E’ l’antisemitismo di
sinistra.
L’odio antiebraico viene
da sempre associato alle destre del primo Novecento. Ma dalla guerra del 1967
in avanti, l’antisemitismo ha trovata casa a sinistra.
Si tratta di una
ubriacatura intellettuale e un delirio in cui si pasce la cultura ultra
liberal. Una specie di furore unidirezionale, un’ossessione maniacale.
La sinistra europea ha
fatto d’Israele il ricettacolo di ogni male, la centrale del peccato, la
sentina di ogni perversione. Il trasformare l’ebreo nel malvagio “sionista” non
lo sottrae alla perversione morale di un marchio infamante, anzi carica tutta
la vicenda ebraica di quello stesso marchio infamante.
Al fine, si passa
dall’attacco all’ebreo individuale del XX secolo alla guerra contro l’ebreo
collettivo, lo stato-pariah del XXI secolo.
Quest’odio si rintraccia
negli stereotipi antiebraici coltivati dal marxismo e dal pensiero europeo
socialista.
Uno dei primi scritti
antisemiti di questa corrente, “Gli ebrei, re dell’epoca” (1845), fu dovuto
alla penna di Alphonse de Toussenel, allievo del socialista utopista Charles
Fourier, in cui descriveva gli ebrei come dominatori del mondo grazie al
controllo del capitale finanziario e li accusava di essere nemici del popolo.
Ancor più antisemita fu
Pierre-Joseph Proudhon – uno dei padri del socialismo moderno – che considerava
gli ebrei come nemici della razza umana, da “rimandare in Asia o sterminare”.
Si arriva a Edouard
Drumont, autore di un violento libello, “La Francia ebraica” (1886), in cui
associava massoni e protestanti agli ebrei.
Nasce così, a sinistra,
l’identificazione dell’ebreo con il capitalismo finanziario (è “La questione
ebraica” di Karl Marx). La svolta avvenne tra il 1952 e il 1953, con la messa
in scena, prima a Praga e poi a Mosca, dei processi farsa alla “banda Slansky”
e a un gruppo di medici accusati ingiustamente di aver avvelenato importanti
dirigenti sovietici.
Poi arrivò la
risoluzione Onu sul “sionismo razzista” del 1972, voluta dall’Unione sovietica
in combutta con i regimi arabi.
Dopo la caduta del Muro
di Berlino, la sinistra post socialista costruisce una “palestinologia”, una
ideologia che fa di Israele il simbolo dell’occidente usurpatore, bianco,
arrogante e colonialista, da contrapporre ai popoli arabi “nativi”,
anticapitalisti.
Alla fine “il rifiuto ha
vinto sul riconoscimento”.
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