Pensare Globale e Agire Locale

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martedì 9 aprile 2013

ITALIA - La strategia di Barca, più blairiano di Renzi


Il ministro parafrasa politicamente Blair e promette di entrare in politica non per cambiare il paese ma per cambiare un partito, il Pd

«I didn’t come into politics to change the Labour Party.
I came into politics to change the country». Citazione facile, lo so: è Tony Blair. Quello che Fabrizio Barca ha evocato, senza nominarlo, domenica pomeriggio dalla Annunziata, parlando di come vorrebbe vedere il Pd incamminarsi lungo una specie di Terza via – non tra stato e mercato, ma tra grillismo e tecnocrazia. Una Terza via intra-partitica.
Barca cioè parafrasa politicamente Blair e promette di entrare in politica non per cambiare il paese ma per cambiare un partito, il Pd. Idea entusiasmante, per gli apparati. Barca, che parla abbastanza slang sociologico-smanettone, l’ha chiamata «mobilitazione cognitiva». Ed uno se la vede già stampata sulla t-shirt. Il concetto è: spalancare il partito a nuovi interlocutori. Servono infusioni di know-how, soluzioni innovative ai bisogni che spesso sono vecchi, cioè quelli di sempre solo diversamente declinati. Al Pd – è l’assunto – si ascoltano sindacati e Confindustria e si crede di avere all you need to know about la geopolitica sociale.
E invece no – dice Barca –: no tecnocrazia, no assemblearismo liquido, ma democrazia mediata da un partito-gatekeeper che apra i cancelli a chi ha cose da dire, idee da proporre e disegni di policy concreti. A costoro, il partito che ha mente Barca, si offre come produttore esecutivo. Il partito filtra, elabora e trasmette “il prodotto politico” suggerito dalle parti e/o dai territori ai terminali amministrativi e di governo, cioè allo stato. Che quindi rimane lì, lo stato, nel disegno di Barca: forte, autorevole e per nulla ridimensionato. Più efficiente, meno arrogante, meno ottuso, meglio mediato ma sempre tanto. La «mobilitazione cognitiva» è quindi un metodo di rilevamento dei bisogni e di cattura delle suggestioni politicamente fertili che possono venire da un ascolto che si fa interlocuzione diretta quando, dall’altra parte del tavolo, non c’è un ricercatore sociale ma un dirigente di partito.
Qui la differenza tra i focus group di Philip Gould, il ricercatore sociale di Blair, e i brainstorming che il Fabrizio Barca aspirante dirigente di un partito attualmente ostile al governo Monti mutua dal ministro Barca orgoglioso esponente di quel medesimo governo. La preoccupazione comune ai due sembra il ruolo dello stato, più che la sua dimensione. Il peso politico di singole persone, più che quello della partitocrazia nella sua polimorfa materializzazione. La destinazione della sua Terza via quindi non è meno politica nell’economia ma meno discrezionalità, meno velleitarismo; più costituency, ma meno lobbisticamente pesanti, per liberarsi dall’ormai conservativa ai limiti del masochismo sociale pressione dell’azionista di maggioranza: il sindacato, cioè i pensionati organizzati e i lavoratori in via di estinzione.
Una roba, questa di Barca, abbastanza abissalmente alternativa all’idea “presidenziale” che della funzione politica ha Matteo Renzi. Uno, per Barca, aderisce a un partito perché chiamato ad onorare in qualche modo le proprie convinzioni di fondo. La politica-missione abbracciata per contribuire a realizzare una data idea di bene comune. Barca lo chiama “sentiment”, ma mi pare un termine fuorviante, se non improprio. Per Renzi è decisamente una questione più razionale, più “laica”. Le persone giuste al posto giusto nel momento giusto.
Entrambi, Barca e Renzi, hanno a cuore il decision-making pubblico – come renderlo efficiente, prima ancora che diffuso. Per Barca la chiave è il partito con la leadership attorno; per Renzi la leadership con il partito sotto. Più o meno. Filologicamente ragionando, Barca è più blairiano di Renzi, nel senso che ha in mente un’operazione passo passo speculare a quella a suo tempo fatta nel New Labour – spingere il rinnovamento interno, in parte già avviato dai predecessori, capitalizzandone al massimo i benefici liberatori per conquistare a sé un composito puzzle di monadi produttive. Blair, in fondo, nel partito non c’è entrato, né ha acquistato peso, da rottamatore. Da riformatore, semmai. Come Barca, appunto.
Strategia collaudata, quindi. Forse persino efficace, per il Pd, allo stato in cui si trova. Solo che è la strategia che fu del New Labour 20 anni fa. Potrà funzionare per cambiare il partito. Non potrà bastare per cambiare il paese.
Claudio Bellavita

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