L’intensità della crisi del debito e
l’instabilità dell’eurozona negli ultimi mesi hanno focalizzato l’attenzione su
Spagna e Italia. Con Grecia, Portogallo e Irlanda sotto tutela della troika, il
mondo ha cominciato a chiedersi con insistenza fino a che punto i governi di
Mariano Rajoy e Mario Monti riusciranno a reggere la pressione e cosa
accadrebbe se alla fine fossero costretti a chiedere un intervento esterno.
L’urgenza e la difficoltà di salvare
Spagna e Italia hanno accresciuto l’importanza del ruolo della Germania, e
ancora una volta il destino dell’Europa sembra essere nelle mani di Angela
Merkel. La crisi ha costretto la popolazione europea ad apprendere nozioni
basilari di economia per capire ciò che sta accadendo e le soluzioni proposte,
mentre la posizione dominante della Germania nella lotta alla crisi ha
obbligato un po’ tutti ad addentrarsi nelle profondità del sistema politico,
dell’economia e dell’opinione pubblica tedesca.
Abbiamo cominciato a prestare
attenzione alle elezioni regionali tedesche, alle sentenze della Corte
costituzionale, ai processi di ratifica parlamentare degli accordi europei,
alla debolezza o alla forza dei partner liberali o bavaresi del governo Cdu,
alle dichiarazioni del presidente della Banca centrale tedesca e all’eventuale
posizione che i socialdemocratici potrebbero assumere sugli eurobond una volta
conquistato il potere. La Germania, abbiamo scoperto, ha un sistema politico
molto complicato, in cui il potere è diviso tra una serie di istituzioni forti
e indipendenti che limitano i margini di manovra della cancelliera.
In Francia, apparentemente, accadeva
l’esatto contrario. La formidabile concentrazione di poteri che la Costituzione
della quinta repubblica concede al presidente, unita all’attivismo
iper-compulsivo di Sarkozy, ha permesso di focalizzare l’attenzione sul ruolo
del capo dello stato, semplificando di conseguenza le analisi. Tuttavia durante
la campagna presidenziale abbiamo scoperto che dietro il protagonismo di
Sarkozy ribolliva una Francia molto più complessa di quanto sembrasse,
attanagliata da una serie di dubbi esistenziali: sull’identità nazionale, sul
modello economico, sull’integrazione europea e sulla globalizzazione.
Questi dubbi hanno limitato enormemente
il margine di manovra del centrodestra francese, costringendolo ad assimilare
le spinte della destra nazionalista e xenofoba del Front National di Marine Le
Pen. Oggi le stesse correnti sotterranee limitano anche il centrosinistra,
obbligato a convivere con una sinistra globofobica che si sente sempre più
alienata dal processo d’integrazione europea, percepito come una
globalizzazione col piede di porco che minaccia di distruggere lo stato
sociale, uno dei pilastri su cui si basa l’identità della Francia.
Un compito
difficile
La questione dell’unione politica,
che si pensava risolta dal referendum costituzionale del 2005, è
inaspettatamente è tornata sul tavolo della sinistra francese. Hollande si
prepara ad affrontare la sfida, ma la sua posizione non è per nulla
invidiabile. Quasi due terzi degli elettori che lo hanno portato all’Eliseo,
infatti, nel 2005 hanno votato contro la costituzione europea. Inoltre,
considerando la difficile situazione delle finanze pubbliche francesi
(evidenziata questa settimana dalla Corte dei conti), è inevitabile che le
discussioni sulla prossima fase dell’unione politica ed economica coincidano
con una serie di dolorosi tagli di bilancio, che provocheranno necessariamente
un rifiuto politico e sociale.
Oggi in Francia c’è il rischio che
l’opinione pubblica associ la maggiore integrazione europea con una nuova
riduzione dell’autonomia dello stato nel portare avanti politiche di sinistra,
interpretando l’unione politica come l’ennesimo giro di vite sul modello
sociale francese. Se ciò dovesse accadere è probabile che i francesi si
opporranno vivamente all’unione politica, che ai loro occhi apparirebbe come
una costituzionalizzazione malcelata del modello economico tedesco e delle
politiche di austerity in ambito europeo.
Come accaduto negli anni novanta
durante i preparativi per l’unione monetaria e negli anni duemila con la
discussione della Costituzione europea, la sinistra francese dovrà decidere
fino a che punto l’unione politica ed economica con la Germania le permetterà di
conservare ed eventualmente rivitalizzare il suo modello sociale ed economico
(o se al contrario ne segnerà l’inevitabile declino).
La sfida che attende Hollande
consiste nel creare un’Europa più efficace, e per farlo dovrà necessariamente
passare per una maggiore integrazione e per la conseguente cessione di
sovranità. Allo stesso tempo il presidente francese deve proteggere la
diversità dei modelli economici e sociali. Non sarà facile, perché oggi il
ruolo della Francia è diventato nettamente secondario rispetto a quello della
Germania.
Economia
La Francia sceglie un cammino diverso
Il presidente
francese François Hollande sta sfidando il credo ortodosso secondo cui la
responsabilità fiscale prevede tagli alla spesa e non aumenti delle tasse, scrive l’Irish Times:
Lo sconfortante
ritornello ‘non esistono alternative all’austerity’ ha fortunatamente lasciato
il posto alla convinzione generale che il ricorso esclusivo all’austerity
blocca la crescita e a un approccio più equilibrato al problema dei paesi
pesantemente indebitati.
Il nuovo governo di
Hollande sta cercando di risanare il bilancio attraverso un aumento delle tasse
da 7,2 miliardi, concentrandosi sulle famiglie più ricche e le grandi
compagnie. Tra le misure valutate ci sono
l’abbassamento della
soglia della tassa per i ricchi; la creazione di un’imposta una tantum sui
patrimoni netti superiori a 1,3 milioni di euro; un aumento delle tasse per le
banche, le compagnie petrolifere e i dividendi; un aumento dei contributi
sociali degli impiegati e un raddoppio della tassa sulle transazioni
finanziarie (0,2 per cento). In autunno François Hollande lancerà il suo
programma di profonde riforme fiscali, inclusa una tassa del 75 per cento sui
redditi superiori al milione di euro. Inoltre il presidente ha messo a punto
nuove tasse per gli stranieri che possiedono una casa per le vacanze in Francia
– ce ne sono almeno 200mila provenienti dal Regno Unito – suscitando la
preoccupazione delle autorità britanniche.
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