Salvata dalla lapidazione, la ragazza tunisina
condannata da una fatwa per essersi arruolata nelle "Femen" è stata
rinchiusa in un ospedale dove si usa l'elettroshock. Accade in quella Tunisia
della rivoluzione dei gelsomini.
Ricordate
la storia di Amina Tyler, la studentessa tunisina vittima di una fatwa per essersi
arruolata nel movimento delle "Femen"? I predicatori musulmani
avevano invocato la lapidazione per blasfemia dopo che si era mostrata a seno
nudo rivendicando la proprietà del proprio corpo. Per giorni di lei non si è
saputo nulla. Ora sappiamo dov'è grazie alle informazioni che ci sono giunte
confidenzialmente da Tunisi. Questo è il messaggio: «Amina internata
nell'ospedale psichiatrico Razi Mannouba della capitale. Non c'è più il
pericolo della lapidazione, ma è stata dichiarata pazza per il gesto inconsulto
fatto in Paese islamico. Da paura il metodo che ad oggi adottano: elettro
shock. Molti entrano per nulla ed escono folli per la vita. Un medico mio amico
sta tentando di saperne di più ma è molto difficile. Peccato davvero. Se ci
sono novità, ti faccio sapere».
Sembra
che sia stata la stessa famiglia della ragazza, che ha solo diciannove anni, a
consegnarla alla polizia. Scongiurato il rischio della morte, l'attende ora un
destino forse ancora peggiore: diventare pazza. E' la legge scellerata di tutti
i regimi. Gli oppositori o comunque i nemici si uccidono oppure si dichiarano
folli perché secondo la perversa tesi dell'estremismo da sana non avrebbe mai
potuto commettere un atto simile. Sicuramente, più che per la foto, la condanna
è arrivata per quello che ha postato su Facebook: «Il mio corpo mi appartiene e
non è di nessuno» scritto in arabo sul suo corpo nudo.
Del
resto gli Imam salafiti al termine di un processo religioso che in un Paese
dove vige la sharia ha tutti i connotati anche legali avevano chiesto
nell'ordine: la quarantena (trattandosi a loro dire di una malattia che
potrebbe divenire epidemia e quindi potenzialmente coinvolgere altre ragazze),
la fustigazione (dieci frustate alla schiena, magari in pubblico, per dare
l'esempio) e infine la lapidazione: "finché morte non sopraggiunga".
Già, una malattia. Il morbo della libertà: pericolosissimo.
Pino Scaccia
Pino Scaccia
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