Pensare Globale e Agire Locale

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giovedì 26 giugno 2014

LIBIA - Elezioni, caos e violenze


Seggi aperti per le Legislative. Ma la metà degli elettori disertano le urne. Il Paese è ormai ostaggio di golpisti e islamisti. Come aveva predetto il Colonnello.

L'ANALISI

Tre anni fa crollava il regime di Muammar Gheddafi e la Libia in guerra combatteva per un futuro democratico. «C'erano le bombe, ma sapevamo che sarebbero finite», raccontano a Tripoli, incerti per una pace che non è ancora arrivata.
Nell'ex Jamahiriya, il 25 giugno il popolo è stato chiamato alle urne per le seconde legislative della ricostruzione. L'affluenza, nelle prime ore, è stimata bassissima.
Un dato scontato: dei circa 3 milioni e mezzo di aventi diritto, appena 1 milione e mezzo di elettori si sono registrati, quasi la metà dei 2,7 milioni di libici che andarono a votare due anni fa.
PREMIER SOTTO ASSEDIO. Ora sanno che l'ultimo dei premier ad interim, Ahmed Maetig, è stato dichiarato illegittimo dalla Corte suprema libica, per una elezione in parlamento giudicata incostituzionale.
In carica è tornato, obtorto collo, il dimissionario Abdullah Theney, premier per meno di un mese dopo un attacco armato alla sua famiglia. Prima di lui, anche Ali Zeidan, a marzo, aveva gettato la spugna, dopo il sequestro con un tentato golpe e la sfiducia per il furto della petroliera Morning Glory.
PARLAMENTO ASSALTATO. Se i governi vacillano, il parlamento non naviga in acque più sicure. Per ragioni di sicurezza, i premier vivono in hotel blindati e, dopo un assalto armato, anche il Congresso di Tripoli è stato costretto a trasferirsi nell'albergo Waddan, nel centro della Capitale.
La prossima legislatura lavorerà a Bengasi. Il trasferimento dell'esecutivo era stato deciso dal Congresso, dominato da blocchi parlamentari controllati da milizie armate rivali. Nella votazione, evidentemente, hanno prevalso gli islamisti, particolarmente forti nel capoluogo della Cirenaica.

Offensiva di laici e riciclati contro gli islamisti dell'Est: coprifuoco a Bengasi


Bengasi, dove l'11 settembre 2012 un commando islamista assaltò il consolato Usa uccidendo l'ambasciatore Christopher Stevens, la notte vige il coprifuoco.
La nuova Camera dei rappresentanti, che sostituirà l'attuale Congresso eletto nel luglio 2012, avrà sede nell'hotel Tibesti e sarà composta da 200 seggi, 32 dei quali riservati alle donne. I primi risultati del voto sono attesi per il 27 giugno, ma i definitivi non saranno confermati prima di metà luglio.
GOLPISTI CONTRO ISLAMISTI. Tra i cittadini prevale il disorientamento per le turbolenze continue.
Nella lunga transizione, la crisi economica e l'allarme sicurezza anziché attenuarsi si sono acuiti. Il Paese, privo di un apparato statale, è conteso tra le forze golpiste dell'ex generale Khalifa Haftar, appoggiato dall'ala laica dei ribelli, e l'opposizione musulmana salita al potere con la caduta del raìs, ma osteggiata e sulla via della radicalizzazione, come in Egitto.
In uno dei suoi ultimi discorsi pubblici, Gheddafi aveva ammonito: «Dopo di me, torneranno i terroristi islamici». Come in Siria e in Iraq, i jihadisti si stanno impossessando della Libia. Ma sotto le insegne del capitano Haftar, sono tornati allo scoperto anche i riciclati gheddafiani, mai del tutto sconfitti durante la rivoluzione.
LE MINORANZE BOICOTTANO. Nell'Est dilaniato dagli attacchi, le milizie di Haftar sono impegnate in un'offensiva contro gli estremisti islamici. I morti sono centinaia, senza contare le vittime di scontri, sequestri ed esecuzioni quotidiane.
In pochi, tra gli elettori, sperano che con il nuovo parlamento cambi qualcosa. Le minoranze che, rovesciata la Jamahiriya libica, confidavano nell'avvento della democrazia, non sono andate a votare.
Berberi, tuareg e tobu, che pure avevano combattuto in parte contro Gheddafi, hanno boicottato le elezioni perché «non abbastanza rappresentati» nel nuovo parlamento. Nelle zone controllate da queste tribù non è stato possibile neanche votare.

Partiti armati in lotta fratricida. Si spera in una coalizione d'emergenza


A Bengasi, seconda città del Paese, è allarme sicurezza: 182 seggi a rischio sono stati posti sotto il controllo delle forze militari e, per recarsi alle urne, sono state distribuite mappe con percorsi sicuri e check-point. I pochi cittadini in strada si dicono stanchi di «tutto questo».
Con l'escalation degli ultimi mesi, alcuni Paesi stranieri hanno chiuso ambasciate e consolati, e ritirato il loro personale.
IL NODO DEL PETROLIO. Nell'Est in guerra, cuore delle raffinerie, il blocco della produzione del petrolio messo in atto dalle milizie separatiste ha fatto crollare l'export di greggio dagli 1,4 milioni di barili di inizio 2013 ai 200 mila barili esportati quotidianamente nel giugno scorso, per un danno economico, in un anno, di circa 30 miliardi di dollari per il Paese. Nella Cirenaica, le multinazionali straniere che non si sono potute trasferire sono presidiate a vista.
IPOTESI ESECUTIVO DI UNITÀ NAZIONALE. La speranza è che, come in Iraq, i nuovi gruppi parlamentari formino un governo di unità nazionale, per «calmare il Paese». Ma nella selva dei 1.628 candidati, i nomi forti sono sempre i soliti, e sono in lotta fratricida da mesi.
Nel 2012, con il 48% riuscì a imporsi l'Alleanza delle forze nazionaliste (Nfa). La coalizione «liberale e democratica», che si batteva per un «islam moderato», comprendeva 58 partiti e oltre 500 tra ong e indipendenti.
Due anni dopo, il quadro appare più frammentato. L'impressione è che, in generale, il radicalismo islamico abbia preso forza. Per effetto di faide e patti tra clan, diversi aderenti del blocco potrebbero essere confluiti tra i partiti islamisti che, con i capofila moderati del Partito per la Giustizia e la ricostruzione della Fratellanza musulmana, non riuscirono a superare il 10% dei consensi.
REGGE LA COSTITUENTE. A differenza che in Egitto, i riciclati golpisti non sono ancora abbastanza forti da imporre una nuova dittatura. Ma, come al Cairo, raccolgono il sostegno dell'opposizione laica.
Forte dell'appoggio di unità dell'esercito e dell'aeronautica, per la giornata del voto Haftar ha concordato il cessate il fuoco. Ma, nonostante tutti i 1.601 seggi siano difesi da almeno 15 poliziotti l'uno, a Sud, nella città di Sebha, un candidato è stato assassinato in un agguato.
C'è la povertà, ci sono le armi e dilaga la violenza. Ma non tutto è perduto: dal 20 febbraio 2014 è al lavoro una Costituente, democraticamente eletta.
( Barbara Ciolli)

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