Giovedì, 05
Luglio 2012 - Per il
governo sandinista è la madre di tutte le opere, il maxi-cantiere che
riscatterà il Nicaragua - dopo Haiti, il secondo Paese più povero dell'America
Latina - da un futuro di miseria assicurata.
Di un canale tra il Mar dei Caraibi e l'Oceano Pacifico, a Managua si parlava (invano) da oltre 160 anni, prima ancora che, nel 1914, a Panama, venisse portato a termine un progetto rivale, realizzato dagli Usa.
Il problema, fino alla storica votazione in Parlamento di luglio 2012, per il Nicaragua erano sempre stati i finanziamenti.
CANALE, L'ETERNA INCOMPIUTA. Anche se gli investitori internazionali si dicevano interessati, alla fine poi qualcuno di molto importante ritirava sempre la mano.
Stavolta, invece, nonostante l'annosa diatriba con il governo del Costa Rica (sulla cui frontiera è progettato i canale), il presidente Daniel Ortega è proprio sicuro di farcela. Se non lo fosse, l'ex comandante che, nel 1984, osò sfidare lo strapotere degli Usa, non avrebbe usato toni così trionfalistici, per annunciare l'opera faraonica.
LAVORI PER 30 MLD DI DOLLARI. Lungo 200 chilometri, il canale da 30 miliardi di dollari (circa 24 miliardi di euro) richiederà dai 6 ai 10 anni di lavoro e «rappresenterà il culmine delle aspirazioni del Nicaragua». Per Ortega, l'occasione è irripetibile.
Anche perché, prima di incassare il sì di 85 parlamentari su 91, stando alle indiscrezioni, il leader centroamericano avrebbe portato avanti trattative concrete con la Cina, la Russia e altri Paesi amici dell'America Latina.
Di un canale tra il Mar dei Caraibi e l'Oceano Pacifico, a Managua si parlava (invano) da oltre 160 anni, prima ancora che, nel 1914, a Panama, venisse portato a termine un progetto rivale, realizzato dagli Usa.
Il problema, fino alla storica votazione in Parlamento di luglio 2012, per il Nicaragua erano sempre stati i finanziamenti.
CANALE, L'ETERNA INCOMPIUTA. Anche se gli investitori internazionali si dicevano interessati, alla fine poi qualcuno di molto importante ritirava sempre la mano.
Stavolta, invece, nonostante l'annosa diatriba con il governo del Costa Rica (sulla cui frontiera è progettato i canale), il presidente Daniel Ortega è proprio sicuro di farcela. Se non lo fosse, l'ex comandante che, nel 1984, osò sfidare lo strapotere degli Usa, non avrebbe usato toni così trionfalistici, per annunciare l'opera faraonica.
LAVORI PER 30 MLD DI DOLLARI. Lungo 200 chilometri, il canale da 30 miliardi di dollari (circa 24 miliardi di euro) richiederà dai 6 ai 10 anni di lavoro e «rappresenterà il culmine delle aspirazioni del Nicaragua». Per Ortega, l'occasione è irripetibile.
Anche perché, prima di incassare il sì di 85 parlamentari su 91, stando alle indiscrezioni, il leader centroamericano avrebbe portato avanti trattative concrete con la Cina, la Russia e altri Paesi amici dell'America Latina.
Managua pronta a un
consorzio con Russia, Cina, Venezuela e Brasile
Anche
se, da tempo, Ortega non è più il rivoluzionario che negli Anni 80 confiscava
latifondi ai possidenti, il presidente può contare sulla solida amicizia con
Hugo Chàvez: il capo di Stato venezuelano che, grazie all'invio di aiuti
miliardari alla capitale Managua (nel 2011, 500 milioni di dollari, il 7% del
Prodotto interno lordo nazionale), mantiene in vita il Paese.
Attorno al Venezuela, per il cantiere del nuovo millennio, si sarebbero dunque ricompattati tutti i Paesi latino-americani che, Brasile incluso, negli ultimi anni hanno stretto accordi di cooperazione con il blocco castrista dell'Alleanza bolivariana per le Americhe (Alba), del quale, insieme con Venezuela e Cuba, fa parte anche il Nicaragua.
JOINT VENTURE CON MOSCA. Con gli interessi crescenti della Russia nella regione e gli accordi bilaterali, stretti nel 2008 tra l'ex presidente Dmitry Medvedev e Ortega, inoltre, anche Mosca e gli alleati di Pechino sarebbero diventati interlocutori affidabili, per una joint venture.
Con la progressiva apertura dei sandinisti al libero commercio, infine, la porta di Managua sarebbe aperta anche agli investitori dal Giappone, della Corea del Sud e, all'evenienza, degli Emirati arabi.
Il progetto del governo è quello di costruire un consorzio misto, dotato di un'autorità di controllo, che sia per il 51% di proprietà statale e per il restante 49% in mano agli stranieri.
CONCORRENZA A PANAMA. Obiettivo del nuovo canale «neutro» sarà, secondo i piani di Ortega, assorbire il 4% del traffico marittimo mondiale, sferrando un attacco al monopolio di Panama.
Nonostante sia oggetto di grandi opere di ampliamento, da inaugurare in pompa magna per il centenario del 2014, l'unico passaggio dell'istmo è sovraccarico. Tanto che le autorità statali programmano già di raddoppiare la capacità del canale, con nuovi lavori entro il 2025.
Lungo 81 chilometri, il canale di Panama fu costruito dagli americani all'inizio del secolo scorso, dopo che Washington, fomentando una rivolta in territorio colombiano, favorì la nascita di una Repubblica filo-statunitense nella regione.
Attorno al Venezuela, per il cantiere del nuovo millennio, si sarebbero dunque ricompattati tutti i Paesi latino-americani che, Brasile incluso, negli ultimi anni hanno stretto accordi di cooperazione con il blocco castrista dell'Alleanza bolivariana per le Americhe (Alba), del quale, insieme con Venezuela e Cuba, fa parte anche il Nicaragua.
JOINT VENTURE CON MOSCA. Con gli interessi crescenti della Russia nella regione e gli accordi bilaterali, stretti nel 2008 tra l'ex presidente Dmitry Medvedev e Ortega, inoltre, anche Mosca e gli alleati di Pechino sarebbero diventati interlocutori affidabili, per una joint venture.
Con la progressiva apertura dei sandinisti al libero commercio, infine, la porta di Managua sarebbe aperta anche agli investitori dal Giappone, della Corea del Sud e, all'evenienza, degli Emirati arabi.
Il progetto del governo è quello di costruire un consorzio misto, dotato di un'autorità di controllo, che sia per il 51% di proprietà statale e per il restante 49% in mano agli stranieri.
CONCORRENZA A PANAMA. Obiettivo del nuovo canale «neutro» sarà, secondo i piani di Ortega, assorbire il 4% del traffico marittimo mondiale, sferrando un attacco al monopolio di Panama.
Nonostante sia oggetto di grandi opere di ampliamento, da inaugurare in pompa magna per il centenario del 2014, l'unico passaggio dell'istmo è sovraccarico. Tanto che le autorità statali programmano già di raddoppiare la capacità del canale, con nuovi lavori entro il 2025.
Lungo 81 chilometri, il canale di Panama fu costruito dagli americani all'inizio del secolo scorso, dopo che Washington, fomentando una rivolta in territorio colombiano, favorì la nascita di una Repubblica filo-statunitense nella regione.
Il canale del
Nicaragua: gli Usa lo progettavano dal 1830
È curioso,
però, che prima di puntare tutto sull'allora Grande Colombia, gli Usa avessero
già messo gli occhi sul Nicaragua, studiando i modi di creare un passaggio per
le navi che - come nei progetti attuali - sfruttasse la geografia favorevole
del fiume San Juan e del Lago Nicaragua, secondo specchio d'acqua più grande
dell'America Latina.
Escludendo i due bacini, infatti, i chilometri di territorio da perforare si sarebbero ridotti di due terzi dalla distanza tra le coste, segnata sulla cartina. E, rispetto a Panama, il passaggio sarebbe stato più vicino a New York e a San Francisco di circa 800 chilometri .
Le prime ricerche topografiche degli Usa per un canale in Nicaragua risalgono al 1830. Per realizzarlo, nel 1849, Managua firmò addirittura un contratto sui diritti di sfruttamento, con l'affarista americano Cornelius Vanderbilt.
L'ACCORDO CON PANAMA. Poi vennero la Guerra civile e la disastrosa dominazione in Nicaragua del filibustiere William Walker, che a metà dell'800, con la sua banda della Falange americana, invase l'America Centrale. E non se ne fece più di nulla.
I negoziati tra i due Paesi per il canale ripresero solo a inizio '900. Ma, alla fine, gli Usa, che conducevano una doppia trattativa con Panama, si risolsero per un accordo sicuro con il loro protettorato.
Un secolo dopo il lungo tira e molla, nel 2012, oltre al no deciso degli ambientalisti a un progetto che sconvolgerebbe la biodiversità locale, l'ostacolo maggiore sembrano essere i dubbi del Costa Rica, lungo il cui confine scorre il fiume San Juan.
IL NIET DEL COSTA RICA. Managua minimizza, ricordando come il corso d'acqua sia interamente in territorio nicaraguense. E come su «un'opera necessaria per l'umanità», i vicini di casa possano solo esprimere «un'opinione non vincolante».
A onor del vero, la questione sembra più complessa. Il governo a vocazione ecologista del Costa Rica ha già fatto sapere che, «viste le comuni acque di frontiera», senza il suo parere, «non è possibile realizzare un canale interoceanico».
Nel 1930, tra l'altro, San José bloccò un nuovo tentativo degli Usa di costruire un passaggio navigabile in Nicaragua, «che infrrangeva i diritti del Costa Rica sul fiume San Juan». Parere allora vincolante. Almeno per la Corte di giustizia del Centro-America.
Escludendo i due bacini, infatti, i chilometri di territorio da perforare si sarebbero ridotti di due terzi dalla distanza tra le coste, segnata sulla cartina. E, rispetto a Panama, il passaggio sarebbe stato più vicino a New York e a San Francisco di circa 800 chilometri .
Le prime ricerche topografiche degli Usa per un canale in Nicaragua risalgono al 1830. Per realizzarlo, nel 1849, Managua firmò addirittura un contratto sui diritti di sfruttamento, con l'affarista americano Cornelius Vanderbilt.
L'ACCORDO CON PANAMA. Poi vennero la Guerra civile e la disastrosa dominazione in Nicaragua del filibustiere William Walker, che a metà dell'800, con la sua banda della Falange americana, invase l'America Centrale. E non se ne fece più di nulla.
I negoziati tra i due Paesi per il canale ripresero solo a inizio '900. Ma, alla fine, gli Usa, che conducevano una doppia trattativa con Panama, si risolsero per un accordo sicuro con il loro protettorato.
Un secolo dopo il lungo tira e molla, nel 2012, oltre al no deciso degli ambientalisti a un progetto che sconvolgerebbe la biodiversità locale, l'ostacolo maggiore sembrano essere i dubbi del Costa Rica, lungo il cui confine scorre il fiume San Juan.
IL NIET DEL COSTA RICA. Managua minimizza, ricordando come il corso d'acqua sia interamente in territorio nicaraguense. E come su «un'opera necessaria per l'umanità», i vicini di casa possano solo esprimere «un'opinione non vincolante».
A onor del vero, la questione sembra più complessa. Il governo a vocazione ecologista del Costa Rica ha già fatto sapere che, «viste le comuni acque di frontiera», senza il suo parere, «non è possibile realizzare un canale interoceanico».
Nel 1930, tra l'altro, San José bloccò un nuovo tentativo degli Usa di costruire un passaggio navigabile in Nicaragua, «che infrrangeva i diritti del Costa Rica sul fiume San Juan». Parere allora vincolante. Almeno per la Corte di giustizia del Centro-America.
(di
Barbara Ciolli)
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