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mercoledì 16 aprile 2014

ALGERIA - Elezioni, Bouteflika resta in pole

Algeri al voto. Il presidente del Fln è in vantaggio. Favorito dalla paura dell'instabilità. Mentre l'Europa pensa all'energia.

SCENARIO

16 Aprile 2014 - Sempre più algerini vogliono mettere Abdelaziz Bouteflika alla porta. Ma senza un'alternativa valida, l'Europa si sentirebbe più sicura se al comando del Paese rimanesse il presidente-padrone.
Il 17 aprile si vota nel Paese, dal 2010 stretto tra le rivolte in Libia e in Tunisia e la guerra in Mali. E il clima non è dei migliori.
A due settimane dalle consultazioni, il Fronte di liberazione nazionale (Fln) che, assieme all'apparato amministrativo e l'esercito, sostiene il capo di Stato dal 1999, ha dovuto sospendere i comizi lungo le coste berbere della Cabilia, eterno tallone d'Achille di Bouteflika, per via delle violenze nella regione.
IL PRESIDENTE-FANTASMA. Dal canto suo, il presidente 77enne non molla, anche se è sempre più contestato dalle opposizioni ed è apparso in campagna elettorale solo sui maxischermi e nei grandi cartelloni pubblicitari.
Malato da tempo, la sua ultima apparizione pubblica risale al maggio 2012, dopo diversi ricoveri per interventi allo stomaco (ulcera gastrica, la diagnosi) e prima di una lunga degenza nel 2013, in Francia, all'ospedale militare Des Invalides. Ufficialmente per «un'ischemia cerebrale transitoria».
In sua vece, ai raduni hanno parlato il premier uscente Abdelmalek Sellal e i vertici del Fln, ma il nome e il volto sui manifesti che tappezzano le strade e le piazze d'Algeria è sempre quello del malfermo - c'è chi dice anche mentalmente assente - Bouteflika.
TRA ISLAM E FAIDE INTERNE. Il tre volte capo di Stato, rieleggibile senza scadenza di mandato dopo il ritocco costituzionale del 2008, è il pilastro che ha traghettato il Paese fuori dal decennio nero della guerra con il Fronte islamico della salvezza (Fis) e del Gruppo islamico armato (Gia). Ed è una garanzia anche per l'Europa, inquieta per il risveglio di al Qaeda e la crisi del petrolio libico post Primavera araba.
In Algeria le proteste delle minoranze montano. Ma la maggioranza di algerini, che teme l'effetto Tunisia e Libia, finirà probabilmente per ridare fiducia a Bouteflika, da molti indicato come fantoccio dei generali. Un tampone, tuttavia, sempre meno controllabile, anche per le faide di successione interna.

L'Europa tifa per lo status quo, in difesa di gas e petrolio algerini


Cioè che preoccupa di più il Vecchio continente è il rifornimento energetico che l'Algeria garantisce, visto che la situazione in Libia, altro importante fornitore dell'Europa, è fuori controllo.
CAOS IN LIBIA. A Tripoli, mentre si riapriva il processo contro i 37 big dell'ex regime di Muammar Gheddafi, inclusi i due figli del raìs Saif e Saadi e l'ex capo dei servizi segreti Abdullah Senussi, il neo premier-sceriffo Abdullah al Thani, in carica da poche settimane, si è dimesso dopo un «attacco armato traditore».
Con due leader dell'esecutivo usciti di scena in meno di un mese, è un miracolo che nell'ex Jamahiriya, la “Repubblica” popolare di Gheddafi, sia ancora in piedi la Costituente chiamata a scrivere, prima delle Legislative, la prima carta costituzionale del Paese.
Dopo la fuga di Ali Zeidan, il premier dimissionato a colpi di sequestri e ritorsioni, gli importatori di gas e petrolio libico avevano riposto le loro speranze nell'ex ministro della Difesa al Thani visto come uomo forte in grado di riportare l'ordine a Tripoli. E, soprattutto, confidano nello status quo dell'Algeria di Bouteflika.
L'ALLARME DELL'ENI. «Se, contemporaneamente alla crisi in Ucraina, arrivassero problemi anche dalla Libia avremmo difficoltà. E ci sarebbero gravi conseguenze se ci fosse un fermo dall'Algeria», ha ammesso l'ex amministratore delegato del cane a sei zampe Paolo Scaroni. E gli auspici degli altri Paesi europei, primi dopo gli Usa per acquisto di idrocarburi dall'Algeria, non sono diversi.
La stabilità del Paese è essenziale anche per la Francia che, dagli idrocarburi alle risorse minerarie, ha molti interessi nell'ex colonia e in tutta la fascia subsahariana. Come si è visto anche dall'intervento militare in Mali ordinato dall'Eliseo nel gennaio 2013.
UNA DIGA CONTRO LA JIHAD. Il concomitante attacco e maxi sequestro da parte dei terroristi islamici (salafiti e qaedisti da provenienti da sei Paesi arabi e africani diversi e proliferati nel Sahel) dell'impianto del gas di In Amenas, nel Sahara algerino, con americani, giapponesi ed europei tra le almeno 67 vittime, è sintomatico del ruolo di contenimento ma anche del potenziale esplosivo dell'Algeria.
Senza il ferreo contenimento dell'apparato di Bouteflika, dalla Tunisia le rivolte arabe sarebbero dilagate ad Algeri. E da lì in Marocco e nell'Africa centrale dilaniata da guerre e scontri tribali.

Ad Algeri la cappa dei militari del Fln soffoca la Primavera araba


Come nel braccio di ferro con gli islamisti - sette anni di scontri e 150 mila morti nella deriva armata, dopo l'estromissione del Fis, vincitore delle prime elezioni libere nel 1991 - il partito unico golpista del Fln si è rivelato invece un argine formidabile alle proteste tra il 2010 e il 2012.
Un anno dopo, l'esercito algerino, che ha il suo braccio politico nel Fronte di liberazione nazionale, avrebbe anche cacciato i criminali e gli jihadisti dalle sabbie, divenute mobili, di In Amenas.
Gli stessi attivisti anti-Bouteflika raccontano con rammarico come, tra le macerie della Primavera araba, uno scenario egiziano, autoritario ma sicuro, venga ormai preferito da buona parte della popolazione ai rischi di una deriva islamista.
MEGLIO L'ANARCHIA DEL FAR WEST. «La gente è sempre più stanca della corruzione del sistema di potere e della crisi economica. I movimenti di dissenso sono cresciuti», denuncia il gruppo della società civile Bakarat, in lotta per la transizione democratica. «Ma, in generale, i cittadini hanno anche timore di quello che potrebbe venire dopo. La polizia si è dimostrata incredibilmente efficiente negli arresti, sistematici quanto arbitrari, dei dimostranti anche pacifici. In modo da prevenire, ancor prima di reprimere, le contestazioni».
Contagiati dal vento di piazza Tahrir, tre anni fa migliaia di algerini scesero in piazza. Ma l'esercito è stato più forte di loro. Anche grazie a una maggioranza «rimasta silente», per paura o convinzione, fedele al partito unico.
IL RIVALE NEL FLN ALI BENFLIS. Alla vigilia del voto, lungo i viali algerini i poster del vecchio Bouteflika sono strappati e imbrattati. Ma evidentemente il cerchio magico del presidente - dal fratello minore Said e top advisor Said al premier factotum Sellal - si è sentito abbastanza forte da candidare un simulacro, il capo di Stato invisibile, contro l'unico candidato (a parole) potenzialmente pericoloso: l'ex premier ed ex segretario del Fln Ali Benflis, espressione di un'ala militare dissidente.
Eterno rivale di Bouteflika, ma, almeno fino al 2014, eterno perdente e persino unico spiraglio di “cambiamento” per l'Algeria. (Barbara Ciolli)

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