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mercoledì 25 luglio 2012

Antisemiti di sinistra

Compulsiva duplicità, doppio standard, intolleranza e negazionismo formano un meccanismo ideologico ed emotivo in gran parte da esplorare.
E’ l’antisemitismo di sinistra.

L’odio antiebraico viene da sempre associato alle destre del primo Novecento. Ma dalla guerra del 1967 in avanti, l’antisemitismo ha trovata casa a sinistra.

Si tratta di una ubriacatura intellettuale e un delirio in cui si pasce la cultura ultra liberal. Una specie di furore unidirezionale, un’ossessione maniacale.

La sinistra europea ha fatto d’Israele il ricettacolo di ogni male, la centrale del peccato, la sentina di ogni perversione. Il trasformare l’ebreo nel malvagio “sionista” non lo sottrae alla perversione morale di un marchio infamante, anzi carica tutta la vicenda ebraica di quello stesso marchio infamante.

Al fine, si passa dall’attacco all’ebreo individuale del XX secolo alla guerra contro l’ebreo collettivo, lo stato-pariah del XXI secolo.

Quest’odio si rintraccia negli stereotipi antiebraici coltivati dal marxismo e dal pensiero europeo socialista.

Uno dei primi scritti antisemiti di questa corrente, “Gli ebrei, re dell’epoca” (1845), fu dovuto alla penna di Alphonse de Toussenel, allievo del socialista utopista Charles Fourier, in cui descriveva gli ebrei come dominatori del mondo grazie al controllo del capitale finanziario e li accusava di essere nemici del popolo.

Ancor più antisemita fu Pierre-Joseph Proudhon – uno dei padri del socialismo moderno – che considerava gli ebrei come nemici della razza umana, da “rimandare in Asia o sterminare”.

Si arriva a Edouard Drumont, autore di un violento libello, “La Francia ebraica” (1886), in cui associava massoni e protestanti agli ebrei.

Nasce così, a sinistra, l’identificazione dell’ebreo con il capitalismo finanziario (è “La questione ebraica” di Karl Marx). La svolta avvenne tra il 1952 e il 1953, con la messa in scena, prima a Praga e poi a Mosca, dei processi farsa alla “banda Slansky” e a un gruppo di medici accusati ingiustamente di aver avvelenato importanti dirigenti sovietici.

Poi arrivò la risoluzione Onu sul “sionismo razzista” del 1972, voluta dall’Unione sovietica in combutta con i regimi arabi.

Dopo la caduta del Muro di Berlino, la sinistra post socialista costruisce una “palestinologia”, una ideologia che fa di Israele il simbolo dell’occidente usurpatore, bianco, arrogante e colonialista, da contrapporre ai popoli arabi “nativi”, anticapitalisti.

Alla fine “il rifiuto ha vinto sul riconoscimento”.

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