Ian Traynor 20 settembre 2012 THE GUARDIAN LONDRA
Non c’è modo di
sapere come e quando finirà. È tuttavia sempre più evidente, man mano che va
avanti la più grande crisi della storia d’Europa, che il Regno Unito e il resto
dell’Unione si dirigono in direzioni diametralmente opposte.
Concentrata ormai da
tre anni sulla crisi dell’euro, Berlino chiede di riaprire i trattati europei
per facilitare una maggiore convergenza – o abdicazione, a seconda del punto di
vista – della sovranità nazionale per rendere possibile la creazione di
un’Europa federale, che porterebbe alla nascita di un governo centrale europeo
che avrebbe prerogative esclusive in tema di potere fiscale e di spesa. Ma il
Regno Unito ne è escluso.
La settimana scorsa
la Commissione europea ha firmato la bozza tedesca, pur facendo notare la
problematica legislazione dell’Ue che fa della Banca centrale europea il
guardiano dell’intero settore bancario della zona euro. E neanche di questo fa
parte il Regno Unito.
Martedì il ministro
degli esteri tedesco ha esteso il processo decisionale economico federalista
agli esteri e alla difesa, insieme ad altri dieci ministri degli esteri dell’Ue
accuratamente scelti per rispecchiare l’Ue non britannica, ovvero paesi piccoli
e grandi, paesi che hanno la moneta unica e che non l’hanno, stati dell’Europa
occidentale centrale e stati dell’est europeo di più recente adesione. È
probabile che il consenso degli undici paesi
cresca fino a raggiungere la maggioranza tra i ventisette membri dell’Ue. E
anche da ciò il Regno Unito resta esclusa. Tra gli undici paesi in questione vi
sono Germania e Francia ma anche Italia, Spagna e Polonia, i paesi Ue più
importanti dopo il Regno Unito.
In sintesi,
l’isolamento britannico si è notevolmente accentuato, mentre la distanza tra le
due sponde della Manica aumenta. Più con dispiacere che con rabbia. C’è grande
apprezzamento per il ruolo che il Regno Unito riveste in Europa, per il suo
contributo dal punto di vista della politica estera, della sicurezza e della
difesa, per il suo pragmatico liberalismo, il suo ruolo nel sostenere le
libertà del mercato unico, la sua tradizione antiprotezionista e la qualità del
suo esercito di eurocrati.
Ma c’è anche
esasperazione per la negatività, la mancanza di spirito di squadra, l’apparente
determinazione a sfruttare la situazione europea nel suo complesso per scopi
nazionali o addirittura per logiche di partito. Per Londra sta diventando
sempre più difficile dar vita a qualcosa di più che semplici alleanze ad hoc,
centrate su questioni specifiche. La Polonia, per esempio, è stata un
importante motore delle proposte radicali di politica estera di martedì. Fino a
un paio di anni fa era un alleato britannico naturale nello scenario europeo.
Non era in debito di nulla nei confronti della Francia, dato che Parigi ha
giustamente considerato l’espansione dell’Ue in Europa orientale come un gioco
a somma zero che avrebbe indebolito il potere francese, e la storia ha
insegnato a Varsavia la prudenza nei confronti di Berlino. Ma la Polonia ha
rinunciato al Regno Unito dopo aver calcolato che il suo interesse nazionale è
costruire una comunione d’intenti con la Germania.
Tra i più importanti
stati dell’Ue – cioè tra Germania e Francia – sussistono enormi divergenze di
opinione in relazione all’euro, al futuro di una federazione politica aperta
della zona euro, al trasferimento dei poteri nazionali rimasti alle istituzioni
europee. Alcune cose, insomma, non cambiano mai. Eppure, non si tratta tanto di
un allontanamento, quanto di come fissare i termini di un riavvicinamento. È un
processo politico nel quale sempre più spesso Berlino osserva da fuori quel che
accade.
Tutto sembra
suggerire che entro un anno i trattati europei dovranno essere rimessi in
discussione per permettere il trasferimento di sovranità a Bruxelles. La posta
in gioco è troppo elevata per i problemi di David Cameron. Di conseguenza, o
quest’ultimo riuscirà a negoziare i termini dell’adesione del Regno Unito
oppure dovrà indire un referendum sull’Ue. Per Bruxelles invece la questione
non è tanto sapere se ci sarà il referendum, ma quale sarà il quesito.
Traduzione
di Anna Bissanti
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