Il socialismo come stato d’animo.
Non è un modo per sminuire il senso e la portata di un termine nobile, di
un’idea e delle sue forme concrete. Andrò per flash, tagliando con l’accetta
quando servirebbe il bisturi. Mi perdonerete, ma il tempo è tiranno. Il
socialismo fu in grado di porsi come punta più avanzata di un triangolo geografico
e di idee: Inghilterra, Francia, Germania. L’economia politica, l’illuminismo e
la Rivoluzione, l’idealismo e la sinistra hegeliana. Così hanno insegnato per
anni i nostri professori, parlando di Marx. E fuori dall’Accademia, la talpa ha
scavato sotto la superficie del mondo dato e a distanza di oltre un secolo può
essere ancora strumento di lettura. A chi non fosse convinto si potrebbe
facilmente dire: l’equilibrio delicato tra quelle tre polarità è essenziale
alla sopravvivenza del socialismo. Il fronte inglese: la riflessione
sull’economia politica se estremizzata ci conduce alla sua perversione: a un
economicismo meccanicistico. Il fronte tedesco: la riflessione sul soggetto
(rivoluzionario avremmo detto un tempo), il portato dell’hegelismo, condotto al
proprio estremo, si capovolge nel burocratismo, nella forma del plumbeo partito
totale. Del partito come fine, invece del partito come funzione (cito solo di
sfuggita due pensieri eretici e possenti, troppo in fretta dimenticati:
Lombardi e Panzieri). Il fronte francese: la trasformazione come fede cieca nel
nuovo, nell’avvenire, porta al ribellismo, all’avanguardismo, alle tentazioni
giacobine.
Il socialismo nacque perciò come pensiero mediano. Tra i tre ambiti indicati. Ma fu anche pensiero mediano tra tutti i filoni del pensiero politico. Non è forse questo il messaggio profondo (mi tengo a distanza di sicurezza dalle tante banalizzazioni subite) dei fratelli Rosselli? Del Carlo di Socialismo liberale, ma anche del Nello di Mazzini e Bakunin. Il socialismo come pensiero mediano, come linea che taglia in un punto i segmenti democratico, liberale, anarchico e comunista. Tenendo di ciascuno il potenziale di emancipazione e abbandonando di ciascuno i riflessi reazionari.
Ma se quel pensiero riuscì a conquistare masse incolte e strati intellettuali, se si fece forza reale di contrasto alle classi dominanti, allora forse serve comprenderne una dimensione ulteriore. Utilizzerò una categoria apparentemente fuori contesto: partire da sé. Il femminismo ha sviluppato una lunga elaborazione di autonomia per ripensare il senso di concetti come “genere”, “democrazia partecipata”, “soggetto politico”, “organizzazione”. Questa elaborazione viene dalla pratica dell’autocoscienza, del “partire da sé”, dall’idea che un collettivo si costruisca solo attraverso la relazione tra singoli.
Se vogliamo ricominciare da capo, allora serve capire come il socialismo possa partire da singoli che, attraverso una relazione, diano vita a un collettivo. Solo in questo modo il mio contributo, di trentenne, può essere giustificato in questa sede.
Ripartire dal sé, dal me, significa chiedermi qui e ora: come leggo la mia condizione, il mio rapporto con altri singoli, di che collettivo sento il bisogno, per raggiungere quale emancipazione. Per un trentenne, che finora ha collezionato più titoli di studio che posti di lavoro, qualsiasi orizzonte politico deve superare le brume della precarietà. E allora socialismo non può che essere un diverso modo di concepire il rapporto con gli altri e l’uscita dalla marginalità. Io credo che mai come in questo momento storico sia essenziale formulare nuove tipologie di convivenza. Uscire dal primato del successo, dell’affermazione di sé e di una tipologia bellica della vita sociale. Ricominciare dalla base del socialismo: l’idea che il singolo ha nei confronti della collettività un enorme debito. Che a quella collettività deve gli strumenti e i traguardi che possiede e raggiunge. E che quella collettività non è un unico indistinto. Ma dentro quel collettivo ci sono gli ultimi, gli umili, gli oppressi. E che a loro si deve in modo particolare. Gli antichi Greci avevano un termine: kalokagatos, che significa bello e buono. Ed era il termine per indicare la nobiltà. D’animo e di stirpe. Al fondo c’era l’idea che la ricchezza materiale fosse parte della nobiltà d’animo. Questa idea è penetrata, è giunta fino a noi. Ancora adesso utilizziamo espressioni come “un buon partito” “un buon matrimonio”. Ancora oggi la cultura profonda mescola l’essere buoni col possedere beni. Io credo che un socialismo rinnovato debba ripartire da qui: dal mettere in discussione questo legame. E ritrovare invece la bellezza degli oppressi. Io immagino il socialismo del nuovo secolo come tentativo di giungere a una piena comunità illimitata della comunicazione. Non ne saremo noi gli artefici, e nemmeno ci deve far problema. Avremo fatto già abbastanza se saremo capaci di applicare alla politica il modello dei castagneti dell’Italia centrale, prima che il diritto di proprietà ne stuprasse le usanze. Coloro che li curavano lasciavano che tutti, al momento della raccolta, potessero raccogliere le castagne che finivano lungo il ciglio della strada. Chiunque poteva “far greppi”. Ecco, io immagino che il nostro messaggio sia questo. Non sapendo se saremo proprietari dei castagneti o semplici passanti. Ma chiediamo che una manciata di castagne sia garantita a tutti.
Il socialismo nacque perciò come pensiero mediano. Tra i tre ambiti indicati. Ma fu anche pensiero mediano tra tutti i filoni del pensiero politico. Non è forse questo il messaggio profondo (mi tengo a distanza di sicurezza dalle tante banalizzazioni subite) dei fratelli Rosselli? Del Carlo di Socialismo liberale, ma anche del Nello di Mazzini e Bakunin. Il socialismo come pensiero mediano, come linea che taglia in un punto i segmenti democratico, liberale, anarchico e comunista. Tenendo di ciascuno il potenziale di emancipazione e abbandonando di ciascuno i riflessi reazionari.
Ma se quel pensiero riuscì a conquistare masse incolte e strati intellettuali, se si fece forza reale di contrasto alle classi dominanti, allora forse serve comprenderne una dimensione ulteriore. Utilizzerò una categoria apparentemente fuori contesto: partire da sé. Il femminismo ha sviluppato una lunga elaborazione di autonomia per ripensare il senso di concetti come “genere”, “democrazia partecipata”, “soggetto politico”, “organizzazione”. Questa elaborazione viene dalla pratica dell’autocoscienza, del “partire da sé”, dall’idea che un collettivo si costruisca solo attraverso la relazione tra singoli.
Se vogliamo ricominciare da capo, allora serve capire come il socialismo possa partire da singoli che, attraverso una relazione, diano vita a un collettivo. Solo in questo modo il mio contributo, di trentenne, può essere giustificato in questa sede.
Ripartire dal sé, dal me, significa chiedermi qui e ora: come leggo la mia condizione, il mio rapporto con altri singoli, di che collettivo sento il bisogno, per raggiungere quale emancipazione. Per un trentenne, che finora ha collezionato più titoli di studio che posti di lavoro, qualsiasi orizzonte politico deve superare le brume della precarietà. E allora socialismo non può che essere un diverso modo di concepire il rapporto con gli altri e l’uscita dalla marginalità. Io credo che mai come in questo momento storico sia essenziale formulare nuove tipologie di convivenza. Uscire dal primato del successo, dell’affermazione di sé e di una tipologia bellica della vita sociale. Ricominciare dalla base del socialismo: l’idea che il singolo ha nei confronti della collettività un enorme debito. Che a quella collettività deve gli strumenti e i traguardi che possiede e raggiunge. E che quella collettività non è un unico indistinto. Ma dentro quel collettivo ci sono gli ultimi, gli umili, gli oppressi. E che a loro si deve in modo particolare. Gli antichi Greci avevano un termine: kalokagatos, che significa bello e buono. Ed era il termine per indicare la nobiltà. D’animo e di stirpe. Al fondo c’era l’idea che la ricchezza materiale fosse parte della nobiltà d’animo. Questa idea è penetrata, è giunta fino a noi. Ancora adesso utilizziamo espressioni come “un buon partito” “un buon matrimonio”. Ancora oggi la cultura profonda mescola l’essere buoni col possedere beni. Io credo che un socialismo rinnovato debba ripartire da qui: dal mettere in discussione questo legame. E ritrovare invece la bellezza degli oppressi. Io immagino il socialismo del nuovo secolo come tentativo di giungere a una piena comunità illimitata della comunicazione. Non ne saremo noi gli artefici, e nemmeno ci deve far problema. Avremo fatto già abbastanza se saremo capaci di applicare alla politica il modello dei castagneti dell’Italia centrale, prima che il diritto di proprietà ne stuprasse le usanze. Coloro che li curavano lasciavano che tutti, al momento della raccolta, potessero raccogliere le castagne che finivano lungo il ciglio della strada. Chiunque poteva “far greppi”. Ecco, io immagino che il nostro messaggio sia questo. Non sapendo se saremo proprietari dei castagneti o semplici passanti. Ma chiediamo che una manciata di castagne sia garantita a tutti.
Alessandro Porcelluzzi
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Intervento in occasione del congresso tenutosi a Genova il 30 giugno 2012 “Sinistra e socialismo europeo: ricominciamo da capo?”
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Intervento in occasione del congresso tenutosi a Genova il 30 giugno 2012 “Sinistra e socialismo europeo: ricominciamo da capo?”
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