Mentre il governo annaspa, ieri quattro rappresentanti della Carinzia sono
andati ad illustrare a degli imprenditori di Varese i vantaggi che si hanno a
spostare alcune attività nella regione austriaca, dove, ad esempio, l'Irap non
esiste. Fin qua tutto normale, se non fosse che a organizzare l'incontro è
stato il presidente della Confapi, l'associazione delle piccole e medie imprese
varesine. Ma perché sponsorizzare un governo straniero? «Semplice: perché
vogliamo aiutare gli imprenditori a continuare a fare impresa».
Della serie come sparare sulla Croce Rossa. O come essere bravi a farsi del
male. Ieri alla sala della Provincia di Varese si è tenuto un seminario per gli
imprenditori locali sulle agevolazioni fiscali, lo snellimento della
burocrazia, il sostegno economico per aziende che vogliono rilanciare le loro
attività puntando sull' innovazione e sulla ricerca. Non in Italia o in qualche
virtuoso distretto industriale della Lombardia, ma nella vicina e sempreverde
Carinzia. Fin qui nulla di strano. Già da diversi anni molte aziende italiane
hanno trasferito parte della loro produzione o insediato società per
commercializzare i loro manufatti nel paradiso austriaco, dove non esiste
quella macabra parola, Irap, che lo scrittore Edoardo Nesi, ex imprenditore
tessile, ha ribattezzato in un romanzo Iraq, solo per citare una delle
seducenti attrazioni per investitori italiani offerte dal governo della regione
austriaca.
La cosa bizzarra per chi crede ancora nel made in Italy è che le quattro signore spesso in
Italia per fare shopping aziendale, che rappresentano società di investimenti,
come Marion Biber di Aba, di Austrian Business Agency, o Natascha Zmerzlikar,
di Entwicklungsagentur Karnten Gmbk (Eak) e l' avvocatessa trevigiana Enrica
Maggi dello studio legale di Klagenfurt, Maggi Brandl Kathollnig, siano state
invitate dal presidente della Confapi, l' associazione delle piccole e medie
imprese varesine, l'imprenditore Franco Colombo. Che, dopo aver illustrato la
corsa ad ostacoli affrontate dagli imprenditori italiani, ha lasciato campo
alle austriache per illustrare le bellezze della regione meridionale dell'
Austria. «Tutte donne», ha fatto notare Colombo per sottolineare il gap di
genere, oltre a quello fiscale, che ci divide dalla Carinzia.
E poi è cominciata una lezione per piccoli imprenditori che, attoniti, prendevano appunti
davanti alle slide che scorrevano, illustrando i miracoli che si compiono nel
piccolo Eden, che confina con il Veneto. Distretti industriali, loro li
chiamano parchi, dove i capannoni si comprano a basso costo, le tasse sono
basse, si attiva una licenza commerciale nel giro di pochi giorni. «Vi
prendiamo per mano e non vi lasciamo mai soli» ha ribadito Natascha Zmerziklar
di Eak, responsabile dello sviluppo di sette parchi tecnologi e industriali,
facendo venire l' acquolina in bocca ai presenti con i dati del fondo federale
regionale di 500 milioni di euro messi a disposizione per dare contributi agli
imprenditori, che vogliono investire nella formazione e riqualificazione del
personale. Con la possibilità di ottenere il 25% di contributi per gli
investimenti e fino al 60% per la ricerca e l'innovazione. Eccetera, eccetera
eccetera. Roba da leccarsi le dita, insomma. E infatti le aziende che stanno
cedendo alla girandola carinziana sono molte, ma alla lecita domanda della
cronista al presidente della Confapi varesina,
«Perché lo fate? Perché aiutate il governo della Carinzia, perché sponsorizzate un paese estero
ad attrarre investimenti, perché incentivate i vostri imprenditori ad andarsene
o quanto meno a trasferire parte della produzione o a creare società per
commercializzare prodotti per l' export, insomma perché?» Colombo, ha risposto
con sensata disinvoltura: «Semplice: perché vogliamo aiutare gli imprenditori a
continuare a fare impresa. O quanto meno ad aprire una seconda filiale delle
loro aziende che crei altri posti di lavoro o permetta a chi è in difficoltà di
usufruire dei benefici. Soprattutto nel campo della ricerca e dell'
innovazione». Oibò. Da un punto di vista formale niente da eccepire per carità.
Se a forza di tener da conto Monti dopo mesi di aspettative deluse, siamo qui a chiederci come difenderci dal
rigorismo senza riforme per la crescita, viene da accarezzare la carta patinata
delle brochure che illustrano i parchi industriali immersi nella natura e
pubblicizzano gli investimenti in Carinzia come se fossero depliant di un
viaggio low cost in qualche villaggio turistico con un pacchetto all inclusive.
Ed è lecito che si permetta ai carinziani di offrire i loro gioielli a una
classe imprenditoriale smarrita (e piuttosto incazzata) di resistere altrove,
se è vero che il modello Carinzia funziona. Eppure da un punto di vista
politico potremmo chiederci come mai un' associazione di categoria deve
ammettere pubblicamente i propri fallimenti. Semplice e al contempo amaro il
responso: siamo passati dal resistere al desistere.
(da Fronte di liberazione dai
banchieri)
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