Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


mercoledì 24 aprile 2013

ITALIA - Generazione "Non so"


Al futuro non ci pensano, il presente non li soddisfa e il passato lo ignorano. La politica è  ‘ladrona’ e votano Grillo in segno di protesta, ma contro chi o cosa non riescono a dirlo. Un viaggio nell'universo dei ventenni romani, tra piazze e locali vissuti come conglomerati di un vuoto culturale

di Gaetano Massimo Macrì

“Nun saccio”, direbbe in uno stentato italiano un omertoso mafioso. Ebbene anche i ventenni italiani, nonostante la mole di notizie e di informazioni che gli gira intorno, sembrano non sapere e non vedere. Non si accorgono di nulla. Il fatto è che la loro non è omertà. Utilizzano il ‘non sapere’ perché davvero questo soltanto conoscono: un fico secco. Ragazzi diversissimi dai loro genitori che, ‘ai tempi’, almeno un quotidiano lo leggevano, una discussione la sapevano intavolare e difficilmente avrebbero fornito un “non so” come risposta a molteplici questioni. Sono numerosi gli studi che in questi anni hanno fotografato i comportamenti giovanili, da cui emerge un immiserimento generale, che colpisce le fondamenta delle loro scelte nella vita quotidiana.
Soltanto scorgendo alcuni dati Istat, si può apprendere che 300 mila giovani (spesso ancora minorenni) soffrono di ‘drunkanoressia’, ovvero bevono superalcolici a stomaco vuoto, in sostituzione delle calorie del cibo. È in aumento anche la percentuale di ragazzi che bevono fuori pasto. Sempre da fonte Istat emerge che la lettura non è in cima ai loro pensieri. Poco più della metà del campione intervistato, tra i 20 e i 25 anni, ha letto almeno un libro nell’ultimo periodo. Che dire poi dei giovani ‘neet’, ovvero coloro che non lavorano e non studiano, che costituiscono il 22,7 per cento della popolazione tra i 15 ed i 29 anni? Insomma, il quadro non è dei più rassicuranti. I ragazzi, se avessero un briciolo di consapevolezza, dovrebbero rimboccarsi le maniche, controbattere, provare a ribaltare la situazione. Invece è calma piatta. Una flebile scossa sembrerebbe averla generata il movimento 5 stelle. Il fenomeno Grillo ha sicuramente ‘pescato’ voti in questa fascia della società. L’Istituto di ricerca Tecnè ha svolto un’indagine sul recente voto delle politiche, da cui è emerso che il 47.2% tra i 18 e i 24 anni ha espresso il voto in favore dell’ m5s. Sul blog del comico genovese si legge anche chiaramente: “In Italia ci sono due blocchi sociali. Il primo, che chiameremo blocco A, è fatto da milioni di giovani senza un futuro, con un lavoro precario o disoccupati, spesso laureati, che sentono di vivere sotto una cappa, sotto un cielo plumbeo come quello di Venere. Questi ragazzi cercano una via di uscita, vogliono diventare loro stessi istituzioni, rovesciare il tavolo, costruire una nuova Italia sulle macerie”. Può darsi che l’analisi abbia un fondo di verità. Tuttavia alcune impressioni che abbiamo avuto interrogando i ragazzi ci lasciano qualche dubbio. Si crogiolano troppo, tra bevute spesso ‘consistenti’ e quattro chiacchiere al bar o nelle piazze di ritrovo, luoghi un tempo simbolo di aperte e accese discussioni, dove non infrequentemente hanno avuto origine movimenti di pensiero o idee rivoluzionarie o dove semplicemente sono circolate  opinioni che hanno costituito una massa critica, quella che oggi è assente, o, quando c’è, è troppo relegata ad ambienti estremisti, dunque appare viziata in partenza.
È verosimile che una frattura generazionale si stia consumando sotto i nostri occhi, con migliaia di giovani che ormai hanno rinunciato ai loro sogni e vivono privi di punti di riferimento. Ogni certezza sembra crollata, figuriamoci, in queste condizioni, se possono trovare uno spazio agevole altri interessi culturali. La percezione del tempo perduto sembra un’ombra latente che li segue mestamente ovunque, senza manifestarsi appieno. I sacrifici sono percepiti come un inutile esercizio di stupidità. “Tanto c’è sempre qualcuno che ti farà le scarpe. Vedi i politici come mangiano?” Figli di questa cultura superficiale che non indaga, non si pone questioni né ricerca soluzioni ai problemi, preferiscono non pensare, ma solo ‘gustare’ i frutti inesistenti di una vita senza sforzi. Meglio ‘godersela’. Privilegiano una lettura sommaria su internet in luogo di un quotidiano. Non scelgono. Perché in fondo non  saprebbero che scelta compiere, perché passa il messaggio “tanto sono tutti uguali”. Meglio se c’è qualcuno a sceglie per loro. Uno come Grillo, per esempio. Uno ‘intuitivo’, diretto, immediato. Uno che le votazioni “le fa veloci, gratuite, sulla rete”. Uno che parla di democrazia diretta, come se l’altra, quella indiretta, fosse antidemocratica.
Il mio viaggio nei luoghi frequentati dai giovani romani prende il via da queste premesse, perché vogliamo provare a capire cosa pensano, di quali argomenti discutono e come trascorrono il tempo questi ragazzi. Se sono veramente senza speranza o se un barlume della stessa può essere intravisto. Una mini inchiesta che, pur non assumendo la pretesa di una indagine scientifica, è stata compiuta senza preconcetti, allo scopo di aprire una finestra su uno spaccato della società che rappresenta il futuro del Paese.
Tutto ha inizio una sera, in un rione del centro amato dalla ‘movida’ capitolina. Riesco a intavolare subito una conversazione con uno dei tanti gruppetti di ragazzi dentro un noto locale di Trastevere. Qualcuno la sposta subito sul politico, per cui chiedo: “Chi vorresti come presidente della Repubblica?”. Il “Non so” impera. “Non avete curiosità o interesse sulla vicenda? Il Presidente è una figura importante, lo sapete?”. Qualcuno azzarda un discorso. Dice Andrea, 24 anni, commesso di un negozio di tendaggi nella periferia est di Roma: “So che devono eleggerlo. Ma non saprei darti un nome mio. Uno vale l’altro, alla fine”. “Non è vero, tanti ‘rùbbeno’ (a Roma si dice proprio così). Serve uno apposto, ecco. Uno de noi”, puntualizza Mariarita, 19 anni, estetista al tuscolano. Le sopracciglia disegnate fanno il paio con le unghie rifatte, l’effetto è zebrato. Insisto: “Cosa vuol dire uno di noi? Il Capo dello Stato non è un marziano. Anzi, rappresenta tutti, garantisce ognuno di voi”. “Si, ma che vuol dire questo? Io non mi sento rappresentato da uno che non conosco”. La protesta è di Antonio, che ha ascoltato la conversazione da un tavolo vicino e ha deciso di aggregarsi.
Chiacchierando, scopro che Antonio è un laureato in Scienze Politiche, viene da Milano, è a Roma per un corso di cucina regalatogli dalla madre, divorziata, che vive nella Capitale. Per un po’ Antonio sembra tenere banco con gli altri ragazzi. Esce fuori che lui ha votato per Grillo. E sul movimento ‘pentastellato’ la confusione iniziale sembra placarsi.
Su questo punto sono tutti d’accordo. Anche se “a me non sta simpatico, però almeno è uno che sta rompendo le scatole a quegli altri” (i soliti ‘ladri’, deduco).
Senza volerlo ho innescato una miccia, da cui si è generato un confronto che, francamente, non mi aspettavo. Lascio il gruppetto a discutere animosamente e mi sposto nella vicina piazza Trilussa. Non è gremita di gente, ma sugli scalini della Fontana dell’Acqua Paola, siede un discreto numero di ragazzi. Tento un approccio, sperando di incuriosirli: chiedo se sono al corrente che la fontana alle loro spalle, un tempo era ubicata nella vicina via Giulia, ma dall’altra parte del Tevere. Mi guardano sbigottiti. Romolo – il nome tradisce le sue origini trasteverine  – 19 anni tra una settimana, non aveva mai sentito questa storia. Nemmeno dal nonno, che pure di fatti gliene raccontava tanti. Dato che ho destato un po’ di curiosità continuo sulla stessa strada e provo a illustrare la vicenda della fontana seicentesca, voluta da papa Paolo V Borghese, smontata nell’ottocento per la costruzione degli argini del Tevere e quindi ricollocata sulla riva opposta. La meraviglia cresce. A dimostrazione di quanto ho raccontato, indico alcune iscrizioni aggiunte a ricordo della ricostruzione. Speravo di essermi conquistato la loro attenzione, invece, dopo una miscela di espressioni cui danno vita nel medesimo istante in cui ho terminato la mia ‘lezione’, a bocca aperta, esterrefatti, divertiti, si alzano per andare a prendere “un altro mojito”. Non riesco a collegare il nesso tra l’attimo di attenzione regalatomi poco prima e la faciloneria con cui si stanno per sbarazzare di me. Di fronte a questa incostanza, mi chiedo cosa facciano nella vita, a cosa si interessino veramente questi ragazzi. Mi incammino insieme a loro e la cosa no sembra infastidirli. Camminiamo e chiaccheriamo fino al vicino locale, fino al prossimo drink. “È il secondo, del resto cosa vuoi fare qui?” sottolinea Valeriano, 21 anni, manifestando un disagio che, come ci confermano gli altri amici, è abbastanza comune. “Veniamo qui, di solito, quasi tutte le sere, beviamo uno, due cocktails, anche di più nel fine settimana. Passiamo il tempo”. La domanda mi sorge spontanea: “Si, va bene, ma non lo trovate noioso?”, “Si, ma sarebbe più noioso stare a casa”. Provo a stuzzicare qualche intelligenza: “Vivete nella Capitale. Ci sono decine di eventi culturali. Musei da visitare, mostre…”. Questa volta le espressioni facciali tradiscono disinteresse. “Si, è vero, ma alla fine con chi ci vado? Nessuno mi seguirebbe a una mostra”. Chiara, 22 anni, mentre si regala l’ennesimo sorso, racconta di esserci stata, una volta, a un museo. “Quello etrusco, di Villa Giulia. Bello, molto interessante”. E poi? E poi nulla. Curiosità di vederne altri? “Boh, non saprei. Vedremo, penso di si”. Non capisco e ribatto: “Prima, durante il racconto della fontana, avete dimostrato interesse. Vuol dire che qualcosa potreste voler scoprire di questa città, no?”. Luciano sorride, declamandoci quello che, lentamente, sembrerà sempre di più l’unico credo di questa gioventù: “Si, va beh, che c’entra. Tu hai raccontato bene. A parte che era interessante, ma tu l’hai posta proprio bene. Ci hai ‘rapiti’ per un istante. Ma appunto, un istante. Di passaggio. Così non ti scoccia. Anzi, sarebbe bello se fosse sempre così, sai quanto imparerebbe la gente?”. “Sembravi Grillo!”.
Ne approfitto immediatamente per domandare al gruppo: “Vi piace Grillo?”. A questa domanda le risposte variano da un “Sì, molto. Credo in tutto quello che dice. Ce ne vorrebbero altri come lui”, a un “Sì, abbastanza, anche se non l’ho votato, mi piacciono le idee che porta avanti e soprattutto come le esprime”. Cerco di saperne di più:“Cosa intendi? Come si esprime Grillo, cos’ha di diverso dagli altri?”. “È un innovatore. Vedi come fa votare la gente su internet. Senza sprechi di soldi e di tempo”.
Decido di incalzarli:“Voi preferireste un sistema di voto elettronico sempre e comunque?”
L’insieme di risposte è sconcertante. Perché da una parte non hanno alcun dubbio: “Grillo non è difficile da capire. Dice cose quasi banali, per quanto sono semplici”. Ma dall’altra emerge chiaramente che la democrazia diretta di cui il comico parla spesso è interpretata da molti di questi ragazzi come la sola unica vera forma di democrazia. I partiti politici sono invece visti come quelli che hanno affossato quel sistema ‘ateniese’, diretto, che per ovvi motivi di numero, funzionava bene ‘direttamente’, senza il necessario ricorso alla rappresentanza. Un concetto che cerco di far passare attraverso il racconto di un pezzetto di storia antica (lezione che questi ragazzi dicono di non aver mai ricevuto a scuola, fingono di non ricordarlo o accusano di non aver avuto buoni maestri). Ma in ogni caso la replica è secca: “C’è poco da riflettere e ricordare quello che  studiamo a scuola. Grillo ha ragione”. E la conversazione diventa fastidiosa: “Perché non parlate tra di voi di queste cose come state facendo ora?”, “Perché quando usciamo vogliamo solo svagarci”.
Non capisco e chiedo: “Svagarvi da cosa? Avete stress così grandi?”
“Anche il non fare nulla, il non pensare molto, stressa”, dice qualcuno, col sorriso. Ma la verità viene subito dopo:“La polita è complicata”, “Il movimento 5 stelle è diverso. Fatto di gente come noi. Quello lo capiamo meglio”. Provo a farli dubitare: “Avete mai pensato che anche Grillo vi stia sfruttando? Che le sue idee siano messe là apposta per pescare consensi? In altre parole: riflettete con la vostra testa?”.
Rispondono in coro: “Certo”, “Si”, “Ovvio che pensiamo da soli”. E allora ripeto: “Quindi perché siete d’accordo con Grillo?” Ma le risposte tornano vaghe e allora approfondisco: “Per il sistema? La corruzione? Vi prego, mi fate un esempio?” Silenzio. No, ecco che ci provano: “Fiorito”. Provo per un’altra strada: “Conoscete Stefano Rodotà? Se seguite Grillo, dovreste sapere di chi sto parlando?” La risposta è sconcertante: “Ma noi non seguiamo Grillo. Non lo seguiamo, ma ci piace per quello che dice e che fa”. Decido di spostarmi nella vicina Campo de’ Fiori dove, sotto la statua di Giordano Bruno, un folto ‘melting pot’ di italiani e americani si stringe al suono di ‘cin’ con bottiglie di birra. Anche qui molti i ragazzi che intervistati dichiarano di non essere interessati molto alla politica e ai problemi che li dovrebbero riguardare. Chi non lavora stabilmente, chi studia e si arrangia come cameriere, chi lavora ma non è soddisfatto, tutti sembrano andare avanti per inerzia, ignorando la realtà che li circonda. Alla parola ‘Grillo’ si entusiasmano. “Sì, sì lo abbiamo votato”, “A me piaceva di più come comico, però alla fine l’ho votato, non è che ci fossero altre scelte”.
Controribatto: “Ma parlate tra di voi, vi confrontate con queste scelte? Per esempio, perché venite qui? Sapete che un tempo nelle piazze si discuteva, anche animatamente? Le idee circolavano in questo modo”. La risposta è glaciale: “Ormai lo facciamo su internet. È più veloce, più facile”. Come le ‘Quirinarie’, penso. Forse Grillo ha davvero azzeccato i tempi delle sue battute, coinvolgendo con 'la pancia' il pubblico. Questi ragazzi non hanno voglia di politica. Anche se la ritengono interessante, importante e necessaria, la vedono con occhi troppo sfiduciati. Preferiscono qualcuno che abbia pronte delle idee veloci da mettere sul piatto. Uno come Grillo, appunto.
Eccola qui la generazione ‘fast-food’, che preferisce soluzioni veloci già belle e pronte, piuttosto che ragionamenti troppo elaborati. Più che delle idee, questi giovani si accontentano di slogan. È meno faticoso. Loro preferiscono svagarsi, per stemperare il troppo stress (da cosa non si capisce).  Contano su qualcuno che pensi per loro. La coscienza critica è rimasta là, sui banchi di scuola, forse tra le pagine della storia di Atene, mai spiegata o mai capita. Tanto se glielo chiedi la risposta è sempre la stessa: “Non so”.

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