiara. “Si ad un governo di transizione e di emergenza. Fiducia alle richieste di Napolitano.”
Quarto. Nel centrodestra, che non sembra aver colto l’appello per una vera “concordia nazionale”, la situazione è più articolata. Berlusconi non ha nessuna intenzione di mollare. Il video messaggio da “uomo di Stato” è un avvertimento per molti. “Da domani raddoppierò il mio impegno in Parlamento”. Mentre coloro che puntano ad una “riscossa” della destra, a prescindere da Berlusconi, hanno bisogno di un po’ di tempo per riorganizzarsi, “risorgere” e costruire la destra che verrà. Cercheranno di blindare il raggio di azione del governo sulla manovra economica del super emendamento. Cercheranno di far cadere Monti in Parlamento nel momento migliore, quando i vitalizi saranno messi al riparo e quando lo scontro sociale potrebbe prendere la forma di uno scontro vero.
Ultimo. Al di là della piazza antiberlusconiana e delle feste “liberatorie”, che si sono tenute un po’ in tutta Italia, la sinistra di governo ha di fronte a sé un grande compito e una grande opportunità, ma che non può affrontare come se la partita fosse già vinta. Come se Berlusconi fosse già morto e la destra con lui. Opportunità che abbiamo anche noi socialisti, se sapremo cogliere, da quanto sta succedendo, il massimo delle occasioni per fare oggi quella politica che non abbiamo potuto fare finora, per debolezza intrinseca nel sistema politico della Seconda repubblica.
Monti non rappresenterà una pausa indolore nel sistema politico nazionale.
Con o senza nuova legge elettorale, dopo Monti si può uscire con una nuova destra più forte di quella attuale, servita su un piatto d’argento se la sinistra riformista non si organizza.
Una destra che potrebbe far propri alcuni sentimenti, parte della nostra storia e della storia del riformismo italiano: la difesa della dignità e dell’orgoglio nazionale, la difesa dell’Europa dei popoli contro l’Europa degli Stati o delle banche, la difesa delle potenzialità dello Stato locale, contro ogni forma di centralismo delle decisioni, compresa la lotta contro un inasprimento fiscale alle imprese e alle famiglie, la difesa di un sistema previdenziale equo, eccetera, eccetera. O si può uscire con una sinistra più forte e più credibile per governare il Paese dopo di lui.
Una fase importante anche per noi socialisti con l’obiettivo di utilizzare questo spazio politico per portare il Paese fuori dal bipolarismo italico, quello organizzato sugli estremi anziché sul centro. Dichiarandosi fin d’ora a favore di una legge elettorale proporzionale con preferenze e costruire intorno a questa idea semplice il più largo schieramento di forze parlamentari. Ma bisogna lavorarci sodo e con idee chiare. Lavorare per una politica di rilancio dell’iniziativa socialista, liberale e socialdemocratica in Italia. Cercando di costruire un nuovo orizzonte per la sinistra riformista, per una sinistra collegata alle forze del socialismo europeo di cui noi siamo già parte. Una sinistra socialista larga, distinta dalle forze della sinistra populista. Lavorare nel panorama politico nuovo con un autonomia sempre più forte, preparandoci ad affrontare le prossime elezioni, vicine o a scadenza naturale, con questa legge elettorale o un’altra, sottoponendo agli elettori un progetto politico attuale del socialismo e del riformismo italiano. Costruire un gruppo dirigente agguerrito e un partito sempre più organizzato sul territorio, pronto a sfidare la destra, capace di distinguersi da quella sinistra che con la cultura riformista non ha nulla a che fare, aperto verso un’alleanza con il centro. Combattere il trasformismo politico, restituire al Parlamento e alla politica la loro centralità, riscoprire nel profondo la nostra natura socialdemocratica e intorno a questa, che vuol dire risanamento economico dentro un sistema di equità, aprire le adesioni al partito e rinnovare. Confermare il nostro europeismo, contro un’Europa della destra, contro un’Europa non politica, contro un’Europa liberista. Una proposta ambiziosa per restituire al Paese quella dignità nazionale, andata perduta con Berlusconi, che non è mai stata nelle corde della sinistra “postcomunista” e che il dominio finanziario certamente mette in discussione.
(Roberto Biscardini)

AMBIENTE: “Triplo salto mortale” per l’Europa a Durban

"Lotta alle emissioni, l'Europa nell'angolo", titola Il Sole 24 Ore mentre si apre in Sudafrica la conferenza delle Nazioni Unite sul riscaldamento climatico (Cop17). L'obiettivo del vertice è il raggiungimento di un accordo che limiti l'aumento della temperatura media di due gradi centigradi. Ma le economie emergenti come Brasile e India si sono aggiunte al fronte dei paesi industrializzati che non vogliono cominciare i negoziati prima del 2015, scatenando la rabbia degli stati minacciati dalle conseguenze del riscaldamento climatico. Secondo il quotidiano economico il vertice "non pare avere alcuna chance di partorire un trattato internazionale, legale e vincolante, per la riduzione delle emissioni-serra. Chi ha sempre remato contro, come gli Usa, avrà vita facile. Ma per l'Unione europea, si tratta di un triplo salto mortale": 
"Primo, perché sul Protocollo di Kyoto e i suoi dettami, la Ue ha costruito un mercato finanziario dei diritti a emettere Co2 che coinvolge banche e imprese in investimenti a lungo termine, che si stima nel 2011 varranno 107 miliardi di euro.
Secondo, perché il summit sudafricano potrebbe concludersi in qualcosa di più che un nulla di fatto: potrebbe sancire la morte di Kyoto, visto che Canada, Russia e Giappone hanno già detto di non voler entrare nella seconda fase che doveva cominciare nel 2013.
Terzo, perché il coraggioso impegno europeo di ridurre le emissioni del 20% entro il 2020 rischia di emarginare l'Europa (con l'eccezione dell'Australia) in una lotta che ha senso solo se planetaria. Ma che richiede anche miliardi d'investimenti pubblici che mal si accordano con il regime di rigore fiscale dei tempi moderni".
28/11/2011

martedì 29 novembre 2011

PSI: Governo, per ora solo una politica balbuziente

Martedì 29 novembre 2011
"Dopo 16 giorni dall’incarico e 13 dalla fiducia finalmente abbiamo un governo. Nel frattempo lo spread è ancora lì, a quota 500 e dovremo aspettare ancora qualche giorno per il varo delle prime misure".
E' quanto affErma Marco Di lello, copordinatore della segreteria nazionale del Psi.
"Si parla di ICI, che colpisce gli italiani non nella propria ricchezza ma nei propri risparmi - prosegue Di Lello - quelli accumulati per una vita per comprare la prima, e nell’oltre 70%, unica casa.
Si parla di un nuovo aumento dell’Iva, che in quanto imposta indiretta colpisce proporzionalmente di più chi ha di meno e di meno chi ha di più.
Si sussurra timidamente di patrimoniale, con la preoccupazione di non perdere i consensi pesanti che hanno accompagnato il varo di questo governo.
Non si parla - sottolinea l'esponente socialista - di eliminare i privilegi fiscali per le attività commerciali del Vaticano.
Con il tramonto del berlusconismo ci eravamo illusi di una nuova alba riformatrice: per ora - conclude Di Lello - c’è solo il buio di una politica balbuziente".

UNIONE EUROPEA: Il Verbo si è fatto carta, color salmone

I governi forti sono in via di estinzione in tutta Europa. La politica cede il passo a una tecnocrazia sovranazionale che ha come unico punto di riferimento ideologico le opinioni dei grandi quotidiani economici.

Vi siete accorti anche voi che con l'avanzare della crisi i dubbi sulle nostre democrazie si fanno sempre più insistenti? Non è una cosa da poco. Per generazioni la democrazia è stata considerata sacra e inviolabile, e nessuno in Europa ha mai osato contestarla. Tuttavia l'avvento di governi tecnici in Grecia e Italia ha fatto vacillare le nostre certezze, come anche le imposizioni sempre più frequenti ai governi nazionali da parte dell'Europa, sotto la forte pressione della Germania.
Mercoledì scorso la Commissione ha nuovamente chiesto di poter intervenire sui bilanci degli stati membri prima che vengano sottoposti all'attenzione dei parlamenti nazionali. Se anche paesi irreprensibili come Germania e Finlandia subiscono un rialzo dei tassi d'interesse, cosa dobbiamo pensare della solidità delle democrazie nazionali? Il 23 novembre Berlino non è riuscita a portare a termine l'ultima emissione di titoli di stato. Che sta succedendo?
Date un'occhiata alla mappa dell'Europa. Che fine hanno fatto i governi forti? Nell'ambito del modello tedesco di unione stabilità i 27 sono costretti a mettere ordine nei loro libri contabili. I modelli di prosperità dei polder, della Renania o dei paesi scandinavi sono ormai superati. I dibattiti elettorali (Spagna) e i negoziati per la formazione di un governo (Belgio) si basano su schemi imposti dall'Europa.
Persino gli ambiti in cui i governi nazionali hanno mantenuto fino a ieri la loro sovranità – sulla politica sociale, sulla giustizia e sull'immigrazione – si allontanano lentamente ma inesorabilmente dal dibattito libero e democratico. Gli esperti di marketing politico si battono fino allo stremo per fare apparire i politici nazionali come figure importanti, proprio perché sanno che la linea viene ormai dettata dall'esterno.
Lo scompiglio è palpabile anche a Bruxelles. Nelle strade del quartiere Schuman ogni giorno va in scena un balletto di capi di governo e ministri d'ogni sorta. E intanto i diplomatici in rappresentanza permanente presso l'Unione europea guadagnano terreno sui ministri delle capitali nazionali. I diplomatici sono l'embrione di una nuova forma di amministrazione intergovernamentale, di cui la Commissione europea è il segretariato.
A questo punto l'ultimo baluardo della democrazia è rappresentato dal Parlamento europeo. Ormai da dieci anni gli eurodeputati cercano di accrescere la loro influenza, ma ancora non sono nemmeno in grado di avanzare proposte di legge. Inoltre i gruppi politici sono ancora troppo legati agli interessi nazionali.
Valore pedagogico
Il quarto potere, invece, si è adattato da tempo. Le grandi agenzie di stampa internazionali, i quotidiani e le emittenti televisive possono contare a Bruxelles su delegazioni sempre più numerose e influenti, che nonostante la crisi dei media effettuano un servizio permanente dalla capitale dell'Ue.
La forza delle grandi agenzie britanniche e americane è ormai tale che i paesi e le regioni linguistiche più modeste non sono più in grado di competere. I media economici e finanziari che stabiliscono la linea da seguire sono quelli anglosassoni, dunque esterni all'eurozona. Guardano a Bruxelles con occhio cinico mentre i 17, dopo un decennio di successi, sono profondamente divisi.
Il color salmone dei quotidiani economici globali come il Financial Times domina ormai l'agenda di Francoforte e Bruxelles, obbligate a reagire (e a volte a sottomettersi) a questa sorta di megafoni planetari. La risposta della capitali e dei media nazionali consiste spesso in un riflesso di difesa contro "la remota Bruxelles". Per rendersene conto basta leggere la Bild. Di conseguenza i politici che dovrebbero ottenere il voto dei cittadini sul mercato elettorale locale orientano le loro politiche sulla contrapposizione con l'Ue.
A questo punto possiamo solo sperare che si tratti di un momento di transizione. Se la crisi permetterà di far capire alla popolazione che il potere di decidere sul futuro e sulla prosperità dell'Europa deve concentrarsi a un livello più alto, allora vorrà dire che la crisi avrà avuto un enorme valore pedagogico. È in seno all'Unione europea che si trovano le istituzioni democratiche che hanno ancora una possibilità reale di mettere un freno ai mercati "che dettano le leggi dell'Europa". Anche Angela Merkel dovrà accettarlo, altrimenti affonderà insieme agli altri. (traduzione di Andrea Sparacino
Bernard Bulcke 29 novembre 2011 De Morgen Bruxelles

COLLETTIVO SOCIALISTA:Valori della sinistra e valori della destra

Valori della Sinistra:
1) Dare risposte collettive nel rispetto dei problemi individuali,
2) Pari opportunità garantite per legge (sanità, istruzione, uguaglianza dei cittadini)
4) Liberare la società dai bisogni
5) Tolleranza per le diversità e difesa della laicità nelle istituzioni
6) Centralità del lavoro

Valori della Destra:
1) I cittadini valgono in rapporto al loro successo economico
2) Subalternità alle leggi di mercato
3) Controllo sociale
4) Mantenimento dello status quo
5) Centralità della rendita

Il centro è una categoria senza valori propri ma di pura geografia parlamentare.
Kasparov dice che è un'invenzione dei paesi ex-fasciti sconfitti nella 2° guerra, per colmare il vuoto dell' allora impresentabile destra, estromessa fino a ieri dall'arco parlamentare in modo attivo

LAICITA': La luna e il dito

Abbiamo indicato la Luna e quasi tutti continuano a guardare il dito.
È l'impressione ricavata in questi giorni di dibattito e polemiche seguite alla nostra proposta di sospendere la convenzione tra la Regione Toscana e la Conferenza Episcopale che disciplina il servizio di assistenza religiosa cattolica nelle strutture di ricovero delle Aziende Sanitarie. Abbiamo presentato un'interrogazione ed alla nostra iniziativa si è unito un fronte di forze politiche che con noi hanno chiesto di sospendere un atto che prevede l'assunzione a tempo indeterminato nelle Asl di personale nominato dalla stessa Conferenza, e l'assegnazione a questi stessi incaricati di un alloggio.
La levata di scudi è arrivata puntuale e con le stesse parole d'ordine: siamo stati accusati di laicismo, di anticlericalismo, di voler cancellare un diritto previsto dal Concordato in vigore tra Stato italiano e Chiesa cattolica.
Niente di più sbagliato e fuorviante.
Il punto non è mettere in discussione quanto già previsto dal Concordato, perché è proprio al Concordato che noi guardiamo come ad uno strumento che già contiene e prevede che tali forme di assistenza vengano svolte da personale ecclesiastico.
È la convenzione stipulata dalla Regione Toscana che riteniamo iniqua, perché genera un aggravio per i bilanci delle Asl. Consideriamo cioè ingiusto che si assumano delle persone, ad oggi pare siano 77, per svolgere delle prestazioni che già rientrano, o dovrebbero rientrare, nella missione ecclesiastica.
Ci siamo domandati insomma quanto sia opportuno per la Regione sobbarcarsi un onere economico di oltre 2 milioni di euro per un servizio che potrebbe essere esclusivamente a carico di chi ogni anno riceve dallo Stato l'8 per mille del gettito Irpef dei cittadini ed è esente dall'Ici per le attività commerciali che svolge in fondi di sua proprietà.
Insomma, si solleva una questione reale, dinanzi alla quale servirebbero risposte e non accuse. Riteniamo che la Regione possa trovare altre forme per rafforzare la collaborazione con la Conferenza Episcopale nell'ambito del Concordato per lo svolgimento di un servizio verso il quale portiamo il massimo rispetto, consapevoli che la funzione di assistenza religiosa a chi soffre  rientri a pieno titolo tra i diritti del malato. Altre forme che non prevedano però né l'assunzione né l'assegnazione di un alloggio, perché in questo caso si vanno a ledere altri diritti: quelli dei malati non cattolici e quelli di chi per avere un alloggio paga un affitto.
Laicismo è parola brutta, che implica una piega ideologica estremista, e dunque non ci stiamo a vederci liquidati così.
Altra cosa è il dovere, verso il quale ci sentiamo altamente responsabili, di affermare i principi di uno Stato laico in cui le istituzioni siano di tutti i cittadini e non diventino la corsia preferenziale per nessun soggetto, a maggior ragione se espressione di una confessione religiosa.
La nostra è una posizione naturale per una forza politica che si richiama apertamente ai principi laici, ma ci piacerebbe vivere in una nazione in cui anche i partiti di ispirazione cattolica difendessero tali principi senza temere di irritare le gerarchie ecclesiastiche, già abbondantemente tutelate dal Concordato.
Così non è e ce ne rammarichiamo, continuando però con ancora maggior convinzione ad indicare la Luna anche quando gli altri si fermeranno ad abbaiare al dito. (Pieraldo Ciucchi) 

lunedì 28 novembre 2011

COLLETTIVO SOCIALISTA: I valori della sinistra

Abbiamo la più bella Costituzione del mondo. La si difende ogni giorno. Il 25 aprile si fa festa. Nessuno può stare bene da solo.
Ci vuole un mercato che funzioni senza monopoli, corporazioni e posizioni di dominio. Ma ci sono beni che non si possono affidare al mercato: la salute, l’istruzione, la sicurezza.
Il lavoro non è tutto, ma questo può dirlo chi il lavoro ce l’ha. Il lavoro è la dignità di una persona. Sempre. E soprattutto quando hai trent’anni e hai paura di passare la vita in panchina. Ma chiamare flessibilità una vita precaria è un insulto. E allora un’ora di lavoro precaria non può costare meno di un’ora di lavoro stabile.
Chi non paga le tasse mette le mani nelle tasche chi è più povero di lui; e se 100 euro di un operaio, di un pensionato o di un artigiano pagano di più dei 100 euro di uno speculatore, vuole dire che il mondo è capovolto.
Davanti a un problema serio di salute non ci può essere né povero né ricco,né calabrese né lombardo né marocchino.
L’insegnante che insegue un ragazzo per tenerlo a scuola è l’eroe dei nostri tempi. Indebolire la scuola pubblica vuol dire rubare il futuro ai più deboli.
La condizione della donna è la misura della civiltà di un Paese. Calpestarne la vita è l’umiliazione di un Paese.
Il bambino figlio di immigrati che è nato oggi non è né immigrato né italiano. Dobbiamo dirgli chi è. Lui è un italiano.
Se devo morire attaccato per mesi a mille tubi, non può deciderlo il Parlamento. Perché un uomo resta un uomo con la sua dignità anche nel momento della sofferenza e del distacco.
C’è un modo per difendere la fede di ciascuno, per garantire le convinzioni di ciascuno, per riconoscere la condizione di ciascuno. Questo modo irrinunciabile si chiama laicità.
Per guidare un’automobile, che è un fatto pubblico, ci vuole la patente, che è un fatto privato. Per governare, che è un fatto pubblico, bisogna essere persone perbene, che è un fatto privato.
Infine chi si ritiene di sinistra, chi si ritiene progressista deve tenere vivo il sogno di un mondo in pace, senza odio e violenza, e deve combattere contro la pena di morte, la tortura e ogni altra sopraffazione fisica o morale.
Alla fine, essere progressisti significa combattere l’aggressività che ci abita dentro; quella del più forte sul più debole, dell’uomo sulla donna, di chi ha potere su chi non ne ha.
E’ prendere la parte di chi ha meno forza e meno voce.

ETICA: Slovacchia. Il Partito comunista accusato di negazionismo

A vent'anni dalla rivoluzione del 1989 "la polizia indagherà sui comunisti", annuncia Sme. Il Partito comunista della Slovacchia (Kss), nato nel 1992 sulle ceneri del Partito comunista cecoslovacco, avrebbe iinfranto la legge che punisce la negazione dei crimini legati al regime comunista, approvata due mesi fa. "Come non ci sono colpe collettive, non ci sono [nemmeno] crimini comunisti", si legge infatti sul sito internet del Kss. Il quotidiano di Bratislava sottolinea che in base alla nuova legge il partito potrebbe essere sciolto, ma ricorda anche che nessun alto dirigente comunista è mai stato giudicato da un tribunale: né Vasil Bilak, che nel 1968 firmò la richiesta di intervento al patto di Varsavia, né il capo dei servizi segreti  Alojz Lorenc. "Ancora oggi la giustizia è amministrata da ex membri del partito che fu responsabile del terrore di stato", accusa Sme. Alle elezioni del 2010 il Kss ha ottenuto lo 0,83 per cento dei voti. 

SOCIALISMO: ricostruire il socialismo europeo

"Il voto spagnolo è chiaro e netto: ha vinto, acquisendo la maggioranza assoluta, il partito conservatore di Mariano Rajoy e ha perso, malamente, il partito socialista di Zapatero e Alfredo Perez Rubalcaba. “Gioia e preghiera alle radio dei vescovi”, il Corriere titola un articolo di Aldo Cazzullo. «È finita la guerra contro la Chiesa e ora - dice il direttore di quella radio - una parte del nostro mondo vive la vittoria del PP come una riconquista cattolica». E lo stesso direttore, però, chiarisce che il partito di Rajoy «non è quello di Sturzo e di Martinazzoli», è una formazione «laica». Non è nemmeno assimilabile al coacervo personale di Berlusconi. Si tratta di un partito conservatore in cui ha un gran peso l’influenza della Chiesa. Questo articolo non serve a esaminare le ragioni della sconfitta di Zapatero su cui già si discute in tanti giornali e su cui rifletteremo anche noi. Oggi mi preme osservare che in Europa, dove imperversa una pesante crisi economica e sociale, l’Ue, e tutti i governi che contano, sono guidati da forze democratiche conservatrici. Le quali, ora, cercano di mettere insieme una politica comune. Monti ha chiesto e ottenuto una riunione a “tre” con la Merkel e Sarkozy (non più a “due”); ma anche con la elezione di Rajoy in Spagna le cose cambiano. La Grecia si è adeguata a questa nuova situazione. Vedremo cosa diranno i “tre”. L’Italia ha una posizione particolare perché il governo Monti non è assimilabile ai conservatori europei, e perchè una delle gambe che lo reggono è quella del Pd. Tuttavia, ecco il punto su cui ragionare, l’impianto fondamentale della politica europea per fronteggiare la crisi non si discosterà da quello, per esempio, indicato dalla Bce per l’Italia. Sull’altra sponda, quella dei partiti socialisti, sul piano europeo non si intravede una linea politica comune: né alternativa a quella dei conservatori, né di sostanziale correzione su questioni centrali come la riforma del welfare e il ruolo dell’intervento pubblico. L’iniziativa dei partiti della sinistra si svolge solo sul piano nazionale, mentre la politica dei conservatori ha il crisma dell’Ue e dell’europeismo. Anche i sindacati operano “sparpagliati”, come l’opposizione radicale in Grecia e con sconfitte certe, o con piattaforme nazionali di contenimento delle politiche conservatrici. Sia chiaro, io non penso che ci sia una politica di radicale alternativa, di sistema, a quella indicata dalle strutture europee, ma manca una dialettica, una lotta sociale e politica a livello europeo per soluzioni in cui, come ha detto lo stesso Monti, il risanamento e lo sviluppo siano coniugati con l’equità sociale. Le sinistre radicali propongono di uscire dall’Ue, di tornare alla moneta nazionale e a pratiche protezionistiche. In assenza di una proposta europea, le sinistre nazionali si troveranno nelle condizioni di aderire o opporsi radicalmente, con il risultato già visibile, non solo in Italia, di dividersi. La posizione del Pd, oggi, somiglia a quella dei socialisti italiani nella prima guerra mondiale: né aderire, né sabotare. Lo stesso sarà per il sindacato. Ma, la sinistra riformista è tale se è europeista e si batte per l’integrazione politica, se chiama i lavoratori e i popoli a partecipare e democratizzare l’Ue. Questo scritto serve, se serve, per dire ancora una volta che il Pd, il quale non è nel partito socialista europeo, ma con esso ha un rapporto positivo e sta con i socialisti a Strasburgo nel gruppo parlamentare, dovrebbe promuovere un incontro e tentare di costruire una posizione comune. Lo stesso dico ai sindacati. La sconfitta dei socialisti spagnoli è, ancora una volta, la sconfitta del “socialismo nazionale”. Dobbiamo ricostruire il socialismo europeo. Non c’è un’altra strada.
Emanuele Macaluso da Il Riformista del 22 novembre 2011

ETICA: Habermas apre il dibattito sulla democrazia

Il futuro della democrazia in Europa è al centro di un acceso dibattito sulla stampa germanofona. La Frankfurter Allgemeine Zeitung ha pubblicato un articolo che accusa le dure reazioni al referendum greco, a cui ha fatto seguito l'intervento di Jürgen Habermas.
Sul quotidiano tedesco l’illustre filosofo risponde che “occorre salvare la dignità della democrazia” e che il primo ministro greco uscente Georges Papandreou  è l’archetipo dell’uomo politico che non riesce a fare distinzione tra il mondo degli esperti di finanza e quello della gente comune, tra gli imperativi sistemici del capitalismo finanziario selvaggio – che la politica stessa ha liberato dal guinzaglio dell’economia reale – e le lamentele che arrivano dall’elettorato per le promesse non mantenute in tema di giustizia sociale.
In tempi di crisi sono i politici a dover spiegare le proprie intenzioni e restituire ai cittadini la possibilità di prendere decisioni: "Non è soltanto una questione di democrazia: è una questione di dignità". Il disastro greco mette in guardia dall’iter post-democratico scelto da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. "Una concentrazione dei poteri nel cenacolo dei capi di governo che impongono i loro accordi ai parlamenti nazionali non è la strada giusta", scrive Habermas, secondo cui serve un nuovo processo costituzionale europeo.
Le reazioni all’articolo non si sono fatte aspettare. Sullo Spiegel Jan Fleischhauer accusa Habermas di essere l’ultimo peso massimo tra gli intellettuali della Germania dei buoni sentimenti”, un "isterici con una vera propensione per l’apocalittico”.  "Nel rapporto sulla crisi dell’euro, i politici si sono fatti calpestare da tempo dall’economia. Sono diventati gli zelanti esecutori del capitalismo finanziario. […] Ma quando si tratta di formulare rivendicazioni concrete, Habermas va incontro al medesimo problema degli attivisti di Occupy Wall Street, che non hanno altre proposte a parte ridistribuire i soldi in qualche modo tra tutti. In verità, tutto questo sforzo di retorica ha per unico scopo quello di esonerare i politici dalle loro responsabilità per lasciare loro mano libera.

SOCIALISTI: No all’ICI sulla prima casa, colpire la speculazione e l’evasione fiscale. Dichiarazioni del sen. Vizzini.

lunedì 28 novembre 2011
”I socialisti ritengono che occorra utilizzare questa stagione per uscire dalle logiche dei partiti personali e tornare ai partiti delle regole, ripristinando un corretto rapporto tra elettore ed eletto”. L’ha detto  il sen. Carlo Vizzini, presidente della Commissione affari costituzionali a Palazzo Madama nel suo intervento di ieri al cinema Golden di Palermo a conclusione del convegno del Psi: ”Oltre l’appartenenza. Per una nuova primavera di Palermo”. ”E’ un modo di tornare in Europa anche dal punto di vista della politica, dopo 17 anni in cui quasi tutti i partiti hanno cambiato piu’ volte nome – ha aggiunto Vizzini – passando dagli animali, alle piante, agli alberi e agli arbusti, per ricollegarsi invece con le grandi correnti di pensiero che caratterizzano il Parlamento europeo e quello delle grandi nazioni che hanno fondato l’Europa nelle quali sono i leader che cambiano nome e non i partiti”. ”Per queste ragioni – ha concluso il parlamentare del Psi – i socialisti chiedono al governo una politica economica e finanziaria che smetta di tartassare i soliti noti e colpisca invece le rendite, la speculazione e l’enorme evasione. E’ necessaria una patrimoniale sulle grandi ricchezze e una legislazione che tassi tutte le plusvalenze, senza gravare di nuove imposte i possessori di un unico appartamento. Bisogna studiare agevolazioni fiscali per quelle aziende cosiddette labour-inclusive e occorre anche che il governo si caratterizzi come istituzione laica, senza cedere a tendenze confessionali”.

domenica 27 novembre 2011

SOCIALISTI: governo Monti merita un giudizio politico non preventivo

sabato 26 novembre 2011
Parlando a Torino, nel corso del Congresso regionale piemontese del Partito socialista italiano, Bobo Craxi questa mattina ha dichiarato che “l’attuale condizione della politica italiana è gravida di rischi e di opportunità: la fine della seconda Repubblica”, ha spiegato il dirigente nazionale del Psi, “aiuta i Partiti a immaginarsi più europei, riconoscendosi nelle famiglie politiche prevalenti in Europa; il rischio, invece, riguarda il passo indietro della politica democratica, la sola che può e deve restituire fiducia ai cittadini, purché si rinnovi cambiando e non nascondendosi ipocritamente. La ‘riunione segreta’ per la spartizione delle poltrone”, ha detto Craxi, “sembrava una fuga degli adulteri: di nascosto da Di Pietro e da Bossi si spartivano i ‘posti’. Io penso”, ha proseguito Craxi, “che al prossimo Congresso nazionale i socialisti debbano riaprire un orizzonte più largo. Osserviamo con responsabilità il prodotto della mediazione del Capo dello Stato e il Governo Monti merita un giudizio politico non preventivo. In questa fase, preparare il ‘nuovo’ significa ricostruire una forza politica socialista, laica e democratica, non generici, stanchi e abusati riferimenti riformisti che”, ha concluso, “lasciano il tempo che trovano”.

PSE: Convenzione di Bruxelles - Intervento di Nencini

E' in pieno svolgimento a Bruxelles e terminerà in serata la Convenzione del Pse, caratterizzata da workshops, incontri e dibattiti sull'attuale  situazione politica e finanziaria dell'Europa e sui programmi e le prospettive del socialismo continentale. In mattinata si è svolto il vertice dei leaders del Pse a cui ha partecipato Luca Cefisi.
Presenti numerosi leader socialisti europei, tra cui il capogruppo all'europalrmento Martin Schulz, il cancelliere austriaco Freymann, il nuovo segretario del partito socialista portoghese Antonio Josè Seguro.
Al centro della discussione l'importanza di unire il rigore di bilancio con misure di crescita e di protezione sociale, senza le quali nessuna uscita dalla crisi sarà possibile
Per Riccardo Nencini:  "La coppia Merkel – Sarkozy diventa ogni giorno di più totalmente inadeguata e sempre più ridicola. La situazione economica europea è così drammatica, che questa coppia di ‘gemelli”  non può pensare di risolverla da sola. “Bisogna, piuttosto-  ha osservato Nencini- mettere all’ordine del giorno da una parte gli Eurobond, dall’altra pensare ad un’Europa più coesa e per farlo – ha aggiunto il Segretario- bisognerebbe dare l’opportunità ai cittadini europei di eleggere il presidente della commissione europea, tramite voto libero e diretto”. “Solo così- ha concluso- con un presidente scelto direttamente dai cittadini, si può pensare di costruire un’Europa più politica e coesa”.

Molto attiva la presenza della nutrita delegazione del Psi guidata da Pia Locatelli, presidente deIl' IS donne e da Luca Cefisi dell'ufficio di presidenza del Pse e composta gli attivisti italiani del Pse Carmine Iuliano, Monica Ricci, Carlo Besostri, Leonardo Rafat, Enrico Tricarico, Vincenzo De Bonis, Federico Fontana e Marco Brandolin
Da registrare che nel corso del Consiglio generale che lo scorso venerdì ha eletto Serghei Stanishev presidente ad interim, il segretario generale del Pse Philip Cordery ha posto la questione della rappresentanza italiana nel Pse: "i partiti italiani membri sono i Ds ed il Psi ed i rispettivi leader sono Pierluigi Bersani e Riccardo Nencini. Bisogna trovare una soluzione - ha detto Cordery- perche’ i Ds non esistono piu’ e il Pd e’ un partner ma non ha diritto di voto".
Nel pomeriggio  di oggi, Pia Locatelli, presidente dell'Internazionale Socialista donne modererà il dibattito promosso dalla FEPS (Fondazione europea di studi progressisti) e dal Renner Institute: Il Sistema dei Partiti Transnazionali, al quale interverranno docenti delle Università di Antwerp, Leeds, Birmingham, Libera Università di Bruxelles e un rappresentante dell' SPD.

OPINIONE: La democrazia è stanca

La crisi ha mostrato i limiti della politica di fronte allo strapotere dell'economia e i movimenti popolari denunciano la distanza dei sistemi occidentali dai loro cittadini. Il modello rappresentativo non è più inattaccabile.
Con gli indignados di Wall Street, il malcontento popolare scatenato dalla crisi interessa ormai tutto lo spettro politico e geografico, dagli Stati Uniti alla Grecia. A prima vista si tratta di due casi ben distinti tra loro. Mentre la Grecia di Papandreou è in crisi a causa di uno stato clientelare e inefficiente che si è indebitato a più non posso, gli Stati Uniti di Obama sono vittima dei mercati finanziari che hanno portato l’economia al collasso. Per semplificare, potremmo parlare in un caso di un fallimento statale, nell’altro di un fallimento del mercato.
Tuttavia, visti i tempi che corrono, Grecia e Stati Uniti si assomigliano ben più di quanto si potrebbe immaginare. Atene e Washington sono entrambe culle della democrazia. La Grecia inventò la democrazia diretta, gli Stati Uniti la democrazia rappresentativa. Questo ideale, illustrato a meraviglia in due testi di una somiglianza impressionante – l’orazione funebre di Pericle e il discorso di Lincoln a Gettysburg – oggi è rimesso completamente in discussione.
La democrazia diretta è stata la prima a degenerare in populismo, demagogia e ingovernabilità. Non stupisce che, vedendo la tragica fine di Socrate, obbligato a bere la cicuta, i padri fondatori degli Stati Uniti non abbiano voluto parlare di democrazia e abbiano preferito descrivere il loro sistema politico come “governo rappresentativo”, in altre parole un regime nel quale più che permettere alla popolazione di autogovernarsi le si accorda il potere di eleggere e destituire i suoi stessi governanti in modo regolare, per tutelare le proprie libertà.
Malgrado tutte le sue carenze, questo sistema di governo ha avuto un enorme successo. Almeno nella nostra comunità politica e geografica, la democrazia rappresentativa ha trionfato sia sul fascismo che sul comunismo, e anche se su di essa continuano a incombere minacce populiste e nazionaliste l’abbinamento di governi rappresentativi ed economie di mercato in genere ha dato luogo a società aperte, rispettose delle libertà e della diversità.
Il problema nasce dal fatto che la democrazia rappresentativa è diventata non solo inestirpabile dall’esterno, ma anche dall’interno, perché la democrazia diretta non è un’alternativa valida per governare società complesse come le nostre. In questo processo, la democrazia si è sclerotizzata proprio nel suo punto centrale, la rappresentatività dei governi nei confronti delle domande dei governati.
Crisi di sistema
Col tempo, questi governi si sono fatti prendere in trappola da due fattori: da un lato, i partiti hanno trasformato i nostri sistemi politici in partitocrazie, governate da una classe politica che non rende conto a nessuno del proprio operato e non è trasparente; dall’altra, i mercati hanno sottomesso il potere politico ai loro interessi, diventando una sfera di potere autonomo e indipendente. Il risultato è che l’interesse collettivo è relegato in secondo piano, come principio ispiratore delle politiche pubbliche, mentre l’obbligo di rendere conto del proprio operato diventa inefficace come meccanismo di controllo dei cittadini. Così, mentre dal punto di vista quantitativo le democrazie trionfano nel mondo, dal punto di vista qualitativo si sono considerevolmente deteriorate.
In maggioranza, i nostri paesi oggi sono democrazie sotto tutti gli aspetti, ma sono ben lungi dall’avere le qualità della democrazia alle quali aspirano i cittadini. Nei periodi di crescita economica, quando i problemi di redistribuzione erano più facili a risolversi, la tensione implicita tra efficacia e rappresentatività si risolveva facilmente a favore della prima e a discapito della seconda. Ma quando la crisi economica ha colpito con tutta la sua forza, i nostri sistemi politici sono stati messi letteralmente a nudo: la loro incapacità di amministrare l’economia (vuoi per incompetenza, vuoi perché le questioni vanno al di là della sfera nazionale) è ormai sotto gli occhi di tutti, come pure la loro insufficienza rappresentativa e la loro sottomissione ai poteri dei mercati, i cui eccessi si dimostrano incapaci di regolamentare.
L’ideale democratico ateniese è fallito, ed erano occorsi secoli e secoli perché fosse messo a punto. Quanto alla democrazia rappresentativa, anche se non è sottoposta a un attacco dall’esterno, entrerà in una grave crisi interna se non riuscirà a regolamentare la crisi della rappresentanza e a governare efficacemente i mercati nell’interesse generale. Da Atene a Wall Street, l’ideale della democrazia sta lottando per sopravvivere. (traduzione di Anna Bissanti)
El País Madrid josè Ignacio Torreblanca

sabato 26 novembre 2011

COLLETTIVO SOCIALISTA: Diritto alla partecipazione

Oggetto: Diritto alla partecipazione
Gentilissimo Signor Sindaco,
I sottoscritti Giuseppe Vijno presidente dell’associazione “Sempre Avanti!” con domicilio a Chivasso Via Roma 11,  telefono & fax 011.9109294 mail sempreavanti.to@libero.it e telefono mobile 338 360 94 26, Carmelo De Rosa presidente dell’associazione Chivasso Est con domicilio a Chivasso Via Togliatti 22 telefono mobile 338 920 78 50, Lara Ballurio referente del Collettivo Socialista Chivassese con domicilio a Chivasso Via Roma 11 telefono & fax 011.9109294 mail collettivosocialista.chivasso@gmail.com e tel. mobile 347 686 51 56 rivolgono, a nome e per conto degli iscritti che rappresentano, titolari dei diritti di partecipazione, ai sensi dell'art. 20 dello Statuto della Città di Chivasso, la seguente istanza:
con lo spirito di appartenenza e identità, patrimonio civile della nostra città ;
nella ricerca del dialogo tra istituzioni e cittadini;
per rinnovare la relazione tra politica, istituzioni e persone e rispondere al desiderio dei cittadini di essere protagonisti nelle scelte;
per aprire un percorso di partecipazione e uno spazio di coinvolgimento con le realtà cittadine che con le loro attività arricchiscono la vita sociale, culturale e democratica della nostra comunità;
in virtù di quanto positivamente espresso in merito sul programma elettorale dell’attuale maggioranza comunale;
confortati da quanto espresso ancora nell’ambito del titolo V° della costituzione italiana e dalle disposizioni di legge in merito al diritto di partecipazione all'attività amministrativa della Città ed in particolar modo dalla LEGGE 7 agosto 1990 n. 241 che il comune di Chivasso disciplina mediante il proprio Statuto e in particolare il Titolo II, Capo I, artt. da 10 a 16, volti a favorire e ad accrescere l’informazione, l’ascolto dei cittadini, e soprattutto il loro potere decisionale,
chiede l’istituzione di
·         una consulta permanente della terza età
·         una consulta permanente per la promozione della cultura e della solidarietà sociale
·         una consulta permanente per la gestione e difesa dell’ambiente e del territorio
Altre consulte si dovrebbero istituire ed anche un’ assessorato alla Partecipazione, come in altri, fortunatamente molti, comuni italiani, ma già con questo primo passo siamo certi che sia possibile un percorso inedito ed innovativo per Chivasso, un percorso che nasce e si sviluppa nella consapevolezza di dover colmare limiti di incomunicabilità e condivisione attiva delle scelte strategiche dell’ente locale con i cittadini di Chivasso.

Partecipazione come conoscenza e informazione, come punto di sintesi dei bisogni collettivi, come individuazione delle priorità in funzione delle esigenze reali e soprattutto come condivisione e interiorizzazione delle scelte.

Il tutto senza surrogare niente e nessuno, ma con l’ambizioso obiettivo di fornire all’ente locale quell’ indispensabile contributo che consenta poi decisioni e scelte idonee e rispondenti al suo territorio, ai suoi cittadini e al loro quotidiano.
Con i sensi della nostra più profonda stima, nella certezza di una Sua pronta risposta  voglia gradire i nostri più distinti saluti

in fede

Sempre Avanti!                                         – Beppe Vijno

Chivasso Est                                               – Carmelo De Rosa

Collettivo Socialista Chivassese              – Lara Ballurio
Chivasso, 08.11.2011

PD: È ora di rompere il tabù. Libere correnti in libero partito

Pochi argomenti godono di cattiva fama quanto il dibattito interno al Pd. Per varie ragioni, non ultima che i suoi protagonisti sono spesso i primi a svilirlo, accreditando di conseguenza la lettura più malevola di chi in ogni discussione, dissenso, movimento interno vede soltanto una sordida lotta di potere. Da questo punto di vista, tuttavia, la naturale predisposizione di Matteo Renzi a rompere il cerimoniale codificato, a sparigliare e a spiazzare, potrebbe tornare molto utile non solo a lui, ma a tutto il partito. E forse, chissà, persino all’Italia.

Abituato a farsi beffe del politicamente corretto e di ogni altra forma di ipocrisia politica, Renzi potrebbe essere il primo a violare l’ipocrisia suprema, l’unico tabù che nessuno dei tanti giovani e meno giovani leoni che da anni si organizzano dentro il Pd - dando vita ad associazioni, fondazioni e movimenti per tutti i gusti e le sensibilità - si azzarda nemmeno a pronunciare, se non come accusa nei confronti del gruppo rivale: la parola «corrente». Rivendicando alla luce del sole l’intenzione di dar vita a una corrente, il sindaco di Firenze permetterebbe a tutto il dibattito interno al Pd di fare finalmente un passo avanti, uscendo dalla soffocante coazione a ripetere di questi anni. Non sarebbe un risultato da poco.

Negando l’evidenza, infatti, i dirigenti del Pd non convincono nessuno: confermano piuttosto di avere qualcosa da nascondere. E così autorizzano le peggiori ricostruzioni, al limite della demonizzazione, secondo cui il loro partito sarebbe sempre e costantemente in preda alla più spregiudicata delle lotte di potere, praticamente sin dalla nascita, chiunque sia il segretario e qualunque sia la sua maggioranza.

È chiaro che le correnti non godono di buona stampa, come del resto i partiti. Sono due facce della stessa medaglia. Le correnti stanno infatti ai partiti come i partiti al Parlamento: una democrazia con un solo partito è impensabile. E così è impensabile un partito democratico in cui il dissenso non possa organizzarsi ed esprimersi come tale.

Lo spettacolo di divisione ai limiti dell’anarchia che viene oggi da molti partiti non è una buona ragione per rimpiangere il modello leninista (che peraltro, obiettivamente, non era stato immaginato per la democrazia, ma per la rivoluzione). Quello spettacolo dimostra al contrario quanto infondata fosse l’illusione del “centralismo carismatico” coltivata in questi anni.

Tanto infondata da non poter funzionare, alla lunga, nemmeno nel partito proprietario di Silvio Berlusconi. L’esplosione del Pdl, con l’espulsione di Gianfranco Fini e la nascita di Fli (per tacere dell’attuale polverizzazione), basta a dimostrare la tesi: inseguendo il mito del partito senza correnti abbiamo ottenuto l’esatto contrario, le correnti senza il partito.

Il modello berlusconiano ha una sua coerenza: il dissenso dal capo non è ammesso, né all’interno del partito, né del governo, né del Parlamento. A sinistra, però, sarebbe ora di prendere un po’ di coraggio e fare una bella battaglia contro questo modello, rifiutandone con coerenza premesse e conseguenze.

Dentro i partiti il dissenso è parte fondamentale del meccanismo democratico che permette la selezione (e il ricambio) del gruppo dirigente, sulla base delle idee e del consenso che queste raccolgono. L’alternativa è una recita fasulla in pubblico e una prova di forza senza regole (e senza idee) in privato. Da cui escono tutti più deboli, vincitori e vinti
Maggioranza/Bersaniani
L’area di maggioranza che sostiene il segretario Pier Luigi Bersani conta il 53% del partito. In essa si sono sciolte le vecchie correnti che hanno appoggiato la prima mozione, quella che al I congresso del 2009 candidava Bersani alla segreteria. I vecchi gruppi che costituiscono la maggioranza sono quello dei dalemiani-bersaniani (Red), dei bindiani (Democratici Davvero), dei lettiani (Associazione 360°), il gruppo di A Sinistra, i Cristiano-sociali e Democrazia e Socialismo. La linea politica della maggioranza o dei "Bersaniani" si basa sulla ricerca della sintesi tra le culture fondative del partito in un pensiero politico nuovo che rinnovi fortemente, senza però rinnegarli, i princìpi storici del centrosinistra e della sinistra, ovvero sulla costituzione di un partito popolare e fortemente radicato sul territorio, rappresentante innanzitutto del mondo del lavoro (imprenditori e lavoratori) e delle famiglie, liberale in economia, laico nell’etica, fortemente sociale e civico nel welfare. Dalla direzione del 13/01/2011, è entrata ufficialmente in maggioranza anche Area Democratica che già da tempo si era avvicinata alle posizioni del segreatrio, subendo per questo una scissione interna da parte dei veltroniani (nominatisi "Movimento Democratico") che rimangono molto critici sulla segreteria Bersani.
Area Democratica
Minoranza
All'indomani del congresso del 2009, tutti i sostenitori della seconda mozione che proponevano la riconferma a segretario di Dario Franceschini, forti del 34% dei voti presi in congresso, decidono di strutturarsi come corrente organizzata dandosi il nome di "Area Democratica". In essa confluirono quindi le vecchie correnti veltronian-franceschiniane, ovvero i Popolari/Quarta Fase, i Veltroniani, i Fassiniani, i Democratici Rinnovatori, i SemDem, gli Ecodem, i Liberal PD e i Teodem. Dopo la direzione del 23 settembre 2010 si è verificata in Area Democratica una separazione promossa da Veltroni, Fioroni e Gentiloni che hanno costituito un'altra area di minoranza, chiamata Movimento Democratico, più critica nei confronti della maggioranza rispetto ad AreaDem. La rottura definitiva tra Areadem e Modem è avvenuta alla direzione del 13/01/2011 in cui la corrente franceschiniana è entrata ufficialmente in maggioranza.
Movimento Democratico
Neutrali
  • Mariniani. Sono il gruppo eterogeneo e non organizzato che ha sostenuto la candidatura di Ignazio Marino alle primarie del 2009 ottenendo il 13% dei voti. Per la sua stessa avversione al correntismo il gruppo non forma una vera e propria corrente organizzata, però tutti coloro che sostenevano la candidatura Marino condividono un forte interesse comune per i temi legati alla laicità dello Stato e ai diritti civili, al rinnovamento generazionale, alla questione morale e al merito. A sostegno di Marino si sono schierati ex veltroniani doc come Goffredo Bettini, Marta Vincenzi e Felice Casson, Ulivisti come On. Sandro Gozi sia importanti esponenti del cosiddetto gruppo dei “piombini” come Ivan Scalfarotto, e Paola Concia.
  • Ulivisti. È l'area più vicina a Romano Prodi e alla sua idea di Partito Democratico. Gli Ulivisti enfatizzano molto l'apertura del PD alla società civile e la democrazia interna al partito e al congresso non hanno appoggiato alcuna mozione. L'area si ispira al cristianesimo sociale e alla socialdemocrazia.
  • Insieme per il Pd. Nata nel 2009 sul web2 da iscritti, militanti e coordinatori locali, oggi conta più di 20000 iscritti e nuclei territoriali nelle 15 regioni. Non si può considerare una vera e propria corrente, ma una "community"organizzata in modo innovativo, che si propone di sostenere il progetto originario del partito democratico comprendendo e andando oltre le culture di provenienza a favore di una cultura democratica innovativa che mobiliti intorno ad alcuni temi forti di cambiamento della società Italiana. I sostenitori condividono i temi quali la lotta al precariato, la meritocrazia, il riformismo, rinnovamento generazionale , criticismo verso i leader storici, apertura del PD alla società civile e la democrazia interna al partito con meccanismi come le Primarie e le Doparie. Sono contro il nucleare, a favore del testamento biologico e la regolamentazione giuridica delle coppie di fatto. Il 20 novembre 2010 per la prima volta i partecipanti si sono riuniti a Roma per la prima edizione di "INSIEME DAY" un convegno che ha sancito la nascita dell'area a livello pubblico. Il secondo Forum Nazionale, "Voltiamo pagina. Insieme", tenutosi il 19 Giugno 2011 nella suggestiva Arena del Sol di Bologna , ha segnato la definita affermazione della "community " a livello nazionale. L'evento, organizzato in modo originale e suggestivo per un appuntamento politico, ha avuto un ampio risalto nei media nazionali ed il riconoscimento del Fondatore del PD, Romano Prodi, che ha inviato un video-messaggio di saluti. L'area è guidata da Giuseppe Rotondo e dall'On.Sandro Gozi