Paul Huybrechts 23
agosto 2012 DE MORGEN Bruxelles
L’Europa sta lottando con tre enormi
problemi che potremmo sintetizzare in tre parole: liquidità, solvibilità e
legittimità. Il problema della liquidità si spiega con il modo con cui
manteniamo a galla Grecia, Spagna, Italia, Portogallo e Irlanda. La sfida
consiste nel sottrarci a una situazione per la quale i governi di questi paesi
possano svegliarsi una mattina e scoprire di non essere più in grado di far fronte
ai propri obblighi finanziari.
Questo è anche il messaggio
lanciato dal presidente della Bce Mario Draghi durante la conferenza
stampa organizzata all’inizio di questo mese, quando ha esplicitamente detto
che la Bce ha il potere di farlo e che lo utilizzerà. Ma, a dire la verità,
mettere insieme altre centinaia di miliardi di euro per salvare temporaneamente
dalla bancarotta
i paesi non è mai stato il vero problema.
A complicare le cose c’è il fatto
che i paesi che si trovano nei guai sono diventati debitori senza speranza:
nessuno è più disposto a prestare loro capitali a condizioni accettabili.
Questa perduta solvibilità è il secondo problema. Di fatto, il sistema deve
coprire circa 2.500 miliardi di euro di debito supplementare. Finché non
troveremo una soluzione a questo problema, il nostro settore finanziario in
teoria è fallito.
Le banche tedesche hanno ancora
crediti da esigere dall’Europa del sud nell’ordine di 500 miliardi! Le banche
francesi sono ancora più esposte. Oltretutto, i crediti delle banche sono in
parte anche i crediti dei singoli correntisti che hanno depositato i loro soldi
in quelle banche.
A prescindere da come evolverà la
situazione, la crisi del debito imporrà maggiori ristrettezze ai cittadini
europei negli anni a venire. Prima di tutto tramite l’effetto delle misure
necessarie al pareggio di bilancio, in quanto non ha senso puntare a una
riduzione del debito se si permette che il deficit continui a crescere. A tutto
ciò va aggiunta la sofferenza derivante dalla indispensabile graduale riduzione
dell’eccessivo indebitamento attuale.
Questo difficile processo sarebbe
ovviamente alleviato di molto da una crescita economica sostenuta, supportata
anche da un basso livello di inflazione. Ma la crescita ha bisogno di fiducia,
una fiducia come quella che si percepiva negli anni successivi alla seconda
guerra mondiale. Ecco: ripristinare quella fiducia e creare tra la cittadinanza
una volontà a lavorare significativamente di più pur guadagnando di meno è
possibile soltanto con un alto livello di legittimità politica. I nostri
politici hanno bisogno di un mandato democratico, che sia soggetto a rinnovo
ogni cinque anni.
I nostri dirigenti politici ricevono
questo mandato da e per l’intera zona euro. In altre parole, l’Unione europea –
o quanto meno la zona euro – deve diventare un’unione politica. Questa unione
avrà l’ultima parola su tutti i budget delle amministrazioni pubbliche a essa
sottoposte. In tale contesto, i paesi e le regioni dovranno avere ancora la
libertà di esigere le tasse o aumentare i sussidi sociali. In realtà ciò che
serve è niente meno che una vera riforma dei poteri pubblici!
Un progetto
positivo
La Costituzione tedesca proibisce
espressamente il trasferimento di questi poteri. Vari politici tedeschi di
recente hanno quindi esortato a indire un referendum, seppur con vari livelli
di entusiasmo. Così facendo, sostengono in pieno le idee espresse dal filosofo
83enne Jürgen Habermas, il cui libro Constitution de l’Europe
(Gallimard) adesso è disponibile in francese nelle librerie.
Secondo l’interpretazione di
Habermas, una Costituzione funge sia da costruzione sia da testo fondamentale
di riferimento. Secondo Habermas, in pratica, dobbiamo evitare di vedere
l’agognato progetto europeo trasformarsi nel suo esatto contrario, ovvero in
una “burocrazia post-democratica”, percepita come oppressiva e ostile dai
popoli europei.
Ancora una volta dobbiamo fare
dell’Europa un progetto positivo. Habermas considera l’Europa una componente
indispensabile di un mondo che noi tutti, in qualità di cittadini consapevoli e
che hanno a cuore l’etica, dobbiamo continuare a migliorare. Se non riusciremo
a salvare l’Europa, che ne sarà delle altre ambizioni cosmopolite, per esempio
i diritti umani universali?
Sembra molto probabile che in
Germania si svolgerà un referendum. Secondo Der Spiegel, esso potrà assumere
tre forme: un voto per modificare la Costituzione tedesca; un voto sulle ultime
decisioni europee (fiscal compact ed Esm, Meccanismo per la stabilità europea)
o un referendum in tutta Europa sulla possibilità di apportare emendamenti
anche profondi al Trattato.
In sintesi, si tratterà di un
referendum sulla nuova Costituzione democratica del nostro continente. Chi è
pronto a battersi con noi per indicare la strada da seguire? E se cominciassimo
da una petizione?
(Traduzione di Anna Bissanti)
Germania
Manifesto per una Unione più democratica
A un anno dalle
legislative in Germania tre intellettuali hanno deciso di alimentare il
dibattito interno ai socialdemocratici, su richiesta del loro capo Sigmar
Gabriel. In un articolo pubblicato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung e
intitolato “Opposizione alla democrazia di facciata” i filosofi Jürgen Habermas
e Julia Nida-Rümelin e l’economista Peter Bofinger chiedono la convocazione di
una Convention costituente e l’organizzazione di un referendum sull’Europa nei
paesi dell’eurozona. Gli autori, il cui appello ha generato un acceso dibattito
in Germania, chiedono che gli stati trasferiscano più sovranità alle
istituzioni europee in modo da conferire loro la legittimità necessaria per
imporre la disciplina di bilancio, che a sua volta garantirà un sistema
finanziario stabile.
Questo movimento
verso una maggiore integrazione non si giustifica solamente con l’attuale crisi
dell’eurozona, ma anche con la necessità della politica di mettersi nelle
condizioni di superare il flagello dell’universo parallelo e fantomatico creato
dalle banche d’investimento e dai fondi speculativi accanto all’economia reale,
ovvero quella che produce davvero beni e servizi.
L’obiettivo è quello
di rafforzare una democrazia cittadina in uno stato assistenziale e abbandonare
la via di una “democrazia di facciata che si conforma ai mercati”. Secondo i
tre autori
Il sentimento
largamente condiviso di una giustizia calpestata è legato al fatto che agli
occhi dei cittadini ci sono meccanismi di mercato anonimi che esercitano ormai
un’influenza politica diretta. A questo sentimento si aggiunge poi la collera
(contenuta o meno) nata dal sentirsi impotenti. A questo stato delle cose bisogna
opporre una riaffermazione della politica.
I tre concludono
sottolineando che il ritorno agli stati nazione non è un’opzione nel mondo
globalizzato, e rinunciare all’unione dell’Europa equivarrebbe a ritirarsi
dalla storia del mondo.
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