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mercoledì 12 settembre 2012

UNGHERIA - Biszku, spettro di Budapest

Arrestato per crimini di guerra l'ex ministro comunista.

Martedì, 11 Settembre 2012 - La scena dell'arresto è indicativa del personaggio. Quando il 10 settembre i poliziotti sono entrati nell'appartamento a Budapest del 91enne Bela Biszku, per notificargli l'accusa di crimini di guerra in merito all'uccisione di almeno 50 ungheresi durante la rivolta del 1956, lui non li ha degnati di uno sguardo.
Ha fatto depositare le carte sul tavolo, ha firmato l'ordinanza di arresti domiciliari e, alla domanda di rito se avesse qualche dichiarazione da fare, ha risposto scuotendo la testa.
CRIMINI DI GUERRA. L’anziano signore rischia la pena di morte. Ma, a 91 anni, la morte è una compagna quotidiana: quel che conta è il passato. E per Biszku il passato da preservare è quello del comunismo staliniano, cui ha dedicato la vita politica e il lavoro di storico revisionista.
L'emendamento alla legge sulle responsabilità negli avvenimenti del 1956, introdotto dal governo monocolore del premier ungherese Viktor Orban nel 2011, ha dato carta bianca alla procura di Budapest per riaprire i fascicoli di 56 anni fa e procedere contro i responsabili della repressione che costò la vita a 20 mila ungheresi.
RESA DEI CONTI CON LA STORIA. Una sorta di resa dei conti con la storia. Ma anche una prova delle difficoltà della democrazia nel Paese, lacerato dalle tensioni interne e bisognoso di occultare le proprie tensioni.
L'accusa rivolta a Biszku è circostanziata: come membro del comitato ristretto del partito comunista, diede l'ordine di sparare contro i manifestanti a Budapest e a Salgotarjan, una cittadina di 40 mila abitanti nell'Ungheria settentrionale.
INTERFERENZE NEI PROCESSI. Ma l’uomo rischia anche l'incriminazione per interferenze nei procedimenti giudiziari che seguirono la rivolta, compresi quelli che si conclusero con la condanna all'esecuzione: in tutto vennero giustiziati 226 rivoluzionari.
«L'imputazione è una pietra miliare della giustizia ungherse», ha detto il procuratore Tibor Ibolya, e in qualche modo non esagera: Bela Biszku, che è l'ultimo superstite del gruppo dirigente stretto attorno a Janos Kadar dopo la destituzione di Imre Nagy (il primo ministro delle riforme), è anche il primo a essere stato incriminato dalla svolta democratica di 23 anni fa.

Lo stalinista che ha costruito la carriera sulla repressione


Stalinista tutto d'un pezzo, Bela Biszku toccò il vertice della carriera politica proprio grazie ai meriti acquisiti nell'opera di repressione della rivolta. Fu nominato ministro degli Interni dal 1957 al 1961, guidando con pugno di ferro i servizi segreti dell'epoca e diventando l'eminenza grigia della restaurazione sotto l'ombrello sovietico.
Dal 1961 al 1962 avanzò di grado e affiancò Kadar come vice primo ministro. Dal 1962 al 1978 sedette stabilmente alla segreteria del Comitato centrale del partito.
IL FALLITO COLPO DI STATO. Il ritotno kadariano alla destalinizzazione verso la fine degli Anni '60 non gli andò giù e nel 1972 tentò di organizzare un colpo di Stato contro il suo primo ministro cercando appoggio in una vecchia conoscenza: Jurij Andropov, ambasciatore sovietico a Budapest proprio nel 1956.
Un passo falso: Andropov, nel frattempo alfiere dell'ala riformista da cui sarebbe uscito un decennio dopo Michail Gorbaciov, avvertì Kadar e per Biszku iniziò un lento ma inesorabile declino.
RIFLETTORI PUNTATI. Dal 1989, anno della caduta del regime, le sue uscite pubbliche sono diventate rarissime. Al riparo delle quattro mura domestiche, ha provato testardamente a restituire credibilità e gloria a un'idea scomparsa, mentre tutto il mondo attorno cambiava velocemente. Ora le luci gli sono ripiombate addosso all'improvviso, a pochi giorni dal suo 91esimo compleanno.
L'Ungheria è lontana dall'essere quel Paese ormai collaudato alla pratica democratica immaginato dai riformatori che, per primi, nel 1989 riavvolsero il filo spinato della cortina di ferro.
BATTAGLIA POLITICA ROVENTE. La battaglia politica attuale è rovente, le riforme costituzionali di Orban sono finite sotto la lente di Bruxelles, la crisi economica non allenta la presa, il Fondo monetario è sempre alle costole e dal cuore malato del Paese è esploso un bubbone nazionalista e xenofobo che si è incarnato nelle divise brune dello Jobbik.
La situazione sociale è molto tesa, la convivenza con le minoranze sinti e rom precaria, la tentazione di passare alle maniere spicce trova spesso consenso in una fascia di ungheresi terrorizzati dall'improvviso impoverimento.

I conti con la storia rischiano di diventare materiale di scontro politico


È il dramma da cui non riescono a staccarsi molti Paesi dell'ex Europa dell'Est, anche di quelli già entrati a far parte dell'Ue, nei quali le difficoltà della prassi democratica e dell'assenza di un consenso politico di fondo trasformano la normale competizione fra partiti in una guerra all'ultimo sangue.
PASSATO CHE RITORNA. Dopo la svolta, quasi tutti i nuovi e vecchi protagonisti hanno avuto convenienza a chiudere il più in fretta possibile la pagina del passato. In questo scenario, anche i pur legittimi conti con la storia rischiano di diventare materiale di scontro politico o strumento per dirottare l'attenzione dei cittadini dai gravi problemi quotidiani.
Le leggi sulla Lustracija in Repubblica ceca, Polonia e Slovacchia, mirate a far luce sulle complicità di burocrati e politici con i vecchi regimi, si sono spesso rivelate poco più di una caccia alle streghe, utilizzate per scopi assai meno nobili di quelli dichiarati.
Gli osservatori del caso Biszku si chiedono come mai la giustizia ungherese si sia ricordata solo adesso di processare il vecchio carnefice del '56. La risposta della procura è che solo adesso la legge lo permette.
LE PRESSIONI DELLO JOBBIK. Non sfugge - tuttavia - che siano stati i parlamentari dello Jobbik, il partito xenofobo e neofascista, a chiedere nei mesi scorsi a gran voce l'incarceramento di Biszku.
Il processo andrà avanti, in parallelo con quello contro il 97enne Laszlo Csatary, il macellaio del ghetto di Kosice che organizzò la deportazione degli ebrei ad Auschwitz.
I crimini di guerra non hanno data di scadenza: cosa buona e giusta, se solo la politica tenesse le mani lontano dal fuoco. (Pierluigi Mennitti)

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