Jordi Vaquer 28 settembre 2012 EL PAIS Madrid
"I vostri
interessi sono in Europa. Ed è tempo che vi sia anche il vostro cuore", ha
dichiarato il ministro degli esteri polacco a Oxford, dove era stato invitato
il 21 settembre. Nulla a che vedere con quello che viene di solito definito il
linguaggio diplomatico, ma Radosław Sikorski non è un ministro tradizionale, e
non ha peli sulla lingua: sostenete e partecipate a un'Ue più forte o rischiate
l'isolamento.
Questo discorso
ricorda il suo intervento a Berlino nel novembre 2011: "Non siete la
vittima innocente della prodigalità degli altri, voi stessi avete più volte
violato il Patto di crescita e di stabilità. Le vostre banche hanno autorizzato
prestiti senza alcun controllo preventivo e hanno comprato obbligazioni ad alto
rischio", ha detto ai tedeschi. In quel giorno Sikorski ha pronunciato
un'altra frase storica per un ministro polacco: "Ho meno paura della
potenza tedesca che di quello che comincia ad assomigliare all'inattività
tedesca". Diretto e inequivocabile.
Tra i ministri degli
esteri europei Sikorski si distingue, ma non solo a causa del suo stile
insolito. Anche Carl Bildt, il responsabile svedese della diplomazia, ha la
lingua tagliente e non ha paura delle polemiche. Le sue dichiarazioni hanno
fatto scandalo, in particolare quando ha paragonato l'intervento russo in
Ossezia del sud all'annessione nazista dei Sudeti, o quando ha definito Israele
come un pericolo.
Ma a parte le
polemiche, Sikorski e Bildt hanno uno stile – diretto e senza giri di parole –
che assomiglia a quello di altri membri del Consiglio degli Affari esteri,
l'organo che riunisce i ministri europei responsabili della diplomazia, come il
giovane finlandese Alexander Stubb, che scrive spesso sui giornali e su Twitter ed è molto attivo nei dibatti
politici nazionali ed europei (per esempio difende, al contrario della
maggioranza dei suoi connazionali, l'adesione della Finlandia alla Nato) o il
bulgaro Nikolai Mladenov, che si esprime regolarmente sul Medio Oriente.
Tutti questi ministri
sono di destra, relativamente giovani, hanno fatto i loro studi in ambienti di
lingua inglese e comunicano senza interpreti. In questo modo stanno dando un
nuovo volto alla politica estera europea. Con i loro discorsi diretti e con la
loro presenza sui social network, con le alleanze preliminari ai vertici e con
gli stretti rapporti intrecciati con i think tank e gli opinion maker, cercando
la complicità delle istituzioni europee, l'impatto di questo nuovo gruppo di
ministri sulla politica estera dell'Ue è più importante di quanto si potrebbe
pensare, soprattutto se si tiene conto del peso relativo dei loro stati. Ma
questo non impedisce loro di difendere gli interessi nazionali.
La strategia polacca
è un esempio evidente, e non solo a causa del ruolo attivo del suo ministro nei
confronti dell'opinione pubblica di altri paesi. Quando la Polonia presiedeva
l'Ue nel secondo semestre del 2011, Varsavia ha aumentato il suo aiuto ai
centri polacchi di relazioni internazionali e ha sostenuto decine di testi in
tutta l'Ue, allo scopo di mettere le priorità polacche al centro delle
discussioni a Bruxelles e nelle altre capitali europee. La Polonia punta sugli
analisti del suo ministero, che sono cinque volte più numerosi di quelli della
Spagna, e prevede di raddoppiarne il numero entro la fine del 2013. Le idee, le
proposte e la partecipazione a una comunità di idee europee che trascende i
negoziati fra i governi sono un aspetto centrale della strategia di Varsavia.
La crisi attuale
mette in primo piano la crescente interdipendenza fra gli stati membri dell'Ue.
Esprimersi attraverso le stesse formule utilizzare nel quadro della diplomazia
tradizionale e adottare nell'Ue le stesse procedure usate durante un classico
negoziato internazionale può difficilmente rivelarsi efficace.
Il linguaggio
diplomatico che trionfa in Europa, l'unico che può contrastare la politica del
fatto compiuto e contrastare l'onnipotenza delle tre grandi (Francia, Germania
e Gran Bretagna), non si limita ai circoli intergovernativi di Bruxelles, ai
vertici e alle ambasciate. Si tratta di uno stile diretto e coraggioso, che non
indietreggia di fronte al confronto di idee, che non considera la diplomazia
come uno scambio di interessi definiti a livello delle capitali nazionali.
La politica estera
europea si sta gradualmente trasformando in un esercizio comune di analisi, di
creazione di opinioni e di idee. Non basta enunciare la posizione corretta e
poi avviare i negoziati necessari. Concepire e argomentare le proprie idee in
uno spazio di pensiero europeo, nei confronti dei governi, dei media, degli
analisti e dei cittadini di altri stati, grazie non solo alla cooperazione con
gli altri responsabili della diplomazia, ma anche con gli attori sociali,
economici e con la stampa costituisce una missione essenziale per i ministeri
degli esteri. E chi lo ha capito, a cominciare dalla Polonia, è al centro della
nuova politica estera dell'Unione europea.(Traduzione di Andrea De Ritis)
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