«La politica fa finta di niente, ma il voto
per le Europee è a rischio annullamento. Sulla legge elettorale per il
Parlamento di Bruxelles pende infatti il ricorso del pool di avvocati che ha
già impallinato il Porcellum.
E in caso di vittoria l’esito sarebbe ancora
più devastante. Perché le sentenze della Corte di giustizia europea hanno
valore retroattivo: se i giudici del Lussemburgo dovessero bocciare
l’Europorcellum, i risultati del 25 maggio sarebbero impugnabili da chiunque.
Mentre i tribunali di Milano e Napoli hanno rinviato le udienze a luglio, i
giudici di Cagliari, Venezia e Trieste vogliono decidere prima del voto,
cassando il ricorso o rinviando alla Corte Ue. Così, dopo che a Montecitorio è
fallito il tentativo di far scendere il quorum al 3 per cento, la magistratura
potrebbe ritrovarsi ancora una volta a dare la linea alla politica.
BATTI QUORUM
Il perno del ricorso dell’avvocato Felice
Besostri e dei suoi colleghi è la soglia del 4 per cento: una barriera di
ingresso introdotta nel febbraio 2009 per evitare che a Strasburgo si
presentasse «un’armata Brancaleone». Eppure, fanno notare i ricorrenti, «non è
compito del Parlamento europeo dare una fiducia politica al governo.
L’argomentazione di evitare una frammentazione della delegazione italiana
ignora che i parlamentari sono suddivisi per gruppi politici, non nazionali».
Conclusione: «Non ci sono ragioni per limitare la rappresentatività e
l’uguaglianza del voto». Secondo Besostri la soglia, già in violazione del voto
personale e diretto (art. 48 della Costituzione italiana), è diventata
incompatibile col diritto comunitario nel dicembre 2009, quando il Trattato di
Lisbona ha cambiato la natura del Parlamento europeo: non più luogo di
rappresentanza dei popoli membri ma direttamente dei cittadini dell’Unione. È
vero che, come sottolinea il Viminale nella sua direttiva all’Avvocatura di
Stato, la Commissione europea nel 2002 aveva stabilito che gli Stati possono
mettere una soglia fino al 5 per cento, ma i trattati sono norme superiori. La
stessa Corte costituzionale tedesca, del resto, ha smontato il quorum per
l’elezione dei suoi parlamentari europei: nel 2011 ha abbassato la soglia dal 5
al 3 percento. E a fine febbraio l’ha definitivamente cancellata perché in
contrasto con di principio di “una testa un voto” e discriminatoria nei
confronti degli elettori dei partiti piccoli. L’unico grande Paese europeo che
ha ancora una barriera è la Francia, ma scatta solo a livello circoscrizionale.
Nel caso italiano, Sel avrebbe avuto almeno gli eletti al Sud e l’Mpa nelle
Isole. Invece nel 2009, in un contesto di astensionismo crescente, più di 4
milioni di cittadini italiani si sono recati alle urne invano. In violazione,
secondo i ricorrenti, del diritto fondamentale dei cittadini europei di
esprimere un voto alle stesse condizioni: «Gli Stati più grandi già si
sacrificano perché proporzionalmente eleggono meno parlamentari degli Stati
piccoli. Una soglia alta li penalizza ulteriormente». Nel 2009, ad esempio, Sel
ha ottenuto quasi un milione di voti: più di quelli espressi dai cittadini di
Malta, Lussemburgo ed Estonia messi assieme. Risultato? I tre Paesi hanno
eletto 17 parlamentari, la lista di Vendola zero. «La soglia italiana minaccia
la rappresentatività del Parlamento e l’uguaglianza dei cittadini a seconda del
luogo di residenza», accusa Besostri. «Il 4 per cento è una cifra incongrua per
un Parlamento costruito su un criterio di proporzionalità, che non ha il
compito di costruire maggioranze», ribadisce Claudio Fava, deputato di Sel ed
ex parlamentare europeo. «Non c’è alcuna ragione politica per quella soglia, se
non il tentativo di raccogliere i voti degli altri e trasformarli in propri
parlamentari. Ci sono 4 milioni di voti senza rappresentanza che sono stati
incassati come rapina politica dai partiti maggiori». Non solo: «Oltre a quei
seggi, i grandi si spartiscono anche i rimborsi elettorali superiori. Sel ha
dovuto stringere la cinghia per 4 anni perché la campagna elettorale era
costata, i voti li avevamo presi, ma il finanziamento non è arrivato». A
differenza delle elezioni nazionali, infatti, per le Europee non c’è differenza
tra accesso ai seggi e ai rimborsi. Chi non raggiunge il 4 non prende un
centesimo. L’effetto paradossale, fa notare Besostri, è che gli elettori
defraudati della loro rappresentanza si trovano a finanziare le liste
concorrenti. Ai primi di aprile Sel ha tentato di abbassare la soglia al 3 per
cento presentando un emendamento alla Camera. Ma nessuno dei grandi l’ha
appoggiato, né il Movimento 5 stelle né il Pd. Con l’eccezione di Pippo Civati:
«Una soglia così alta è un errore. In particolare se insisti con quorum alti nell’Italicum,
a livello europeo devi avere una soglia bassa, al 20 al 3». L’ex candidato alla
segreteria democratica aveva chiesto al suo gruppo di aprire una discussione
sul tema. Ma è rimasto inascoltato. «Purtroppo la linea di Renzi è avere soglie
alte contro i piccoli partiti», ribadisce. «È chiaro che al Pd conviene in
termini di seggi. Secondo me una forza che prende 500mila voti dovrebbe essere
rappresentata a Bruxelles. E non iodico io. Lo dicono gli elettori».
MINORANZE DISCRIMINATE
Altro punto del ricorso è la discriminazione
tra le minoranze linguistiche. La legge elettorale europea tutela solo i
francesi della Valle d’Aosta, i tedeschi della Provincia di Bolzano e gli
sloveni del Friuli Venezia Giulia. Nel 1999, però, l’Italia ha riconosciuto
altre nove minoranze linguistiche, tra cui quella sarda, ben più consistente.
«Se esiste il diritto di tribuna, non può essere discriminatorio verso altre
minoranze», sostiene Besostri. Che non ha dubbi: la deroga al 4 per cento
accordata nel 1979 alle tre lingue dovrebbe essere concessa anche alle altre
minoranze, linguistiche e politiche. «Noi siamo un popolo discriminato»,
denuncia Flavio Cabitza, dell’Associazione per la tutela dei diritti dei sardi
che si è unita al ricorso di Cagliari. «Avremmo potuto presentarci con la lista
Tsipras, che era pronta ad accoglierci come identitari. Se il giudice ci darà
ragione, chiederemo l’annullamento delle elezioni». I sardi, del resto, pagano
da decenni il fatto di essere nella stessa circoscrizione della Sicilia che, essendo
molto più popolosa, impone sempre i suoi candidati. Spesso poi le
circoscrizioni del Nord e del Centro scippano eletti al Sud e alle Isole, meno
attive elettoralmente: e questo è un altro punto contestato dai ricorrenti.
Qualche settimana fa alla Camera alcuni deputati hanno tentato di dividere il
collegio Isole. Ma anche questa modifica è naufragata.
I PARADOSSI DELLE FIRME
Un’altra disposizione che altera la
concorrenza, secondo i ricorrenti, è l’esenzione dalla raccolta di firme per le
liste che al momento del voto sono presenti in almeno una Camera, lasciando
alle nuove formazioni il titanico compito di raccogliere almeno 150mila firme,
di cui 30mila in ognuna delle 5 circoscrizioni, e 3mila in ogni regione. «Chi è
già rappresentato non può rendere più difficile l’entrata a nuovi soggetti,
facendo norme a proprio favore», stigmatizza Besostri. Se i togati giudicassero
discriminatoria questa norma, l’unica lista in regola sarebbe L’altra Europa
con Tsipras, in quanto unico partito ad aver raccolto le sottoscrizioni. Con
l’effetto clamoroso di una delegazione italiana composta esclusivamente da
parlamentari della sinistra radicale, senza eletti dei maggiori partiti.
«Certo, sarebbe talmente devastante che sarebbe più corretto ripetere le
elezioni», commenta Besostri. Tra l’altro la richiesta di raccogliere almeno
tremila firme in ogni regione, a prescindere dalla popolazione, porta a
paradossi come quello della Valle d’Aosta, dove non solo la soglia per avere un
parlamentare sarebbe più bassa di quella per concorrere alle elezioni, ma se
molte liste si trovassero a raccogliere le firme, la maggioranza degli elettori
dovrebbe dichiarare il proprio voto. «Ci vuole una legge elettorale uniforme,
uguale per tutti gli Stati, come previsto dai trattati», insiste Besostri,
l’unico dei tre avvocati che hanno affossato il Porcellum ad aver trovato le
energie per dare ancora battaglia. «Su questo ricorso c’è lo stesso silenzio
conservato per anni nei confronti del Porcellum. Prima di procedere per via
legale avevamo scritto ai parlamentari delle commissioni coinvolte, oltre che a
Maria Elena Boschi e a Federica Mogherini del Pd, ma la politica non ha fatto
assolutamente niente. Non mi pare saggio fare gli struzzi rispetto a una
questione che può mettere in discussione la validità delle elezioni del 25
maggio». Questa volta, però, far finta di niente potrebbe non pagare. Perché se
i giudici dovessero dare ragione ai ricorrenti anche su un solo punto, chiunque
si sentisse danneggiato dal voto potrebbe impugnare i risultati. E mandare a
casa gli eletti.
Fonte: Left 19 aprile 2014
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