Arnaud
Leparmentiere 17 settembre
2012 LE MONDE Parigi
“Pensarci sempre, non
parlarne mai”. In Francia questa è la sorte che tocca all’Europa, come fu tra
il 1870 e il 1918 per l’Alsazia e la Lorena. L’argomento è tabù, ed è meglio
non farne parola con il popolo francese. Pertanto François Hollande ha
scrupolosamente evitato di parlare di Europa quando il 9 settembre ha
presentato a TF1 la sua “agenda del risanamento 2014”, che nelle intenzioni
dovrebbe prescrivere la rotta da seguire nella prima parte del suo mandato
quinquennale.
Tuttavia, a guidare
l’operato del presidente è proprio l’agenda europea. L’euro è in bilico, e
anche la Francia. Se la crisi si aggravasse, la Francia potrebbe andare
incontro allo stesso destino dell’Italia ed essere presa d’assalto dai mercati
finanziari. Se si mitigasse, potrebbe ugualmente andare incontro allo stesso
destino dell’Italia, dato che i mercati scoprirebbero che le condizioni di
salute dell’economia francese non hanno nulla da invidiare a quelle della
Penisola, seconda potenza industriale del continente.
Se il presidente
francese elude il tema Europa, è perché questo tema non è in grado di
costituire un orizzonte politico. Il contrasto è netto rispetto a François
Mitterrand, che nel 1983 – dopo due anni di errori in campo economico – optò
per la svolta del rigore. L’Europa invece del socialismo. Così facendo,
François Mitterrand ancorò solidamente la propria politica a un duplice
orizzonte, francese ed europeo. L’Europa – che secondo il trattato di Roma
avrebbe dovuto forgiare “un’unione sempre più stretta tra i popoli europei” –
era un’utopia, ma un’utopia dalle conseguenze assai reali, che doveva
consentire alla Francia di imboccare la strada della modernizzazione. Così, nel
1986, l’atto unico sceglie come punto d’arrivo la realizzazione nel 1992 del
grande mercato. In seguito, il trattato di Maastricht dà il via all’iter che
porterà all’euro, che deve essere creato nel migliore dei casi nel 1997, al più
tardi nel 1999, e costringerà i paesi candidati a far confluire le proprie
politiche economiche.
Questo metodo del
conto alla rovescia, che ha consentito di predisporre anche l’allargamento ai
paesi dell’est nel 2004, è effimero. L’Europa si è spaccata in mille pezzi per
i propri fallimenti e la propria crisi di legittimità, di cui si è preso atto
nel 2005 con il duplice “no” dei francesi e degli olandesi alla Costituzione
europea. La crisi dell’euro, che attesta un’incapacità quanto meno temporanea
da parte dell’Europa a difendere i popoli e a garantire loro il benessere, non
fa che confermare questa sfiducia.
Sarebbe solo
apparenza, per François Hollande, ispirarsi all’ultimo tentativo utopistico
europeo, la cosiddetta agenda di Lisbona.
Lanciata nel 2000, in piena bolla delle dot-com, questa agenda entro il 2010
avrebbe dovuto fare dell’Europa “l’economia della conoscenza più competitiva e
più dinamica al mondo”. Si puntava a sorpassare la superpotenza americana. Non
si fissarono obblighi, e la faccenda andò a rotoli, con l’unica nobile
eccezione del cancelliere tedesco Gerhard Schröder che nel 2002 decise di
statalizzare l’ambizione di Lisbona lanciando una propria agenda 2010. Senza
Europa. In Germania, ma con il successo che conosciamo.
François Hollande
riuscirà a ricalcarne le orme? Il suo intervento su
TF1 in effetti qualche ispirazione schröderiana l’aveva. Ma il
cancelliere aveva indicato un obiettivo a lungo termine, condiviso
all’unanimità dal suo paese: ripristinare la competitività tedesca, per tornare
a farne un fuoriclasse industriale e nel settore delle esportazioni.
François Hollande,
invece, non ha un vero e proprio progetto a lungo termine che possa rivendicare
come suo, e ciò spiega la particolare debolezza della sua dialettica. Il
presidente presenta la propria agenda di riforme come una parentesi di due
anni, un momento difficile da superare, che permetterà in seguito di avere “una
società più solidale”. Ma non dice nulla sul futuro della Francia in Europa e
sulla globalizzazione. Nella crisi, la maggior parte dei paesi in difficoltà
adotta il modello delle riforme alla tedesca. Liberamente o per coercizione. E
la Francia si ritroverà davanti questa stessa scelta.
Spagna
o Germania?
Questa è l’analisi
dell’ex primo ministro Jean-Pierre Raffarin. “A un certo punto si chiederà ai
francesi di scegliere tra i Pirenei e il Reno, di essere come i tedeschi o gli
spagnoli”, assicura il senatore dell’Ump. E proprio un allineamento con la Germania
è stato a gennaio l’effimero fulcro della campagna per la presidenza di Nicolas
Sarkozy. Dopo aver deriso la politica di Berlino, da lui considerata
sacrificale, ne ha poi fatto un modello da copiare. L’argomentazione fu presto
messa in disparte a causa del suo effetto più che incerto sulle intenzioni di
voto. Per un presidente di sinistra è ancora più difficile sostenerla.
Da questo punto di
vista Hollande non si esprime, tanto sul piano nazionale quanto su quello
europeo. Sul versante europeo, il presidente spera che l’Unione porti a termine
con successo la corsa a ostacoli che ha davanti, con tutta la lagna dei
bailout, delle elezioni, dei verdetti costituzionali, così da permettere
finalmente agli investitori di imboccare di nuovo la strada verso il sud
dell’Europa. Spera che questa tregua europea gli consenta di recuperare un
piccolo margine di manovra nazionale per portare a buon fine la propria agenda
biennale.
Soltanto in seguito,
quando avrà dimostrato la propria efficienza superando la crisi, l’Europa potrà
diventare un orizzonte difendibile. A quel punto verrà il momento di riflettere
su una nuova legittimazione da parte dei popoli europei dell’intero progetto. I
francesi hanno paura a ripetere l’esperienza dei referendum europei. Ma la
faccenda tornerà a essere ineluttabile quando le regole si saranno evolute al
punto che alle autorità tedesche non resterà altra scelta che consultare il
popolo. (Traduzione di Anna
Bissanti)
Sondaggio
I francesi e l’Europa, fine di un amore
Secondo
un sondaggio
pubblicato da Le Figaro il 64 per cento dei francesi oggi voterebbe
contro il trattato di Maastricht. Il quotidiano rileva il “disamore” che segna
ormai il rapporto tra i francesi e l’Europa. Una “analisi spietata", commenta il
quotidiano.
Di chi è la colpa?
Dei leader politici, da destra a sinistra. E come rispondono? Sostenendo che
l’Europa va avanti per conto suo, e chi non l’ha capito è un ingenuo da
convincere con le buone o con le cattive. Poi aggiungono che vivere in una
comunità di destini e interessi obbliga la Francia a sostenere sforzi che senza
l’Europa potrebbe risparmiarsi. Un errore strategico madornale. Presentata in
questo modo l’Europa non poteva che essere il bersaglio dell’astio della
popolazione, ed è precisamente ciò che è diventata.
Eppure, nota Le
Figaro, i francesi sanno essere paradossali, e non lanciano tutto fuori bordo
indistintamente. Sono ancora favorevoli al principio dell’unione politica
europea (47 contro 27 per cento), e pensano che sia nell’interesse del paese
restare legato al contesto politico europeo. […] Dunque non vogliono fare
marcia indietro, ma nemmeno accelerare in avanti o allargare la famiglia.
Il quotidiano
conservatore chiede ai francesi di interrogassi sul proprio destino europeo
piuttosto che rimettere in discussione l’Europa: “non devono illudersi, e
farebbero bene a interrogarsi sulla natura della loro eurofobia”.
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