John Harris 11 dicembre
2012 THE GUARDIAN Londra
Chissà che la più
importante novità politica di questo inverno non finisca col riguardare, invece
di conservatori, laburisti o lib-dem, un’organizzazione che fino a poco tempo
fa era sistematicamente emarginata e derisa come un assortimento di eccentrici
e pazzoidi.
Il Partito per
l’indipendenza del Regno Unito (Ukip) alle urne ha regolarmente ottenuto il 6-7
per cento delle preferenze, arrivando talora anche all’11, ma in è salito alla
ribalta nelle consultazioni suppletive di Rotherham di metà novembre.
Le prospettive del
partito sono state sensibilmente potenziate da un episodio di cronaca che ha
fatto molto scalpore, avvenuto quando il consiglio municipale locale ha deciso
di togliere tre bambini dalle cure dei genitori affidatari dopo aver scoperto
che erano erano iscritti all’Ukip. I bambini sono migranti dell’Europa
continentale e il direttore dei servizi all’infanzia di Rotherham ha detto di
sentire l’obbligo di tutelare le loro “esigenze culturali ed etniche”, tenuto
conto delle politiche che l’Ukip professa rispetto al multiculturalismo.
Poco tempo fa, il
parlamentare e vicepresidente del partito conservatore Michael Fabricant aveva
pubblicato un articolo intitolato “The Pact”, nel quale proponeva un accordo
elettorale tra conservatori e Ukip basato su un referendum sull’appartenenza
del Regno Unito all’Ue, offrendo un posto nel futuro governo Tory a Nigel
Farage, leader dell’Ukip.
La leadership dei
conservatori aveva convenientemente ridimensionato tale ipotesi, ma l’idea di
fondo è stata decisamente rivelatrice: l’ascesa dell’Ukip sta innervosendo i
Tory, e a ragion veduta. L’Ukip conta già 12 parlamentari europei mentre alla
camera dei lord ci sono altri tre membri di Ukip ed ex-Tory. Il partito al
momento ha 158 suoi iscritti in servizio in vari consigli, anche se si tratta
di consigli municipali o parrocchiali, ma il loro numero è in costante aumento
per le frequenti ribellioni dei conservatori.
Fanno parte di un
sedicente “partito libertario non razzista, che auspica l’uscita del Regno
Unito dall’Ue”, la cui ideologia si regge sull’assunto che perfino i
conservatori “ormai sono socialdemocratici”, e che i partiti più importanti
“non offrono all’elettorato una vera scelta”.
Oltre all’uscita
dall’Europa, le altre posizioni e politiche dell’Ukip paiono concepite di
proposito per demolire ciò che resta dell’agenda di “modernizzazione” che
Cameron e i suoi sostenitori hanno inserito nella politica moderna dei Tory.
Tra i più rilevanti di tali punti vi sono il concetto secondo cui il
cambiamento del clima non è dimostrato e “l’energia eolica è inutile”, il
principio per cui dovrebbero esserci “tagli consistenti agli aiuti esteri” (da
sostituire, a quanto sembra, con “il libero commercio”). Se poi ne avesse la
minima possibilità, l’Ukip avrebbe intenzione di congelare per cinque anni
anche “l’immigrazione permanente”.
La tendenza
prevalente all’interno del partito è a favore di un governo limitato che tagli
le spese, pur mantenendo le armi nucleari britanniche, e “facendo dell’aumento
delle spese per la difesa una chiara priorità”. L’Ukip si oppone al matrimonio
tra gay (anche se tollera le unioni civili) e al divieto di fumo in “apposite
sale di locali pubblici, club e alberghi”. I più radicali nel partito credono
anche in una tariffa forfettaria del prelievo fiscale, idea che ha già avuto
successo in Serbia, Ucraina, Slovacchia, Georgia e Romania.
Nel 2006 Cameron li
aveva chiamati un partito di “eccentrici, pazzoidi e mezzo razzisti”, e ogni
tanto si è avuta notizia di membri dell’Ukip che intrattenevano rapporti con
l’estrema destra. Al Parlamento europeo i loro rappresentanti fanno parte di un
gruppo denominato Europa della libertà e della democrazia, che comprende anche
la Lega Nord italiana, il partito lituano Ordine e giustizia e un movimento
greco chiamato Unione popolare ortodossa.
Per quale motivo
all’improvviso il supporto del partito è cresciuto in maniera esponenziale?
Secondo John Curtice, professore di politica all’University di Strathclyde, la
risposta è inevitabilmente legata a due istituzioni che hanno vissuto entrambe
un difficile 2012: l’Unione europea e il partito conservatore britannico. “La
risposta più semplice è che l’opinione pubblica sta diventando molto più
euroscettica” dice. “Non è chiaro tuttavia se sia più euroscettica rispetto alla
fine degli anni 70 e ai primi 80. In secondo luogo, ci sono moltissime persone
che di norma appoggiano i Tory, ma non sono del tutto sicure che Cameron abbia
capito come stanno le cose. Hanno perso fiducia nei conservatori. E sei un
elettore di centrodestra, a chi ti altri ti puoi rivolgere?”
Terremoto
politico
Nel 1991 uno storico
e accademico della London School of Economics di nome Alan Sked diede vita alla
Lega antifederalista, un gruppo partitico che si opponeva al trattato di
Maastricht, l’accordo che ufficializzò la configurazione di quella che ormai è
l’Unione europea odierna. Due anni dopo quel gruppo si trasformò nel Partito
per l’indipendenza del Regno Unito.
Nel 1999 l’Ukip
riuscì a far eleggere i suoi primi tre parlamentari europei. Cinque anni dopo
raggiunse il punto di svolta con l’elezione di dodici europarlamentari. Nigel
Farage, mediatore commerciale ed ex conservatore, nel settembre 2006 divenne
leader dell’Ukip per poi dimettersi tre anni dopo. Nel novembre 2010 è tornato
alla guida del partito, di cui incarna a tutti gli effetti l’ideologia.
Paul Nuttall, 35
anni, è un ex studioso di Liverpool, europarlamentare e vicepresidente del
partito. Secondo lui l’aumento di popolarità dell’Ukip dipende dall’“aver
dimostrato di avere ragione su tutto ciò che ha a che vedere con l’Unione
europea” e alla campagna contro “l’immigrazione incontrollata di massa”.
Nuttall ricorda che nelle elezioni europee del 2014 l’obiettivo principale
dell’Ukip è ottenere la vittoria. Alle elezioni generali dell’anno prossimo,
invece, il partito punta a scatenare un “terremoto politico”, anche se non è
chiaro che cosa intenda.
Gli chiedo perché non
ingoiano il rospo e accettare il patto di Michael Fabricant: dopo tutto, un
accordo con i conservatori assicurerebbe loro per lo meno un posto nel
gabinetto di governo e, si presume, anche qualche seggio in parlamento. Nuttall
mi risponde così: “Al momento l’ostacolo maggiore è il primo ministro stesso:
non gli si può dare fiducia per tutto ciò che concerne l’Unione europea”. (Traduzione
di Anna Bissanti)
Scenari
Addio, Europa
Piuttosto che
precipitare con il suo caccia con i colori dell’Ue, Britannia, l’incarnazione
del Regno Unito, preferisce lanciarsi col paracadute. Così l’Economist
rappresenta un sentimento molto diffuso tra i britannici, sempre più convinti
che sarebbe meglio uscire dall’Unione europea. Considerando la velocità con cui
si evolve la situazione, “un referendum sull’uscita o la permanenza del Regno
Unito nell’Ue sembra ormai solo una quesitone di tempo”, scrive il settimanale.
Tuttavia secondo l’Economist
l’uscita del Regno
Unito dal'Ue sarebbe una doppia tragedia. I britannici soffrirebbero più di
quanto non pensino. Esclusa dal mercato unico, Londra vedrebbe i costruttori di
automobili lasciare il paese, come anche gran parte dei servizi finanziari. Il
Regno Unito dovrebbe rinegoziare decine di accordi commerciali bilaterali in
una posizione molto meno favorevole rispetto a quella di uno stato Ue. E
vedrebbe ridursi nettamente il suo peso sulla scena internazionale.
Tuttavia è ancora
possibile evitare “il disastro al rallentatore”, scrive l’Economist ricordando
l'importanza dell’arte del negoziato. In fondo, conclude il settimanale, “per
quanto possa essere umiliante e difficile, l’opzione migliore è quella di
attaccarsi all’Europa e provare a farla pendere verso il Regno Unito”.
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