Se mi
avessero detto che alle Europee il Pd avrebbe preso il doppio dei voti del M5S
io avrei glissato senza tradire la minima espressione e continuato a depositare
saliva sul dorso del mio rospo. Invece è successo e sono completamente sobrio:
il Partito Democratico ha raccolto il 40,8 percento, riuscendo a far eleggere
31 deputati al Parlamento Europeo (praticamente quanto la rappresentanza
rumena) e staccando il Movimento di Grillo di 20 punti.
Una vittoria
del genere, con questi numeri, non si registrava dalla DC degli anni Cinquanta
e più in generale da MAI per un partito che si colloca nell’area di
centrosinistra—considerando che per superare soglia-30 ha sempre dovuto fare i
conti con un presunto “voto moderato e ostile” da avvicinare inglobando partiti
di varia estrazione, proponendo alleanze incredibili e inventandosi sigle ai
limiti della comprensione logica (“Centro Democratico” di Tabacci uber alles,
ora confluito nel fallimentare laboratorio “Scelta Europea”).
Quando
ripenseremo a queste elezioni ce le ricorderemo come quelle nella quali nessuno
aveva capito nulla. Zero i sondaggi, che hanno descritto per settimane uno
scenario totalmente diverso, zero i giornali, che continuavano a parlare di
testa a testa fra Renzi e Grillo. E zero tutti, perché nessuno si aspettava
questo risultato. Persino il mondo dell’editoria, di solito dinamico e aggiornatissimo,
si è trovato decisamente spiazzato.
Matteo Renzi si è
espresso solo in mattinata, affidandosi a un
discorso placidissimo e compiaciuto che Enrico Mentana su Facebook ha riassunto
compitamente:
Il successo dell’ex
sindaco è oggettivamente innegabile. Le mappe elaborate da YouTrend dimostrano
questa leggerissima
tendenza: l’Italia è tutta rossa,
se per rosso accettiamo per convenzione il colore che si è scelto di attribuire
al Partito Democratico in questo caso.
Il PD
raggiunge vette alte in territori storicamente sfavorevoli a un’offerta
politica che non fosse d’estrazione cattolica (DC) o "nazista" (Lega
Nord): nel Nord Est il trend resta grossomodo quello nazionale, con il dato
dell’ex ministro Cecile Kyenge eletta con 92mila preferenze. A Milano supera il
45 percento, arriva al 35 in Sicilia, dove Berlusconi è ancora al 20. A
Parma, capitale storica del grillismo conquistata da Pizzarotti nel 2012, il PD
supera il 50
percento e relega il M5S al 19.
Grillo esce
ridimensionato in termini numerici: meno 2 milioni e mezzo di voti per il Movimento e 21,1 percento. Il paradosso è che in
termini assoluti si potrebbe parlare di ovvia flessione ma di risultato
vagamente positivo per un movimento nato da pochi mesi e che alla sua seconda
tornata elettorale conserva ancora un quinto delle preferenze nazionali.
Grillo ha
invece promesso la testa di Renzi e quella di Napolitano, garantendo una vittoria
certa e lanciando un’hasthag a tema dell’intera
campagna che è
poi finito con l’essere inesorabilmente parodiato (#vinciamopoi). La prima reazione di Grillo
è stata la pubblicazione di una poesia accompagnata da un banner con su scritto
“5 milioni di grazie” che è il cartello che un qualsiasi candidato provinciale
del PDL di Caserta degli anni Duemila avrebbe fatto stampare e appendere per
strada in caso di sconfitta.
Questo senso
d’impotenza è stato interpretato per tutta la notte da Marco Travaglio, ospite
della maratona elettorale di Enrico Mentana e protagonista di una strenua
difesa ai limiti dell’imbarazzante del Movimento—è l’una e quaranta quando si lascia scappare che “sì il M5S ha
perso ok” e la sua espressione è questa.
Il movimento
manda in Europa 17 parlamentari che non aderiranno a nessun gruppo, e avranno
quindi l’unico compito di fare quelli che sono stati eletti al Parlamento
Europeo dopo una selezione alla quale hanno partecipato 32mila persone per
mandare in Europa candidati che hanno preso meno preferenze di Iva Zanicchi—che
purtroppo per voi rimane fuori.
I Forconi,
comunque, hanno reso nota la loro disponibilità a dare una mano.
Il terzo dato di queste
elezioni è il risultato di Forza Italia: il 18 percento (o addirittura più)
sarebbe stato un lusso, data la situazione (un leader costretto a rincasare
entro le 23 causa ARRESTI e un contesto generalmente sfavorevole). Invece si
ferma al 16 e firma probabilmente la sua condanna politica definitiva—ogni
volta che la dico non ci crede nessuno, nemmeno io. Molto probabile fra l’altro
che una parte significativa del suo elettorato abbia alla fine deciso di svoltarla
verso Renzi, cosa che suona più o meno come un requiem sulla sua esperienza
politica. Abrignani (FI) ha un’altra teoria.
L’intenzione
di Berlusconi era sperare comunque in un dato aggregato favorevole al
centrodestra, o almeno concorrenziale: la somma di Forza Italia, Fratelli
d’Italia, Alfano e Lega—in caso di risultato positivo—avrebbe ancora potuto
dare filo da torcere al Partito Democratico, specie in previsione di una nuova
legge elettorale fondata sulle coalizioni e un eventuale ballottaggio fra le
prime due. E invece NIENTE: Alfano ce la fa di poco, e dimostra quanto il suo
peso elettorale nel paese sia esiguo mettendo a rischio anche quello nel
governo—di cui è parte attiva, con tre ministri e uno sguardo da urlo. Chi
regala al governo Renzi altri due componenti è Scelta Civica, che con Scelta
Europea (e FARE e Tabacci nel gruppo) racimola un imbarazzante 0,7 percento,
rendendo la sua presenza nell’esecutivo il più incredibile WTF di questa
legislatura.
La Lega Nord
invece è l’altra faccia della vittoria: il suo risultato è oro puro rispetto al
Carroccio malfermo dall’ultimo Bossi e delle inchieste sulle mutande di Cota
(che intanto ha perso la Regione). Matteo Salvini è riuscito a resuscitare
l’antica creatura abbellendola di populismo anti-euro e fascinazioni lepeniane
da esportare anche al Mezzogiorno (pur non riuscendo chiaramente a sfondare, se
sommiamo le circoscrizioni Sud e Isole Salvini arriva a 23mila preferenze).
Mario Borghezio ringrazia “le facce pulite di Casa Pound” per questo risultato.
Lo 0,04
percento è invece quello che è bastato alla Lista Tsipras per superare la
soglia di sbarramento del 4: L’Altra Europa conquista tre seggi e incassa un
relativo successo che potrebbe dare la spinta per una formazione nazionale alla
sinistra di Renzi oppure no, perché tanto siamo in Italia e una sinistra che
non soffra per qualche incomprensibile rottura interna probabilmente non
possiamo ancora permettercela.
Se ci si
vuole limitare a un’analisi grossolana, si potrebbe dire che la partecipazione
è stata bassa (affluenza 58,7) ma non eccessivamente disastrosa—specie se
rapportata ai dati europei—e che gli italiani sembrerebbero aver premiato la
stabilità o la cultura di governo o la speranza o lo status quo o una nuova
classe dirigente o gli 80 euro in più in busta paga. O semplicemente si sono
messi d’accordo per fare agli istituti di statistica lo scherzone più riuscito
della storia repubblicana.
L’imperscrutabile
elettorato italiano in questi ultimi anni è sembrato caratterizzarsi per una
decisa frattura fra chi sperava in un forte evento di rottura (fomentato da
anni di politica disastrosa e indici economici per niente positivi) e una
porzione di elettorato più disposta a seguire la narrazione politica dei media
e a correggere—se non a mantenere—il sistema senza minarne le basi. M5S o
Berlusconi o Lega o Fratelli d’Italia contro Pd e Bersani e Prodi e Monti e i professoroni.
Riducendo al
massimo, si tratterebbe di una contrapposizione—anche a livello europeo, dove
ha raggiunto vette parossistiche in Francia e UK—fra gli interpreti del
populismo e i gli Oscuri Rappresentanti della Casta Politica, due istanze delle
quali il premier è stato interprete allo stesso tempo: c’è il Renzi che tuona
contro l’Europa che lascia morire i bambini, quello della corsa perenne e la
rottamazione a più livelli, e quello che si è fatto garante nei confronti
dell’establishment e del potere in genere, che apre ai tavoli di trattativa con
tutti e non si gira dall’altra parte quando Denis Verdini gli fa il segno dei
baci con la bocca.
Nel
frattempo il Pd esulta per questo risultato, sebbene ci sia poco da festeggiare
per qualcuno che si è preso il partito, scalato Palazzo Chigi e adesso godrà di
un credito infinito per N anni, qualsiasi cosa faccia o prometta. Perché da oggi
Renzi si sentirà legittimato a offrirci in pasto una realtà apparentemente
perfetta con la stessa faccia di chi ti spaccia un viaggio a Vallo San Medardo.
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