José Ignacio Torreblanca 21 dicembre 2012 EL PAIS Madrid
“Dimenticatevi del calendario Maya.
È a Berlino che Cassandra sarà smentita o avrà la sua vendetta.” Con queste
parole concludevo l’ultima rubrica dell’anno scorso. Sembrava un pronostico ma
in realtà non lo era, perché ipotizzava due finali completamente opposti. E poi
in fondo non diceva niente che già non sapessimo, perché da tempo eravamo
consapevoli che tutte le strade portavano a Berlino (con fermata obbligatoria a
Francoforte, sede della Banca centrale europea). Se recuperare quel mio
articolo ha un senso, è quello di ricordare quanto siamo stati vicini
all'abisso e capire meglio dove ci troviamo adesso.
Durante il 2011 una combinazione
letale di indecisioni, pregiudizi, mancanza di leadership, divisioni tra paesi
ed esasperante lentezza istituzionale è riuscita a trasformare una profonda
crisi economica in una crisi esistenziale che ha messo a repentaglio la
sopravvivenza dell'euro. In extremis la Banca centrale europea ha inondato il
mercato di liquidità, arginando temporaneamente i problemi senza però
risolverli definitivamente.
A novembre la cancelliera tedesca
Angela Merkel, cosciente della gravità della situazione, aveva dichiarato
pubblicamente che “se cade l'euro cade anche l'Europa”, ma le sue decisioni non
hanno convinto nessuno della sua reale volontà di elevare questa retorica fino
alle estreme conseguenze. Per questo motivo nel primo semestre di quest'anno
alcuni operatori finanziari hanno smesso di speculare sulla sopravvivenza
dell'euro e hanno fatto un ulteriore passo avanti, cominciando a prevederne il
collasso.
La percezione che i mercati
finanziari stavano cominciando a ricalibrare i debiti in euro ricorrendo alle
monete nazionali, prefigurando in questo modo il day after del crollo della
moneta unica, è stata la linea rossa di cui la Banca centrale europea aveva
bisogno per mettersi in moto e l'argomento che il governo tedesco aspettava per
vincere la resistenza di chi in Germania pensava ancora che Spagna e Italia
avrebbero dovuto cavarsela da sole o uscire dall'euro.
Con le dichiarazioni rilasciate nel
mese di giugno Mario Draghi
ha lanciato un messaggio chiaro: “farò quello che devo fare, e credetemi,
basterà”. A settembre il presidente della Banca centrale europea ha doppiato il
colpo preparando un piano di acquisto di debito, e si è guadagnato con merito
il titolo di uomo dell'anno [assegnato dal Financial Times]. Da allora
qualunque operatore finanziario che intenda speculare sul crollo dell'euro sa
che la scommessa è persa in partenza.
Come si dice spesso, però, dietro un
uomo intelligente si nasconde una donna (in disparte e sorpresa). Angela Merkel,
dopo aver trascinato i piedi per mesi e aver alimentato lo scetticismo nel suo
paese con improvvide dichiarazioni sul sud dell'Europa, ha deciso di affrontare
la Bundesbank (che aveva votato contro alcune iniziative) e ignorare i falchi
del suo partito, ostili a qualsiasi tipo di compromesso sul debito pubblico o
privato.
Da quel momento Merkel ha avallato
il salvataggio bancario della Spagna e l'intervento
della Bce per alleggerire la pressione sullo spread spagnolo e
italiano, e successivamente ha accettato di cominciare a parlare di unione
bancaria. In questo modo, tra giugno e settembre del 2012, è stato
salvato l'euro. E questa è la buona notizia dell'anno.
Di nuovo nel
bozzolo
La cattiva notizia è che nonostante
l'euro sia stato salvato insieme ai suoi costituenti – persino l'uscita di
scena della Grecia sembra ormai remota dopo mesi di speculazioni – il cammino
che resta da percorrere è ancora estremamente complicato. Come dimostra il
progetto di unione bancaria – rivisto al ribasso, rinviato e spezzettato nel
corso di vari summit – una volta sparita la grande angoscia la politica europea
è tornata quella di sempre.
E dunque sono tornate l'esasperante
lentezza, la miopia e la mancanza di coraggio politico. Oggi sappiamo tutti
cosa bisogna fare, ma è difficile spiegare come mai non lo stiamo facendo. Nel
frattempo Merkel, che per qualche giorno si era comportata da vera leader, è
tornata alla sua agenda nazionale dominata dalle prossime elezioni, come a
ricordarci che le farfalle passano la maggior parte del loro tempo come brutte
e insignificanti crisalidi, e soltanto una piccola parte meravigliandoci con il
loro volo e i loro colori.
Il 2013 sarà un anno di transizione,
dominato da due sensazioni contraddittorie: da un lato quella di essersi
lasciati alle spalle l'abisso (visibile nel rilassamento dello spread e nella
decisione del governo spagnolo di non chiedere un aiuto esterno) e dall'altro
quella che le politiche di aggiustamento continuano a non funzionare, e non ci
saranno stimoli esterni in grado di far crescere l'economia e creare posti di
lavoro. Siamo vivi, ma in mezzo al deserto e con poca acqua. (Traduzione di Andrea Sparacino)
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