Larry
Elliott 24 luglio
2012 THE GUARDIAN Londra
Per fare politica in Europa tutto
sta a intervenire tempestivamente. Le maestose idee volte a salvare la valuta
unica richiedono anni, non mesi, prima di dare risultati, mentre l’incubo della
rovina è istantaneo.
Di conseguenza, la mentalità del
breve termine ha a che vedere soltanto con la sopravvivenza: si pensi alla
squadra di football che schiera la difesa in modo tale da mantenere un
risultato finale di zero a zero, o ai battitori il cui unico scopo è occupare
la linea bianca quando la loro squadra sta per subire una sconfitta agli inning
proprio l’ultimo giorno del Test match.
La settimana scorsa, almeno per un
po’, si è palesata concretamente la prospettiva che lo sforzo dell’Europa di
mettersi con le spalle al muro fosse andato a buon fine. Il summit di un mese
fa ha avuto più sostanza dei precedenti vertici inconcludenti, e l’incontro dei
mercati finanziari europei della settimana scorsa ha riflesso la convinzione
che tutto sommato fosse stato fatto abbastanza per mantenere le cose tranquille
fino a tutto il mese di agosto. Questo, però, fino al momento in cui la regione
di Valencia non ha annunciato di avere assolutamente bisogno dell’aiuto
finanziario di Madrid, fornendo così l’innesco per una grande messa in
liquidazione nei mercati che si è protratta fino a lunedì.
Il governo spagnolo ha reagito
giurando per un momento che non esisteva neppure una remota possibilità di
chiedere un intervento di soccorso che coinvolgesse il Fondo monetario
internazionale, e poi imponendo la messa al bando della vendita allo scoperto
delle azioni. I mercati sono rimasti poco impressionati da questa palese dimostrazione
di inettitudine.
Nel frattempo, la Grecia è tornata
ancora una volta sotto i riflettori mentre Atene aspettava per martedì l’arrivo
degli inviati della troika (Fmi, Banca centrale europea e Unione europea). La
Grecia è azzoppata da una depressione in stile anni Trenta e – come forse non
stupisce più di tanto – sta incontrando notevoli difficoltà ad adeguarsi al
programma di austerity imposto nell’ambito del bailout che la riguarda. Pare
che la troika sia pronta a minacciare di togliere il salvagente finanziario
lanciato ad Atene a meno che il governo di coalizione non approvi tagli per
altri due miliardi di euro.
Da questi avvenimenti si dovrebbero
dedurre tre cose. La prima è che la Spagna si sta dirigendo inesorabilmente
verso un bailout, che avverrà quasi certamente molto presto. Immaginare che il
promesso pacchetto di cento miliardi di euro a sostegno delle banche spagnole
fosse sufficiente è sempre stato soltanto un esercizio di fumo negli occhi e di
specchietti per le allodole, e così si è dimostrato.
La Spagna è un paese con un’economia
al collasso, un mercato immobiliare in via di implosione, banche che alimentano
perdite colossali e un rendimento dei bond decennali del 7,5 per cento. La
questione, quindi, non è sapere se ci sarà un bailout, ma quanto sarà grande.
Con ogni probabilità, almeno 300 miliardi di euro.
Le orme
greche
La seconda conclusione alla quale si
perviene è che la botola si sta spalancando sotto i piedi della Grecia. La
pazienza della Germania nei confronti di Atene si è esaurita e l’Fmi è stato
costretto lunedì a smentire di essere in procinto di tagliare gli aiuti
finanziari. Il governo greco adesso dovrà scegliere se acconsentire a un nuovo
round di drastiche misure di austerity, che saranno controproducenti e allo
stesso tempo tossiche dal punto di vista politico, se vuole essere in grado di
pagare i propri conti restando dentro la zona euro, oppure se optare per la
svalutazione e un default fuori dall’unione monetaria. Per Angela Merkel
un’uscita volontaria della Grecia dalla zona euro sarebbe l’ideale.
A collegare Grecia e Spagna c’è il
fatto che l’approccio fallito che ha portato il più piccolo dei due paesi al
punto di non ritorno adesso sta per essere messo alla prova con un paese della
zona euro molto più grande e più importante da un punto di vista strategico.
La lezione appresa dal caso della
Grecia è assolutamente chiara: quando un’economia è in caduta libera, tagliare
la spesa e aumentare le tasse porta a livelli di indebitamento di gran lunga
maggiori, non inferiori. La Spagna sta ricalcando le orme della Grecia lungo
questa china a spirale che inizia con una crescita debole e una disoccupazione
in aumento e si conclude con ingenti bailout che fanno più male che bene.
Per capire come sarà la Spagna
nell’agosto 2012 è sufficiente guardare alla Grecia dell’agosto 2011. Stessi
problemi. Stesse risposte mancate. Stessa crisi. Solo di gran lunga peggiore.
Traduzione di Anna Bissanti
Un’aria di déjà-vu
“La
Spagna scatena un vento di panico sui mercati”, titola Les Echos. Secondo il quotidiano, l’incubo di una nuova
tempesta in borsa “sta per diventare realtà”. Un “improvviso remake del 2011”,
che si sarebbe potuto evitare.
Sarebbe bastato che
si fossero concretizzate tutte le misure decise durante il vertice europeo di
fine giugno, i cui lavori sono stati celebrati unanimemente. Ma i leader si
sono lasciati intrappolare dal torpore estivo. Come il saggi di Karlsruhe, che
hanno rinviato a settembre l’approvazione del Meccanismo europeo di stabilità.
Risultato: non sono state realizzate le barriere di sicurezza che avrebbero
dovuto proteggere Italia e Spagna da un rialzo eccessivo dei loro tassi di
finanziamento mentre i due governi cercano di risanare la loro economia.
“Il momento in cui
l’Ue non avrà più molta scelta si avvicina a grande velocità”, scrive
l’editorialista François Vidal:
Per evitare il
contagio a tutta l’eurozona l’Unione dovrà correre in aiuto di Madrid e Roma,
volente o nolente. Per il momento può ancora farlo in modo volontario e
limitato, riprendendo il programma di acquisto dei titoli di debito da parte
della Bce, che porterà un sollievo temporaneo ma nondimeno necessario.
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