Ichino spiega a quali
condizioni i montiani voteranno con Bersani il prossimo capo dello stato
Le larghe intese, già, ma con chi? Anche ieri
pomeriggio è capitato che diversi esponenti del Pd, dovendo ragionare sul
percorso da seguire per arrivare a una candidatura condivisa del prossimo
presidente della Repubblica, hanno ripetuto ad alta voce che il profilo su cui
scommettere in vista dell’imminente rinnovo del Quirinale (18 aprile) non potrà
essere troppo legato a una parte politica ma dovrà essere frutto di una larga
intesa con il maggior numero di forze parlamentari. Già, ma in che senso? E con
quali forze? I numeri del pallottoliere dicono che il centrosinistra non è in
grado di eleggere autonomamente il prossimo presidente della Repubblica, e di
conseguenza la coalizione di Bersani sarà costretta a giocare di sponda con
almeno uno dei gruppi presenti in Parlamento. Fino a qualche giorno fa il
segretario aveva dato l’impressione di voler scommettere su un candidato utile
a sfondare il fronte dei grillini (Prodi?) ma negli ultimi giorni Bersani ha
cominciato a osservare con più attenzione una strada diversa, che per forza di
cose si allontana dall’universo grillino e si avvicina inesorabilmente
(scandalo!) al mondo del centrodestra. Il primo segnale di questo cambio di
passo si è materializzato due giorni fa a Palazzo Chigi, quando il segretario
ha discusso con Mario Monti anche di questo tema. Bersani ha incassato una
disponibilità di massima per far convergere i voti di Scelta civica (60) su
quelli del centrosinistra (490) ma ha posto un paletto: il nome deve essere
condiviso da uno schieramento ampio. In che senso? “In un momento delicato come
questo – spiega al Foglio Pietro Ichino, senatore montiano – occorre un
presidente capace di operare a garanzia della Costituzione e non di una parte
politica soltanto. In questo senso il nuovo presidente non potrà essere votato
senza che abbia alcuni requisiti: deve avere prestigio sul piano
internazionale, per rassicurare i nostri interlocutori e i nostri creditori nel
mondo, deve essere una persona non faziosa, e deve conoscere bene i segreti
della politica per svolgere in modo efficace la funzione delicata che la
Costituzione attribuisce al capo dello stato”. Ok. E i nomi? Ichino ha qualche
proposta.
“Dobbiamo
metterci in testa – continua il senatore montiano – che anche se il Quirinale è una
partita diversa da quella relativa alla costituzione del nuovo governo in
realtà è strettamente collegata con quella. E se si vuole davvero un esecutivo
in questa legislatura bisogna mettere le cose in chiaro e dire la verità”. Verità
numero uno: “Allo stato attuale un nome come Romano Prodi rischia, non per
colpa sua, di non rappresentare le ampie intese auspicate da Giorgio
Napolitano, perché Prodi è stato il leader del centrosinistra in ben due
tornate elettorali, di cui una relativamente recente, e questo è un dato
oggettivo che difficilmente può essere neutralizzato dal prestigio
internazionale e dalla non faziosità personale del Professore bolognese”.
Verità numero due: “Nomi come quelli di Giuliano Amato o come quello di Massimo
D’Alema potrebbero rappresentare una soluzione condivisa, anche se tra i due
sono convinto che sia il primo ad avere quel profilo più di garanzia”. Verità
numero tre: “Il nome di Emma Bonino è un nome oggettivamente da tenere in
considerazione perché insieme ad altri pregi avrebbe quello di rompere un
monopolio maschile ormai sempre meno sopportabile”.
A
questo ragionamento, Ichino ne aggiunge un altro utile a capire
qual è l’altra partita che si gioca attorno alla scelta del prossimo presidente
della Repubblica. E se Bersani crede che attraverso una nomina condivisa con il
centrodestra (inciucio!) sia possibile far partire un governo, Ichino ha
un’impressione diversa. “Come ormai si è visto in questa legislatura – aggiunge
– il governo difficilmente può nascere se non come ‘governo del presidente’,
cioè come frutto di un sostanziale arbitrato politico affidato al capo dello
stato. L’importanza della scelta del presidente della Repubblica è legata a una
questione di fatto: scegliere il capo dello stato oggi significa scegliere
anche il capo effettivo del prossimo esecutivo. Sarebbe curioso se il
centrosinistra non capisse che inseguire i grillini per l’elezione del nuovo
capo dello stato significa molto semplicemente anche correre il rischio di
bruciare ogni possibilità di formazione di un nuovo governo e di accordo con il
Pdl sulla riforma elettorale: col risultato di costringerci a tornare al voto
subito, con la legge attuale e senza avere neppure la possibilità, per esempio,
di tentare un realistico accordo per la riforma elettorale (il mio first best
sarebbe il modello francese, compreso il semipresidenzialismo, ma mi rendo
conto che è più realistico attestarsi su un second best possibile: il ritorno
al Mattarellum). Sarebbe dunque un duplice disastro, dal quale lo stesso
centrosinistra sono convinto che verrebbe rapidamente travolto”.
di Claudio Cerasa
– © - FOGLIO QUOTIDIANO
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