Pensare Globale e Agire Locale

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venerdì 7 settembre 2012

ITALIA - D'Alema rinnega Marchionne

Il piddino cambia idea sul numero uno Fiat.

Giovedì, 06 Settembre 2012 - Se è vero, come recita il vecchio adagio, che solo gli stolti non cambiano mai idea, Massimo D'Alema può dormire sonni tranquilli. Sì perché il lìder Massimo idee e posizioni le ha cambiate più di una volta. Soprattutto quando si parla di Sergio Marchionne.
«MAI STATO ESTIMATORE DI MARCHIONNE». Il 4 settembre, dal palco della festa democratica di Reggio Emilia, il presidente Copasir ha detto sicuro: «Non sono mai stato un estimatore di Marchionne».
Non solo. Secondo l'esponente Pd, il manager italo-canadese «ha portato una logica di estrema conflittualità e non ha mai portato avanti un programma industriale». «Non si può fare industria in Italia?», ha chiesto quindi retoricamente. «Ci sono fior di imprenditori che fanno industria e competono nel mondo».
«SI TOLGA IL PULLOVER E METTA LA CRAVATTA». E poi l'immancabile affondo ironico. «Un grande imprenditore italiano mi ha detto che Steve Jobs vestiva con i blue jeans e ha conquistato il mondo. Marchionne forse dovrebbe togliere il pullover e rimettersi la cravatta».
E fin qui nulla da obiettare. Un esponente storico della sinistra italiana critica, anche duramente, un manager discusso e che con le sue scelte aziendali ha sollevato più di una polemica. O quasi. Perché D'Alema, in passato, la pensava un briciolo diversamente sul numero uno del Lingotto.

Quando Marchionne era il salvatore dell'Italia


Nel maggio 2009, per esempio, D'Alema affermava convinto: «Ho sempre pensato che il destino della Fiat fosse quello di una forte internazionalizzazione in una fase caratterizzata dalla concentrazione della produzione di automobili. Marchionne lo sta facendo nel modo migliore».
LA SINISTRA PRO-LINGOTTO. A dire il vero D'Alema non fu l'unico a essere stato folgorato sulla via del Lingotto. Buona parte di un certo centro sinistra italiano, era affascinata dal manager col pullover. Mentre Fausto Bertinotti dichiarava nel luglio 2006: «Dobbiamo puntare ai borghesi buoni. Marchionne parla della risposta ai problemi dell’impresa, non scaricando sui lavoratori e sul sindacato, ma assumendola su di sé», l'allora sindaco di Torino Sergio Chiamparino e il piddino Piero Fassino si sprecavano in elogi e incoraggiamenti.
LA DIVISIONE DELLE RESPONSABILITÀ. D'Alema fu più prudente ma comunque salomonico. Il 2 settembre 2010, poco prima dei referendum di Pomigliano e Mirafiori, riconosceva infatti «errori» e «atteggiamenti sbagliati» sia da parte della Fiat sia da quella della Fiom.
«Siamo di fronte a un accordo per salvare una realtà produttiva che altrimenti potrebbe essere compromessa: credo che ci sia una priorità che è la difesa del lavoro», aveva detto del resto il 22 giugno.
LA SVOLTA PER IL REFERENDUM. Pochi mesi dopo il giudizio pro-referendum fu ancora più netto. A fine 2010, a ridosso della svolta di Pomigliano, D'Alema mise in chiaro: «L'accordo che sarà sottoposto al giudizio dei lavoratori credo sia accettabile nella parte produttiva perché prevede rinunce ai lavoratori ma anche forti investimenti e garanzie occupazionali». Salvo poi raffreddare gli entusiasmi: «Quello che non è accettabile è la decisione politica della Fiat di escludere chi non condivide gli accordi».
LA CORRENTE ANTI-FIOM DEL PD. Insomma D'Alema è stato portabandiera della corrente anti-Fiom del Pd insieme con i Letta, i Fioroni, i Marini. Senza dimenticare Chiamparino e Fassino.
Posizioni ben diverse da quelle espresse alla festa nazionale democratica. Ma si sa, le elezioni si avvicinano, e l'elettorato di sinistra va coccolato. Almeno a parole.

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