Pensare Globale e Agire Locale

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venerdì 7 settembre 2012

ITALIA - «Il Pd? È sprofondato»

Bettini spiega perché non si schiera né con Renzi né con Bersani.

di Gabriella Colarusso

Giovedì, 06 Settembre 2012 - La sua lunga storia politica, Goffredo Bettini, l'ha scritta tutta da sinistra. Dirigente prima della Fgci, la federazione giovanile dei comunisti, poi del Pci, del Pds, dei Ds e, infine, del Pd, dove è entrato da padre nobile nel 2008 - come coordinatore della fase costituente - sostenendo la candidatura di Walter Veltroni alle primarie.
IL FALLIMENTO DEL PROGETTO DEMOCRATICO. E da sinistra, oggi, guarda con disincanto a quello che considera il fallimento del progetto democratico. La vocazione maggioritaria, l'ambizione di un partito che tenesse insieme, per davvero, laici e cattolici, socialisti e liberali.
«Dopo il 2008 invece di aprire una discussione vera per capire se il risultato ottenuto da Veltroni poteva essere l'inizio robusto di una nuova esperienza condivisa, abbiamo evitato di fare il congresso e siamo tornati alle correnti, ai caminetti, alle fazioni. E il Pd è sprofondato», dice dalla Thailandia, dove passa ormai buona parte del suo tempo occupandosi di cinema, pur non rinunciando all'impegno politico in Italia.
L'ARROCCAMENTO CONTRO RENZI. Quel passaggio mancato dall'adolescenza alla maturità, riflette Bettini - che ha firmato più di una vittoria elettorale come quelle di Francesco Rutelli a sindaco di Roma nel 1993 e 1997, e di Veltroni nel 2001 - spiega, in parte, le reazioni scomposte che in questi giorni buona parte dei dirigenti democratici hanno avuto nei confronti di Matteo Renzi. «Un tentativo di arroccamento», dice, «di richiamo all'ordine, di una classe dirigente priva di prestigio presso l'opinione pubblica che tenta di difendere lo status quo».

DOMANDA. Sembra che Renzi abbia sostituito Berlusconi nel ruolo di gran unificatore della sinistra: ora tutti sono contro il simdaco di Firenze.

RISPOSTA. Non condivido gran parte delle cose che sostiene Renzi e se si presenterà alle primarie non voterò per lui. Però ha legittimamente scelto di condurre questa battaglia per la premiership.
D. I dirigenti del Pd non sembrano pensarla così.
R. Renzi è sindaco di una città importante, ha lavorato molto anche fuori da Firenze, ha espresso in maniera organica e in varie occasioni i suoi temi, quindi legittimamente si presenta nel campo della competizione. Queste polemiche fuori misura rischiano solo di giocare a suo favore.
D. Perché tanto livore da parte della nomenklatura?
R. Mi sembra francamente un tentativo di arroccamento, di richiamo all'ordine, che in questo momento non serve. Per due motivi: il primo è che se si fanno le primarie è bene che ci siano più candidati diversi tra loro, eterogenei. Altrimenti che primarie sono?
D. Il secondo?
R. Queste polemiche rischiano di favorirlo al di là del merito di ciò che dice. Lascerei parlare Renzi, perché secondo me le sue proposte non gli porteranno grandi consensi. E poi bisogna stare molto attenti ai pulpiti dai quali partono le critiche.
D. Che pulpiti sono?
R. Non mi pare che in questo momento la nostra classe dirigente goda di un prestigio e di una tenuta nel rapporto con i cittadini così saldi da permettersi anche critiche polemiche fuori misura.
D. Cosa non le piace del sindaco di Firenze?
R. Ha una posizione eccessivamente elitaria, personalistica. E invece la sinistra progressista ha bisogno oggi di essere organizzata attorno a una squadra sobria, innovativa, ma sobria. Non ha bisogno di salvatori della patria.
D. In campo una nuova generazione? Lo dice anche il sindaco di Firenze.
R. Parole impegnative e chiare da Renzi su come pensa il rinnovamento della forma partito, sul ruolo da dare agli iscritti, sulle modalità con cui costruire una squadra che non sia omologata esclusivamente al suo leader, non le ho mai sentite.
D. La squadra però c'è l'ha: sindaci, amministratori locali, manager televisivi.
R. Non mi pare che siano emersi come coprotagonisti. C'è un deus ex machina e basta. Non vorrei essere frainteso, ma quando parlo di squadra penso ad altro.
D. A cosa?
R. Ai gruppi dirigenti del Pci o della Dc. C'erano sì i segretari di partito, ma poi c'erano anche per il Pci Amendola, Pajetta, Ingrao, Tortorella, Alicata. Per la Dc, Fanfani e Moro. Pezzi da novanta. Noi invece navighiamo nelle acque di questa falsa nuova politica che mette al centro solo le singole persone.
D. Poi ci sono i patti di sindacato che impediscono qualsiasi ricambio al vertice.
R. I dirigenti del Pd hanno un atteggiamento sbagliato ma non mi pare ci sia alcun patto di sindacato. Veltroni non ha fatto un attacco pregiudiziale nei confronti di nessuno.
D. Intanto ancora non si sa nemmeno con certezza se si faranno le primarie...
R. Le primarie devono essere fatte, sono la strada maestra per la scelta della leadership. Anzi mi auguro che non ci siano solo due candidati del Pd.
D. Ha detto che non voterebbe per Renzi. Ma tra il sindaco e Bersani?
R. Avrei grande imbarazzo se non ci fosse una terza candidatura nel partito. Non mi riconosco né in Renzi né in Bersani.
D. Neppure nel segretario?
R. In questi mesi ha gestito bene una situazione difficile. Penso anche che segua uno schema politico corretto: organizzare il campo delle forze riformatrici e, in prospettiva, allearsi anche con i più moderati come l'Udc di Casini. Ma...
D. Ma?
R. Ma penso che Bersani sia dentro pienamente a una struttura di partito che ormai è ampiamente superata e che da questo punto di vista non abbia introdotto alcuna innovazione.
D. Pensa a un soggetto politico nuovo che superi le attuali divisioni del centrosinistra.
R. Sì, un percorso politico unico tra forze progressiste e riformatrici. Le divisioni attuali sono assurde, in gran parte figlie dell'istinto dei dirigenti alla conservazione del proprio orticello. Il nostro popolo vuole e ha chiesto altro.
D. Cosa?
R. Basta pensare alle Amministrative. Milano, Torino, Cagliari, Napoli. I nostri elettori si sono espressi in modo chiaro a favore di un progetto unitario e innovativo. È ora di superare intercapedini burocratiche, correnti, correntine.
D. Ma non doveva essere questo il Pd? L'unione di laici e cattolici, socialisti e liberali, in un unico campo riformista?
R. Già. Perché non ci siamo riusciti?
D. Lo dica lei...
R. Perché dopo il 2008, invece di aprire una discussione vera per capire se quel risultato fosse stato davvero una sconfitta o se potesse essere l'inizio robusto di una nuova esperienza condivisa, abbiamo evitato il congresso e siamo tornati alle correnti, ai caminetti. E il Pd è sprofondato.
D. In una nuova alleanza terrebbe anche Di Pietro?
R. Assolutamente sì.
D. Dopo quello che è successo con Napolitano?
R. L'esasperazione polemica dell'Idv, anche nei nostri confronti e su temi delicati, deriva in gran parte da una esigenza di spazio politico, di visibilità.
D. Dopo la polemica con il Quirinale, Bersani ha chiuso definitivamente le porte all'ex pm.
R. Credo che Di Pietro si sia fatto trascinare da una esigenza di tattica politica. Un errore grave certo, ma questo non esclude la possibilità di una proposta politica che vada oltre Idv, Sel, Pd e le 10 mila correnti interne.
D. Non ha ancora detto però come dovrebbe avvenire il ricambio che pure, come ha detto, è necessario.
R. Serve un candidato del Pd totalmente fuori dalla nomenklatura, che dica una cosa chiara: «Mi presento alle primarie, se vinco questo è il mio programma e lo realizzerò fuori da ogni condizionamento perché tra cinque anni, sia che abbia fatto bene sia che abbia fatto male, lascio gli incarichi di potere che ho conquistato».
D. Un'utopia.
R. Abbiamo bisogno di avere una classe dirigente che per cinque anni sia esclusivamente al servizio del Paese e della democrazia italiana.
D. Ma se ci sono dirigenti in carica da 20 anni eppure per nulla intenzionati a fare un passo indietro?
R. Non voglio fare polemiche personali. Dico solo che il mio candidato dovrebbe dire questo. Io l'ho fatto, ho lasciato ogni incarico politico, nessuno me l'ha chiesto anzi mi è stato chiesto il contrario, ma sentivo questa esigenza.
D. Non sembra questa la direzione in cui si muove la dirigenza Pd.
R. Che vuole, bisogna saper stare anche in minoranza.
D. Un'ultima cosa. Come giudica il governo Monti?
R. Monti è stata la testimonianza della sconfitta della politica in Italia. Ha fatto bene quello che doveva fare, ma prima si chiude questa parentesi di umiliazione della politica e meglio è.

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