di Giovanna Faggionato
La
bandiera dell'Europa rischia di perdere una stella e, inaspettatamente, non è
quella di Atene. A uscire dall'Unione europea con un referendum potrebbe essere
un membro di lustro, nientemeno che la Gran Bretagna. Parola del primo ministro
conservatore britannico David Cameron che domenica 1 luglio ha scritto di suo
pugno un articolo sul quotidiano Sunday
Times, prospettando il ricorso alle urne per dire addio all'Ue.
RISPOSTA ALLA POLITICA INTERNA. In un tranquillo weekend di crisi, mentre il Vecchio Continente, rasserenato dall’ultimo Consiglio europeo, attendeva di fronte alla tivù la finale dell’Europeo 2012, la notizia è rimbalzata al di là della Manica un po' in sordina. E non solo per la fisiologica esondazione di parole sul torneo di calcio continentale.
L'uscita di Cameron, infatti, è apparsa come una questione di politica interna: una risposta ai falchi del suo partito tornati a reclamare attenzione, più che la reale volontà di abbandonare oggi l'Ue. L'ennesimo tentativo del premier britannico di gonfiare il petto, con il risultato indesiderato (e forse non calcolato) di mostrarne la critica debolezza.
RISPOSTA ALLA POLITICA INTERNA. In un tranquillo weekend di crisi, mentre il Vecchio Continente, rasserenato dall’ultimo Consiglio europeo, attendeva di fronte alla tivù la finale dell’Europeo 2012, la notizia è rimbalzata al di là della Manica un po' in sordina. E non solo per la fisiologica esondazione di parole sul torneo di calcio continentale.
L'uscita di Cameron, infatti, è apparsa come una questione di politica interna: una risposta ai falchi del suo partito tornati a reclamare attenzione, più che la reale volontà di abbandonare oggi l'Ue. L'ennesimo tentativo del premier britannico di gonfiare il petto, con il risultato indesiderato (e forse non calcolato) di mostrarne la critica debolezza.
L'euroscetticismo
pragmatico che scontenta tutti
Perché
il premier debba ricorrere a tali colpi di scena è presto detto. Nei primi tre
mesi dell'anno il Prodotto interno lordo britannico è calato dello 0,3%, i
tagli alla spesa pubblica - 100 miliardi di euro in quattro anni - non hanno
dato gli effetti sperati e, nell'urgenza di trovare soluzioni condivise alla
crisi della moneta unica, la voce inglese a Bruxelles conta sempre meno.
In un panorama così desolante, i conservatori hanno oliato gli ingranaggi di un radicato euroscetticismo e 100 parlamentari sottoscritto una lettera chiedendo a Cameron di indire la consultazione popolare. Ma la risposta del premier, audace per forma e tempismo, è stata oscillante nella sostanza.
LA BANDIERA DEL REFERENDUM. L'inquilino di Downing Street ha aperto alla possibilità di un referendum, ma lo ha anche definito poco vantaggioso. Si è guardato bene dal fissarlo in calendario e ha rimandato l'orizzonte al 2015, magari in corrispondenza delle elezioni politiche. Ha definito la sua linea «euroscetticismo pragmatico», nonostante ai tempi della sua corsa elettorale si fosse definito europeista.
CAMERON HA DELUSO TUTTI. Alla fine Cameron è riuscito a scontentare tutte le parti in causa.
John Baron, promotore e primo firmatario della lettera, ha dichiarato: «Sono lieto che il primo ministro parli di referendum, ma ciò che mi rattrista è che concretamente non lo stia promettendo».
I Lib-Dem, suoi alleati al governo ed europeisti convinti, hanno definito l'intervento del premier «una discussione astratta in merito a un referendum su una questione non definita, con tempistiche imprecisate e in un parlamento futuro». Come dire: aria fritta.
Il labourista Douglas Alexander, ministro ombra degli Esteri, ha sintetizzato: «Ha dimostrato l'incertezza presente sui suoi piani futuri».
EUROSCETTICISMO RAVVIVATO. Nel frattempo, però, la scintilla del premier ha ravvivato il fuoco dell'euroscetticisimo di governo. Lunedì 2 luglio l'ex ministro della Difesa Liam Fox ha allentato i freni della diplomazia e si è schierato pubblicamente per l'uscita dall'Ue. E il ministro degli Esteri, William Hague, si è impegnato ad analizzare l'influenza delle decisioni di Bruxelles su Londra, per capire se la permanenza nell'Ue sia conveniente o meno.
In un panorama così desolante, i conservatori hanno oliato gli ingranaggi di un radicato euroscetticismo e 100 parlamentari sottoscritto una lettera chiedendo a Cameron di indire la consultazione popolare. Ma la risposta del premier, audace per forma e tempismo, è stata oscillante nella sostanza.
LA BANDIERA DEL REFERENDUM. L'inquilino di Downing Street ha aperto alla possibilità di un referendum, ma lo ha anche definito poco vantaggioso. Si è guardato bene dal fissarlo in calendario e ha rimandato l'orizzonte al 2015, magari in corrispondenza delle elezioni politiche. Ha definito la sua linea «euroscetticismo pragmatico», nonostante ai tempi della sua corsa elettorale si fosse definito europeista.
CAMERON HA DELUSO TUTTI. Alla fine Cameron è riuscito a scontentare tutte le parti in causa.
John Baron, promotore e primo firmatario della lettera, ha dichiarato: «Sono lieto che il primo ministro parli di referendum, ma ciò che mi rattrista è che concretamente non lo stia promettendo».
I Lib-Dem, suoi alleati al governo ed europeisti convinti, hanno definito l'intervento del premier «una discussione astratta in merito a un referendum su una questione non definita, con tempistiche imprecisate e in un parlamento futuro». Come dire: aria fritta.
Il labourista Douglas Alexander, ministro ombra degli Esteri, ha sintetizzato: «Ha dimostrato l'incertezza presente sui suoi piani futuri».
EUROSCETTICISMO RAVVIVATO. Nel frattempo, però, la scintilla del premier ha ravvivato il fuoco dell'euroscetticisimo di governo. Lunedì 2 luglio l'ex ministro della Difesa Liam Fox ha allentato i freni della diplomazia e si è schierato pubblicamente per l'uscita dall'Ue. E il ministro degli Esteri, William Hague, si è impegnato ad analizzare l'influenza delle decisioni di Bruxelles su Londra, per capire se la permanenza nell'Ue sia conveniente o meno.
C'è posto per Londra
a Bruxelles?
La questione non è da
poco. Sull'onda dell'euroscetticismo, la Gran Bretagna in crisi potrebbe
ritrovarsi velocemente fuori dagli accordi commerciali di uno dei mercati più
ricchi del globo, in termini di volumi di scambio, prodotto interno lordo e Pil
pro capite.
La stessa City di Londra, che ha alzato le barricate contro il progetto di una Tobin Tax europea e che ha in qualche modo indotto Cameron a non aderire al Fiscal compact, teme il voto popolare su una questione così delicata.
RELAZIONE OPPORTUNISTICA. In ossequio alle posizione dei mercati finanziari, il premier ha imparato a gestire con opportunismo la relazione con Bruxelles e l'ha dimostrato anche in occasione del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno.
Cameron si è felicitato della creazione di un meccanismo anti-spread, ma si è anche vantato dell'opposizione britannica all'integrazione bancaria e all'istituzione di un supervisore unico per il settore del credito.
Eppure la strada dell'Europa verso una maggiore unione politica sembra tracciata. E la Gran Bretagna rischia che sia la stessa Ue a chiederle di scegliere se entrare nell'euro o fuggire sotto la scure di norme svantaggiose.
Tanto che tornato da Bruxelles, Cameron si è affrettato a rassicurare che la nuova governance europea non minerà i fondamenti del mercato unico a 27: «Ho ottenuto impegni espliciti».
PROPOSTA PER LA DESTRA TORY. Secondo i suoi oppositori il premier britannico ha parlato di referendum sull'Europa per imbonire la destra interna ai Tory, come un domatore nutre le belve per addomesticarle. Ma in questo scenario è lecito ipotizzare che il leader conservatore voglia anche giocare d'anticipo. È un equilibrista che corre sul filo, e Bruxelles potrebbe togliere la rete.
La stessa City di Londra, che ha alzato le barricate contro il progetto di una Tobin Tax europea e che ha in qualche modo indotto Cameron a non aderire al Fiscal compact, teme il voto popolare su una questione così delicata.
RELAZIONE OPPORTUNISTICA. In ossequio alle posizione dei mercati finanziari, il premier ha imparato a gestire con opportunismo la relazione con Bruxelles e l'ha dimostrato anche in occasione del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno.
Cameron si è felicitato della creazione di un meccanismo anti-spread, ma si è anche vantato dell'opposizione britannica all'integrazione bancaria e all'istituzione di un supervisore unico per il settore del credito.
Eppure la strada dell'Europa verso una maggiore unione politica sembra tracciata. E la Gran Bretagna rischia che sia la stessa Ue a chiederle di scegliere se entrare nell'euro o fuggire sotto la scure di norme svantaggiose.
Tanto che tornato da Bruxelles, Cameron si è affrettato a rassicurare che la nuova governance europea non minerà i fondamenti del mercato unico a 27: «Ho ottenuto impegni espliciti».
PROPOSTA PER LA DESTRA TORY. Secondo i suoi oppositori il premier britannico ha parlato di referendum sull'Europa per imbonire la destra interna ai Tory, come un domatore nutre le belve per addomesticarle. Ma in questo scenario è lecito ipotizzare che il leader conservatore voglia anche giocare d'anticipo. È un equilibrista che corre sul filo, e Bruxelles potrebbe togliere la rete.
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