L’esponente della sinistra socialista,
infatti, dichiara che “Il nostro consenso alla “Carta d’intenti” di Bersani ,
con la nostra disponibilità ad essere parte di primarie congegnate sullo schema
di un neo-ulivo troncato a sinistra ed aperto al centro, segna, di fatto, la
fine di ogni possibilità di ricostruire la sinistra italiana attorno alla
riaffermazione di una sua nuova, e finalmente maggioritaria , identità
socialista, e sancisce l’esaurimento di ogni nostra autonoma proposta di
programma finalizzata a ricostruire, anche in un quadro di alleanze a sinistra,
una soggettività politica socialista.”
A mio avviso quello con il PD è un abbraccio
mortale, nel quale, complice la futura legge elettorale che andrà a
semplificare il quadro politico a favore dei grandi partiti, cancellando le
cenerentole, porterà di certo alla dissoluzione del PSI o, ancora peggio, ad un
suo depotenziamento ideologico, politico e, ovviamente, a livello di
rappresentanza. Se qualche socialista sopravvivrà e avrà una sedia sotto al
sedere lo dovrà, esclusivamente, alla bontà del padrone democratico e di sinistra.
Aggiungerei che il PD è stato congegnato (ed
anche bene) per gestire una società opulenta, in cui il livello di tensione
sociale è bassissimo ed il dissenso residuo può essere tranquillamente espulso
nell’area della non rappresentanza. Il PD, però, non è adatto all’età della
crisi. Rischia, non di cedere, ma di perdere pezzi troppo importanti che lo
priverebbero della sua centralità. Ed il PD ò è centrale o è marginale e la
marginalità lo ucciderebbe. Andare con il PD nell’età della crisi è un suicidio;
vuol dire imbarcarsi in una nave di certo lussuosa destinata ad incagliarsi sui
fondali bassi. Questa azione, da parte del PSI, è giustificabile solo in due
modi: da un lato si crede che questa crisi sia “passeggera”, e che di qui a
breve si tornerà nel meraviglioso mondo in cui noi tutti siamo consumatori con
il portafogli gonfio e la carta di credito pronta all’uso, mondo che
l’occidente colloca già in un mitico passato. Cosa, questa, semplicemente
ridicola. Dall’altro lato, probabilmente, il destino del socialismo non è tra
le preoccupazioni della direzione del PSI. Probabilmente il cancro
dell’amministrazione ha intaccato la capacità di fare politica: l’essere in
parlamento (del tutto ipotetico, poiché la legge elettorale potrebbe essere
ancora più maligna delle nostre peggiori previsioni), supera, in importanza, i
motivi per cui i socialisti dovrebbero essere alla camera ed al senato. Un mix
di infantilismo nell’analisi, di moderatismo (malattia senile del socialismo)
per non parlare di altre, meno nominabili pulsioni, rischiano di portare alla
tomba il PSI.
Quello che mi sostiene, eticamente e
moralmente, in questa fase, è che il socialismo, come concetto e come pratica
politica, non coincide con un partito, anche se nel nome “socialista”; più o meno
come la bottiglia del latte non è il latte. Da un lato un’appartenenza storica,
un insieme di ideali, di pratiche, di aspirazioni, di giuste richieste di
libertà e giustizia sociale, dall’altra un semplice contenitore.
Anche se ci sarebbe da sottolineare che le
scelte politiche del PSI vengono fatte da un gruppo dirigente privo di
“copertura congressuale” (quest’anno, infatti, si sarebbe già dovuto svolgere
il congresso per il rinnovo delle cariche statutarie, sulla cui reale data di
svolgimento grava un penoso, imbarazzante, silenzio) e che quindi il consenso
generale da parte degli iscritti sulla linea politica è decisamente presunto,
ma non verificato, va bene anche così.
Il socialismo sopravvivrà anche alla fine del
PSI. Ne sono convinto. L’importante è che dopo che la nave del PD si sarà
incagliata, ed i tender di D’Alema & C. li lasceranno in acqua, nessuno
chieda di essere salvato. Non ci saranno altri salvagenti, né altre scialuppe
di salvataggio.
Mario Michele Pascale
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