FIN DOVE SPINGE LA
DISPERAZIONE?
- Quello che non doveva accadere è successo. I manifestanti ieri hanno
convocato una conferenza stampa davanti alla ‘riservetta’ in cui è custodito
l’esplosivo. “Siamo disperati”, hanno detto gli operai. Uno dei leader della
protesta, Stefano Meletti, della Rsu Uil, particolarmente agitato è andato
oltre le parole di rabbia. I due compagni al suo fianco, nella concitazione del
momento, non hanno evitato il dramma. Con una mossa fulminea l’uomo ha estratto
dalla tasca un coltello e si è tagliato un polso gridando: “è questo che
dobbiamo fare, ci dobbiamo tagliare?”. Tutti sono stati colti di sorpresa,
giornalisti e minatori stessi. Il sindacalista della Rsu e’ stato subito
bloccato dai colleghi che erano attorno a lui: “Si tratta di un taglio esteso e
profondo – fanno sapere i medici – che è stato curato con dieci punti di
sutura”. Meletti sta bene, ma preoccupano le sue condizioni psicologiche: per
questo è stato trattenuto in ospedale.
PRONTI A USARE
L’ESPLOSIVO
– Di esasperazione ha parlato anche Giancarlo Sau, della Rsu Cgil, spiegando
alla stampa il perché della convocazione di cronisti, fotografi e cineoperatori
giù nelle viscere della terra. “Siamo pronti a tutto – ha detto indicando col
dito la stanza blindata dove sono stivati oltre 690 chili di esplosivo e 1.221
detonatori – E’ il momento de ‘sa bruvura’ (polvere da sparo esplosivo in sardo,
ndr)”, ha aggiunto senza precisare altro. L’azione di Meletti ha poi fatto
precipitare la situazione: dopo comprensibili momenti di caos e tensione, i
giornalisti sono stati fatti allontanare e invitati a risalire in ascensore
lungo il pozzo per tornare alla luce del sole. I minatori, invece, restano li’
a -373 metri.
BONANNI, DARE
RISPOSTE AI MINATORI PER SBLOCCARE SITUAZIONE – “Siamo molto
preoccupati. Il Governo e le istituzioni locali devono assolutamente sbloccare
la situazione della miniera del Sulcis. Occorre evitare che la rabbia e
l’esasperazione dei lavoratori sardi possa sfociare in un dramma collettivo”.
E’ l’appello lanciato dal segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni.
“Stiamo seguendo con grande apprensione e partecipazione la vicende della
miniera del Sulcis. I minatori, a cui va tutta la nostra solidarieta’ ed il
nostro appoggio, hanno bisogno di risposte immediate e convincenti dal governo
e dalle istituzioni locali. Ci sono state troppe promesse e troppi impegni
disattesi nella vertenza del polo industriale del Sulcis, che mette in fila
varie crisi industriali come l’Alcoa e l’Eurallumina – sottolinea in una nota
il leader sindacale -. Noi pensiamo che si possa costruire nel Sulcis un nuovo
polo tecnologico dell’energia pulita ma occorre l’impegno straordinario dello
stato, delle istituzioni locali e anche del sindacato. Se non si dovessero
trovare in tempi brevi delle soluzioni che garantiscano la continuita’
produttiva di queste aziende, c’e’ il rischio di un definitivo declino industriale
di un distretto che ha dato lavoro e sostentamento a migliaia di persone”.
VIVERE A 400 METRI
SOTTO TERRA
– Intanto a 400 metri di profondità, nelle viscere del Sulcis, i minatori
sopravvivono trascorrendo le giornate a parlare, senza tv e internet. Nel buio
tangibile delle gallerie arrivano solo i giornali dalla superficie mentre
attendono notizie da Cagliari e da Roma attraverso il telefono di cantiere. Il
rumore degli skip, le gabbie degli ascensori che salgono e scendono dalla
superficie, rompono il silenzio, insieme al rumore delle pompe sommerse, per
evitare l’allagamento della gallerie. C’e’ sempre chi controlla e vigila sula
vita dei compagni in miniera: sono gli uomini, e una donna, della sicurezza
interna. Lì al livello -373, vicino alla ‘ricetta’ del pozzo, hanno allestito
una sala di fortuna con tavolacci e cavalletti di fortuna, brande in legno,
qualcuno dorme accanto alla ‘riservetta’ di cantiere, la santabarbara dove sono
custoditi oltre 600 chili di esplosivo e i detonatori. Ci sono anche le donne
in occupazione, tuta bianca ed elmetto giallo in testa: sono le dirette eredi
delle ‘cernirici’ le donne che fino a metà del ’900 lavoravano alla cernita del
minerale, separavano a mano quello buono dallo ‘sterile’, le pietre
improduttive, ma non vogliono essere mitizzate o scambiate per attrici. La loro
e’ una presenza normale nelle miniere della Sardegna, i loro sono ruoli
identici a quelli degli uomini, e ci tengono a precisarlo, senza distinzioni.
Un velo di polvere nera copre appena il viso e un po’ di trucco, senza
nascondere però l’orgoglio di essere donne di miniera.
Lucio Filipponio
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