Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


sabato 29 settembre 2012

EUROPA - Senza peli sulla lingua

Una nuova generazione di ministri degli esteri, guidata dal polacco Radosław Sikorski, sta cambiando il modo di fare diplomazia in Europa. Con un linguaggio diretto e una maggiore attenzione ai mezzi di comunicazione.

Jordi Vaquer 28 settembre 2012 EL PAIS Madrid

"I vostri interessi sono in Europa. Ed è tempo che vi sia anche il vostro cuore", ha dichiarato il ministro degli esteri polacco a Oxford, dove era stato invitato il 21 settembre. Nulla a che vedere con quello che viene di solito definito il linguaggio diplomatico, ma Radosław Sikorski non è un ministro tradizionale, e non ha peli sulla lingua: sostenete e partecipate a un'Ue più forte o rischiate l'isolamento.

Questo discorso ricorda il suo intervento a Berlino nel novembre 2011: "Non siete la vittima innocente della prodigalità degli altri, voi stessi avete più volte violato il Patto di crescita e di stabilità. Le vostre banche hanno autorizzato prestiti senza alcun controllo preventivo e hanno comprato obbligazioni ad alto rischio", ha detto ai tedeschi. In quel giorno Sikorski ha pronunciato un'altra frase storica per un ministro polacco: "Ho meno paura della potenza tedesca che di quello che comincia ad assomigliare all'inattività tedesca". Diretto e inequivocabile.

Tra i ministri degli esteri europei Sikorski si distingue, ma non solo a causa del suo stile insolito. Anche Carl Bildt, il responsabile svedese della diplomazia, ha la lingua tagliente e non ha paura delle polemiche. Le sue dichiarazioni hanno fatto scandalo, in particolare quando ha paragonato l'intervento russo in Ossezia del sud all'annessione nazista dei Sudeti, o quando ha definito Israele come un pericolo.

Ma a parte le polemiche, Sikorski e Bildt hanno uno stile – diretto e senza giri di parole – che assomiglia a quello di altri membri del Consiglio degli Affari esteri, l'organo che riunisce i ministri europei responsabili della diplomazia, come il giovane finlandese Alexander Stubb, che scrive spesso sui giornali e su Twitter ed è molto attivo nei dibatti politici nazionali ed europei (per esempio difende, al contrario della maggioranza dei suoi connazionali, l'adesione della Finlandia alla Nato) o il bulgaro Nikolai Mladenov, che si esprime regolarmente sul Medio Oriente.

Tutti questi ministri sono di destra, relativamente giovani, hanno fatto i loro studi in ambienti di lingua inglese e comunicano senza interpreti. In questo modo stanno dando un nuovo volto alla politica estera europea. Con i loro discorsi diretti e con la loro presenza sui social network, con le alleanze preliminari ai vertici e con gli stretti rapporti intrecciati con i think tank e gli opinion maker, cercando la complicità delle istituzioni europee, l'impatto di questo nuovo gruppo di ministri sulla politica estera dell'Ue è più importante di quanto si potrebbe pensare, soprattutto se si tiene conto del peso relativo dei loro stati. Ma questo non impedisce loro di difendere gli interessi nazionali.

La strategia polacca è un esempio evidente, e non solo a causa del ruolo attivo del suo ministro nei confronti dell'opinione pubblica di altri paesi. Quando la Polonia presiedeva l'Ue nel secondo semestre del 2011, Varsavia ha aumentato il suo aiuto ai centri polacchi di relazioni internazionali e ha sostenuto decine di testi in tutta l'Ue, allo scopo di mettere le priorità polacche al centro delle discussioni a Bruxelles e nelle altre capitali europee. La Polonia punta sugli analisti del suo ministero, che sono cinque volte più numerosi di quelli della Spagna, e prevede di raddoppiarne il numero entro la fine del 2013. Le idee, le proposte e la partecipazione a una comunità di idee europee che trascende i negoziati fra i governi sono un aspetto centrale della strategia di Varsavia.

La crisi attuale mette in primo piano la crescente interdipendenza fra gli stati membri dell'Ue. Esprimersi attraverso le stesse formule utilizzare nel quadro della diplomazia tradizionale e adottare nell'Ue le stesse procedure usate durante un classico negoziato internazionale può difficilmente rivelarsi efficace.

Il linguaggio diplomatico che trionfa in Europa, l'unico che può contrastare la politica del fatto compiuto e contrastare l'onnipotenza delle tre grandi (Francia, Germania e Gran Bretagna), non si limita ai circoli intergovernativi di Bruxelles, ai vertici e alle ambasciate. Si tratta di uno stile diretto e coraggioso, che non indietreggia di fronte al confronto di idee, che non considera la diplomazia come uno scambio di interessi definiti a livello delle capitali nazionali.

La politica estera europea si sta gradualmente trasformando in un esercizio comune di analisi, di creazione di opinioni e di idee. Non basta enunciare la posizione corretta e poi avviare i negoziati necessari. Concepire e argomentare le proprie idee in uno spazio di pensiero europeo, nei confronti dei governi, dei media, degli analisti e dei cittadini di altri stati, grazie non solo alla cooperazione con gli altri responsabili della diplomazia, ma anche con gli attori sociali, economici e con la stampa costituisce una missione essenziale per i ministeri degli esteri. E chi lo ha capito, a cominciare dalla Polonia, è al centro della nuova politica estera dell'Unione europea.(Traduzione di Andrea De Ritis)

Nessun commento:

Posta un commento