Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


sabato 25 agosto 2012

MEDIO ORIENTE - Una settimana d'agosto

Ahmadinejad: «Israele è un cancro da estirpare»

Teheran, il presidente: «Bisogna mettere fine alla sua esistenza».

Venerdì, 17 Agosto 2012 - Ahmadinejad non molla. La guerra con Israele è fatta anche di parole, prima ancora che di missili. Così, dopo che il piano d’attacco di Tel aviv è stato svelato da un blogger, Teheran ha risposto con dichiarazioni già sentite, che assumono però un significato diverso, ben più concreto che in passato.
DISCORSO INFUOCATO. Israele è un «tumore canceroso» destinato a scomparire presto. Il presidente iraniano è tornato ad affermarlo in un infuocato discorso tenuto a Teheran in occasione della Giornata di al-Qods (Gerusalemme), dedicata nei Paesi musulmani alla rivendicazione della Città Santa.
«Il regime sionista è un tumore canceroso e i Paesi della regione metteranno presto fine alla presenza sionista sulla terra della Palestina», ha detto Ahmadinejad davanti a numerosi manifestanti riuniti all'Università per la preghiera del venerdì.
«UN MEDIO ORIENTE SENZA SIONISTI». Gli occidentali «dicono di volere un nuovo Medio Oriente, anche noi vogliamo un nuovo Medio Oriente, ma nel nostro non ci saranno tracce dei sionisti. I sionisti se ne andranno e il dominio americano sul mondo finirà», ha detto ancora il presidente, mentre la folla gridava «Morte a Israele. Morte all'America».
La retorica di Ahmadinejad - tutt'altro che nuova in circostanze del genere - ricalca espressioni analoghe pronunciate il 17 agosto dalla Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, che - sullo sfondo delle crescenti tensioni israelo-iraniane legate ai programmi nucleari di Teheran - aveva bollato lo Stato ebraico come «un'escrescenza artificiale».

Siria, la pax armata di Hezbollah

Il Partito di Dio libanese vicino a Damasco per lo status quo.

Venerdì, 17 Agosto 2012 - Libano, l'incubo è tornato. Il 15 agosto 20 cittadini siriani, un curdo e un arabo saudita sono stati rapiti da una banda armata al sud di Beirut, per rappresaglia contro i ribelli al regime di Bashar al Assad che avevano bloccato un gruppo di libanesi all'interno dei confini siriani.
I FANTASMI DELLA GUERRA CIVILE. E i fantasmi della guerra civile sono tornati immediatamente a materializzarsi. Con i Paesi sunniti del Golfo, Arabia Saudita e Qatar in testa, che hanno immediatamente ordinato ai loro concittadini di lasciare il Paese dei cedri.
La scelta dell'Onu di abbandonare la Siria, poi, non ha fatto altro che peggiorare i presagi di un allargamento del conflitto oltre confine.
Per 15 anni il Libano è stato martoriato da una faida fratricida, segnata da rappresaglie e vendette e dai sequestri del partito armato di Hezbollah. Come quello di William Higgins, militare americano a capo del team di osservatori delle Nazioni Unite prelevato nel 1988 proprio nel Libano meridionale, e ucciso dopo essere stato torturato due anni più tardi.
L'AGO DELLA BILANCIA. Oggi come allora, la milizia sciita alleata dell'Iran e vicina al presidente siriano Assad gioca un ruolo cruciale nella partita mediorientale.
Non a caso gli Usa hanno rilanciato l’allarme sul Partito di Dio mettendo in guardia l’Europa, storicamente più morbida nei confronti di Hezbollah. Eppure proprio in questo momento, la milizia sciita non ha nessun interesse ad alimentare le tensioni regionali.
Anzi, ha tutto da perdere.

Servizi sociali e assistenza ai libanesi grazie ai soldi dell'Iran


Hezbollah controlla 12 seggi nell'assemblea parlamentare e dal 2011 conta anche due ministri nel governo di Beirut. Anche per questo, per il momento, ha pochi motivi per voler cambiare lo status quo regionale.
Secondo la maggior parte degli analisti di stanza a Bruxelles, infatti, Hezbollah gioca nel difficile scacchiere dell'area un ruolo di stabilizzazione.
DA 30 ANNI IN LOTTA. Nato nel 1982 in seguito all'invasione israeliana del Libano, in prima linea durante la guerra civile, e di nuovo coinvolto nel conflitto del 2006, il Partito di Dio si è radicato nella Bekka con i suoi mitra e i suoi passamontagna neri, ritagliandosi il ruolo di benefattore.
Grazie ai soldi prestati dall'Iran, Hezbollah ha infatti offerto ai libanesi colpiti da violenze e distruzioni i servizi sociali e l'assistenza che l'apparato statale tardava a fornire.
DA TEHERAN 400 MILIONI DI DOLLARI. L'agenzia di ricostruzione Waad che fa capo alla milizia sciita ha ottenuto da Teheran 400 milioni di dollari per costruire 4 mila appartamenti e 1.700 nuove imprese ed esercizi commerciali.
Hezbollah ha ridato vita a famiglie, quartieri e città intere. Creando una roccaforte di consenso, anche politico. Nelle città di confine del Sud, tradizionalmente bersaglio del fuoco di Israele, molti cittadini sono diventati suoi sostenitori più per pragmatismo che per ideologia.

Un intervento a Damasco riaccenderebbe la violenza a Beirut


Per questo, finché l'Iran non deciderà una strategia di intervento contro Israele o contro i ribelli sunniti anti Assad, è difficile che Hezbollah rinunci a tutto ciò che ha conquistato per finire travolto dal pantano siriano.
Nel suo ultimo discorso ufficiale il leader Hassan Nasrallah ha ribadito il suo sostegno al regime siriano, ma anche chiarito che il suo orizzonte politico sono le elezioni del 2013.
OBIETTIVO STABILITÀ. Per la milizia sciita, la stabilità in Siria è fondamentale, almeno quanto il denaro dell'Iran. Dal punto di vista stretegico, religioso, ma soprattutto logistico, visto che attraverso il confine passano armi e munizioni.
Per questo l'atteggiamento tenuto finora nei confronti del conflitto è stato il basso profilo. E quando i ribelli siriani hanno accusato Hezbollah di addestrare e combattere per le forze di Assad, da Beirut è arrivata pronta la smentita.
IL RISCHIO DI UN NUOVO FOCOLAIO. Il partito armato sa che ufficializzare una volontà di intervento in Siria potrebbe rinfocolare le divisioni con la maggioranza sunnita libanese e portare a nuova violenza in casa.
«Non siamo delegati da qualcuno, non siamo un utensile da utilizzare all'occorrenza. Sappiamo quali sono i nostri interessi interni», ha dichiarato un alto funzionario di Hezbollah al Wall Street Journal. Il destino del Medio Oriente si decide anche nel tornaconto del Partito di Dio.  (Giovanna Faggionato)

Egitto, 1.600 jihadisti nella penisola del Sinai

Secondo l'Intelligence cresce infiltrazione estremisti islamici.

Mercoledì, 22 Agosto 2012 - Sono circa 1.600 gli estremisti islamici di varia nazionalità che si troverebbero nella penisola del Sinai, in Egitto.
Negli ultimi mesi, nella zona, si sono moltiplicate le violenze e le incursioni verso il vicino Israele.
L'ultimo attacco, del 5 agosto scorso, è costato la vita a 16 Guardie di Frontiera egiziane.
BEDUINI IN ALLERTA. Lo rivelano stime dei servizi di sicurezza del Cairo, riportate dall'agenzia Mena.
Al momento i nomi inclusi nella lista dei jihadisti ricercati sono 120, ha precisato Mena, ma il numero totale sembra aggirarsi ormai attorno ai 1.600.
Cifra che ricalca quella indicata già un paio di settimane fa dal capo di una delle tribù beduine della penisola, il quale, in un'intervista all'agenzia palestinese Maan, aveva denunciato la presenza di una sorta di Legione straniera della Guerra Santa.
CAMPAGNA CONTRO JIHADISTI. Le forze armate egiziane hanno lanciato negli ultimi tempi una vasta campagna militare contro il dilagare di gruppi jihadisti nel Sinai e lo stesso neo-presidente Mohammed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, non ha mancato di alzare la voce contro questo fenomeno dopo il sanguinoso attacco del 5 agosto.
Morsi ha autorizzato anche la chiusura dei tunnel del contrabbando al confine con la Striscia di Gaza.
PREOCCUPAZIONE DI ISRAELE. Sull'altro lato della frontiera, Israele ha espresso in questi mesi crescente preoccupazione per il pericolo che il Sinai diventi una zona franca per il terrorismo sull'onda dell'ulteriore erosione del controllo del territorio seguita alla caduta di Hosni Mubarak.
Il governo dello Stato ebraico, dopo aver autorizzato il rafforzamento del dispositivo militare del Cairo nell'area, in deroga alle intese di pace del 1979, ha tuttavia protestato poi contro l'annunciato uso di tank e aerei.
Secondo Benyamin Netanyahu si rischierebbe una “grave violazione” degli accordi sulla smilitarizzazione della penisola in vigore da oltre 30 anni.

Israele, speaker Knesset: «Attaccare oggi Iran»

Rivlin: «Rimandando perderemmo il nostro potere di deterrente».

Venerdì, 24 Agosto 2012 - «Se non attaccheremo oggi in Iran perderemo il nostro potere di deterrente, che è il nostro bene strategico più importante, e ci troveremo in una situazione molto complessa».
L'avvertimento è stato lanciato il 24 agosto dal presidente della Knesset, il parlamento israeliano, Reuven Rivlin, dirigente del Likud.
CRITICATO PERES. In un'intervista al quotidiano nazionalista Makor Rishon, Rivlin ha criticato il capo dello Stato Shimon Peres, che di recente ha consigliato al governo di non affrettarsi ad agire contro le infrastrutture nucleari in Iran  e di mantenere piuttosto un saldo coordinamento con gli Stati Uniti.
Secondo Rivlin, prima di criticare il governo su una questione così importante Peres avrebbe fatto meglio a rassegnare le dimissioni.
PRIMAVERA ARABA A TEHERAN. Ma il vivo consiglio a rinviare un blitz israeliano in Iran giunge intanto anche dall'ex capo di stato maggiore, il generale Gaby Ashkenazi.
Le sanzioni internazionali, a suo parere, funzionano ed esiste «la speranza che la primavera araba arrivi prima o poi anche a Teheran».
Secondo Ashkenazi la eventuale offensiva israeliana deve attendere. Nel frattempo dovrebbero proseguire invece le attività segrete di sabotaggio contro le infrastrutture atomiche in Iran.

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