Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


sabato 8 settembre 2012

ITALIA - Sulcis e Taranto, la politica che non c'è

Cacciari: «Non è una guerra tra poveri».

di Antonietta Demurtas

Sabato, 08 Settembre 2012 - La politica è cieca ma la crisi ci vede benissimo. E colpisce sempre i più deboli. Dagli operai dell'Ilva di Taranto ai minatori della Carbosulcis in Sardegna, dai metalmeccanici della Fiat ai dipendenti dell'Alcoa. Lavoratori abbandonati in balìa delle decisioni prese all'ultimo minuto dai governanti che un giorno dicono una cosa e il giorno dopo ne fanno un'altra.
LA LOGICA DEL NUMERO. Come se non bastasse, c'è chi cerca di analizzare le 150 crisi industriali in corso attraverso confronti basati su un calcolo matematico dei costi sostenuti dal governo per mantenere in vita aziende spesso non autosufficienti. Risultato: la solita, inevitabile, guerra dei numeri.
UN POZZO SENZA FONDO. Dal 1996 a oggi la Regione Sardegna ha speso 600 milioni di euro per mantenere le miniere della Carbosulcis, società che conta 'appena' 500 lavoratori e che ha chiuso il 2011 in perdita per 25 milioni di euro, nonostante i 35 milioni di finanziamenti pubblici.
Per la bonifica dell'Ilva di Taranto e il risanamento ambientale delle zone limitrofe il governo ha stanziato 336 milioni di euro, e molti di più ne ha spesi in tutti questi anni per pagare pensioni di invalidità e malattia professionale, per accogliere negli ospedali cittadini affetti da tumori e malattie respiratorie.
L'INASPRIMENTO DEL CONFLITTO. Ma sono confronti che il più delle volte ottengono un solo risultato: avvelenano gli animi dei lavoratori, costretti a difendere da soli il proprio posto di lavoro. Si innalza così il livello dello scontro, e si prospetta un ritorno alla brutale logica dell'homo homini lupus, teorizzata da Thomas Hobbes. Quando non c'è un governo capace di decidere la migliore soluzione possibile, i lavoratori si sentono isolati e provano a difendersi, scendono a 400 metri sotto terra o salgono a 70 metri d'altezza, urlano, piangono.
NON È UNA GUERRA TRA POVERI. In Sardegna, i minatori chiedono che «la vertenza del Sulcis abbia la stessa dignità di quella dell'Ilva». I metalmeccanici tarantini domandano perché per la bonifica dell'acciaieria il governo abbia stanziato solo 336 milioni di euro mentre per Porto Marghera 5 miliardi.
Ed ecco pronto lo scenario della classica guerra tra poveri. «In un Paese in cui manca la politica industriale», spiega a Massimo Cacciari, «è logico che alla fine i lavoratori si sentano discriminati e trattati diversamente rispetto ad altri colleghi nella stessa situazione».
Ma, avverte, il politico filosofo, «la guerra tra poveri non c'entra nulla. Che siano 10 operai, 100 o 10 mila, dietro ci sono considerazioni obiettive»

DOMANDA. Quali?
RISPOSTA.
Sono scelte strategiche che si fanno, come in ogni Paese, ma bisogna spiegarle.
D. Alla fine è solo una questione di soldi?
R.
No, è una questione di politica industriale, che si fonda su alcuni principi che sono anche tecnico-scientifici.
D. Per esempio?
R.
Certi settori produttivi sono coerenti con l'aspetto economico e sociale di un Paese e non con altri. Ci sono alcune produzioni di base che in Italia sono ormai palesemente anti-economiche. Basta ricordare cosa hanno dovuto affrontare in Inghilterra durante gli Anni 70 e 80 quando si pose un problema analogo a quello del Sulcis per quanto riguarda le attività minerarie.
D. Una catastrofe dal punto vista economico e sociale.
R.
E non poteva essere diversamente. Mentre ci sono altri settori, come le acciaierie, che continuano a essere considerati strategici anche in Paesi industrializzati attraverso investimenti e ammordernamenti. Sono dati di fatto, non si scappa da valutazioni di questo genere.
D. E invece da cosa scappa il governo italiano?
R.
Dalle sue responsabilità. In una politica coerente e razionale, quando si devono necessariamente dismettere alcuni settori, lo si fa con una strategia ben precisa, senza scelte traumatiche, ma attraverso opportune procedure.
D. Facile a dirsi...
R.
Occorre promuovere attività diverse: dismettere e diversificare. Questa è una politica sociale e industriale razionale. Se si difende tutto a prescindere è come non difendere nulla. Perché oggi ci sono settori assolutamente indifendibili.
D. I lavoratori però andrebbero difesi tutti, invece molti si sentono discriminati.
R.
Ma non ha senso. Il diverso trattamento è per tutti coloro che lavorano in settori ormai obsoleti e prima o poi perdono l'occupazione. Il problema è che rimangono senza alcuna prospettiva. E in questo hanno perfettamente ragione a protestare.
D. In mancanza di un governo che decida per il bene comune il rischio è che prevalga la logica dell'homo homini lupus?
R.
Può essere. Queste però sono le conseguenze non del fatto che venga privilegiata Taranto anziché il Sulcis, ma del fatto che manca una visione di insieme e quindi la gente si chiede: «Ma perché tocca a me invece che a loro?».
D. E qual è la risposta?
R.
Non è un caso che le miniere del Sulcis chiudano e invece a Taranto ci sia qualche prospettiva di sopravvivenza. Dipende dalle diversità dei settori in cui si opera.
D. Il filosofo John Rawls sosteneva che i requisiti della giustizia liberale includono una forte componente di eguaglianza fra i cittadini. Qui abbiamo solo un'idea liberale di mercato...
R.
L'eguaglianza non è un valore astratto, ma un obiettivo da perseguire attraverso politiche concrete. La devi costruire sulla base delle condizioni date. Non è che, visto che siamo tutti uguali, dobbiamo tutti produrre e lavorare dove abbiamo cominciato.
D. E come funziona?
R.
Uguaglianza vuol dire che siamo messi tutti nelle condizioni di avere un reddito garantito, di poter trovare un lavoro adeguato. Se la mia occupazione cessa di essere economicamente conveniente devo essere aiutato a trovare un altro lavoro.
D. Ma nessuno, nel governo, per ora ha fatto un discorso di questo tipo.
R.
E infatti è logico che questi lavoratori si arrabbino. E fanno bene.
D. Perché in assenza di una politica industriale sanno che c'è solo quella utilitarista. È questo il rischio?
R.
Non è un rischio. È inevitabile che sia così. Le politiche anche quando sono le migliori cercano di garantire il minor danno per il maggior numero di persone. Ma ci sono tutte le possibilità anche per una equa distribuzione dei sacrifici.
D. Come?
R.
Se per esempio in un settore certe scelte strategiche pesano di più sui lavoratori, la società interviene attraverso i suoi organismi istituzionali affinché ci siano compensazioni per quelli che sono maggiormente danneggiati.
D. Può fare un esempio?
R. Si prenda il caso del Sulcis. Considerando che quell'attività mineraria oggi non è economicamente sostenibile, servirebbero interventi per sopperire ai sacrifici che in quella regione sono maggiori che in un'altra.
D. Ci vorrebbe un governo dei saggi...
R.
Il problema è che una volta questi concetti elementari erano presenti seppur applicati in maniera completamente distorta. Gli interventi straordinari per il Mezzogiorno per esempio avevano questa caratteristica. Poi i soldi sono stati spesi nella maniera peggiore, ma l'idea c'era.
D. Insomma sappiamo solo predicare bene.
R.
Sì, anche in Sicilia accadde la stessa cosa con la chimica. 30 anni fa si fecero investimenti su settori che erano già obsoleti, e poi la compensazione fu fittizia.
D. Siamo molto lontani dallo scenario descritto dal sindacalista della Cisl Pierre Carniti che teorizzava la coabitazione tra capitale, lavoro e stato sociale.
R.
Teoricamente esiste eccome la possibilità di unire interventi industrialmente efficaci, buone politiche di ammortizzatori sociali nelle situazioni di crisi e promozioni di settori industriali capaci poi di creare nuove fasi di sviluppo.
D. Ma servono risorse che oggi non abbiamo.
R.
Il problema è che queste politiche non si facevano neanche quando le risorse c'erano.
D. Tutta colpa dei politici incapaci?
R.
Anche i sindacati hanno le loro responsabilità. Per questo oggi giocano in difesa, non hanno altra possibilità al momento, languono anche loro.
D. Marx come li avrebbe giudicati?
R.
Marx capiva che quelli della Comune sbagliavano, che era una battaglia disperata ma li ha comunque esaltati. E oggi avrebbe fatto lo stesso per i minatori del Sulcis o qualunque altra classe operaia in crisi ovviamente. Una cosa è comprendere gli errori e magari anche la sconfitta a cui sono destinate determinate battaglie; altro è non schierarsi dalla parte di coloro che soffrono e che pagano il costo del mancato sviluppo.
D. E alla fine devono lottare per difendere un posto di lavoro.
R.
Sì, ma è chiaro che alla fine se manca una politica industriale che concerti con le grandi aziende qualche soluzione, prima o poi se ne andranno tutti, a partire da Marchionne. È palese.
D. E cosa resterebbe?
R
. Rimarrebbe la politica a gestire gli scarti, come è stato fatto dopo ogni crisi economica e finanziaria.

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