Le ultime 48 ore della politica italiana in pillole
1)
INTIMIDAZIONE AI MAGISTRATI. Il
pacchetto anti-corruzione è annunciato per oggi, ma il ministro Andrea Orlando,
seppur sollecitato da Legambiente, Libera e dal Procuratore Nazionale Antmafia
Roberti, mercoledì durante la presentazione del Rapporto Ecomafia 2014 ha
accuratamente evitato di pronunciare le magiche parole "riforma della
prescrizione".In attesa che il governo scopra le proprie carte, l'unica
cosa che il Parlamento è stato in grado di votare è un avvertimento nei
confronti dei magistrati. La chiamano responsabilità civile, peccato che
questa fattispecie esista dal lontano 1988 (legge
Vassalli). Quello che
alcuni deputati PD hanno votato assieme al centrodestra (Cinque Stelle astenuti
perché volevano smascherare i Democratici, complimenti) è la responsabilità
diretta: l'emendamento Pini introduce una variante che non ha eguali nelle
altre democrazie occidentali.
Oggi chi è
stato colpito da 'malagiustizia' per 'dolo' o 'colpa grave' può già chiedere un
risarcimento allo Stato, il quale a sua volta può rivalersi in un secondo
momento sul singolo magistrato. La variante Pini introduce invece la
responsabilità diretta, aggiungendo al 'dolo' o alla 'colpa grave' la "manifesta
violazione del diritto". E' una norma che ci viene chiesta
dall'Europa? Bugia, anche
perché in Europa una forma simile esiste solo in Spagna. Il perché sia folle è evidente: si tratta di una
intimidazione nei confronti di quei magistrati che indagano sui potenti
(politici o imprenditori non fa differenza), una spada di Damocle sulla testa
di chi si imbatterà nell'affaire Mose di turno. Si aspettino ritorsioni e cause
decennali. In casa PD si promette che nel passaggio in Senato, dove il
partito non ha la maggioranza assoluta, si porrà rimedio. Intanto sarebbe
interessante scoprire i nomi degli oltre trenta franchi tiratori che hanno
fatto passare la norma, ovviamente con voto segreto. 214 i deputati piddini
presenti al momento del voto, i 'no' all'emendamento Pini sono stati appena
180. La matematica non è un'opinione.
2) IL NUOVO
UNTO DAL SIGNORE. Purtroppo
per Renzi quel 40.8% ottenuto alle Europee non ha cambiato i numeri del Senato.
C'è una pattuglia di senatori che si ostina a chiamare la sua riforma di
Palazzo Madama per nome e cognome, che suona più o meno come il giudizio di
Fantozzi sulla corazzata Potemkin. E allora il PD di Renzi decide che questi
ostacoli vanno eliminati, sostituiti con qualcuno di più malleabile. E se
osi far presente che è un tantinello incoerente accusare Grillo di eliminare i
dissidenti e poi fare altrettanto, ti becchi una ramanzina alla Berlusconi:
"Non possono permettersi di mettere in discussione il volere di 12 milioni
di elettori e non possono bloccare le riforme che hanno chiesto gli
italiani" dice il fidatissimo renziano e sottosegretario Lotti. Questo
referendum consultivo deve essersi tenuto all'oscuro dei media, convinti anche
da Renzi ("il voto per le Europee non è un referendum sul governo")
che il 25 maggio si eleggessero solo i nuovi europarlamentari. Invece no,
quegli 11.2 milioni di voti al PD (non 12) significavano sì al patto del
Nazareno con il pregiudicato Berlusconi e sì al Senato inutile, nuovo
parcheggio per consiglieri regionali che, come lo scandalo rimborsi ha
dimostrato, rappresentano alla grande gli enti locali.
3) CALCI NEL
SEDERE. "Calci nel sedere",
"Daspo" e "alto tradimento" per i corrotti. Così parlava il
nuovo Unto del Signore la scorsa settimana. Oggi Giorgio Orsoni, il
sindaco di Venezia finito ai domiciliari per il MOSE, è libero e come se niente
fosse torna a occupare la poltrona di primo cittadino. Dopo appena 10 giorni ha
chiesto il patteggiamento: 4 mesi per finanziamento illecito. Perché un
innocente dovrebbe farlo, e in tempi così rapidi? Per l'innocente, che non
ha nessuna intenzione di dimettersi, cosa arriverà prima: i calci nel
sedere, il DASPO o il ritiro dell'appoggio PD alla sua giunta?
4)
PRESIDENTE A ORE. Re Giorgio,
non pago di essere l'unico Presidente della Repubblica rieletto, ci informa
appena può che il suo incarico è 'a tempo', ma prima c'è da fare
l'imprescindibile riforma della Costituzione. Repubblica ricostruisce
un simpatico siparietto, non ancora smentito: Napolitano vorrebbe lasciare
il Quirinale a fine anno, dopo la conclusione del semestre europeo di
presidenza italiana, ma Renzi vuole che resti fino all'apertura dell'Expo
(maggio 2015), magari in tempo per vedere approvate le agognate riforme. Ecco,
aspettiamo che l'Unto e il Re smentiscano o spieghino a che titolo stiano
contrattando il mandato del 'garante' di quella Costituzione che guarda caso
entrambi vogliono cambiare.
In
conclusione abbiamo un Parlamento che anziché legiferare contro i corrotti, fa
intimidazione nei confronti dei magistrati che fanno venire a galla la
corruzione. Un partito di maggioranza relativa che fa fuori le voci contrarie
al nuovo Unto e che, dopo aver consentito l'iscrizione al partito del
pluripregiudicato Greganti (salvo poi sospenderlo dopo il nuovo arresto),
chissà se farà cadere la giunta di Venezia guidata dal 'patteggiante' Orsoni.
Dulcis in fundo, un Presidente della Repubblica che minaccia le dimissioni dal
giorno in cui, nel discorso di insediamento bis, dettò l'agenda ai futuri
governi. Ma viene convinto dal Presidente del Consiglio ad aspettare un altro
po'. In effetti perché conservare questa Costituzione? Siamo già 'oltre'.
(Claudio Forleo)
(Claudio Forleo)
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