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lunedì 21 aprile 2014

UE - Felice Besostri su Left: Europee a rischio annullamento.


«La politica fa finta di niente, ma il voto per le Europee è a rischio annullamento. Sulla legge elettorale per il Parlamento di Bruxelles pende infatti il ricorso del pool di avvocati che ha già impallinato il Porcellum.

E in caso di vittoria l’esito sarebbe ancora più devastante. Perché le sentenze della Corte di giustizia europea hanno valore retroattivo: se i giudici del Lussemburgo dovessero bocciare l’Europorcellum, i risultati del 25 maggio sarebbero impugnabili da chiunque. Mentre i tribunali di Milano e Napoli hanno rinviato le udienze a luglio, i giudici di Cagliari, Venezia e Trieste vogliono decidere prima del voto, cassando il ricorso o rinviando alla Corte Ue. Così, dopo che a Montecitorio è fallito il tentativo di far scendere il quorum al 3 per cento, la magistratura potrebbe ritrovarsi ancora una volta a dare la linea alla politica.

BATTI QUORUM

Il perno del ricorso dell’avvocato Felice Besostri e dei suoi colleghi è la soglia del 4 per cento: una barriera di ingresso introdotta nel febbraio 2009 per evitare che a Strasburgo si presentasse «un’armata Brancaleone». Eppure, fanno notare i ricorrenti, «non è compito del Parlamento europeo dare una fiducia politica al governo. L’argomentazione di evitare una frammentazione della delegazione italiana ignora che i parlamentari sono suddivisi per gruppi politici, non nazionali». Conclusione: «Non ci sono ragioni per limitare la rappresentatività e l’uguaglianza del voto». Secondo Besostri la soglia, già in violazione del voto personale e diretto (art. 48 della Costituzione italiana), è diventata incompatibile col diritto comunitario nel dicembre 2009, quando il Trattato di Lisbona ha cambiato la natura del Parlamento europeo: non più luogo di rappresentanza dei popoli membri ma direttamente dei cittadini dell’Unione. È vero che, come sottolinea il Viminale nella sua direttiva all’Avvocatura di Stato, la Commissione europea nel 2002 aveva stabilito che gli Stati possono mettere una soglia fino al 5 per cento, ma i trattati sono norme superiori. La stessa Corte costituzionale tedesca, del resto, ha smontato il quorum per l’elezione dei suoi parlamentari europei: nel 2011 ha abbassato la soglia dal 5 al 3 percento. E a fine febbraio l’ha definitivamente cancellata perché in contrasto con di principio di “una testa un voto” e discriminatoria nei confronti degli elettori dei partiti piccoli. L’unico grande Paese europeo che ha ancora una barriera è la Francia, ma scatta solo a livello circoscrizionale. Nel caso italiano, Sel avrebbe avuto almeno gli eletti al Sud e l’Mpa nelle Isole. Invece nel 2009, in un contesto di astensionismo crescente, più di 4 milioni di cittadini italiani si sono recati alle urne invano. In violazione, secondo i ricorrenti, del diritto fondamentale dei cittadini europei di esprimere un voto alle stesse condizioni: «Gli Stati più grandi già si sacrificano perché proporzionalmente eleggono meno parlamentari degli Stati piccoli. Una soglia alta li penalizza ulteriormente». Nel 2009, ad esempio, Sel ha ottenuto quasi un milione di voti: più di quelli espressi dai cittadini di Malta, Lussemburgo ed Estonia messi assieme. Risultato? I tre Paesi hanno eletto 17 parlamentari, la lista di Vendola zero. «La soglia italiana minaccia la rappresentatività del Parlamento e l’uguaglianza dei cittadini a seconda del luogo di residenza», accusa Besostri. «Il 4 per cento è una cifra incongrua per un Parlamento costruito su un criterio di proporzionalità, che non ha il compito di costruire maggioranze», ribadisce Claudio Fava, deputato di Sel ed ex parlamentare europeo. «Non c’è alcuna ragione politica per quella soglia, se non il tentativo di raccogliere i voti degli altri e trasformarli in propri parlamentari. Ci sono 4 milioni di voti senza rappresentanza che sono stati incassati come rapina politica dai partiti maggiori». Non solo: «Oltre a quei seggi, i grandi si spartiscono anche i rimborsi elettorali superiori. Sel ha dovuto stringere la cinghia per 4 anni perché la campagna elettorale era costata, i voti li avevamo presi, ma il finanziamento non è arrivato». A differenza delle elezioni nazionali, infatti, per le Europee non c’è differenza tra accesso ai seggi e ai rimborsi. Chi non raggiunge il 4 non prende un centesimo. L’effetto paradossale, fa notare Besostri, è che gli elettori defraudati della loro rappresentanza si trovano a finanziare le liste concorrenti. Ai primi di aprile Sel ha tentato di abbassare la soglia al 3 per cento presentando un emendamento alla Camera. Ma nessuno dei grandi l’ha appoggiato, né il Movimento 5 stelle né il Pd. Con l’eccezione di Pippo Civati: «Una soglia così alta è un errore. In particolare se insisti con quorum alti nell’Italicum, a livello europeo devi avere una soglia bassa, al 20 al 3». L’ex candidato alla segreteria democratica aveva chiesto al suo gruppo di aprire una discussione sul tema. Ma è rimasto inascoltato. «Purtroppo la linea di Renzi è avere soglie alte contro i piccoli partiti», ribadisce. «È chiaro che al Pd conviene in termini di seggi. Secondo me una forza che prende 500mila voti dovrebbe essere rappresentata a Bruxelles. E non iodico io. Lo dicono gli elettori».

MINORANZE DISCRIMINATE

Altro punto del ricorso è la discriminazione tra le minoranze linguistiche. La legge elettorale europea tutela solo i francesi della Valle d’Aosta, i tedeschi della Provincia di Bolzano e gli sloveni del Friuli Venezia Giulia. Nel 1999, però, l’Italia ha riconosciuto altre nove minoranze linguistiche, tra cui quella sarda, ben più consistente. «Se esiste il diritto di tribuna, non può essere discriminatorio verso altre minoranze», sostiene Besostri. Che non ha dubbi: la deroga al 4 per cento accordata nel 1979 alle tre lingue dovrebbe essere concessa anche alle altre minoranze, linguistiche e politiche. «Noi siamo un popolo discriminato», denuncia Flavio Cabitza, dell’Associazione per la tutela dei diritti dei sardi che si è unita al ricorso di Cagliari. «Avremmo potuto presentarci con la lista Tsipras, che era pronta ad accoglierci come identitari. Se il giudice ci darà ragione, chiederemo l’annullamento delle elezioni». I sardi, del resto, pagano da decenni il fatto di essere nella stessa circoscrizione della Sicilia che, essendo molto più popolosa, impone sempre i suoi candidati. Spesso poi le circoscrizioni del Nord e del Centro scippano eletti al Sud e alle Isole, meno attive elettoralmente: e questo è un altro punto contestato dai ricorrenti. Qualche settimana fa alla Camera alcuni deputati hanno tentato di dividere il collegio Isole. Ma anche questa modifica è naufragata.

I PARADOSSI DELLE FIRME

Un’altra disposizione che altera la concorrenza, secondo i ricorrenti, è l’esenzione dalla raccolta di firme per le liste che al momento del voto sono presenti in almeno una Camera, lasciando alle nuove formazioni il titanico compito di raccogliere almeno 150mila firme, di cui 30mila in ognuna delle 5 circoscrizioni, e 3mila in ogni regione. «Chi è già rappresentato non può rendere più difficile l’entrata a nuovi soggetti, facendo norme a proprio favore», stigmatizza Besostri. Se i togati giudicassero discriminatoria questa norma, l’unica lista in regola sarebbe L’altra Europa con Tsipras, in quanto unico partito ad aver raccolto le sottoscrizioni. Con l’effetto clamoroso di una delegazione italiana composta esclusivamente da parlamentari della sinistra radicale, senza eletti dei maggiori partiti. «Certo, sarebbe talmente devastante che sarebbe più corretto ripetere le elezioni», commenta Besostri. Tra l’altro la richiesta di raccogliere almeno tremila firme in ogni regione, a prescindere dalla popolazione, porta a paradossi come quello della Valle d’Aosta, dove non solo la soglia per avere un parlamentare sarebbe più bassa di quella per concorrere alle elezioni, ma se molte liste si trovassero a raccogliere le firme, la maggioranza degli elettori dovrebbe dichiarare il proprio voto. «Ci vuole una legge elettorale uniforme, uguale per tutti gli Stati, come previsto dai trattati», insiste Besostri, l’unico dei tre avvocati che hanno affossato il Porcellum ad aver trovato le energie per dare ancora battaglia. «Su questo ricorso c’è lo stesso silenzio conservato per anni nei confronti del Porcellum. Prima di procedere per via legale avevamo scritto ai parlamentari delle commissioni coinvolte, oltre che a Maria Elena Boschi e a Federica Mogherini del Pd, ma la politica non ha fatto assolutamente niente. Non mi pare saggio fare gli struzzi rispetto a una questione che può mettere in discussione la validità delle elezioni del 25 maggio». Questa volta, però, far finta di niente potrebbe non pagare. Perché se i giudici dovessero dare ragione ai ricorrenti anche su un solo punto, chiunque si sentisse danneggiato dal voto potrebbe impugnare i risultati. E mandare a casa gli eletti.

Fonte: Left 19 aprile 2014

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