Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


sabato 22 dicembre 2012

CdV - Il dittatore dello stato libero del Vaticano

Il messaggio universale di "pace" del papa contro il diritto all'aborto, all'eutanasia e i matrimoni gay è degno di un capo di Stato assolutista. Ma tutto tace.

Sarà perché ci stiamo avvicinando al Natale, festa cristiana per antonomasia, sarà perché ci approssimiamo a un cambio di governo e quindi è bene mettere le cose in chiaro sin da subito, sarà perché la secolarizzazione sta strozzando una delle organizzazioni più vetuste del globo, fatto sta che in pochi giorni la Chiesa ha reso dichiarazioni che da sole basterebbero a riempire le cronache per un anno intero. E non si tratta di messaggi evangelici rivolti alle sue pecorelle, bensì di affermazioni che sconfinano nel civile (o incivile, dipende dai punti di vista), campo dal quale chi si prefigge di curarsi dell'anima dovrebbe tenersi rigorosamente distante. Non foss'altro, in Italia, per principio costituzionale.

Prima ha iniziato il cardinale Angelo Scola che, alla celebrazione di sant'Ambrogio a Milano, si è lasciato andare a una disamina sulla laicità. La neutralità dello Stato rispetto alle religioni, secondo il porporato, ne limiterebbe la libertà. Proprio così. Se avesse parlato un prete di periferia ci saremmo potuti chiedere se almeno avesse letto il vocabolario o quanto meno sapesse usare la logica; trattandosi di Scola, il pensiero va in altra direzione, più prosaicamente politica. Berlusconi, fido alleato di un tempo e ora scaricato come un imbarazzante ricordo, è di nuovo pericolosamente alle porte mentre il centro, sobrio e moderato se non addirittura crociato, ma fondamentalmente cattolico, si sta organizzando intorno a Mario Monti. È lì che bisogna puntare. Lo Stato non deve essere neutrale rispetto al cattolicesimo. Udite, centristi.

Ma ieri il papa, nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, ha superato Scola e a dire il vero anche se stesso: aborto ed eutanasia, in quanto forme di «omicidio», sono contro la pace. E tentare di rendere il matrimonio tra un uomo e una donna «giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione» è «un'offesa contro la verità della persona umana» e «una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace».
Dunque, ragioniamo in modo semplice. Pace è il contrario di oppressione, autoritarismo, assolutismo e quindi di pensiero unico. Lo dimostra la storia se non bastasse la ragione. La pace, inoltre, va di pari passo con la libertà. Sempre se non fossero sufficienti sia la ragione sia la storia, un'occhiata alla mappa geopolitica del globo, concentrata sui paesi medio orientali, per l'appunto teocratici e quindi illiberali, lo dimostrerebbe inequivocabilmente anche a un osservatore distratto. Per finire, il concetto di libertà implica quello dei diritti individuali. La loro negazione porta al conflitto. La loro inclusione, al contrario, soddisfa tutta la ridda delle opinioni personali, incluse le religioni. Stare "in pace", in fondo, significa riconoscere agli altri il proprio diritto di essere diversi da sé.
Fatta questa premessa, torniamo a Benedetto XVI: «Questi principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l'umanità». Cioè nella natura umana sarebbe riconoscibile, usando la ragione, l'avversità ad aborto, eutanasia e rapporti omosessuali. Ossia le persone ripudierebbero "naturalmente" la propria libertà di scelta. Forse dalla sua finestra su piazza San Pietro il papa ha poca visibilità sull'"umanità". Parla di ragione e principi universali, che in realtà sono solo cristiani e neanche di tutti i cristiani, ma per lui sono "comuni a tutti". Di disquisire sui bisogni, invece, se ne guarda bene. Tra quelli non primari, in effetti, la libertà è il primo. Ma non è compreso nella miope dottrina cattolica.

Se Benedetto si limitasse a (stra)parlare per i cittadini che rappresenta, non ci sarebbe nulla da eccepire. Invece si dà il caso che parli da capo di Stato, precisamente in qualità di monarca di Città del Vaticano, un paese assolutista col quale l'Italia ha una magnifica "amicizia" fatta di concessioni, legislative e fiscali, e regalie. Un paese che non ha firmato la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite né il suo equivalente europeo e neanche la moratoria internazionale per la depenalizzazione dell'omosessualità ma, anzi, benedice l'Uganda per la nuova leggeche punisce col carcere, fino all'ergastolo, il "reato" di rapporti "contro natura". Con questo Stato, un residuo di Medioevo che ci vive in pancia, noi italiani abbiamo rapporti eccellenti. Provate solo a immaginare il gelo istituzionale se un qualsiasi nostro Paese vicino, per bocca del suo presidente, avesse fatto le stesse osservazioni del papa. Nulla di nuovo sotto al sole: nel 2009, quando Benedetto XVI davanti alle popolazioni africane martoriate dalla piaga dell'Aids si scagliò contro l'uso dei preservativi che «aumentano i problemi», il nostro devoto parlamento tacque.
Ecco, il problema non è tanto ciò che dice Ratzinger. Non è l'unico detentore del potere assoluto al mondo, e i suoi "colleghi" internazionali non parlano in modo tanto diverso da lui. Il problema siamo noi italiani, che invece di rompere ogni rapporto istituzionale con uno Stato assolutista, ancora consentiamo a un ometto pateticamente antidemocratico, sessista, contrario al progresso, alla scienza e al diritto dell'individuo, e ai suoi graduati, di avere un posto di onore al nostro desco.

Cecilia M. Calamani

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